24 dicembre 2018

Visioni: Nanette

Sono mesi che mi riprometto di scrivere questo post, ma lo sapete meglio di me: il tempo per ‘ste cose è sempre meno, meno scrivi meno scriveresti, fino a quando ti pare di essere ormai fuori tempo massimo. 
Ma in questi tempi complicati uno spettacolo come Nanette non è mai fuori tempo massimo, e non è detto sia una fortuna.

photo © Alan Moyle 
Hannah Gadsby è una stand-up comedian, in italiano la traduzione che ci va più vicina è cabarettista, che però per me non rende la densità, la complessità e la ricchezza dei temi che autori come Gadsby mettono nei loro testi che non si riducono mai esclusivamente alla battuta fulminante, alla risata più o meno liberatoria.
Nanette è il monologo che Gadsby porta in giro ormai da qualche anno, e che è disponibile su Netflix. 

Non sono un grande esperto di monologhi comici, non frequento la ricca disponibilità video di stand-up comedy, non per qualche preclusione ma solo perché il tempo dedicato alla tv non è molto e ho sempre altre priorità. Se ho guardato Nanette, e ne sono rimasto tanto colpito da doverne parlare anche qui dentro, è merito di un paio di commenti/suggerimenti di qualche fidato conoscente (Elvezio, Claudia, grazie!).

Inizialmente avrei voluto suggerire la visione di Nanette a tutti i maschi eterosessuali di passaggio da queste pagine. A tutti quegli uomini che rischiano come me di accostarsi al variopinto mondo circostante sempre con quell’aria di saperne abbastanza, di saperne di più e, nel nostro privilegio (perché ditemi voi se il mondo qua fuori non è fatto a nostra misura e dimensione), di essere consapevoli, quindi in fondo superiori, rispetto alla varietà delle scelte e delle vite che ci circondano.
Ma poi perché fare differenze? Perché uno spettacolo simile dovrebbe essere più importante per una categoria piuttosto che per un’altra?

In effetti se c’è una cosa notevole in Nanette nel suo trasformarsi da spettacolo comico a dramma, da lieto e confortante “facciamoci due risate”, con una voce diversa ma comprensibile, a un’intensa emozionante furiosa dichiarazione di dolore e rabbia e amore, è tutta nella capacità di Hannah Gadsby di riuscire a tirar fuori e scoprire il meccanismo, spesso perverso, dello stand-up tutto: da dove vengono le battute? Da dove vengono le risate?

Perché scoprire da dove vengono i fondamentali del nostro divertimento non è sempre una bella scoperta, e a volte porta con sé una buona dose di vergogna e dolore e frustrazione, sia da parte dell’autore che propone il suo pezzo (divertente! da lacrime agli occhi!) sia da parte del pubblico (ma no? davvero?).
E alla fine poco importa che si parli di omosessualità o di arte, di risate o schiaffi. Quel che colpisce sempre, a teatro, al cinema, in televisione, sul tuo cazzo di divano, è scorgere improvvisa e intransigente la Verità che, come sempre accade, può sì renderti libero ma solo quando avrà finito con te…

Nanette è il mio consiglio di visione per queste feste, guardatelo e poi ditemi se non è valso il vostro tempo.


15 dicembre 2018

Giuseppe Lippi (1953-2018)


Oggi è arrivata improvvisa e inaspettata la notizia della morte di Giuseppe Lippi. 
Lippi era uno dei massimi esperti italiani di letteratura fantastica, un appassionato lettore, una persona che ha fatto della narrativa di genere un percorso di vita. Ma per la maggior parte di noi Lippi era soprattutto il curatore di Urania, l’artefice delle scelte che hanno guidato la rivista Mondadori negli ultimi trent’anni. 

Chi conosce questo blog sa che non ho mai lesinato critiche alla gestione di Urania, ma per capire che razza di persona fosse Giuseppe Lippi forse val la pena ricordare almeno un episodio. 
Nel 2014 è nata Zona 42, e il battesimo pubblico della casa editrice è avvenuto a Fiuggi, alla DeepCon cui partecipava Ian McDonald. A quella convention era presente anche Giuseppe Lippi, e dopo i post critici sui titoli e la gestione di Urania sarebbe stata una delle prime volta che mi sarei trovato faccia a faccia con colui che consideravo una sorta di “nemico” della nostra idea di fantascienza. Noi muovevamo i primi passi “ufficiali” sulla scena nostrana, e temevamo che l’incontro potesse trasformarsi in una sorta di rifiuto, immaginavamo ci avrebbe ignorato, noi e i nostri libri. Giuseppe fu invece gentilissimo, spese parole entusiaste sul nostro progetto, e non si limitò alle parole, da quella volta a Fiuggi ogni volta che ci siamo incrociati (a Stranimondi per esempio) non mancava di fermarsi al nostro banchetto, farci i complimenti, acquistare qualche nostro volume.

Con Giuseppe Lippi condivido ben poco dal punto di vista dei gusti di lettore, delle posizioni politiche, dell’approccio alla letteratura di genere, ma se tante cose ci dividevano una cosa ci univa, ed era, ed è, la passione per questi libri strani che ci ostiniamo a leggere e a pubblicare, per diffondere quanto più possibile l’idea di una letteratura diversa da quella letta della maggior parte dei lettori, ma non per questo meno vera e importante.
Giuseppe Lippi se n’è andato, ma i libri che ha amato, la passione che ha coltivato e diffuso restano.  

Che la terra ti sia lieve.