29 ottobre 2013

Letture: Georges Simenon, Carlo Morici, Samuel Marolla

© giorgio raffaelli
Georges Simenon - Pietr il Lettone
C'è stato un periodo, tanto tanto tempo fa, in cui i libri gialli hanno occupato molto spazio nella mia biblioteca personale. Tra gli autori che ricordo da quegli anni ci sono nomi come Ellery Queen, Agatha Christie, Rex Stout, mentre di molti altri ricordo solo qualche suggestione, un'ambiente, e pochissimo d'altro. In effetti la mia sbandata per il giallo è terminata piuttosto in fretta: dopo essere incappato in Raymond Chandler non c'era più nulla all'interno del genere che fosse capace di darmi le stesse sensazioni.
Forse per questo motivo non ho mai letto Georges Simenon: non l'ho scoperto quando era il momento. Sia lui che il suo commissario sono rimasti nel limbo delle letture possibili, nonostante moltissimi tra conoscenti e amici ne citassero le qualità. Ma qualche mese fa l'ebook del primo volume delle avventure di Maigret edito da Adelphi era in offerta. Prenderlo e leggerlo è stato inevitabile. Ora posso ben capire tutte le lodi spese per l'autore francese. Il suo commissario è personaggio che non fa alcuna fatica a imprimersi nella memoria, come gli ambienti in cui si muove e, soprattutto, come la scrittura nuda e suggestiva di Simenon. Non so quando capiterà di frequentarlo nuovamente, ma non ho dubbio sul fatto che succederà, prima o poi.


Carlo Morici - Actarus, la vera storia di un pilota di robot
Mi piace leggere romanzi di cui non so nulla, essere sorpreso da qualcosa di nuovo, magari bizzarro, magari semplicemente diverso da quel che sono solito leggere. Non c'è niente di meglio che vagare tra i blog vicini per cogliere qualche suggestione ed essere chiamato dal particolare volume. Dopo anni di frequentazione è difficile sbagliarsi o rimanere delusi, ma a volte capita. Il post che Matteo Poropat ha dedicato ad Actarus, la vera storia di un pilota di robot aveva tutte le cose al posto giusto, la sua recensione mi ha incuriosito e quando ho visto il romanzo di Carlo Morici in libreria non ho potuto fare a meno di acquistarlo. Quello che scrive Matteo di là è tutto vero, e i contenuti del romanzo sono proprio quelli che lui descrive, ma a differenza di quel che è successo a lui, a me non è scattata alcuna molla, non mi si è accesa nessuna lampadina, anzi. Man mano che procedevo nella lettura il senso di noia, di ripetizione, di giocattolo rotto fatto più per colpire il lettore, costi quel che i costi, che non per dire qualcosa di sostanziale o di vero, è diventato soverchiante e terminare il romanzo una specie di liberazione. Non ne faccio una colpa a Matteo, a chi non capita di incontrare il libro sbagliato?
Del resto quando poi  incappi nel titolo giusto la goduria è tale da far dimenticare la delusione per quella lettura andata male.


Samuel Marolla - Una notte al Ghibli
Actarus non è stata l'unica lettura poco convincente di questo periodo, che anche Una notte al Ghibli soffre di qualche difetto. La lettura del racconto di Samuel Marolla è stata comunque piacevole, che le storie che si incastrano al suo interno hanno il giusto equilibrio tra orrore e meraviglia e si muovono agili sul filo della sospensione dell'incredulità. Quello che non mi ha convinto è stata la mano pesante dell'autore nel ritrarre il suo protagonista, che davvero no, basta, non se ne può più di 'sti pezzi d'uomo sconfitti dalla vita eppur coerenti fino alla fine, dediti all'alcool eppur lucidi come non mai, riservati all'eccesso ma gran narratori alla bisogna. Ecco, se la voce narrante fosse stata quella d'una persona normale Una notte al Ghibli si sarebbe aggiunto a quegli altri racconti, tipo quelli raccolti in Malarazza, degni di essere ricordati e tramandati e riletti. Così com'è, m'è parsa una storia non all'altezza degli indubbi meriti del suo autore.

21 ottobre 2013

Letture: Codice morto, di Giovanni De Matteo

© giorgio raffaelli
Ci sono un paio di aspetti in Codice Morto che non mi hanno convinto, e che mi hanno impedito di apprezzare il racconto quanto avrei voluto.
Partiamo dall'inizio: Codice Morto è un storia sulla Zona, quell'entità geografica aliena e inconoscibile nata dalla penna dei fratelli Strugatskij e diventata successivamente luogo letterario imprescindibile, almeno per certo tipo di fantascienza: uno spazio mentale oltreché fisico, foriero di inquietudine e mistero, di orrori e meraviglie. Giovanni De Matteo è bravo nel creare le giuste suggestioni, e a mantenere un controllo e un tratto personale su una materia che rischia ad ogni passo di ricalcare le orme degli stalker originali. Altrettanto apprezzabile è il tentativo di innestare qualche contributo altro su un tessuto che fa ormai parte della storia letteraria della fantascienza. Quanto di buono l'autore realizza sul piano strutturale viene però compromesso dalla scarsa credibilità del personaggio che accompagna il lettore lungo gli oscuri percorsi della vicenda.

C'è poco da fare, se perdi la fiducia nella voce narrante della storia, ogni incertezza o dubbio tu possa avere su quel che stai leggendo cresce fino diventare insostenibile, erodendo via via la sospensione dell'incredulità che è alla base del patto non scritto tra l'autore e il suo pubblico.
I difetti del maresciallo Mancini, protagonista di Codice Morto, riguardano la sua credibilità nel ruolo che l'autore gli impone: presentarlo sotto l'ormai abusata luce del reduce traumatizzato dall'esperienza e amareggiato dalla vita rischia di soffondere la lettura di un senso deja vù nei casi migliori, di sfociare nel ridicolo nei peggiori. Di Takeshi Kovacs ce n'è uno, e beh… per quanto buona volontà ci si possa mettere, quando hai certi riferimenti è davvero dura riuscire ad essere all'altezza dei propri modelli. Soprattutto quando poi ti rendi conto che sono proprio le basi quelle che mancano. Vedi, per esempio, rendersi conto che l'esperienza bellica del nostro eroe si limita a una qualche decina di giorni nella foresta incantata, e l'unico suo successo sta nell'essere riuscito a ritrovare la strada di casa. Ma anche a voler tralasciare questo dettaglio, quel che si sente spesso vacillare è quell'equilibrio difficilissimo da gestire nella personalità del protagonista che è amareggiato ma deve essere eroico, è traumatizzato ma al contempo si dimostra indispensabile ed efficiente, lavora per i cattivi, ma in fondo lui è uno dei buoni. 

© giorgio raffaelli
Rispetto ai lavori precedenti di De Matteo Codice Morto dimostra comunque una maggior attenzione ai comprimari e una gestione dei dialoghi che se non è perfetta è comunque efficace. La trama invece m'è parsa interessante nelle idee messe in campo, ma un poco disomogenea nella divisione in due parti, nettamente distinte per tono e atmosfere, in cui è strutturato il volume.
Codice Morto rimane un racconto interessante per la qualità del setting ambientale, con un'inedita Basilicata perfetta nel suo ruolo di singolare luogo di visitazione e confronto, che risulta  efficace sia dal punto di vista scenografico che funzionale. La città di Potenza presentata a inizio volume rimane impressa nel credibile incontro di nuove (retro)tecnologie, strutture residuali e confusione di fondo, così come i luoghi selvaggi di cui è costellato il racconto.

Non so quanto conoscere qualche retroscena sulla genesi del racconto abbia contribuito al mio giudizio, di sicuro ho avvertito forte il legame dell'autore con il contesto, come mi pare che la lunga storia di scrittura e riscrittura che ha caratterizzato questo progetto possa essere una delle cause della mancanza di omogeneità della trama. A breve mi attende la lettura di Terminal Shock, che son curioso di vedere come si sia evoluta la scrittura di Giovanni De Matteo dagli anni che separano l'ideazione e la stesura di Codice Morto da questa sua ultima prova letteraria.

15 ottobre 2013

Letture: L'italiana, di Joseph Zoderer

© giorgio raffaelli
Sono nato a Bolzano, ci sono cresciuto, e appena ho potuto me ne sono andato. Ora, beh… ora ci tornerei immediatamente ma, come cantavano gli Stones, you can't always get what you want…
Erano gli anni '80 dello scorso secolo, e per quanto il nome di Joseph Zoderer non mi fosse del tutto sconosciuto, ai tempi mi guardavo bene dal leggere qualsiasi cosa puzzasse di Alto Adige. E poi figurarsi, un romanzo italiano scritto in tedesco, sembrava perfetto per farci ricamare sopra dal nostro prof di lingua (che invece, curioso, non ha mai affrontato l'argomento).
In fondo è stato meglio così. Letto ora L'italiana (Die Walsche in originale, termine spregiativo con cui gli indigeni definivano gli italiani che capitavano da quelle parti), permette di collocare in prospettiva il contesto in cui si colloca una vicenda ambientata negli anni '60, pubblicata nel 1982, per arrivare fino ad oggi, anno 2013,  e a considerare che, per una volta, tutto 'sto tempo non è passato invano.

L'italiana del titolo è Olga, che torna al paese d'origine, tra i monti sudtirolesi, per il funerale del padre, portando con se la colpa di vivere in città con un italiano. La scrittura di Zoderer è cristallina, inesorabile e spietata nel tracciare un ritratto della vita di paese che perde ogni connotazione folcloristica per rivelare tutta la grettezza e le meschinità su cui si basa. Nella complessa costruzione della vicenda, che nell'arco di una giornata ripercorre la vita di Olga attraverso ricordi, inserti, flashback, si avverte una qualche partecipazione, l'accenno di un'emozione e ci risolleva un pochino dalla miseria morale che caratterizza luoghi e personaggi solo nel ricordo della vita del padre di Olga, maestro del paese e alcolizzato, esempio perfetto di una sconfitta che prima ancora di essere politica è personale, e umana.

Olga si aggira come fosse un fantasma, estranea eppur partecipe della vita del paese che ha lasciato, ben consapevole che altrettanto esclusa sarà nella sua nuova vita cittadina, con gli italiani che la accolgono, ma che lei stessa fatica a comprendere.
L'italiana è un romanzo perfetto per comprendere cosa sia stata la vita in Alto Adige, quali siano state le conseguenze per chiunque si sia ritrovato a superare, per scelta o destino, il tacito confine tra le lingue, tra le genti, tra fondovalle e montagna, tra capoluogo e provincia. Ma soprattutto L'italiana è un'ottima lettura per chi voglia confrontarsi con il tema dell'esclusione e della diversità, a prescindere dalla propria collocazione geografica, che lo sguardo di Joseph Zoderer è appassionato e compassionevole tanto quanto è incisivo, e la sua scrittura è intensa e personale.

© giorgio raffaelli
Come forse si sarà intuito, la città che si scorge tra le righe del racconto è Bolzano, e fa uno strano effetto vedersela comparire quasi di soppiatto e riconoscerla, seppur ritratta in un'epoca che è più quella dei miei genitori che non la mia. E quelle istantanee di umanità italiana che ogni tanto illuminano il racconto, beh… sono quasi commoventi, visto il contesto e il tempo trascorso da allora.
Ma quel che più colpisce a leggere L'italiana, qui e ora, è quanto siano cambiati i rapporti tra i gruppi etnici nel mezzo secolo che ci divide dalla storia di Olga. Qualche mese fa m'è capitato di tornare a casa per partecipare a un matrimonio, ed è stato sorprendente e meraviglioso sentire molti degli ospiti passare con naturalezza dal tedesco all'italiano e viceversa, quasi nella stessa frase, senza apparente difficoltà. Certo, non per tutti il bilinguismo è normale, per molti, di entrambi i gruppi etnici, non c'è necessità di conoscere perfettamente l'altra lingua, e poi ovvio, c'è anche chi rifiuta il bilinguismo a priori, ma rispetto a 20 o 30 o 50 anni fa le cose da questo punto di vista sono notevolmente migliorate. E visto il contesto di ignoranza e paura generalizzate in cui viviamo, una nota positiva come questa credo vada ribadita e sottolineata.

Probabilmente però l'aspetto del romanzo che ho apprezzato di più, tolto lo sguardo nostalgico con cui inevitabilmente mi sono confrontato durante la lettura, il contesto politico e la qualità del testo, è stato quel ritrovare spogliata di ogni retorica la montagna, il bosco, i prati che nelle parole di Zoderer sono sì belli, ma di una normale bellezza quotidiana, e non diventano mai magnifico palcoscenico per chissà quali gesta o imprese. Ne L'italiana ho ritrovato quella normalità della montagna, che l'ebbrezza turistico-naturalistica che ha travolto l'Alto Adige negli ultimi decenni ha scordato, per trasformarne l'ambiente in uno strumento di marketing. Anche solo per questo varrebbe la pena leggere o rileggere il romanzo, per scoprire un Sudtirolo diverso, dietro ai lustrini con cui oggi è venduto al turismo di massa.


09 ottobre 2013

Rompere il ghiaccio

© giorgio raffaelli
Ridendo e scherzando è da agosto che non aggiorno il blog e più passa il tempo più faccio fatica a mettermi lì e buttar giù due righe. E dire che di cose da dire ne avrei anche, tra letture, visioni, progetti e riflessioni varie.
Rompere il ghiaccio con un post qualsiasi, tanto per. Forse è proprio questa la terapia migliore per resuscitare 'sto posto. Il primo passo è sempre il più difficile, che visto da fuori il blog mi mette sempre un po' soggezione. Dopo tanti anni qui dentro mi sento sì a casa, ma vorrei alzare sempre un pochino l'asticella, che mi piace pensare di avere ormai stabilito un certo standard nella qualità dei miei post, e nonostante guardandomi in giro ci siano blog molto più curati, accurati, e interessanti del mio, ho la presunzione di pensare che il mio contributo alla rete non sia proprio da buttar via.
Ma come spesso accade, il ritmo è tutto, e per me interrompere le trasmissioni significa poi sputare i famigerati pallini per riuscire a ricominciare.

La mia assenza dalla rete è dovuta a una serie di motivi che si sono sommati in queste settimane, lasciandomi con ancor meno tempo e risorse del solito da dedicare a queste pagine.
Come di consueto - vedi pure gli anni precedenti - settembre è il mese terribile per chi lavora intorno al mondo della piastrella, che a fine mese c'è a Bologna la più importante fiera mondiale del settore. Questo significa lavoro lavoro lavoro che va via via aumentando dal ritorno dalle ferie fino alla data fatidica dell'evento. Ma settembre è anche il mese di riapertura delle scuole, con conseguenti nuovi impegni per grandi e piccini, oltre ad un significativo cambio di fuso orario familiare, per tacere della logistica dei trasporti, dell'utilizzo dei bagni e del controllo compiti. Prima ancora della scuola è ricominciato il rugby, che se in settimana riduce ulteriormente il tempo libero familiare, nel fine settimana diventa un impegno a cui faccio davvero fatica a rinunciare (e i risultati si vedono, anche se solo su facebook).
Come se non bastasse, abbiamo finalmente deciso di ristrutturare la cucina di casa, e tra scelta di mobili e piastrelle, accordi con idraulici e muratori, dislocazione di stoviglie e elettrodomestici per tutta casa, 'sta scelta ci ha impegnato non poco nelle ultime settimane. Ora i lavori sono cominciati, speriamo non ci siano intoppi e sorprese in corso d'opera.
C'è poi quell'altro progetto in fase d'incubazione, che se è vero che non m'impegna molto come tempo, assorbe comunque molte delle mie limitate risorse mentali. Non sono ancora pronto a parlarne, ma se son rose, beh… fioriranno presto.

Nonostante la quantità d'incombenze, in queste settimane sono riuscito a leggere più di un buon libro e a vedere un paio di serie tv che ci hanno appassionato come da tempo non accadeva. 'sta cosa delle visioni televisive seriali mi ha sorpreso, che era dai tempi di Battlestar Galactica che non mi capitava di essere così ligio davanti alla televisione, ma forse l'overload lavorativo e familiare degli ultimi tempi ha contribuito a riavvicinarmi al divano di casa. Comunque sia, ci siamo sparati per dovere genitoriale prima, per piacere poi, la seconda noiosissima stagione di Walking Dead e poi la terza che invece è decisamente meglio (non potevamo certo permettere che i figli la vedessero e noi, no, giusto?), ma soprattutto abbiamo scoperto quel capolavoro sconosciuto (a noi!) della versione USA di Shameless, che è forse la cosa migliore vista in assoluto nell'ultimo decennio (boom!). Abbiamo appena finito di gustarci la prima stagione, ma i Gallagher già ci mancano.

Insomma, come sempre, faccio cose, vedo gente, mi tengo impegnato, ma non mi sono scordato del blog. Ora il ghiaccio è rotto, 'mo vediamo di non rimanerci in mezzo.