31 dicembre 2012

Auguri & numeri & classifiche

© giorgio raffaelli
Consueto post di fine anno, per fare gli auguri agli amici, dare un po' i numeri sulle letture degli ultimi 12 mesi e proporre quelle che per me sono state le migliori del 2012.

Nell'anno appena trascorso ho letto 38 volumi, di cui 34 di narrativa. Rispetto agli anni scorsi il numero è calato di un 10-20 %, il che probabilmente significa che ho avuto di meglio da fare, che son stato altrimenti occupato o che i libri che ho letto non mi hanno entusiasmato tanto quanto quelli letti negli anni precedenti (se un libro mi lascia entusiasta mi vien voglia di leggerne subito un altro e un altro e un altro…).
Tolti i volumi antologici (2 Urania e un Robot) in cui compaiono autori di ambo sessi, ho letto 6 romanzi scritti da fanciulle 29 libri scritti da maschietti.
La divisione per area linguistica vede il dominio degli autori anglosassoni (21 libri), seguiti dagli italiani (9), quindi, in ordine sparso tedeschi (1), svedesi (1), giapponesi (1), norvegesi (1), indiani (1), russi (1) e francesi (1).

Anche quest'anno la fantascienza ha occupato buona parte delle mie letture (il 45%, ma se ci aggiungamo il fantasy e l'horror arriviamo al 55%), pur senza dominare l'elenco.
La qualità dei libri letti è stata mediamente buona, che l'esperienza aiuta a evitare le ciofeche più evidenti. Le sorprese positive hanno nettamente superato quelle negative anche quando ho provato autori mai letti prima, e di questo devo essere grato agli amici che mi hanno ben consigliato.

Se devo fare un elenco breve delle migliori letture dell'anno, beh… per la letteratura di genere vanno sul podio Arno Schmidt, Charlie Stross e i fratelli Arkadij e Boris Strugatskij, che strappano il terzo posto a Jon Courtenay GrimwoodJo Walton e Evgénij Ivànovic Zamjatin che si piazzano quarti ad ex-aequo.
Per quanto riguarda il mainstream, la lotta per il podio è assai più ristretta. Io ci piazzerei nuovamente Arno Schmidt che il suo Specchi Neri può stare agilmente in ambedue le classifiche, insieme a Amitav Ghosh e Murakami Haruki con quest'ultimo a meritarsi il primo posto.

Le più belle sorprese dell'anno sono arrivate dal lontano passato (mi riferisco a Stella Benson e al suo Living Alone) e dalla vicina Bologna: Gianluca Morozzi è l'unico autore di qui quest'anno ho letto due romanzi, qualcosa vorrà pur dire…

Anche stavolta non sono riuscito ad annotare per tempo sul blog tutte le letture dell'anno. Aspettatevi dunque per le prossime settimane qualche nota sui libri di Erika Moak, Vesaas Tarjei, Jonathan Lethem, Michele Mari, Alessandro Forlani, Roland Barthes, Tom Waits e Patrick Dennis.

Se i libri li abbiamo sistemati, la tradizione vorrebbe che citassi qualche film, ma credo che per quest'anno passerò, che se non ne ho parlato durante gli scorsi 12 mesi è evidente che quelli che mi son rimasti impressi son davvero pochi. Grazie a questi (pochi) film con l'inizio del 2013 un paio di post a tema cinematografico arriveranno però di certo, uno dedicato a Ben Affleck, un altro a Monsters (grazie Elvezio!): sebbene la visione di quest'ultima pellicola risalga solo a poche settimane fa, il film di Gareth Edwards si becca il titolo di miglior film di fantascienza visto nel 2012.

Arrivati a fine post rimane giusto il tempo per gli auguri. Visto com'è andato questo 2012 direi che ci sono buone possibilità che il 2013 sia decisamente meglio. Io ve lo auguro di cuore, come vi auguro di godervi al massimo ogni giorno dei prossimi dodici mesi.
Buon anno!

(Le classifiche degli anni scorsi le trovate qui: 2011, 2010, 2009, 2008, 2007, 2006, 2005, 2004, 2003.)


27 dicembre 2012

Visioni: Eva

Il blog del Grande Marziano è ormai da tempo un punto riferimento fisso nei miei giri per la rete. Tra le molte qualità di quelle pagine ci sono le appassionate recensioni di romanzi e film che riescono spesso a spingermi verso determinati volumi o visioni. È successo per Michele Mari che, se non lo avessi conosciuto sulle pagine marziane, non avrei mai letto (e ne riparleremo prossimamente), è successo con Eva, film di fantascienza spagnola, esordio del regista Kike Maíllo sul grande schermo, uscito l'anno scorso e passato invisibile sotto il mio radar.

Se devo al Grande Marziano la scoperta del film, non significa però che condivida anche il suo giudizio sulla pellicola.
Eva parte splendidamente, con un'ambientazione invernale che preannuncia il tono freddo della narrazione, con un'ottima CGI che rimane presenza discreta per tutto il film, con attori convincenti e un plot che si preannuncia interessante. Purtroppo quel che di buono il film lascia presagire nei primi minuti viene disperso in uno sviluppo della storia che si allontana dal centro fantascientifico della pellicola per dirigersi verso territori piuttosto diversi, farciti di dialoghi enfatici e situazioni piuttosto stucchevoli.

A questo punto un accenno alla trama diventa indispensabile: Alex brillante programmatore di robot, torna dopo dieci anni all'istituto cibernetico che lo ha visto diventare uno dei maggiori esperti nel settore. Torna per tentare di dare un'anima emozionale al progetto di un bambino-robot in lavorazione all'istituto stesso. Per farlo ha bisogno di un modello umano, e chi meglio di Eva, figlia di suo fratello e della donna per cui ha deciso di fuggire dieci anni prima?
Su questa premessa, che fonde Blade Runner al melodramma, si dipana una storia che nei riferimenti fantascientifici ha il cuore e in quelli sentimentali i punti deboli. Gli esperimenti di Alex con il robot, il suo rapporto con Eva, il lavoro con il software di sviluppo (una meraviglia gli effetti speciali che ne permettono visualizzazione e interazione), le implicazioni morali e filosofiche del progetto appena accennate in un sottotesto mai ingombrante, il tocco delizioso apportato dal robot maggiordomo e infine il gatto: in tutti questi elementi soprendenti e ottimamente gestiti si riconosce un occhio attento e appassionato alla fantascienza più interessante. Spiace quindi notare come questi aspetti vengano messi in disparte per buona parte del film dall'ingombrante racconto del triangolo amoroso tra Alex, suo fratello e Lana, amata dal primo, sposata al secondo.
La componente sentimentale del film risulta a tratti quasi intollerabile per la pesantezza di dialoghi e banalità delle situazioni, soprattutto se messa a confronto con la ricchezza delle suggestioni che il lavoro di Alex con Eva e i robot lascia intravedere. E se alla fine il fuoco del film torna fortunatamente su quest'aspetto, regalando un finale intenso ed emozionante, la pazienza dello spettatore, messa a dura prova dalla parte centrale del film, fatica un po' ad accontentarsi.

Al termine della visione rimane la soddisfazione di vedere un film di fantascienza che cerca di avvincere lo spettatore con strumenti e percorsi diversi da quelli dell'azione a tutti i costi a cui i blockbuster hollywoodiani ci hanno ormai assuefatto, ma che dimostra i propri limiti proprio nell'incapacità (analoga a quella dei succitati blockbuster) nel mantenere attenzione, profondità e coerenza su un soggetto complesso come quello messo al centro del progetto. Parlare di robot umanoidi e di intelligenza artificale, e quindi di doppio e identità, come Eva tenta di fare, è certamente complesso, ma rimane il sospetto che nel film questi argomenti siano stati emarginati in favore del solito plot sentimentale anche per sviare l'atttenzione dal complesso di dettagli incoerenti e incredibili che costellano la vicenda (il fatto che siano ben quattro gli sceneggiatori che han messo mano alla storia potrebbe essere significativo dei problemi che Eva deve aver avuto in fase di scrittura).
In conclusione tocca accontentarsi, che Eva rimane impresso più per l'occasione sfumata che per i meriti della storia. E sperare che da qualche parte ci sia un autore capace di gestire fantascienza, sentimenti e realtà con mano sicura e senza i tentennamenti che hanno messo in difficoltà la creatura di Kike Maíllo. Un autore simile credo di averlo incontrato, ma ne riparliamo in un prossimo post.

21 dicembre 2012

Visioni: Zombieland

Qualche tempo fa (un sacco di tempo fa!) si chiacchierava, nei commenti a questo post, di film orrorifici e divertenti. A un certo punto la discussione ha minacciato di deragliare a causa di un film  su cui le opinioni tendevano a divergere piuttosto nettamente.
Il film in questione era Zombieland e all'epoca mi ripromisi di guardarlo per farmene una mia, di opinione. É passato un po' di tempo ma io non dimentico. E ora, finalmente, posso star qui a disquisire in piena coscienza del film in questione.
Attenzione però. Farò affermazioni molto forti. Se siete di cuore debole astenetevi dal proseguire.

Prima affermazione forte: a me Zombieland è piaciuto!
Seconda affermazione forte: l'abbiamo visto in famiglia e ci siamo tutti molto divertiti!
Terza affermazione forte: vedere Zuckenberg inseguito da una marea di zombie è stato un bel vedere.

Ok. torniamo con i piedi per terra.

Non so quali siano i motivi per cui parte dei miei visitatori non ha gradito il film (i commenti in questione non erano particolarmente esplicativi), a me è piaciuto perché Zombieland m'è parso essere una conflagrazione di cliché (gli zombi ovviamente, e poi un Woody Harrelson che più Woody Harrelson di così non si può, per proseguire con le fanciulle dark, il nerd, le regole, e potrei andare a vanti ad libitum) che se ne esce dall'esplosione di già visto/sentito come una creatura comunque divertente, sufficientemente intelligente e mai spocchiosa, nonostante strizzate d'occhio metacinematografiche, riprese storte e rallenty a gogò (anzi, funziona proprio grazie a questi fattori, che sono accessori gustosi, ma non sono mai il centro né della scena, né della storia).
Zombieland ha gli stessi pregi di Shaun of the Dead declinati però in salsa teen americana, piuttosto che in versione tepd (trentenni europei pseudodepressi) ed è forse questo il fattore che riduce (o annulla) il godimento per lo spettatore figo italiano medio, quello consapevole di tutta la storia zombie dell'universo, ma magari poco avezzo alle rimescolature pop di cui è farcita la pellicola.
Zombieland è una commedia: gli zombie sono veri, sono vivi (si fa per dire), e fanno male, ma il film - ta-dan! - finisce bene. Magari è questo che non va giù ai cultori dell'ovvove che, o son troppo vecchi per vedere 'sti film da fanciulli, o lo hanno guardato con indosso il paio sbagliato di occhiali.
(Mi sorge il dubbbio che la questione si possa riassumere nelle differenze che ci sono tra ambientare un film con gli zombi in un centro commerciale e girarlo in un luna park - o in un pub, se è per questo.)

Ah… dimenticavo Bill Murray.
Bill Murray è spettacolare, e riempie gli unici momenti davvero idioti del film con una presenza che in un colpo solo smonta la grandeur di Hollywood e l'immagine che qualcuno potrebbe essersi fatto di lui dopo quel paio di film seri cui ha prestato il suo innegabile talento. Esemplare in quest'ottica la conclusione della sua comparsata.

Insomma, su, detrattori di Zombieland, fatevi avanti. Vi aspetto con la doppietta carica!

19 dicembre 2012

Letture: Ghosh, Tonani, Grimwood, Year's Best

© giorgio raffaelli
Mare di papaveri, di Amitav Ghosh
Erano anni che non leggevo un libro come Mare di papaveri. Un romanzo con l'ambizione di ricreare la realtà ad uso e consumo della Storia. Un racconto in cui già la scelta della lingua (della narrazione, dei personaggi) plurale, straniera, imbastardita, sporca e colorata, narra di mondi diversi che si scontrano, mescolano, separano. Questi molteplici mondi sono quelli dell'India dell'ottocento, che Amitav Ghosh ritrae in una storia ricchissima di suggestioni, avventurosa, appassionante, meravigliosa.
Erano anni che non leggevo un romanzone simile, forse l'esempio più prossimo nella mia esperienza è La vera storia del pirata Long John Silver, che certo, è parecchio diverso da Mare di papaveri, ma che però m'è tornato in mente un po' per lo sfondo marinaro, ma soprattutto per il dettaglio storico, la passione della scrittura e l'avventura che permea ogni pagina.
Erano anni che non leggevo Amitav Ghosh. Dopo il folgorante Il Cromosoma Calcutta e il meraviglioso Il cerchio della ragione avevo perso di vista l'autore indiano. Sapere che Mare di papaveri è il primo volume di una trilogia, che nelle intenzioni dell'autore dovrebbe completarsi nel prossimo futuro, è un ottimo motivo per tenerlo d'occhio, sperando nella puntualità delle prossime uscite.


Infected Files, di Dario Tonani
Infected Files raccoglie il meglio della produzione breve di Dario Tonani, ed è un ottimo campionario dei temi e delle visioni che caratterizzano la fantascienza dell'autore milanese. Dall'ossessione per la macchina, all'angoscia tecnologia, dalle tinte ipersature dei suoi panorami urbani, alla distruzione del corpo (trasformato, mutilato, ferito e riciclato), la tavolozza fantascientifica di Dario Tonani ha tutti i colori per avvincere e irretire il lettore.
Nei racconti del volume è evidente come ciò che all'autore riesce meglio sono la costruzione della scena, il colpo a effetto, lo splendore del dettaglio meraviglioso (per quanto spaventoso possa essere) su uno sfondo opaco, squallido e terminale. Quel che invece ho avvertito come un limite è l'incapacità di andar oltre la superficie immediata delle cose per suscitare nel lettore la consapevolezza di una complessità che invece sfugge, relegata in un angolo dal clamore delle esplosioni o da quello dei sentimenti (sempre straripanti in queste storie). Dario Tonani possiede un talento innegabile nel dar corpo scritto alle sue visioni, che affascinano come raramente accade nei territori della fantascienza nostrana. Pazienza dunque se nelle sue storie non riesco a percepire qualcosa di più dello sbarluccicare dei primi piani sullo sfondo della desolazione circostante.
Nota finale sulla scelta dei racconti presenti nel volume: ho trovato piuttosto inutili quelli relativi alla Milano infect@, mentre ho sentito la mancanza di un racconto come L’uomo dei pupazzi di schiuma che credo sia, con Le polverose conchiglie del mattino, tra le cose migliori Dario Tonani abbia scritto.


Stamping Butterflies, di Jon Courtenay Grimwood
Dopo averlo scoperto con la trilogia arabesca non vedevo l'ora di leggere un nuovo romanzo di Jon Courtenay GrimwoodStamping Butterflies non delude le aspettative, tornando ancora una volta in Nordafrica (questa volta siamo a Marrakech, Marocco), per raccontare una storia che spazia dagli anni '70 dello scorso secolo fino a un futuro talmente estremo da diventare fantastico. Nel mezzo una manciata di personaggi segnati dal dolore, vittime di forze sui cui non hanno alcun controllo, che non possono far altro che resistere strenuamente fino alla catastrofe finale e a nuovo inizio, che non cancella nessuna delle tragedie della storia, ma che offre un qualche minimo barlume di speranza.
Jon Courtenay Grimwood riesce a essere spietato e commovente, con occhio attento all'umanità invisibile che ci circonda e una grandissima abilità nel calibrare il passo di un racconto sempre sospeso tra universi apparentemente inconciliabili (il Marocco anni '70, il presente del romanzo e l'insieme dei mondi dominati da un imperatore cinese dell'estremo futuro), senza perdere l'attenzione del lettore e il senso di una storia sempre in bilico tra meraviglia e orrore.
Stamping Butterflies è un gioco di equilibri pressoché perfetti, dove il rischio di cadere nel patetico, se non nel ridicolo, si sfiora ad ogni passo, ma che grazie all'attenzione di Grimwood per il dettaglio e a una sensibilità non comune, si regge straordinariamente in piedi a ogni ulteriore rivelazione della trama, tanto da riuscire a rendere credibile e sensato anche quel che fino a poche pagine prima credevi impossibile.


Graffiti nella biblioteca di Babele, a cura di David G. Hartwell & Kathryn Cramer
La raccolta del meglio dell'anno pubblicata da Urania l'estate scorsa presentava al pubblico italiano il volume dedicato al 2010, saltando quindi due anni (l'ultimo millemondi che presentava il Best of curato da Hartwell & Cramer riguardava i migliori racconti del 2007), per mettersi in pari con l'edizione americana dell'antologia. Non so quanto l'avvcinamento temporale abbia contribuito, ma ho trovato che questa raccolta presentasse mediamente storie più interessanti di quelle delle annate precedenti.
Come sempre accade in queste raccolte antologiche, anche in questo volume ci sono storie che ho sentito più vicine e altre che non sono riuscito ad apprezzare quanto sembra meritassero. Tra i ventuno racconti ce ne sono un paio che da soli valgono il prezzo del Millemondi. Sono Dalla lontana Cilenia di Karl Schroeder, in cui le speculazioni sull'evoluzione di comunità virtuali transnazionali autonome si sviluppa sulla base di una doppia indagine spionistica e personale, e Il ragazzo di Jackie, di Steven Popkes, racconto in cui storia di formazione e riflessioni su intelligenza non umana si fondono con sensibilità a un solido per quanto tradizionale scenario post apocalittico.
Se i due racconti menzionati spiccano sugli altri non vanno comunque dimenticati i contributi di autori affermati come Haldeman o Swanwick che percorrono in maniera molto soddisfacente la via dei classici, o quelli di nomi a me sconosciuti come Vandana Singh, Sean Mcmullen e Paul Park che innestano con buoni risultati nuove suggestioni a temi già ampiamente percorsi.
Nel complesso Graffiti nella biblioteca di Babele s'è rivelata un'ottima lettura, di una buona spanna superiore alla media dei volumi analoghi degli  ultimi anni.

17 dicembre 2012

Letture: Noi della galassia

© giorgio raffaelli
Noi della Galassia è un volume pubblicato da Editori Riuniti nel 1982. Contiene cinque romanzi di fantascienza di altrettanti autori russi:Aelita, di Aleksej N. Tolstoj; Noi, di Evgénij Ivànovic Zamjatin; Uova fatali, di Michail Bulgakov; L'uomo anfibio, di Aleksandr Beljaev; Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Arkadij e Boris Strugatskij.
Come si sarà forse intuito Noi della Galassia è un residuato di un'epoca antica, quando la Russia si chiamava ancora Unione Sovietica, il Partito Comunista italiano era una forza politica di tutto rispetto ed esisteva ancora un'editoria palesemente schierata da una parte o dall'altra, con un pubblico di lettori altrettanto diviso.
Ritrovarsi ora, in un'epoca più civile (seee…) a prendere in mano un volume simile fa quindi un certo effetto, che ai tempi Editori Riuniti era un marchio editoriale ben riconoscibile e darsi alla fantascienza sovietica gesto politicamente significativo, mentre ora quel che rimane è una vaga curiosità, un interesse storico, magari anche un po' di nostalgia.
Ma Noi della Galassia è anche il primo libro che il padre di Annalisa mi regalò (si era già negli anni '90, il significato ideologico del gesto era decisamente più sfumato, ma non del tutto appassito), condividendo così la sua passione per la fantascienza ma vedendomi forse troppo schierato su cyberpunk e affini.
Non ho letto allora Noi della Galassia per un insieme di motivi che mettono insieme le premesse di qui sopra con la convinzione, cresciuta in maniera progressiva man mano che tornavo a esplorare la letteratura di genere, che la fantascienza russa fosse una cagata pazzesca (avete presente Fantozzi?). In pratica la roba più simile alla fantascienza italiana (alla mia idea di fantascienza italiana) fosse possibile incontrare vagando per romanzi e racconti: 'na roba dove prevaleva il grigiore pedagogico, il passo pesante, la riflessione masturbatoria, storie dove l'avventura e il divertimento sono sempre succubi di morale e ideologia.
Nel tempo quest'idea si è solidificata in vero pregiudizio, confortato dal timido tentativo di leggere Stanislav Lem, da più parti osannato e glorificato (ok, Lem è polacco, ma per me la roba d'oltrecortina appariva tutta simile), e dall'opinione opposta che mi ero fatto invece leggendo Pelevin sul cambio di prospettiva e approccio nella Russia post-comunista. Noi della Galassia, con le sue storie di antica fantascienza sovietica, rimaneva dunque lì, intonso, ad aspettare il suo momento.

Il momento è arrivato il mese scorso. Non so bene quale sia stata la molla che mi ha fatto scegliere proprio quel volume. Forse il bisogno di staccare dalla fantascienza che ho letto negli ultimi tempi, forse la voglia di leggere qualcosa di completamente diverso e uscire dalla piega anglosassone che han preso le ultime letture, o forse, finalmente, la curiosità che da sempre circonda Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugatskij (colpa di Stalker e dell'abbandono) ha preso il sopravvento sui pregiudizi e sulla paventata pesantezza degli altri romanzi che lo precedevano nel volume.
Prima di procedere con le note ai singoli romanzi una cosa va forse ricordata: quattro delle cinque storie presenti in Noi della Galassia risalgono a un epoca in cui la fantascienza, intesa come genere, con un proprio registro narrativo, un proprio canone, ed elementi generalmente condivisi, non esisteva ancora. Ed è molto interessante notare le similitudini e le differenze, le anticipazioni e le suggestioni di cui sono densi questi testi, soprattutto letti ora, dopo decenni di frequentazioni fantascientifiche diverse.
I cinque romanzi contenuti nel volume hanno inoltre tutti forti legami con la storia politica e la società sovietica, ma il loro approccio non potrebbe essere più eterogeneo, così come diversi sono i temi, le atmosfere e le vicende che queste storie raccontano. A prescindere dal giudizio su ogni singola narrazione, queste storie hanno tutte comunque contribuito a sciogliere molti dei pregiudizi che mi han tenuto lontano dalla produzione fantascientifica russa.
Eccole qui in fila, nell'ordine cronologico con cui sono presentate nel volume.

Aleksej N. Tolstoj - Aelita
Da qualunque punto di vista lo si voglia guardare, Aelita rimane un romanzetto. Una rozza favola propagandistica dell'allora fresca fresca rivoluzione bolscevica (il romanzo è del 1922), con l'intellettuale romantico triste ma geniale affiancato dal militare grezzo e vitale che tenta di esportare la rivolta sul suolo marziano, con contorno di bellezze indigene, sbruffonaggini varie e supercattivi a gogò. A leggerlo oggi rimane l'interesse storico per un romanzo che sorprende per quella che doveva essere la freschezza delle invenzioni e la meraviglia del setting. Aelita è da ricordare anche per l'omonimo film tratto dal romanzo nel 1924, che dicono sia una pietra miliare del cinema di fantascienza sovietico.

Evgénij Ivànovic Zamjatin - Noi
Noi invece è un capolavoro.
© giorgio raffaelli
Narrato in prima persona sotto forma di diario, Noi racconta la vita di D-503 (questa la sigla con cui è conosciuto il protagonista) nella distopia tecnocratica in cui il pianeta si è trasformato dopo una terrificante guerra mondiale. Ogni individualità è stata debellata, ogni istante della vita dei cittadini è programmato scientificamente per ottenere il meglio e rendere perfette le vite degli uomini e delle donne che volentieri si adattano alle regole, che un'alternativa non è nemmeno immaginabile. Su queste basi si sviluppa una storia di consapevolezza e ribellione gestita da Zamjatin su più livelli che si intersecano e si sovrappongono, avviluppando il lettore in una trama appassionante, densa di inquietudini, di drammi e rivelazioni.
Uno degli aspetti che rendono la lettura di Noi a tratti entusiasmante è la capacità di evocazione che Zamjatin riesce a far emergere da un testo scritto avendo ben chiaro il bagaglio limitato di riferimenti del suo protagonista. Abbiamo così descrizioni di persone basate costantemente su paragoni meccanici o matematici (ciglia come lance, sorrisi come forbici, figure che richiamano forme geometriche), sogni e impressioni descritti come funzioni matematiche distorte, sentimenti che cercano rifugio nella comprensione algebrica delle formule.
A questo livello semantico si sovrappongono quello sensuale delle necessità del corpo (nel mondo di D-503 i rapporti sessuali sono consensuali ma obbligatori, e strettamente regimentati; questo aspetto costituirà uno dei nuclei del malessere del protagonista) e quello misterioso degli scopi perseguiti dai vari personaggi che incrociano la strada del protagonista (e Zamjatin è abilissimo nel rendere ambiguo e complesso ogni rapporto), oltre a quello più propriamente politico - che è costato la censura e l'esilio al suo autore - per cui è immediato il paragone tra le prospettive utopistiche del regime staliniano e lo stato totale presentato nel romanzo e la conseguente critica all'omologazione massificante del regime sovietico post-rivoluzionario.
Niente male per un romanzo del 1921.

Michail Bulgakov - Uova fatali
Michail Bulgakov gode qui dentro d'imperitura stima, che il suo Il Maestro e Margherita è uno dei migliori romanzi io abbia mai letto, da sempre, in assoluto. Uova fatali non è certo paragonabile a quel capolavoro, ma nel suo genere si difende comunque molto bene.
Oltre alla meraviglia delle invenzioni scientifiche e allo sviluppo della trama che tocca certi territori che non sarebbe azzardato definire splatter ante-litteram, Uova fatali si fa ricordare per l'attenzione che il suo autore dedica ai personaggi. Bulgakov infatti non lesina nelle dimensioni della catastrofe, ma mantiene sempre il fuoco del racconto sulle azioni dei suoi protagonisti e sulle conseguenze individuali degli avvenimenti. Se lo sguardo satirico sulla burocrazia sovietica è uno degli aspetti fondamentali del racconto, a me pare che ciò che lo caratterizza maggiormente sia una certa amarezza nella considerazione dei movimenti di massa, dell'ignoranza diffusa, della violenza cieca che l'accompagna, che non è difficile trasferire all'esperienza rivoluzionaria appena trascorsa. Uova fatali risale infatti al 1925.

Aleksandr Beljaev - L'uomo anfibio
Non mi sarei mai aspettato di incontrare un rozzo positivista tra queste pagine, eppure Aleksandr Beljaev è un evidente discepolo di quella scuola che ha in Jules Verne il più esimio rappresentante letterario. Ne L'uomo anfibio, pubblicato per la prima volta nel 1928, si fondono in una lettura divertente il fantasma del capitano Nemo, le suggestioni dello scenario esotico (un'Argentina piuttosto fantasiosa), una progressione della vicenda degna del miglior romanzo d'appendice (amore, tradimento, avidità, passione, vendetta), un palese intento pedagogico scientista e anticlericale (che sì, scalda il cuore ancora oggi, abituati male come siamo…), e una fedeltà alla linea del Cremlino post-rivoluzionario che ha tutta l'aria di essere spontanea. Letto qui e ora L'uomo anfibio potrà forse far sorridere per la scarsa credibilità della vicenda narrata, anche se credo Beljaev ne fosse in fondo ben consapevole. Del resto i capitoli dove emerge più viva la voce e la passione dell'autore son quelli dedicati alla panoramica delle creature che vivono nei fondali marini, o alla strenua difesa del valore della scienza, come nel discorso finale di uno dei protagonisti. Forse i motivi d'interesse del romanzo stanno proprio nella possibilità di scorgere, oltre alla trama avventurosa, un certo sguardo particolare sulla realtà del periodo in cui L'uomo anfibio ha visto la luce.

Arkadij e Boris Strugatskij - Picnic sul ciglio della strada
È curioso che Picnic sul ciglio della strada compaia in un volume che raccoglie storie dell'inizio del '900. Come se tra i cinquant'anni che separano il romanzo di Arkadij e Boris Strugatskij dalle altre storie presentate in Noi della Galassia ci fosse il nulla, un buco nero in cui è scomparsa tutta la fantascienza sovietica del periodo. O forse l'occasione di una raccolta simile era troppo ghiotta per non inserire un capolavoro come questo, a prescindere da ogni considerazione sull'unità stilistica, storica, di contenuti dell'operazione.
Non so quale sia la storia redazionale di Noi della Galassia, ma son ben contento di essere finalmente riuscito a leggere questa storia, che è peraltro molto diversa da quel che mi aspettavo. Perché ecco, avete presente Stalker? Io immaginavo il romanzo come una versione letteraria del film, magari pesante, ma densa del fascino e delle atmosfere aliene del film di Tarkovskij. Invece Picnic sul ciglio della strada è una storia molto terrena, che racconta con la carne e con il sangue il confronto con l'inconoscibile da una parte, con il potere dall'altra. Nel mezzo c'è Redrick "Red" Schouhart, che se fossimo in un romanzo americano verrebbe riconosciuto dal lettore nella sua essenza di beautiful loser,. Essendo però dalle parti della Zona, assume ben altra personalità, che da quelle parti non c'è speranza di cambiamento che tenga.

© giorgio raffaelli
La Zona è l'area (una delle sei al mondo) in cui è avvenuta una visita aliena. L'area della visita è attivamente studiata, ma non sembra offrire alcuna risposta agli scienziati e ai tecnici che si affannano nel ricercare spiegazioni ai misteri che la circondano. Nella Zona è possibile ritrovare manufatti alieni di natura sconosciuta, per ottenere i quali gli stalker rischiano la vita, inoltrandosi in un territorio trasformato dalla visita in un campionario di trappole e misteri. Se all'interno della Zona i rischi sono inconoscibili e alieni, all'esterno il pericolo è rappresentato dalle forze di sicurezza che, oltre a indagare per scoprire e reprimere i traffici degli stalker, sparano a vista su chiunque si allontani dal perimetro dell'area.
Redrick "Red" Schouhart è la nostra guida nei territori fantascientifici esplorati dal romanzo, la sua fame (d'indipendenza, di avventura, di felicità - e di libertà, forse) il motore dell'azione, la sua onestà (nei confronti di se stesso e della sua famiglia se non del mondo) l'ago della bussola morale del romanzo. Dall'altra parte abbiamo il campionario di fauna umana per cui la Zona è promessa di fama, ricchezza e potere (che siano leali scienziati o corrotti trafficoni, non c'è in fondo molta differenza) e la Zona stessa, fonte aliena di morte (spesso), di dubbi e di mistero.
A un bel po' da convincermi chi paragona Picnic sul ciglio della strada a Solaris. Certo, l'inconoscibilità dell'alieno è tema condiviso tra i due romanzi. Ma mentre nel romanzo polacco il pianeta Solaris riempie con la sua presenza ogni possibilità narrativa, la Zona dei fratelli Strugatskij è solo una possibilità percorribile, a volte disperata scelta di vita, altre volte pozzo senza fondo per le richieste umane (di conoscenza, ricchezza e potere, fondamentalmente). E se è vero che quella che risuona alla fine del Picnic è una preghiera, questa non suona come implorazione a un dio riottoso,  piuttosto come una disperata bestemmia, che ponga fine al dolore.

16 dicembre 2012

Yesterday Me


© giorgio raffaelli

Primo fine-settimana senza rugby da un sacco di tempo. Ne ho approfittato per tornare a giocare un po' con qualche vecchia foto, anche se questa qui è ben più recente. Del resto non mi dispiaceva tornare a mostrare la mia faccia qui dentro, che dall'ultima volta è passato un sacco di tempo.

Domani si tornerà a parlare di libri e di fantascienza, ma oggi è una domenica di cazzeggio e fotografia.

  


10 dicembre 2012

Modena Rugby Veterans a Ferrara

© giorgio raffaelli

È un po' che qui dentro* non si parla di rugby, ma sabato c'è stato a Ferrara l'ultimo torneo old dell'anno e sono piuttosto orgoglioso delle foto scattate ai Veterans del Modena Rugby.
Quella che vedete qui sopra è giusto la ciliegina sulla torta. Se volete vedere un po' di vecchi rugbisti in azione, nella neve e nel fango, a godersi una fantastica freddissima giornata di rugby, seguitemi qui.

* Per chi invece già mi segue sulle pagine di facebook, beh… lì di rugby ce n'è anche troppo, magari senza troppe parole, ma con tante tante foto…

07 dicembre 2012

Nei pressi della Zona

© giorgio raffaelli
Del Picnic sul ciglio della strada ne riparleremo più avanti, per ora ci tenevo a condividere questo brevissimo estratto. Il mood evocato da questo scorcio di conversazione è piuttosto diverso da quello decisamente più cupo e disperato che percorre il romanzo. Ma mi ha colpito vedere certe verità espresse in maniera così economica e compiuta in una storia  che arriva dritto dritto dalla Russia degli anni '70 del novecento.
Quindi, ecco qui, in un momento di pausa, senza nè Zona, nè stalker in primo piano, un trafficone, Richard Noonan, chiacchiera con uno scienziato, Valentin Peelman, sul senso e lo scopo delle Visite:

"Noonan fece una smorfia e scosse la testa.
- No, - disse - Questa è già troppo… E come la mettiamo col fatto che l'uomo, a differenza degli animali, avverte un'invincibile necessità di sapere? L'ho letto da qualche parte.
- Pure io, - disse Valentin - Ma la disgrazia è tutta qui, che l'uomo, o quantomeno l'uomo di massa, supera con facilità questo bisogno di sapere. Secondo me, questo bisogno proprio non c'é. C'è il bisogno di capire e per questo il sapere non è necessario. L'ipotesi di Dio, ad esempio, dà una incomparabile possibilità di capire assolutamente tutto, senza sapere assolutamente niente… Date all'uomo un sistema del mondo estremamente semplificato e sulla base di questo modello semplificato interpretate qualsiasi avvenimento. Un procedimento del genere non richiede nessuna nozione. Alcune formule imparate più il cosiddetto buonsenso."

(Picnic sul ciglio della strada, di Arkadij e Boris Strugatskij, traduzione di Luisa Capo)

05 dicembre 2012

Letture: Banks, Grossmith, Valente, Svevo

© giorgio raffaelli

Iain M. Banks - L'arma finale 
Iain Banks è uno dei miei autori di fantascienza preferiti, uno di quelli che infilerei in qualunque classifica di merito, che si tratti di singoli volumi, cicli, produzione complessiva ecc. ecc. Detto questo tocca però ammettere che L'arma finale (Against a Dark Background in originale) non è tra i suoi libri migliori.
L'arma finale è un romanzo in cui non c'è la Cultura, e quest'assenza pesa sul livello di complessità dell'opera, ma nonostante l'assenza della più celebre invenzione banksiana, non credo che i difetti del volume dipendano solo dalla sua collocazione al di fuori del ciclo culturale. Dopotutto abbiamo anche qui personaggi alle prese con situazioni disperate, la solita grandiosa dose di distruzione massiccia, intimi dolori e violenza esemplare. Quel che manca è un minimo di sottigliezza in più nel coniugare storia personale dei protagonisti e storia generale (quel Dark Background del titolo originale). Quello de L'arma finale m'è parso infatti un Banks a grana grossa, in cui la leggerezza a cui siano abituati vira spesso nel grottesco, in cui la progressione della vicenda è gestita un po' col fiato grosso, calcando la mano su situazioni e momenti non del tutto convincenti (le memorie di Sharrow, l'eredità del padre, lo stesso motore narrativo della vicenda).
Rimangono una serie di episodi in cui si riconosce il talento di Banks nel mescolare senza soluzioni di continuità dramma, ironia e spettacolarità (la distruzione dei documenti, lo scontro sulle piattaforme galleggianti, la battaglia finale), ma nel complesso L'arma finale manca di quell'omogeneità tra forma meravigliosa e contenuto profondo che rende indimenticabili molti dei romanzi di Iain M. Banks.



George & Weedon Grossmith - The Diary of a Nobody
Altro sorprendente coniglio uscito dal cilindro dei suggerimenti di Marco, The Diary of a Nobody è un romanzo comico pubblicato in Inghilterra nel lontano 1892 dopo essere uscito a puntate nel decennio precedente sulla rivista satirica Punch. La lettura di questo diario di un nessuno è stata esperienza divertente e istruttiva per diversi motivi.
The Diary of a Nobody scritto e illustrato dai fratelli Grossmith è una satira in cui si mettono ben in evidenza difetti e idiosincrasie del bravo cittadino inglese di classe media, ma nonostante il risultato comico (e politico) sia pienamente raggiunto, non c'è alcuna cattiveria ne malanimo nei confronti del povero protagonista, cui non viene mai a mancare l'affetto di autori e lettore. Meglio di qualsiasi romanzo storico (o steampunk, se è quel che preferite) The Diary of a Nobody offre un ritratto del periodo tardo vittoriano davvero apprezzabile e brillante. Oltretutto, nonostante gli anni passati, il romanzo continua ad essere parecchio divertente.
La mia esperienza col romanzo comico britannico si fonda soprattutto sulla lettura dell'indimenticabile Tre uomini in barca (per non parlar del cane), magari The Diary of a Nobody non è altrettanto divertente, ma ci arriva decisamente vicino. Lettura consigliata.
(Qui c'è il link per scaricarlo dal progetto Gutenberg)


Catherynne Valente - La bambina che fece il giro di Fairyland per salvare la Fantasia

Stavo cercando un libro fantasy da suggerire a mio figlio undicenne ed è saltato fuori che Sperling & Kupfer ha tradotto in italiano il pluripremiato The Girl Who Circumnavigated Fairyland in a Ship of Her Own Making. Avevo già sentito parlare di Catherynne Valente in giro per blog, ma quel che ha fatto pendere decisa la scelta sull'acquisto del volume è stato ritrovare la Valente come guest blogger sulle pagine di Charlie Stross.
Dopo aver letto il romanzo posso dire che se è assai probabile che La bambina che fece il giro… posso piacere - e assai! - a qualsiasi bimbo alla ricerca di una storia fantastica, dal mio punto di vista l'ho trovato un tantino troppo perfetto per essere davvero godibile.
Alla giovane protagonista della vicenda capitano tutte le cose giuste al momento giusto, esattamente quelle che  ti aspetti da un libro discendente in linea diretta da Alice nel paese delle meraviglie: si incontrano animali parlanti e magie assortite, streghe antipatiche e regine malvagie, mostri amichevoli e oggetti gentili, ma a me è parso che il tutto mancasse di un vero slancio infantile (non saprei come meglio definirlo), che il romanzo fosse sì ottimamente costruito, ma più a dimostrare l'effettiva competenza dell'autrice, piuttosto che per la gioia del lettore. 
Nonostante la quantità di magia diffusa tra le sue pagine La bambina che fece il giro di Fairyland per salvare la Fantasia, manca giusto di quel pizzico di follia che l'avrebbe reso una piccola meraviglia.


Italo Svevo (Ettore Schmitz)
- La coscienza di Zeno

Uno dei vantaggi del lettore digitale è la possibilità di leggersi a costo zero tutti quei classici che per un motivo o per l'altro abbiamo lasciato indietro.
Era parecchio tempo che mi ripromettevo di provare La coscienza di Zeno. Non lo avevo mai affrontato scolasticamente (ok, il capitolo sul fumo credo l'abbiamo letto tutti, ma al resto non è mai stato fatto nemmeno un accenno dalla mia vecchia prof…), ma lo spettro di Italo Svevo si è sempre aggirato ai margini delle mie letture e quindi, via, leggiamolo.

Accompagnare Zeno Cosini nel percorso della sua vita misera e disgraziata, caratterizzata da benessere e ipocondria, è a tratti faticoso, molto spesso divertente, a volte insopportabile, ma il ritratto di questo uomo senza qualità è forse il testo migliore per ritrovare distillata quell'essenza di italica abulia che caratterizza la nostra nazione. Ed è ancor più notevole che questo romanzo arrivi dalla penna di un cittadino austriaco cresciuto in terre di confine, con lo sguardo puntato lontano e i piedi ben piantati nella nostra terra.
Zeno Cosini assomiglia molto al Nobody del romanzo citato più su, ma dove lì c'era affettuosa distanza e comprensione, qui c'è spietata e scoraggiante (auto)analisi; dove nel testo inglese c'era un umorismo dolce e condiviso, qui domina la consapevolezza - comica, anche - della meschinità e della menzogna che guida buona parte dell'esistenza del suo protagonista. Entrambi sono però, ognuno a suo modo, libri leggeri, libri che lasciano più di quel che trovano. Se La coscienza di Zeno è romanzo più importante è perché nonostante il tempo trascorso dalla sua pubblicazione parla ancora con voce forte e sottile a noi, qui e ora.
(Qui il link alla pagina di Italo Svevo su Liber Liber dov'è possibile scaricare il romanzo.)

03 dicembre 2012

Fantascienza in arrivo: Stephenson, Ruff, Scalzi, Mitchell, Tonani

© giorgio raffaelli
Una veloce segnalazione di novità fantascientifiche in libreria per cominciare bene la settimana.

Cominciamo da Fanucci che dopo aver pubblicato William Gibson (a proposito, l'ebook di Zero History è finalmente disponibile), fa uscire in questi giorni l'ultima fatica di Neal Stephenson Giochi Mortali (Reamde in originale).
Per chi ancora non lo conoscesse, in questi post trovate qualche riferimento all'autore americano.

Sempre Fanucci pubblica False Verità (The Mirage) di Matt Ruff, che io ricordo per lo splendido Acqua, Luce & Gas, romanzo che risale ormai al secolo scorso ma che rimane una lettura fondamentale, in equilibrio com'è tra distopia e demenziale.

Da Gargoyle è in arrivo un nuovo romanzo di John Scalzi, Le brigate fantasma (The Ghost Brigades, uscito nel 2006 in originale), collocato nello stesso universo di Morire per vivere (Old Man's War) uscito per lo stesso editore quasi un anno fa.

Frassinelli  riporta invece in libreria L'atlante delle nuvole, presentato a 'sto giro con il titolo originale Cloud Atlas per cercare di sfruttare il traino del nuovo film dei fratelli Wachowsky. Di David Mitchell, autore del romanzo, s'è parlato un paio di volte anche qui dentro.

Per finire una novità nostrana: da Delos Books è arrivato in questi giorni in libreria Mondo9, ultima fatica di Dario Tonani. Lo strillo che ne annuncia l'uscita "Un delizioso incubo steampunk che cola sangue e olio da ogni fessura" non lascia molti dubbi sul contenuto del romanzo. Anche per Tonani segnalo i post in cui s'è parlato dei suoi romanzi.


Buone letture!