29 dicembre 2011

Auguri. rimpianti (seee…) e letture

Down on Earth (growing tiny peaceful thoughts) by Iguana Jo

Bene! Ora che il Natale è passato posso finalmente farvi gli auguri che il periodo richiede.
(Io non faccio gli auguri di Natale. Lo so, è un atteggiamento puerile, ma lasciatemi almeno questo piccolo gesto. Non che poi mi chiuda in una caverna per uscire col nuovo anno: mi piace la tradizione dello scambio dei regali, come mi piace che ci sia un'occasione per incontrare il resto della famiglia, che quando li vedi, altrimenti? È tutto il contorno catto-comsumista (grazie Marco per l'imbeccata!) che non reggo proprio.)
Non sentirò particolarmente vicino il Natale, ma gli auguri per un nuovo anno sono invece un rito a cui non mi sottraggo e che anzi, mi sta molto più a cuore.

Quindi, per finire in bellezza questo 2011, iniziamo questo post con l'augurio, per me, per voi, per tutti, che l'anno nuovo sia felice, prospero e godurioso come nessun altro prima.



Fine anno è tempo di bilancio, che per me si riassume poi in un'unica considerazione: sono soddisfatto di me, della mia vita? Sono almeno un po' felice per come sono andate le cose a me e a chi mi è vicino? Se la risposta è positiva, allora c'è poco altro da valutare.
Tutto considerato, se il maggior rimpianto per il mio 2011 è stato veder fallire il proposito di commentare volume per volume tutte le letture dell'anno, posso ben dire che questi dodici mesi non sono stati affatto male, no?

In effetti, questa cosa delle note post-lettura mancanti mi brucia un po'. Sono ormai parecchi anni che arrivo alla fine di dicembre con tutte le mie letture regolarmente annotate a futura memoria. Questa volta non ci sono riuscito, e l'elenco che segue vale un po' come nota di demerito, un po' come appunto per il futuro, che spero di riuscire a spendere qualche parola (in qualche caso ben più di qualche parola) sui libri letti negli ultimi mesi.
Ecco dunque i titoli. Se poi ne avete voglia se ne può parlare: Non vogliamo male a nessuno, a cura di Dave Eggers; Il tempo del vuoto, di Peter Hamilton; Matter, di Iain M. Banks; Una passeggiata nei boschi, di Bill Bryson; Toxic, di Hallgrimur Helgason; Il canone occidentale, di Harold Bloom; Dula di Marte, di Joe Haldeman; Nove gradi di libertà, di David Mitchell; A Dance with Dragons, di George R.R. Martin; Anathem, di Neal Stephenson; Alia Anglosfera, a cura di Davide Mana; Robot 61; Magic for Beginners, di Kelly Link; Il ritorno delle furie, di Richard K. Morgan; IASFM 7.



Arrivati a questo punto rimane solo da stilare la consueta classifica delle migliori letture del 2011. Dando un'occhiata ai libri letti negli ultimi 12 mesi, noto che mai come quest'anno la fantascienza l'ha fatta da padrona. Lo so, sembra quasi paradossale evidenziare questo dato, che da queste parti la letteratura di genere ha sempre goduto di particolare attenzione, ma negli ultimi anni le mie letture si dividevano tra genere e mainstream in maniera piuttosto equilibrata. Quest'anno no. Forse per la qualità dei volumi letti, forse per i nomi degli autori che si sono accumulati sugli scaffali in attesa di lettura, forse per gli stimoli ricevuti dall'esterno, ma la fantascienza ha dominato i miei spazi letterari, sia dal punto di vista quantitativo, sia da quello qualitativo, tanto che tra i volumi da ricordare per il 2011 solo uno non appartiene al genere.
Ma bando agli indugi, ecco la lista:

The Dervish House, di Ian McDonald
Magic Kingdom, di Stanley Elkin
A Dance with Dragons, di George R.R. Martin
Matter, di Iain M. Banks
Anathem, di Neal Stephenson  
Angeli spezzati, di Richard K. Morgan
The Android's Dream, di John Scalzi
Gomorra e dintorni, di Thomas Disch

Menzione speciale fuori classifica per Mentre morivo, di William Faulkner e Female Man, di Joanna Russ. La qualità e l'importanza di questi due volumi vanno oltre il mero piacere che la loro lettura mi ha regalato. Nel corso dell'anno ci sono stati libri più appassionanti, più stimolanti, più emozionanti di quelli di Faulkner e Russ, però nessuno si è ancora ritagliato l'importanza che questi due titoli hanno nei relativi settori di influenza. E questo è già un motivo più che valido per ricordarli.

Volete sapere anche quali film voglio ricordare per questo 2011? Tra i pochi, pochissimi, che ho avuto la fortuna di vedere, quelli memorabili sono Tree of Life e Un gelido inverno, Source Code e Il Grinta. Magari sono un po' pochini, ma di quell'altra manciata di film visti non me ne vengono in mente altri da segnalare ai posteri.

Bene, direi che è tutto. Finite bene questo 2011 e iniziate al meglio il 2012. Fate a modo e divertitevi. Ci si sente presto!



(Per i curiosi, queste erano le classifiche degli anni scorsi: 2010, 2009, 2008, 2007, 2006, 2005, 2004, 2003.)



(Questo post è dedicato a Massimo, lì sopra, in ricordo del bel tempo passato insieme.)

21 dicembre 2011

Sette link

A photo by Iguana Jo
Sono passate un paio di settimane da quando il giochino ha impazzato nei blog del vicinato. In quei giorni non ho avuto proprio modo di partecipare, ma ora, visto anche il periodo festivo che si avvicina, con conseguente scarsa propensione per approfondimenti e conseguenti discussioni, mi pare un buon momento per un post autoreferenziale come questo. L'elenco che segue è poi un buon modo per dare un'occhiata retrospettiva al percorso del blog, al mio percorso, di questi ultimi anni. Ringrazio quindi Nick e Angelo che mi hanno tirato in ballo. Questi sono i link che ho scelto, e visto che in molti casi non riuscivo a decidermi, ho deciso per una doppia menzione. La prima si riferisce ai post dell'anno che sta per concludersi, la seconda a tutto lo s5torico del blog.

Il post il cui successo mi ha stupito.
Io mi stupisco facilmente, nel senso che già avere qualche commento in calce ai miei post per me è un buon successo. Ma ci son post e post ed è vero che in qualche caso anche poche visite sono una buona soddisfazione. Nel 2011 il post il cui successo mi ha stupito è stato  quello dedicato a Tschai. È curioso, e in qualche modo sintomatico della fase che la fantascienza sta vivendo da 'set parti, che una delle discussioni più partecipate del blog riguardi una serie di romanzi usciti più di 40 anni fa.
Per quanto riguarda la menzione del post il cui successo mi ha stupito in tutta la storia del blog, beh… sicuramente quello dedicato a Non è un paese per vecchi, che per qualche mistero della rete è costantemente visitato nonostante risalga a quasi quattro anni fa.

Il post più popolare.
Il post più popolare dell'anno è stato senza dubbio quello dedicato all'orrore, ma era facile, collegato com'era a un peso massimo della blogosfera come Malpertuis. Ma il Il post più popolare in assoluto, almeno considerando quelli con il maggior numero di visite/commenti, rimane la lista dei migliori romanzi di fantascienza degli ultimi 20 anni.

Il post più controverso.
Questo è facile. Sicuramente la serie di post dedicati a Urania e la fantascienza. La discussione è partita da qui per poi proseguire, proseguire, proseguire…
Quest'anno non mi pare di aver prodotto post particolarmente controversi. Forse l'unico è questo.

Il post più utile.
Credo che il post più utile dell'anno sia stato Scintille e incomprensioni. Certo, l'utilità pubblica del post è discutibile, ma quelle note mi sono state molto utili, perché mi hanno permesso di chiarirmi le idee e di ragionare in maniera stimolante sul mio approccio alla lettura.
Il post più utile in assoluto credo rimanga quello in cui parlo della mia città natale. Magari è un po' invecchiato, ma credo che Bolzano/Bozen: apartheid provinciale rimanga un buon post per chi conosca la realtà altoatesina solo per sentito dire.

Il post che non ha ricevuto l’attenzione che meritava.
Non saprei, che se un post non ha ricevuto l'attenzione che meritava forse è stato giusto così. Se devo citarne un paio, uno per il 2011, l'altro per tutta la storia del blog, forse sono Tree of Life, che raccoglie qualche nota sul film di Malick e Vibrazioni diverse, dedicato all'esplorazione fotografica dell'abbandono.

Il post più bello.
Ogni scarrafone è bello a mamma sua. Detto questo io sono particolarmente affezionato al post che a suo tempo dedicai a  La fortezza della solitudine di Jonathan Lethem e, per quest'anno, a quello in cui parlo di Un gelido inverno.

Il post di cui vado più fiero.
Credo di essere molto fiero de L'espertitudine mi uccide, un post dedicato al mio approccio alla critica letteraria.
Quest'anno la produzione di post di qualità è andata in calando, però sono abbastanza contento delle parole spese riguardo a quello che manca nella fantascienza in Italia e della discussione che ne è seguita.


Arrivati alla fine del giochino, dovrei elencare i sette malcapitati che dovrebbero proseguirlo. Ma credo di essere (fortunatamente!) fuori tempo massimo per quanto riguarda la sopravvivenza del meme in rete, e poi son sempre stato molto critico rispetto a 'ste catene di blog. Per stavolta dovrete accontentarvi del mio elenco, che tanto i blog che frequento li conoscete tutti, no?

19 dicembre 2011

Letture: The Dervish House, di Ian McDonald

© Hakki Ucar
Riprendiamo le trasmissioni con qualche nota su uno dei romanzi migliori mi siano capitati in mano negli ultimi mesi: The Dervish House, di Ian McDonald.

Tra gli scrittori di fantascienza che preferisco, Ian McDonald è quello a cui sono più affezionato. Sarà per la vicinanza che ho sempre avvertito con i temi portanti delle sue storie e il suo particolare approccio alla narrazione fantascientifica, ma nei romanzi e nei racconti dell'autore nord-irlandese mi sembra di ritrovare sapori e atmosfere che riescono a parlarmi come nessun altro, dentro o fuori il genere.

La fantascienza di Ian McDonald è straordinaria per la capacità di coniugare una scrittura brillante, che è al contempo complessa per ricchezza espressiva e tonale ed estremamente comunicativa per ritmo, leggerezza e profondità, a scenari, personaggi e trame unici per tridimensionalità e senso del meraviglioso.
The Dervish House non fa eccezione, m'è parso anzi, tra i suoi romanzi recenti, quello dove Ian McDonald si prende i rischi maggiori e ottieni i migliori risultati, sia nella creazione dei personaggi che, soprattutto, nell'immersione totale in una realtà complicata e aliena come quella rappresentata dalla città di Istanbul, mai come in questo caso crocevia di storie e Storia.
Nella Istanbul di McDonald si incrociano nanotecnologie e attentatori suicidi, Islam e modernità, economia e leggende medievali, start-up di belle speranze e psicogeografia urbana, football e rivoluzione. Tutti elementi potenzialmente in grado di far esplodere o deragliare qualsiasi trama, di schiacciare personaggi e situazioni sotto il peso di infodump e retorica.
Ma McDonald è un maestro nel gestire situazioni complesse, nel far confluire gli elementi più disparati in una trama coerente, nell'esaltare la personalità di protagonisti e comprimari mettendola a confronto con la complessità del reale.
Siamo intorno al 2030. Gli sviluppi più fantascientificamente creativi dell'uso della nanotecnologia fanno da sfondo alle vicende di sei personaggi la cui esistenza ruota. per i motivi più diversi, intorno alla vecchia casa dei Dervisci, nell'attesa dei quarti di Champions League tra Galatasaray e Arsenal, in una progressione narrativa che nell'arco di cinque giorni avvicinerà progressivamente tutti i personaggi al climax finale: c'è il mistero di un'improvvisa rivelazione religiosa; un piano per sovvertire il mercato dell'energia; un vecchio greco che fa i conti col proprio passato e un ragazzino che regola quelli con i limiti fisici del suo stato; c'è una mercante d'arte che esplora i confini dei sogni che circondano la città mentre una giovane provinciale mette alla prova le proprie ambizioni con la grande città e una famiglia piuttosto ingombrante.
E poi, naturalmente, c'è Istanbul.
Non sono mai stato nella città turca, fino a qualche anno fa il mio riferimento più forte a quella realtà era, purtroppo per lei, Fuga di mezzanotte. Poi ho conosciuto la vecchia gloriosa Istanbul del passato grazie a Orhan Pamuk, quella derelitta delle perfierie di Latife Tekin, ma è curioso che ci sia voluto un autore di Belfast per farmela sentire così vicina. Ian McDonald non è nuovo a certi exploit, basti ricordare la Varanasi di River of Gods, o il Brasile pulsante del suo penultimo romanzo. E per quanto mi rimanga il dubbio della reazione che le sue pagine possano provocare in un cittadino di quelle realtà, è altrettanto certo che nessun altro autore di fantascienza sia mai riuscito a rendere con tale forza, entusiasmo e vitalità la sostanza stessa di cui son fatte questi luoghi, così lontani, così vicini.

© Erdem Erciyas
Se sul talento espressivo di Ian McDonald siamo (spero!) tutti concordi, vale forse la pena spendere qualche parola su quelle che sono le caratteristiche specifiche che rendono unica la sua fantascienza.
A me non vengono in mente altri nomi, almeno non all'interno dei confini del genere, capaci di tanta consapevolezza storica nello sviluppo di scenari e trame quanto Ian McDonald ha dimostrato di possedere nel corso di tutta la sua carriera. Partendo da Desolation Road, passando per King of Morning, Queen of Day fino a The Dervish House, la Storia è sempre presenza viva nel corpo della narrazione.
Nella fantascienza di Ian McDonald l'esistenza di un passato storico, per quanto implicita e sotterranea, è fondamentale per infondere profondità alle vicende narrate. La Storia influisce con il suo peso su società e individui. La sua ingombrante presenza è un elemento imprescindibile nell'evoluzione di una comunità. L'inerzia dei conflitti passati che si riverbera costantemente nel presente, riecheggiando nella memoria e nelle trasformazioni del futuro immaginato dall'autore, è un elemento costante delle storie di Ian McDonald.

Conseguenza coerente di tale approccio (che va sottolineato, non è mai didascalico o esplicito, quanto piuttosto interiorizzato e quindi invisibile) è la costruzione dei personaggi che si muovono all'interno dei suoi romanzi.  
Leggendo parecchia fantascienza si è quasi obbligati ad avere a che fare con personaggi che spiccano per la loro eccezionalità rispetto al contesto che li circonda. L'eroe o l'eroina, anche nelle versioni che più si distaccano dalla tradizione popolare del termine, sono la regola nella narrazione di genere. I personaggi di McDonald sono una felice eccezione. Non sono mai il meglio (o il peggio)  di un dato gruppo / comunità, sono semmai rappresentativi di certa modalità di relazione, di una certa espressione culturale.
Sebbene sempre funzionali alla storia narrata dal loro creatore, i personaggi dei romanzi di McDonald spiccano per l'apparente libertà di movimento che posseggono, per l'autonomia che godono rispetto al contesto, per la credibilità del loro rapportarsi con l'ambiente circostante. E soprattutto per la loro perenne ricerca di una qualche forma di controllo sulla propria esistenza, che nel racconto è sempre sull'orlo di una crisi che ben poco ha a che fare con le scelte individuali, ma che è piuttosto in balia della fortuna e della Storia, nel tentativo di non rimanere stritolati dai meccanismi in cui volenti o nolenti sono intrappolati (e anche qui niente di trascendentale: gli ingranaggi contro cui i personaggi lottano possono essere la famiglia piuttosto che la tradizione, il disagio sociale piuttosto che l'ambizione politica).

Per l'attenzione che dedica alle complessità dei rapporti sociali, la fantascienza di Ian McDonald mi pare facilmente accostabile a quanto di meglio proviene dalle isole britanniche. Penso a Iain Banks, a Charlie Stross, a Jon Courtenay Grimwood, a Richard K. Morgan, a China Miéville, autori con cui condivide un certo interesse per etica e politica e un approccio narrativo leggero per tematiche che non rifuggono profondità di pensiero, mantenendo sempre alto il tasso di meraviglia.
A distinguere l'autore di Belfast ci sono la qualità della scrittura (solo Banks tra i nomi citati è altrettanto ricco), la scelta di non allontanarsi mai troppo dal contesto attuale, la subordinazione del cambiamento tecnologico/scientifico a quello umano/sociale, l'attenzione a realtà e situazioni inconsuete trattate con un rispetto e una profondità sempre più sorprendente, la visione di una Storia ancora viva e vitale (la scelta di ambientare i romanzi in India, Brasile, Turchia - ma anche nell'Africa di Chaga - non è solo estetica ma profondamente politica).

Ian McDonald non ha goduto di particolare fortuna in Italia. Della sua produzione lunga sono stati editi tre soli romanzi, mentre alcuni racconti son presenza fissa delle raccolte del meglio dell'anno pubblicate da Urania, oltre ad essere comparsi qua e là in varie antologie. Negli ultimi tempi Delos ha pubblicato il racconto lungo Il circo dei gatti di Vishnu nella collana Odissea e un racconto su Robot (entrambi estratti da Cyberabad Days, antologia di racconti ambientati nell'India futura di River of Gods).
Non ho molte speranze che questa situazione editoriale possa cambiare a breve, ma spero vivamente di essere smentito dai fatti. Nel frattempo vi segnalo che tutti i suoi romanzi sono disponibili in lingua originale.