31 ottobre 2006

Gypsy Punk!

Originally uploaded by Iguana Jo.
Sarà che ormai non ho più l'età canonica, sarà che il tempo libero ultimamente è sempre meno, sarà che tra le mie priorità la ricerca e l'ascolto di nuove proposte musicali sono attività scese di parecchi posti in graduatoria.
Sarà quel che sarà ma è ormai da parecchio tempo che non ascolto più nulla di particolarmente eccitante, nuovo e stimolante.
Con un'unica meravigliosa eccezione: i Gogol Bordello.

Non so da cosa dipende. Se son capitati al momento giusto, se è il loro suono che mi ha folgorato, se semplicemente mi hanno fatto ricordare l'emozione della prima volta che ho ascoltato i Pogues o se nella voce di Eugene Hutz rieccheggia più di un qualcosa del buon vecchio Strummer.

Qualunque cosa sia l'effetto è fenomenale. Tutta l'energia del punk insieme ai ritmi slavi, la voce che mescola rabbia ingenuità umorismo e pazzia. Il loro live act che è quanto di più divertente appassionante coinvolgente si possa assistere.
Insomma, mescolate il tutto e avrete una miscela inconfondibile in cui si uniscono tradizioni musicali agli antipodi, in cui l'inglese si alterna al russo, allo spagnolo e anche (incredibilmente) all'italiano. Una musica in cui si può toccare con mano il melting pot globale, una mescolanza che nasce dal basso senza alcuna imposizione esterna, in cui elementi culturali diversi escono ancora più rafforzati dal confronto con l'altro.
Un punkrock bastardo, zingaro e vagabondo la cui ultima necessità è in fondo solo una disperata volontà di sopravvivenza, circondato com'è da una maggioranza che nel migliore dei casi è indifferente se non ostile a qualsiasi cosa non sia preconfezionata, riconoscibile, etichettabile, una maggioranza per cui chi viene da fuori (qualunque cosa sia questo fuori) è sospetto, equivoco, spaventoso.

Don't believe them for a moment
For a second, do not believe, my friend
When you are down, them are not coming
With a helping hand
Of course this is no us and them
But them they do not think the same
It's them who do not think
They never step on spiritual path
They paint their faces so differently from ours
And if you listen closely
That war it never stops
Be them new Romans
Don't envy them my friend
Be their lives longer
Their longer lives are spent
Without a love or faithful friend
All those things they have to rent
But we who see our destiny
In sound of this same old punk song
Let rest originality for sake of passing it around
Illuminating realization number one:
You are the only light there is
For yourself my friend
There'll be no saviors any soon coming down
And anyway illuminations
Never come from the crowned
Illuminating realization number one:
You are the only light there is
For yourself my friend

30 ottobre 2006

Altro che Star Wars!

Con colpevole ritardo ho finalmente avuto il piacere di vedere Serenity. A parte i soliti fantascientifici qualcuno l'ha mai sentito nominare?

La cosa mi lascia un pochino perplesso perché Serenity è tutto quello che la seconda trilogia di Star Wars avrebbe potuto essere senza nemmeno uno dei difetti che la caratterizzava.
Andando con ordine ci sono:
- personaggi memorabili, che uniscono in perfetto equilibrio tutti gli stereotipi del caso con quel pizzico di originalità che permette di identificarli e ricordarli nel tempo;
- dialoghi serrati, che nonostante l'infodump che devono per forza trasmettere rimangono brillanti e briosi per la maggior parte del tempo;
- scenografie, design ed effetti speciali che non fanno rimpiangere la ILM;
- un ritmo vertiginoso: succede un sacco di roba, ma la trama non si perde ne diventa del tutto incompresibile o confusa. Anzi, il sacco di roba che succede, incredibile a dirsi, fa avanzare la storia.
Perché è questo che soprattutto distingue Serenity da decine di altre pellicole di genere: è un film con una storia degna di essere raccontata.

Serenity ha in dosi massicce tutto quello che un film che mira al puro intrattenimento dello spettatore dovrebbe contenere di default e che invece troppo spesso si perde tra le pieghe e le contorsioni delle produzioni hollywoodiane.
Eppure un film del genere è passato praticamente inosservato, nessuna promozione da parte del distributore, invisibilità (o quasi) nelle sale, nemmeno tra gli appassionati nostrani c'è stato un gran fervore.

Mi viene il dubbio che 'sto genere di film piaccia solo a me…

Mi fate un favore? Dategli una possbilità, e poi, nel caso, insultatemi.

26 ottobre 2006

Meat is murder?

© giorgio raffaelli
Ormai è passato qualche tempo dalla lettura di Sotto la pelle di Michel Faber, ma non avevo ancora avuto modo di buttar giù queste righe sull'impressione che mi ha lasciato.
Diciamolo subito: per due terzi abbondanti del romanzo la sensazione che è andata via via aumentando, è stata quella di trovarsi di fronte a una ciofeca, un romanzo fastidioso nella sua furbizia, nella sua prevedibilità, nell'uso smodato del colpo basso per colpire il lettore allo stomaco. Irritazione è la parola che più definisce il mio rapporto con il libro.

Faber sa scrivere, non c'è dubbio. I personaggi che tratteggia raggiungono sempre un realismo tridimensionale. Le varie scene che compongono la vicenda sono ben delineate, avvincenti e credibili.
Ma allora cos'è che non funziona nel romanzo?
Due cose fondamentalmente: la credibilità globale della vicenda e l'intento smaccatamente pedagogico del romanzo.

Man mano che si procede nella storia la credibilità si perde in mille dettagli francamente incomprensibile alla luce del realismo cercato (disperatamente ?) dall'autore. La vicenda si svolge nel nord della Scozia, da almeno un paio d'anni Isserley, l'aliena protagonista del romanzo, fa sparire in media un autostoppista al giorno. Chi è stato da quelle parti sa quanto poco siano frequentate quelle lande, quindi mi aspetto che se un migliaio di persone scompare un minimo di allarme dovrebbe crearsi.
E invece zero.

Ma andiamo avanti.
La società aliena descritta nel romanzo è totalmente, drammaticamente, tragicamente umana nelle sue basi costituenti: i rapporti tra i sessi, tra le classi sociali, l'economia, la stessa forma mentis, tutto è tremendamente e incredibilmente umano. Non so come la pensate voi, ma per me non ha molto senso. Soprattutto per il rapporto con gli umani che caratterizza la loro presenza sul pianeta.
In effetti una delle cose che maggiormente rimprovero all'autore è l'incapacità di utilizzare e sfruttare appieno i canoni fantascientifici di cui approfitta abbondantemente per limitarsi invece a imbastire un pamplet moralista con l'ovvio scopo di convertire quel carnivoro di un lettore.
Perché questo è il fulcro del romanzo: la trasformazione degli esseri umani in carne da macello. E l'ovvia metafora tra la condizione degli umani nel romanzo e quella del bestiame che noi alleviamo è sin troppo trasparente. Ma non c'è alcuna finezza, alcuna mediazione: l'autore non lesina in particolari raccapriccianti, in colpi sotto la cintura, in brutalità gratuite e intenzionali. Che sarebbe forse anche divertenti o quanto meno interessanti. Ma l'autore bara, giocando con la sensibilità del lettore, ponendo in primo pianno la drammatica e avvincente vicenda di questa aliena deforme in missione sul nostro pianeta, avvicinandola a chi legge, facendo scattare tutti i meccanismi di identificazione possibili per poi utilizzare la breccia aperta per limitarsi far passare spudoratamente un messaggio da vegetariano integralista a scapito di tutte le potenzialità narrative che la vicenda poteva avere.

Paradossalmente il romanzo guadagna qualche punto nel finale, quando Faber abbandona il filone grottesco/raccapricciante per ritornare a raccontare la storia di Isserley. La scena del confronto con il figliodipapà ribelle è davvero notevole e la sua ultima uscita per le strade scozzesi non fa rimpiangere di essere arrivati in fondo al volume.

Ma ormai è tardi, che in definitiva l'impressione di essere presi in giro, con la conseguente irritazione e il fastidio che genera è la sensazione più forte che rimane a fine lettura.

10 ottobre 2006

tempi moderni


Originally uploaded by fabbio.
Ecco, queste sono le cose che mi fanno davvero capire che cazzo di mondo stiamo frequentando…

Leggete quanto scrive Vanamonde, credo che ogni ulteriore commento sia superfluo.

06 ottobre 2006

Il più brutto libro di fantascienza che abbia mai letto.


Foto di Paolo Arosio.
Visto che in questi giorni sembra ci sia un po' più di tranquillità vi voglio rendere partecipi di un brutto incontro fatto qualche mese fa, quando mi sono imbattutto nel più brutto libro di fantascienza mi sia mai capitato di leggere.
OK, quel "mai capitato di leggere" è un po' forte, forse ne ho letti di peggiori e sicuramente di peggiori ne esistono, fortunatamente il tempo aiuta a dimenticare gli episodi spiacevoli che hanno caratterizzato la nostra esperienza di lettore e quindi, al momento, il libro di cui sto per parlarvi è sicuramente il più brutto libro di fantascienza che io ricordi di aver letto.

A peggiorare le mie impressioni ha contribuito senz'altro il fatto che io riponevo la massima fiducia nell'editore del libro in questione. La collana in cui è uscito è nuovissima, rappresenta in effetti il suo biglietto da visita nel mondo crudele delle librerie. I primi volumi usciti, seppure non entusiasmanti, erano comunque dignitosi, in un paio di casi davvero molto molto buoni. E poi… ta-dan, squilli di trombe e rulli di tamburi, ecco a voi Un ponte sull'abisso di Catherine Asaro.

Mi rifiuto di raccontarvi la storia, che tanto è davvero puerile, mi limito a dirvi che mai come in questo caso mi sono imbattuto in tale valanga di luoghi comuni, situazioni ridicole, pretesti narrativi da scuola d'infanzia, ipotesi scientifiche degne del mago Otelma, e sviluppi sentimentali che al confronto un Harmony qualsiasi diventa un capolavoro della narrativa contemporanea. A tutto questo bendiddio aggiungiamoci una traduzione piatta piatta piatta, con delle trovate curiose (a me son rimaste impresse quelle scogliere senz'acqua a bagnarle…), e la totale mancanza di capacità di coinvolgimento del lettore (che già l'autrice ci mette del suo, se poi il traduttore contribuisce, siamo davvero finiti).

Insomma, se volte provare Odissea, la nuova collana di fantascienza edita da Delos fatevi un favore (e fatelo anche a Delos): scegliete Egan, Shepard, la Bujold ma non buttate via il vostro tempo e i vostri soldi con questo romanzo.

03 ottobre 2006

Creative Commons e dintorni


Originally uploaded by Iguana Jo.
Tutto è cominciato da questa discussione a proposito delle licenze Creative Commons, del copyright, dell'uso improprio delle foto caricate in rete, sul confronto tra professionisti e dilettanti.
Personalmente ho adottato per tutte le mie foto una licenza Creative Commons che ne permette la libera circolazione per scopi non commerciali a patto di citare sempre la fonte di provenienza. Inoltre, come ulteriore precauzione carico tutte le mie foto su flickr in bassa risoluzione.
Non ho idea se le mie foto girino per la rete senza il mio permesso e/o infrangendo la licenza CC (se qualcuno le dovesse avvistare spero sia tanto gentile da comunicarmelo), di solito non ho problemi a lasciarle utilizzare anche nella versione in alta risoluzione purché venga rispettata la licenza CC che ho scelto.

Detto questo, c'è stata un'affermazione che mi ha colpito: la visibilità in internet si paga.
Mi ha colpito perché per me è sempre stato vero il contrario.
Per me la visibilità in internet è soprattutto un guadagno.
È vero, c'è sempre il rischio di rimanere fregati, di vedersi soffiare qualche foto, di vedere le proprie cose esposte senza il dovuto riconoscimento. Ma è poi così grave? Se il blog xyz mostra una mia foto a mia insaputa, se l'agenzia di affitti turistici usa un mio panorama per valorizzare il suo sito, se…
non c'è dubbio son tutte cose poco belle, ma siamo sicuri che sia poi così grave? Non sto minimizzando, è ovvio che sia sbagliato, ma del resto di persone disoneste è pieno l'orbe terracqueo. Io per chi lavoro? per chi fotografo? per loro?
Che visibilità hanno quelle foto? maggiore o minore rispetto a quella che hanno su flickr? il rischio che i siti che le mostrano possano essere riconosciuti per l'utilizzo improprio, con conseguente sputtanamento, è alto o basso? Il sito che ruba le foto è un sito serio?

Francamente che le mie foto vengano utilizzate per scopi che vanno al di là della licenza CC che gli ho assegnato mi dispiace fino a un certo punto, non ho intenzione di lasciarmi influenzare dai cattivi, soprattutto quanndo vedo tutti i vantaggi che ho rischiando l'esposizione flickriana.

Da quando ho iniziato quest'esperienza ho iniziato a vendere foto, a vendere servizi fotografici (pochi, ma meglio che niente), a pensare alla possibile esposizione IRL delle mie immagini. L'eventuale danno derivatomi da usi impropri delle mie immagini al confronto è irrisorio.

E qui arriviamo al discorso sui professionisti.

Perché a leggere quanto affermato nella discussione originaria ("se io scendo il prodotto della mia attività dilettantesca ad attività di tipo commerciale danneggio chi quella attività la fa ad uso professionale...") io sono tra quelli che danneggia il mestiere dei professionisti. Mi permetto di vendere le mie foto, mi propongo per realizzare servizi, eppure accidenti! non sono un professionista! Che devo fare? Smettere di fotografare?
Ma poi: cos'è che distingue un professionista da un dilettante? Non è unicamente la quantità di tempo e denaro che impiega e che smuove? Oppure uno fregiandosi del titolo di "professionista" diventa automaticamente un fotografo vero?
E perché un professionista dovrebbe sentirsi danneggiato da quello che faccio?

Ogni opinione in merito è benvenuta.