27 luglio 2011

Si parte!

Carcassoooooonnnnnnnneee…… by Iguana Jo
A photo by Iguana Jo on Flickr.

Domani mattina sveglia alle cinque e poi via, destinazione Bayonne e dintorni, con una sosta a Nîmes lungo la strada.
Oltre a salutare tutti, con questo post volevo anche chiedervi qualche consiglio per il viaggio di ritorno. Non abbiamo ancora deciso la rotta, ma dovremmo avere un tre giorni da trascorrere lungo la strada tra Bayonne e casa. Se conoscete città, paesi, villaggi, parchi o castelli o località di qualsiasi altro genere che valgano la visita, beh… fatevi avanti.
Noi siamo già stati a Bordeaux, Tolouse, Carcassonne e Avignone, e, tra andata e ritorno, una sosta in una di queste città è altamente probabile, ma ogni ulteriore suggerimento è benvenuto!

Ci si sente tra una decina di giorni (anche se stavolta pare riusciremo a rimanere collegati, almeno durante la nostra permanenza in Aquitania) o, per chi c'è, ci si vede a Modena per l'Iguana Summer Special.

Ciao!

26 luglio 2011

Via d'uscita (Sick Building Syndrome)

Headhunter - Urban by Iguana Jo
A photo by Iguana Jo on Flickr.
Da qualche minuto è on-line il mio capitolo di Sick Building Syndrome. È il quindicesimo e si intitola Via d'uscita.
Sick Building Syndrome è un esperimento di scrittura condivisa messo in piede da Davide Mana e compagni. Il racconto è partito ormai due mesi fa ed è proseguito grazie alla partecipazione di un'agguerrita banda di autori che hanno offerto, capitolo dopo capitolo, il loro contributo all'evoluzione della vicenda.

Io non sono uno scrittore. Questa è la seconda volta in tutta la mia vita che pubblico un brano di narrativa. Se ho incoscientemente deciso di partecipare è per il clima positivo che circonda il palazzo malato. Le modalità e le regole con cui è stato messo in piedi questo Round Robin mi sono sembrate un ottimo sistema per mettermi alla prova in qualcosa che altrimenti non avrei mai sperimentato (aver preso un impegno con relativa scadenza aiuta!).

Se c'è una cosa che ho imparato in questi giorni di scrittura e riscrittura è che scrivere è faticoso. Ed erano solo 1000 parole!
L'altra cosa che ho imparato è che no, non ho proprio la stoffa dell'autore. Però vedere che tutto 'sto scrivere alla fine produce qualcosa è comunque una soddisfazione. È l'atto della creazione, suppongo.

Tornando a Via d'uscita, non ho idea se quel che ho scritto è all'altezza dei capitoli precedenti: l'ho riletto ormai troppe volte per riuscire a vederlo dall'esterno e giudicarlo con obiettività. Posso dire che sono moderatamente soddisfatto e che qualsiasi nota critica al riguardo mi farebbe sol piacere. Se poi vi rimanesse qualche dubbio o perplessità, beh… non esitate a chiedere.
'mo filate a leggere, poi magari mi fate sapere la vostra opinione. Grazie!

22 luglio 2011

Iguana Summer Special

Iguana Beona by Iguana Jo

Non so voi, ma io ho sempre vissuto la mia esperienza in rete come una continuazione della mia vita quotidiana. Per questo motivo, sin dai tempi delle mailing list, ho approfittato di ogni occasione per rendere reali e tangibili i miei interlocutori dall'altra parte della rete. E anche se i tempi dell'"incontrare gente che non conosco per parlare di cose che non esistono" sono ormai lontani, ogni occasione è buona per vedere amici e passanti che frequentano questo blog e quelli limitrofi.
Le occasioni però bisogna anche crearle.

Per questo motivo è nato l'Iguana Summer Special!

Siete liberi nei giorni tra il 16 e il 18 agosto?
Avete a disposizione un mezzo di trasporto in grado di portarvi fino a Modena?
Volete partecipare a un pranzo in compagnia, a base di specialità emiliane (almeno credo!), bevande per tutti i gusti e soprattutto chiacchiere, discorsi e discussioni a ruota libera?

Se le risposte sono positive, segnatevi nello spazio commenti o scrivetemi in privato, che verifichiamo quanti siamo e decidiamo come organizzarci.

Al momento i partecipanti, oltre al sottoscritto, sono alcuni tra i più noti frequentatori di queste pagine: Steamdave, Marco, Elvezio e Nick.
Man mano che raccoglierò altre adesioni amplierò l'elenco.

L'evento è aperto a chiunque abbia voglia di fare un salto fin qua.
Per organizzare al meglio le cose fatemi sapere entro martedì 9 agosto se avete voglia di partecipare.
Grazie!

20 luglio 2011

Letture: Swanwick, Doctorow, King

San Francisco Blue I by Iguana Jo
A photo by Iguana Jo on Flickr.
Michael Swanwick - I draghi del ferro e del fuoco
Erano anni che aspettavo di leggere La figlia del drago di ferro, almeno da quando ho scoperto essere l'espansione di Ferro freddo cuore d’acciaio, uno dei migliori racconti mai apparso sul'Isaac Asimov Science Fiction Magazine edito dalla Phoenix nei lontani anni '90 del secolo scorso.
Quando finalmente ne è stata annunciata la ristampa (una prima edizione italiana, introvabile, era stata data alle stampe da Fanucci nel 1994) su Epix prima, in un Millemondi poi, mi sono disposto a una paziente attesa, che viste le traversie delle collane da edicola Mondadori non ero proprio certo che sarei mai riuscito a leggerlo. E invece eccolo, e oltre al primo romanzo, I draghi del ferro e del fuoco raccoglie anche l'altro romanzo di Michael Swanwick ambientato nello stesso universo narrativo, scritto quindici anni dopo il primo: I draghi di Babele.

Si sa, le aspettative possono giocare brutti scherzi. In questo caso le premesse per un'ottima lettura c'erano tutte e nei primi capitoli de La figlia del drago di ferro ho ritrovato quanto ricordavo dalla lettura del vecchio racconto: l'atmosfera cupa, i personaggi oscuri, il senso di oppressione e poi la fabbrica e i draghi…
Purtroppo la tensione che Michael Swanwick ha sapientemente alimentato nella prima parte del romanzo evapora con la fuga di Jane dalla fabbrica e la sua trasformazione da bimba operaia in ragazza in carriera. Col passaggio dai confini della prigione/fabbrica agli spazi del mondo esterno, che la vedranno Jane alle prese con crisi adolescenziali, società repressiva e sesso magico, l'autore pare perdere il controllo della sua creatura, soprattutto delle relazioni che instaura con gli altri personaggi del romanzo.
Michael Swanwick scrive bene, non c'è dubbio: personaggi e ambiente colpiscono il lettore e rimangono nella memoria. Quello che ho trovato via via sempre più irritante è la progressiva supponenza (non saprei come meglio descriverla) della costruzione narrativa messa in piedi dall'autore, che se ne frega di linearità ed equilibrio e coerenza, in nome di una qualche aspirazione superiore che continua però a sfuggire per tutto il corso della lettura. Tanto che non so decidermi se La figlia del drago di ferro rappresenti più un esercizio di stile sfuggito al controllo o il tentativo di scrivere il Grande Romanzo Fantasy degli anni '90, che in effetti la sua miscela di economia turbo-capitalista, politica mago-fascista e potere sessual-arcano rendono il romanzo di Swanwick piuttosto originale. Gli ingredienti per un gran bel romanzo c'erano tutti, quel che forse è mancata è solo un pizzico di umiltà.
Con I draghi di Babele la lettura procede più lineare e compatta. Anche il disordine, che forse è la caratteristica più evidente nella progressione della storia di Jane ne La figlia del drago di ferro, è notevolmente ridimensionato. La storia di Will, giovane protagonista del romanzo, procede tra sussulti e colpi di scena, meraviglie e inganni fino all'agognato finale. Rispetto al suo predecessore la costruzione della trama, pur mantenendo costante una certa complessità nello sfondo, scorre in modo più tradizionale, e anche se l'autore incappa in quello che per me è un peccato capitale (tutta una grossa porzione della vicenda si risolve con un oh… era solo un sogno…), lo spettacolo che mette in scena regge tranquillamente fino a fine lettura. I draghi di Babele non è un capolavoro, ma è comunque un buon romanzo di urban-fantasy.


Cory Doctorow - X
Negli ultimi post si parlava di romanzi che hanno contribuito a formare una certa visione, un certo approccio all'esistenza. Ecco, se da giovin fanciullo mi fosse capitato in mano un volume come X forse il mio percorso sarebbe stato diverso. Non che questa ipotesi sia dimostrabile, ma il libro di Cory Doctorow sembra essere stato scritto apposta per suscitare certe reazioni: X è un manuale di resistenza geek alle forse oscure del potere in forma di romanzo. Un raro esempio di letteratura per ragazzi che unisce un qualche intento pedagogico all'attualità politica di questi anni, senza perdere un briciolo delle sue attrattive romanzesche.
Raccontando le (dis)avventure del suo giovane protagonista Cory Doctorow non fa mistero delle sue idee riguardo privacy e lotta al terrorismo, uso della rete e sorveglianza urbana. Quello che manca in profondità d'analisi (ehi! è un romanzo per ragazzi!), Doctorow lo recupera in esperienza pratica sul campo, ciò che latita a livello di proposta politica, lo rimpiazza con il più classico pragmatismo yankee.
Forse il difetto principale di X è il suo essere irrimediabilmente americano, nel bene e nel male, ma è un difetto su cui è facile sorvolare, che non è facile trovare un romanzo in cui si respiri una tale passione civile, un tale coinvolgimento, tanto che è difficile restarne indifferenti.
Fatelo leggere ai vostri figli, ai nipotini o ai cuginetti, credo ve ne saranno grati! Altrimenti leggetelo voi, e poi fatemi sapere.


Stephen King - I lupi del Calla
La saga della Torre Nera mi tiene ormai compagnia da un paio d'anni. Mi rendo conto che, arrivato al quinto capitolo, le cose da dire non sono poi molto diverse rispetto a quelle già scritte per i volumi precedenti. Stephen King è Stephen King, con tutti i pregi e i difetti già rilevati nel corso del tempo. I lupi del Calla non si discosta qualitativamente da La sfera del buio: western e metaletteratura pop, con una buona gestione della trama, qualche lungaggine di troppo, personaggi ben delineati e un sacco di riferimenti ad uso e consumo dei fan del Re.
Buon intrattenimento insomma, per un romanzo che leggi più per vedere come va a finire che per il piacere della scrittura o per il gusto di divagazioni ed episodi. E a forza di ritorni e citazioni, Stephen King m'ha fatto (quasi!) venir la voglia di leggermi Le notti di Salem.

12 luglio 2011

Ricordare i fondamentali

Irish Sky and Me by Iguana Jo
A photo by Iguana Jo.
Come siamo diventati ciò che siamo?
Certo: la genetica, l'ambiente.
E poi gli incontri, le scelte, le sfighe.
Tutto quanto lì fuori, e qui dentro, contribuisce a cambiare la nostra forma mentale, il nostro modo di porci, il modo in cui vediamo e ci raccontiamo il mondo.
La mia specifica realtà personale si è costruita anche grazie ai libri che ho letto nel corso del tempo. E quindi, prendendo spunto dall'ultimo post di Nick che ci ricorda i suoi libri preferiti, è ora di una nuova top-ten!



Quelle che seguono sono le storie che ritengo siano state fondamentali nel mio percorso di crescita. Se son messo come sono messo è (anche) colpa loro.

Jack London - Il richiamo della foresta
Prima di Jack London sono passati Verne e Salgari, che ancora oggi per me rappresentano l'Avventura. Ma Il richiamo della foresta è forse il primo romanzo che mi ha lasciato qualcosa di più di una generica voglia di avventure ed esplorazioni. Tante sono le suggestioni seminate da quel libro. Forse la più importante è stata il ritrovare, per la prima volta riprodotto su carta, qualcosa che sentivo vicino e familiare: una natura che non era più semplice cornice, ma che mi circondava indifferente e meravigliosa. Buck e la foresta mi sono rimasti dentro, in profondità.

Isaac Asimov & Martin H. Greenberg (a cura di) - Le grandi storie della fantascienza
Ancor più dei singoli romanzi fondanti il genere, la collana de Le grandi storie della fantascienza è stata la serie di volumi che più ha influito sui miei gusti in fatto di letture. Dai tempi delle medie a oggi ho avuto magari qualche momento di pausa, ma la fantascienza ha sempre accompagnato il mio percorso, regalandomi una visione laterale della realtà. Tanto da non poterne più fare a meno.

Konrad Lorenz - L'anello di re Salomone
Questo libro credo mi sia stato regalato in terza media. Rappresenta bene il rapporto che ho instaurato con la scienza da lì in poi, che è un insieme di fascino, di curiosità e di approccio singolare alla materia. Più avanti avrei scoperto Stephen Jay Gould, che rimane il migliore esempio di scrittore di scienza io abbia mai incontrato. Ma prima di tutti è arrivato Konrad Lorenz, con le sue oche, i suoi cani e le sue taccole.

JRR Tolkien - Il signore degli anelli
Il signore degli anelli rappresenta ancora l'esempio migliore di fuga dal mondo e di controllo del reale. Quando l'ho incontrato ci sono rimasto dentro, attratto come una mosca dal miele. Un intero universo narrativo si apriva all'esplorazione: gente normale che parlava con maghi, re e cavalieri, un male oscuro che si diffonde, la lotta e la resistenza e la malinconia della fine. Dirlo qui e ora sembra forse esagerato, ma per me, allora, era il massimo della meraviglia.

Michail Bulgakov - Il Maestro e Margherita
Poi si cresce e si cercano altre suggestioni. Il Maestro e Margherita è stato per molto tempo (e a volte lo è ancora) il Miglior Romanzo io abbia mai letto. Nel libro di Bulgakov vedevo finalmente quell'incrocio tra quotidiano e fantastico che avevo sempre sospettato ma mai incontrato davvero. Una pietra di paragone con cui tutte le mie letture successive han dovuto fare i conti.

Heinrich Böll - Opinioni di un Clown
Credo di aver letto Opinioni di un Clown intorno ai diciassette anni. L'età perfetta perché questo romanzo potesse fare il maggior danno possibile. Credo che buona parte della mia visione politica dell'esistenza derivi dalla lettura del racconto della vita di Hans Schnier. Non so se questo libro mi ha salvato la vita o me l'ha complicata. So che gli devo molto, anche se da allora non ho più avuto la forza di rileggerlo. Forse quando sarò un po' più vecchio…

Raymond Chandler - Il lungo addio
Philip Marlowe è il mio eroe e Raymond Chandler il suo profeta. Dovendo scegliere una guida morale per la mia esistenza credo che l'investigatore di Bay City sarebbe stato il candidato ideale. Aveva tutto per affascinare e colpire il mio io più giovane. E poi Chandler scriveva da dio.

Jack Kerouac - Sulla strada - Big Sur
E poi ho lasciato casa e sono partito. Per lungo tempo Sulla strada è stata la mia guida, tra le sue pagine potevo ritrovare le sensazioni di quelle giornate trascorse sotto la pioggia ad aspettare un passaggio, degli incontri lungo la strada che si potevano trasformare in settimane di festa, in delusioni o in semplici racconti di vita, il sapore dell'ignoto e la gioia di essere vivo. La consapevolezza che il viaggio è tutto ciò che conta.
Poi è arrivato Big Sur, in cui la fiamma si spegne, e c'è il ritorno, la resa alla consuetudine e alla normalità. Un tocco di amaro, per ricordarsi i propri limiti e non scoppiare del tutto.

William Gibson - Neuromante
In questo elenco Neuromante rappresenta la sintesi tra la lettura d'intrattenimento e il resto. Un libro che mi ha condotto a quello che, vista col senno di poi, è stata probabilmente il momento in cui ho raggiunto una sorta di maturità nella mia vita da lettore. Il romanzo di William Gibson è quello in cui ho scorto per la prima volta le potenzialità letterarie della scrittura di genere. Mi ha aperto gli occhi, illuminando tutto un nuovo mondo, riuscendo da solo a farmi riconsiderare per intero la narrativa di genere letta fino a quel momento. Un'epifania.



E così siamo arrivati intorno ai venti/ventidue anni.
Non che dopo non ci siano più state letture fondamentali, ma è vero, più si invecchia meno malleabili si diventa. E se qualche volume è stato certo importante, nessuno credo possa superare l'impatto che questi dieci libri hanno avuto sulla mia vita.
Io però me lo auguro sempre, di trovare un libro capace da solo di far scattare quella molla, di indurre una svolta o semplicemente di sorprendermi. Per fortuna succede, anche più spesso di quanto io stesso non immagini. Bello leggere.

11 luglio 2011

L'orrore. l'orrore!

Che poi pare davvero che io abbia gettato il sasso e nascosto la mano. E c'avreste anche ragione: dopo la fatidica domanda sono scomparso dalla scena, e avevo pure promesso un approfondimento…


Oltre a scusarmi per la condotta inqualificabile, mi tocca almeno provare a rimediare.
Quindi ecco qua, beccatevi 'sto post sul mio rapporto con l'orrore.

La mia esperienza con il genere horror è piuttosto limitata: qualche romanzo, qualche film, spesso ai confini del genere. L'idea che me ne son fatto è sicuramente parziale, e certo difettosa, vissuta più da turista, che da frequentatore abituale.

Il motivo della distanza che mi separa dal genere è presto detto: a me l'orrore fa paura.
Visto che la vita la fuori è già abbastanza dura e la mia immaginazione non ha grossi freni, perché farsi del male anche al cinema o tra i libri?
Poi certo, c'è anche l'orrore divertente o quello poco spaventoso, that's entertainment !, ma allora che orrore è? Insomma, per sgombrare il campo da possibili equivoci, anche a me piacciono chessò Shaun of the Death o La notte del Drive-In, ma mica me li considererete veri horror, no?

L'orrore, per quella che è la mia esperienza, è un genere anche troppo semplice (ok, fanboyz, non picchiatemi troppo forte). Si muove tra le emozioni più ancestrali, quelle più facili da suscitare, quelle più difficili da controllare. Detto in altre parole: ho sempre avuto l'impressione che spaventare sia molto più facile che strappare una risata o infondere vita e spessore a un dialogo.
Ma oltre a questa facilità d'accesso, c'è anche da considerare che il contesto in cui si muove molta (la maggior parte?) della produzioni di genere è quello del soprannaturale, del mostruso, e quindi dell'alieno. Ma mentre nella fantascienza (tanto per dire) il confronto con il diverso ha (generalmente!) un'intento narrativamente costruttivo, quando ci si muove nell'ambito della narrativa della paura il fine ultimo è (di nuovo: generalmente!) distruttivo.
E sappiamo tutti che distruggere è molto più semplice e immediato che non costruire.

Poi certo, c'è tutto il filone nobile dell'orrore, quello che da un lato si coniuga alla critica sociale, o dall'altro, all'inquietudine personale, che è territorio contiguo ma diverso a quello della paura. Ma credo che, almeno per quanto riguardo l'aspetto perturbante di queste narrazioni, i confini con il mainstream siano davvero evanescenti, frutto più di un'affezione del singolo lettore/recensore, più che di effettive differenze. E queste sono comunque differenze qualitative di "secondo livello" rispetto a quella soglia minima di contenuti spaventosi necessari per riconoscere come horror la determinata opera.

Per ora mi fermo qui. Mi rendo conto che quanto scritto sopra possa apparire saccente, se non addirittura arrogante: come mi permetto di sparare giudizi così netti su qualcosa che conosco così poco?
Lo ripeto per l'ennesima volta, quanto detto qui sopra rappresenta la summa selle sensazioni che si sono progressivamente consolidate negli anni in quella che è attualmente la mia considerazione per il genere horror. Non ha alcuna pretesa di verità e anzi, ha lo scopo di capire meglio un genere che è frequentato da persone che stimo moltissimo, di cui mi affanno a voler comprendere meglio background e riflessioni.


Per tornare più specificamente alle domande poste su Malpertuis, noto come il percorso di molti appassionati del genere horror sia simile al mio: scoperta in tenera età, passione alimentata passando da cinema a letteratura e viceversa, con molti passaggi tra fumetti e tv. Il mio percorso di scoperta ha avuto come destinazione la fantascienza, i motivi sono forse intuibili da quanto scrivevo più sopra, ma alcune tappe sono analoghe: i romanzi di Stephen King, gli spaventi infantili (per me i primi incubi sono arrivati dalla visione di un film di fantascienza in cui alieni provenienti dal sole (!!!) - vagamente simili a lampade da salotto sferiche anni '70, incenerivano ignari terrestri, e poi ci fu quella puntata di Spazio 1999 con la creatura nel cimitero d'astronavi che si pappava gli abitanti della base Alpha per poi risputarli mummificati…).

Se poi mi permetto queste domande indiscrete è proprio perché non capisco il gusto che si prova a lasciarsi terrorizzare da una finzione narrativa (che ok, fino a qui posso arrivarci) per poi rimanerci dentro e volerne sempre di più (è questo che mi lascia basito).
E sono curioso, e voglio capire. O almeno provarci.

05 luglio 2011

40 km, quattro giorni

Domani, finalmente, si parte.
Quello che vedete qui sopra è il profilo altimetrico dell'escursione che ci terrà impegnati per i prossimi quattro giorni. Si parte da Selva Gardena e si finisce ad Ortisei, attraversando il massiccio del Sassolungo, arrivando sullo Sciliar per poi tornare a valle attraversando l'Alpe di Siusi. In totale sono quaranta chilometri da percorrere zaino in spalla. appoggiandosi per la notte ai rifugi disposti lungo il cammino. È un percorso faticoso, ma non impossibile, tarato per poterlo percorrere in compagnia di bambini e adulti, tutti con un po' di allenamento nelle gambe, ma magari non troppo avvezzi alla montagna.



Abbiamo iniziato a parlare di un'escursione di più giorni l'anno scorso, dopo un magnifico fine settimana a spasso intorno al Catinaccio. Quella camminata, organizzata per far assaggiare la montagna alle famiglie di un paio di amici padani, era stata un successo e quando gli stessi amici mi hanno chiesto di preparare un giro più lungo per quest'anno ne son stato ben felice, che ogni occasione è buona per tornare tra le mie montagne. Ho deciso di portarli in Val Gardena perché da quelle parti ci sono un buon numero di rifugi, i sentieri non sono troppo duri e i panorami meritano. E poi io non sono mai stato sullo Sciliar e questa mi sembrava un'ottima occasione per farci un salto.
Stasera si finiscono di preparare gli zaini, domani all'alba si parte.

Mentre noi si è in giro a scarpinare voi fate a modo.
Ci si rilegge la prossima settimana.


(Mappa e altimetria arrivano da Escursioni in Alto Adige, una risorsa perfetta per organizzare camminate da quelle parti.)

03 luglio 2011

Cercasi umani, scopo compagnia

Bestia (la micia rimasta a casa della cucciolata dell'anno scorso) ha avuto tre piccoli alla fine di aprile. Ora i due che son rimasti a casa cercano un umano da adottare.







Se vi sentite pronti per l'esperienza contattatemi, che sia il Bestino Giallo che il Bestino Nero non vedono l'ora di conoscervi.

01 luglio 2011

Visioni: Shyamalan, Salvatores, Fincher, Amenábar.


Foto di Iguana Jo.

Questa settimana i figli sono in montagna e noi ne abbiamo approfittato per vedere alcuni film che erano lì, in attesa di un po' di tempo libero. Ecco quindi qualche nota veloce - che di recensioni acute intelligenti e profonde è piena la rete - per aiutarmi a ricordare i film di questa settimana.
Visto che si parlerà di pellicole recenti, recuperate dopo averle perse al cinema, ne approfitto per inserire nel post qualche nota su un film la cui visione mi era stata consigliata qualche mese fa in coda a questa discussione.

Lady in the Water di M. Night Shyamalan, 2006
Nelle mani di qualsiasi altro regista un progetto come Lady in the Water sarebbe fallito miseramente. Presi singolarmente, gli ingredienti che compongono la pellicola di Shyamalan sarebbero inammissibili, almeno per un film che abbia la pretesa di raccontare una storia in modo originale, complesso, corposo. Partendo dalla galleria di personaggi che rappresentano la fiera dello stereotipo, passando a un plot che prende le mosse da una situazione che più scontata e vista di così - per non parlare di mostri e caverne o di tragedie e risoluzioni - per arrivare ai dialoghi, che letti fuori contesto suonerebbero triti e retorici come non mai, non c'è un singolo aspetto del film capace di reggersi autonomamente.
Eppure il film di Shyamalan funziona e per me funziona alla grande. Non sono sicuro di aver capito in che modo ci riesca, ma Lady in the Water trasmette allo spettatore una fondamentale innocenza, un senso di realtà che a raccontarlo non ci credi. Lo fa mescolando il virtuosismo cinematografico di Shyamalan con la sua fondamentale umiltà, costruendo una storia che raccontando di miti ed alieni rimane vera e umana fino in fondo.


Happy Family di Gabriele Salvatores, 2010
Là fuori c'è un sacco di gente che Salvatores proprio non lo regge. A me invece è sempre stato simpatico, sarà per il suo approccio cinematografico americano a storie profondamente italiane, sarà per la costante leggerezza, sarà per la malinconia o il consolante sapore nostalgico e di molte sue cose. O forse perché ci ha regalato l'unico film italiano di fantascienza decente negli ultimi trent'anni…
Happy Family non fa eccezione. È un piccolo film, in cui magari si eccede nel virtuosismo, in cui si cercano ad ogni passo sottotesti metafilmici e complessità intertestuali. Ma Happy Family non ha nulla del film intellettualoide: è realizzato con una tale leggerezza, con tanto percepibile divertimento e grazia, da far passare in secondo piano ogni altro aspetto che non sia quello dell'immediato godimento offerto da una storia raccontata bene. E poi dite quello che volete, ma a me rivedere insieme la coppia Bentivoglio - Abatantuono fa quasi tenerezza.


il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher, 2008
David Fincher è un altro dei miei registi preferiti. il curioso caso di Benjamin Button era l'unica pellicola della sua filmografia che ci mancava. L'avevamo tenuto indietro intimoriti un po' dalla durata un po' da qualche affidabile recensione non troppo entusiasmante.
Invece il curioso caso di Benjamin Button è un film sontuoso, una storia solida, densa di suggestioni e meraviglia. Come mi ha fatto notare Annalisa, il suo parente cinematografico più prossimo è probabilmente il Forrest Gump di Robert Zemeckis. Ma tanto quest'ultimo è rivolto all'esterno, a cercare continue conferme storiche della grandezza del secolo americano, quanto invece il film di Fincher volge lo sguardo all'interno, a indagare sul mistero dell'esistenza e sull'ineluttabilità del cambiamento. Entrambi condividono lo sguardo aperto, gioioso e stupefatto dei loro protagonisti maschili, che non potrebbero altrimenti essere più diversi, e quello avventuroso e in qualche modo disperato delle rispettive partner.
il curioso caso di Benjamin Button è una conferma del nuovo corso fincheriano inaugurato da Zodiac e proseguito con The Social Network, caratterizzato da una modalità di racconto cinematografico quasi letteraria nella sua densità e decisamente più sobria e pacata nella sua messa in scena. L'evoluzione dello stile di Fincher è esemplare: dai virtuosismi dei primi film, che privilegiavano la spettacolarità dell'inquadratura, quasi a voler cercare conferme dell'abilità del loro autore, all'esaltazione della narrazione degli ultimi, con il talento del regista messa al completo servizio della storia.


The Others di Alejandro Amenábar, 2001
Non sono un frequentatore abituale del cinema horror (non so nemmeno se The Others è ascrivibile al genere. Però fa paura, quindi…) e dato che da queste parti passano dei Veri Esperti™ spero mi perdonino per le ovvietà o le inevitabili incomprensioni. Se c'è una cosa che accomuna il film di Alejandro Amenábar agli altri film qui sopra, è la solidità di una sceneggiatura che supporta una messa in scena personale ed efficace nel trasmettere suggestioni ed emozioni. Che è vero, in The Others sono anche troppo urlate rispetto al tono sommesso che circonda i protagonisti della vicenda, ma che proprio per la loro immediatezza e semplicità riescono inevitabilmente a colpire lo spettatore.
Se la sceneggiatura è senza dubbio il punto di forza del film, l'altro perno su cui poggia la rappresentazione è la prestazione di Nicole Kidman, che quanto a sguardi perfidi non è seconda a nessuno, ma che è pure capace di illuminare lo schermo con una presenza che mescola dolcezza, decisione e disperazione in una combinazione davvero esaltante.
Sulle sorprese e i ribaltamenti di prospettiva del film non anticipo nulla, che certo c'è ancora gente in giro che non l'ha visto, salvo constatare come sia abile Amenábar a trasformare il dramma in commedia, la tragedia in progetto di vita (!), in barba a morale cattolica e sensi di colpa vari.