29 gennaio 2010

A Torino!


Picture by Iguana Jo.
Era da un po' che non mi capitava di avere un appuntamento con persone che non conosco per parlare di cose che non esistono.
Finalmente è successo.
Con la scusa della Mostra di Grafica Giapponese un pugno di frequentatori del fantastico nostrano si incontrerà domani in quel di Torino.
Si attendono eclissi di sole, viaggiatori atemporali, collassi stellari, piogge miracolose.

Ci si risente la prossima settimana.

28 gennaio 2010

La luna è una severa maestra


Originally uploaded by Naír la jefa.
Non lasciatevi ingannare: qui non si parla di Heinlein. Un titolo così evocativo mi sembrava però perfetto per introdurre queste note su Moon, il primo lungometraggio di Duncan Jones, altrimenti noto per essere figlio di nientepopodimeno che Ziggy Stardust in persona.
Saranno sicuramente (seee, come no!) le ascendenze paterne, ma era da tempo che non vedevo un film di vera fantascienza come Moon. (E Avatar? Sì, ok, è un film di vera fantascienza anche quello. Solo che, ecco, nel caso del film di Cameron la storia era decisamente surclassata dalla qualità delle immagini, mentre nel film di Jones, beh… ne parliamo più avanti.)
Cosa intendo per film di vera fantascienza? Se prendiamo come riferimento quello che gli spacciatori di cinema intendono come fantascienza, siamo già parecchio fuoristrada: ormai la famigerata sigla sci-fi sembra essersi trasformata in un comodo specchietto per attirare un pubblico alla ricerca dell'effetto speciale a tutti i costi mescolato all'azione adrenalinica, con sceneggiature ridotte a semplice optional, fastidioso ma necessario, per rimpolpare lo spettacolo.
Per me la vera fantascienza si ritrova in quel genere di cinema in cui storia e suggestioni fantascientifiche sono la ragione d'essere del film, un cinema in cui effetti speciali e meraviglie tecnologiche sono utilizzati per accentuare la credibilità dello sfondo e non quale unico motivo per godersi lo spettacolo, un cinema che non si dimentica di ragionare in termini provocatori sullo stato delle cose.
In questo senso gli ultimi film di fantascienza di un certo peso che m'è capitato di vedere al cinema sono davvero pochi. Penso a Eternal Sunshine of the Spotless Mind (aka Se mi lasci ti cancello) o a Gattaca, al limite a Serenity, ma non è che mi vengano in mente molti altri esempi.
E Avatar? Ok, se vogliamo considerare anche i film per ragazzi, va bene anche Avatar.

Torniamo sulla luna.
Moon racconta le ultime settimane di solitaria permanenza su una base lunare di Sam Bell, assunto con un contratto triennale per sorvegliare le operazioni di recupero pressoché automatizzate di Helium 3, elemento indispensabile per il fabbisogno energetico della Terra. Unica sua compagnia è Gerty, l'intelligenza artificiale che gestisce i sistemi della base. Da questa premessa si sviluppa una vicenda che forte dei modelli del passato (penso ovviamente a Kubrik, ma mi sembra che qualcosa il film lo debba anche a Spazio 1999) offre uno sguardo sufficientemente originale e complesso a più di un classico topos fantascientifico.
Moon è un gran bel film per la capacità di sceneggiatori e regista di raccontare in maniera efficace una storia tanto complessa quanto affascinante, tanto da riuscire a catturare l'attenzione dello spettatore senza utilizzare facili scappatoie (leggi senza calcare la mano su esplosioni o ammazzamenti, senza confondere le idee con montaggi fuori luogo, mantenendo la rotta narrativa puntata al bersaglio dall'inizio alla fine) o mortiferi spiegoni. Moon è una pellicola che si fa ricordare anche per l'eccellente lavoro svolto dal suo protagonista. Sam Rockwell regge da solo tutto il peso del film con una performance che ha dello straordinario per le emozioni che riesce a suscitare grazie alla ricchezza di sfumature e di toni della sua recitazione.
Moon non è un film perfetto. Lasciando stare i difetti scientifici, che non inficiano mai la visione (vedi per esempio la mancata simulazione della ridotta gravità lunare), c'è purtroppo da evidenziare come tutta la vicenda parta da un assunto francamente incredibile. Sebbene la coerenza interna della pellicola sia assoluta, questa mancanza - a patto di registrarla - rischia di lasciare lo spettatore a fine visione con un senso di delusione per le potenzialità narrative in qualche modo sprecate. Il dubbio che rimane è se la forza della storia raccontata in Moon valga la premessa inconsistente su cui si basa. (Mi rendo conto di risultare un po' criptico, almeno per chi non lo ha visto, ma non voglio rovinare la visione a nessuno, che nel film le sorprese non mancano). La mia risposta è comunque positiva: a prescindere dai suoi difetti un film come questo di Duncan Jones ne vale almeno dieci di quelli girati dai vari Spielberg, Scott o Lucas degli ultimi decenni.
In conclusione rimane da notare come Moon sia risultato praticamente invisibile ai frequentatori delle sale cinematografiche nazionali. lI mio ringraziamento va dunque a Elvezio Sciallis e a Vanamonde per averne parlato nei rispettivi blog, che altrimenti per la velocità con cui è apparso e subito scomparso dall'orizzonte Moon mi sarebbe sicuramente sfuggito.

25 gennaio 2010

Cento di questi giorni


Picture by Iguana Jo.
Di mia nonna Laura ho già parlato in queste pagine qualche anno fa.
Oggi mi va di ricordarla con questa foto scattata sabato, quando con tutta la famiglia abbiamo festeggiato i suoi cento anni.
Un secolo di vita.
A pensarci vengono i brividi.
E lei è ancora qui, presente e partecipe. Capace di commuoversi per un applauso di gruppo e di rimproverare mio zio per un bicchiere di troppo.
Mia nonna che alla sua età non si fa mancare un bicchiere di birra e i tortelli fritti, che sorride ai nipoti e non si è ancora stancata di averci tutti intorno.

Auguri nonna!


20 gennaio 2010

12 anni è l'età giusta.


Originally uploaded by Movie Mania.
Mi capita di rado di vedere un film appena uscito. Credo che per me vedere Avatar il giorno successivo al suo arrivo sugli schermi nazionali sia una specie di record.
Del resto non sarebbe successo neanche stavolta se, per una serie di fortunati eventi che contemplavano l'esigenza di festeggiare un compleanno, l'impossibilità di aspettare la data corretta e la voglia spasmodica di vedere 'sto film da parte di mio figlio, non ci fossimo ritrovai ad accompagnare al cinema 8 ragazzini di età compresa tra i nove e i dodici anni. Tutti vittima del marketing ovviamente, come del resto il sottoscritto. Come spiegare altrimenti la necessità di scrivere il milionesimo post reperibile in rete sull'ultima megaproduzione di James Cameron?
Già che ci siamo parliamo subito di marketing & industria, così ci caviamo il dente: quanto hanno speso per fare in modo che ci fiondassimo tutti al cinema contemporaneamente? Avevamo davvero così tanta fame da non vedere l'ora di credere alle promesse delle sirene hollywoodiane?
Ma poi, che cos'è questo Avatar?
Una storia? un luna park? un filmone-di-quelli-di-una-volta? intrattenimento? cultura? spettacolo? arte?
E James Cameron è un regista o un imprenditore di successo?

Io non lo so, e ho anzi le idee parecchio confuse.
Vediamo se con questo post riesco un po' a chiarirmele.
Partiamo col dire che Avatar è forse il film più meraviglioso io abbia mai visto. Non c'è scena che non mi abbia fatto sgranare gli occhi e lasciato a bocca aperta. Durante la visione si è sottoposti a un vero e proprio overload sensoriale, tanto che le categorie vero/falso, reale/fantastico, impossibile/incredibile non hanno più alcun senso. Pandora è qualcosa di mai visto prima. Andate a vederlo, se le immagini di questo film non vi meravigliano allora siete morti.

Detto questo toccherebbe parlare della storia, dei personaggi, del messaggio (seee…), ma non ne ho molta voglia. In giro per la rete ci son fior fiore di analisi, critiche e recensioni. Dal mio punto di vista non saprei cosa dire di più.
Forse l'unica considerazione che mi va di aggiungere al mucchio è che Cameron e compagnia devono avere ben poca fiducia nelle capacità intellettive del loro pubblico. Tutto nel film - complessità narrativa, problematiche affrontate, grado di realismo accettabile, profondità emotiva dei personaggi, messa in scena - m'è parso tarato su un'età presunta dello spettatore che si aggira intorno ai 12 anni. In questo senso Avatar non ha fatto che confermare l'idea che m'ero fatta di Cameron ascoltandolo mentre ribadiva la necessità di semplificare la storia (nelle vesti di produttore del Solaris di Steven Soderbergh) oppure vedendolo in azione sul set di Aliens, in quella che mi sembravano i prodromi di una crisi di nervi di fronte all'incomprensione di cui sembrava vittima la sua visione - indubbiamente valida ma decisamente più elementare rispetto all'Alien girato da Ridley Scott - del progetto.
Questa cosa non mi ha sorpreso, ma mai come in questo film, peraltro intelligente, senza sbavature narrative o particolari problemi di sceneggiatura, mi si è rivelata in tutta la sua banale verità: Avatar è un film per ragazzini.
Rassegnamoci (e godiamocelo) oppure incazziamoci (e godiamocelo), la nostra opinione non conta comunque nulla.
Dopotutto in Avatar è racchiuso tutto il meglio di quel che il Cinema avrà da offrirci nei prossimi anni. Siete pronti?

18 gennaio 2010

Ernesto Vegetti (1943-2010)


Picture by Iguana Jo.
Ieri è stata una bella giornata, trascorsa tra rugby, chiacchiere e feste di compleanno. Poi son tornato a casa, ho acceso il computer e ho dato un'occhiata alla posta elettronica.
"Ernesto non c'è più. Se n'è andato stanotte."
Due frasi che mi hanno lasciato senza fiato, tanto incredibili apparivano.

Ernesto era un pilastro della fantascienza italiana, era il grande Catalogatore, era attivo da sempre nel fandom, tanto polemico quanto rispettato on-line, altrettanto amabile generoso e disponibile fuori dalla rete.
Molte sono le cose che ci dividevano, ma se c'è una persona che ha dimostrato sempre una coerenza, una correttezza e una disponibilità al confronto schietta, onesta e sincera era Ernesto Vegetti.
Ernesto mi è sempre sembrato una persona felice e soddisfatta della propria vita, una persona che ha sempre lottato con inalterato entusiasmo per le sue idee, una persona innamorata della fantascienza, una persona buona.
Senza di lui il mondo è un po' più povero.

15 gennaio 2010

Il quinto principio


Picture by Iguana Jo.
A me dispiace per Vittorio Catani, che rimane una delle persone migliori io abbia conosciuto in questi anni di frequentazione dell'ambiente fantascientifico italiano, ma in questi giorni, man mano che scorrevo le opinioni positive della stragrande maggioranza dei lettori del suo romanzo appena uscito in un Urania speciale, beh… a me pareva di essere piombato inavvertitamente in una realtà alternativa in cui la buona fantascienza era diventata una cosa diversa (molto diversa!) da quella che credevo. Mi chiedevo infatti come fosse possibile che fossi il solo a trovare davvero terribile Il quinto principio.
Questo post ha quindi la presunzione di voler riportare la discussione in un sistema di coordinate letterarie in cui mi sento più a mio agio. Quella che segue non è una recensione, piuttosto un tentativo di stabilire un principio di realtà utile per rimettere i piedi per terra e ripartire con qualche riferimento più sicuro per le prossime avventure librarie.

M'è capitato molto di rado di non riuscire a finire un libro che stavo leggendo. Vuoi che mi prenda un inguaribile ottimismo, che magari poi la storia migliora (seee…); vuoi che mi arrenda alla noia e che prosegua rassegnato fino alla fine; vuoi che mi salga la curiosità morbosa di vedere fino a che punto si possa arrivare, ma solitamente arrivo fino in fondo ai libri che decido di leggere.
Però stavolta non ce l'ho proprio fatta. Sarà stata la mole, che arrivato a un terzo delle oltre 500 pagine de Il quinto principio e pensare che ne avevo ancora il doppio prima della fine mi ha davvero depresso. O forse la consapevolezza che con tutti i libri che sto accumulando in questo periodo ogni momento perso a leggere qualcosa di men che interessante è tempo che avrei potuto spendere meglio. Fatto sta che mi sono arreso.
I motivi per cui Il quinto principio non m'è proprio piaciuto sono diversi. Li vado a elencare in ordine sparso, in modo tale che i numerosi lettori che hanno apprezzato il romanzo possano agevolmente convincersi della mia scarsa sensibilità e/o della mia semplice ignoranza in materia.

- la sospensione dell'incredulità
Per leggere fantascienza un minimo di sospensione dell'incredulità è d'obbligo. Bisogna fidarsi dell'autore, tenere gli occhi aperti e lasciarsi stupire, accettare teorie o avvenimenti apparentemente (apertamente?) incredibili o fantastici. È anche vero che ognuno di noi ha un livello di soglia oltre il quale le cose precipitano fragorosamente: dal momento in cui un particolare avvenimento, una specifica teoria, una determinata azione del tal personaggio ti appaiono impossibili da mandar giù anche nel contesto meraviglioso in cui si collocano, beh… da quel momento in avanti è davvero difficile risalire la china.
Ne Il quinto principio, il mio personale indice d'incredibilità è andato rapidamente fuori scala.
Nei primissimi capitoli del romanzo abbiamo un uomo ricercato da quella che sembra l'organizzazione più potente del pianeta che viene catturato da due cazzutissimi agenti della stessa. Come fa a sfuggirgli? Attende che entrambi lo lascino solo in uno stanzino nel retro di una discoteca, stanzino a cui non chiudono nemmeno la porta, per poi tornare indisturbato a casa. Poche pagine più avanti c'è l'uomo più ricco del pianeta che decide di imbarcare sulla sua aereomobile una fanciulla da lui incaricata di spiare il suo peggior nemico (l'altro uomo più ricco del pianeta) perché gli tenga compagnia. Fanno sesso, lei lo vuole uccidere, lui si salva, lei vola fuori dall'aereomobile. Semplice e lineare. Il problema è che questa sequenza di avvenimenti vi farà rimpiangere la visione di un qualsiasi cartoon di Wile Coyote, tanto improbabili, irreali e francamente ridicole sono le singole scene in cui si sviluppa. Da qui in poi è una discesa ininterrotta, e nonostante altri momenti siano ben orchestrati, quando sono arrivato alla scena dell'asta antartica prima, e all'incontro del prigioniero sull'aereo poi, non ce l'ho più fatta e ho mollato il romanzo.

- scenari complessi per personaggi elementari
Lo scenario messo in piedi da Catani è maestoso nelle sue dimensioni e stupefacente per la sua complessità. In un mondo così complicato e interconnesso si muovono personaggi le cui personalità non raggiungono mai un livello di profondità paragonabile a quella dell'ambiente circostante e la cui voce non spicca mai riconoscibile in mezzo a quella di tutti gli altri.
Leggendo Il quinto principio avevo l'impressione di muovermi in un universo descritto da un VanVogt fuori tempo in pieno trip lisergico dopo un'immersione forzata in un racconto eganiano. Secondo me, qui e ora, si doveva fare di più per caratterizzare al meglio ogni singola persona che compare nel romanzo.

- sesso & carnazza
È possibile che tutti i personaggi femminili presentati fino a pagina 150 siano caratterizzati per le loro performance sessuali e poco altro? Magari parlano e agiscono, lottano e complottano, ma tutte queste azioni sono sempre e comunque subordinate a una qualche attività sessuale di poco precedente o successiva. E non importa che siano bambine impuberi o anziane rotte a qualsiasi esperienza, la loro relazione con il mondo del romanzo e con i maschi che lo frequentano è sempre presentata in chiave pseudo-erotica.
La rappresentazione delle relazioni tra i sessi che compare nel romanzo non è un filino riduttiva? Le donne non sanno fare/pensare proprio nient'altro?

- l'ideologia mi porta via
Capisco l'esigenza di Vittorio Catani di dare una connotazione politica al suo romanzo, e la apprezzo. I problemi sorgono quando la narrazione è costretta a piegarsi all'ideologia, con il rischio conseguente di perdere ogni possibilità di avvincere il lettore. Io ho interrotto la lettura del romanzo ben prima che questo diventasse un problema effettivo, però qualche campanello d'allarme è suonato già nei capitoli che ho avuto modo di leggere (vedi per esempio l'ossessione per una caratterizzazione estremamente aggressiva del mercato o la presentazione di Diaspar).

Ai difetti elencati (difetti secondo me) si aggiunge una struttura del romanzo fatta di molteplici punti di vista ed episodi apparentemente slegati. L'efficacia di questo tipo di montaggio, che mi pare sia ormai la norma per tutti i romanzi di genere superiori alle 300 pagine, è direttamente proporzionale al carisma dei personaggi di cui si seguono le vicende, alla capacità dell'autore di legare tra loro storie a prima vista molto lontane tra loro e al ritmo che i vari cambi di prospettiva riescono ad imprimere al romanzo. L'effetto complessivo dovrebbe risultare superiore alla somma delle singole parti, e la confusione rarefarsi man mano che si procede con la storia. Non so se Il quinto principio raggiunge questo risultato, se la frenesia iniziale trova una sua ragion d'essere a fine lettura. Io me lo auguro, magari chi ha letto il romanzo fino alla fine avrà le idee più chiare.

Arrivato in fondo al post voglio ribadire che nonostante il giudizio negativo espresso sul suo romanzo, la mia stima per Vittorio Catani rimane inalterata. La precisazione suonerà superflua, o addirittura stonata. Chissenefrega. Visti i precedenti che caratterizzano il piccolo mondo fantastico nostrano andava ribadita. Non è la capacità di scrivere un romanzo che determina le qualità di una persona, e la considerazione che ho per Vittorio Catani è decisamente superiore a quella che nutro per il suo romanzo.

10 gennaio 2010

Into the Wild


Picture by Iguana Jo.
Se passate da questo blog e siete in modalità cinica e disincantata cambiate aria che questo non è un post per voi. Si respirerà nostalgia e melassa, si scenderà la china della memoria per riandare col pensiero ai tempi andati.
L'occasione? L'altra sera ho visto finalmente Into the Wild.
Volete una critica seria o preferite l'onda lunga dei ricordi?

Non so se preferire Sean Penn attore o regista. Di sicuro i film che ha girato dietro la macchina da presa mi hanno impressionato per l'approccio serio alle storie che sceglie di narrare. Il suo è un cinema che si sofferma sugli scogli morali che fanno naufragare le solite mega produzioni hollywoodiane e che allo stesso tempo non cerca mai la scappatoia ironica o gli accomodamenti retorici tipici del modello di cinema indipendente a stelle e striscie che va per la maggiore. Mi sembra che Sean Penn sia tra i pochi autori americani (forse l'unico altrettanto coerente con quest'idea di cinema, pur con tutte le differenze del caso - generazionali, mi vien da pensare - è Clint Eastwood) che privilegia la forza del racconto all'uso smodato di particolari tecniche di ripresa, uno dei pochi registi il cui scomparire all'interno della messa in scena non è sinonimo di mancanza di stile quanto piuttosto di un'umiltà piuttosto rara in un mondo dominato dall'ego autoriale di un sacco di suoi colleghi.

Con queste premesse Into the Wild è in effetti un film parzialmente difettoso. La mia impressione è che una sorta di pudore abbia impedito a Penn di andare fino in fondo nell'indagare azioni e motivazioni del suo protagonista.
La storia narrata nel film è nota: Chris McCandless abbandona la sua vita di giovane rampollo di un'agiata famiglia americana per fuggire nei territori più selvaggi degli Stati Uniti e andare quindi a spegnersi, dopo due anni di vagabondaggi, nelle foreste dell'Alaska.
Rifuggendo l'agiografia che vorrebbe il buon Chris martire del sistema Sean Penn dimostra un buon equilibrio nel delinearne la personalità, ma allo stesso tempo il limitare unicamente a qualche accenno le problematiche personali che caratterizzano la sua scelta estrema rende in qualche modo monca la narrazione.
Nel seguire le vicissitudini di Chris si rimane costantemente in bilico tra punti di vista estremi e contraddittori: da un lato l'impatto scenografico dei panorami americani a sottolineare la bontà della sua scelta di vita, dall'altro l'intollerabile sventatezza che domina il suo peregrinare.
Durante la visione di Into the Wild è davvero difficile conciliare la solitudine ricercata ossessivamente dal protagonista con la ricchezza degli incontri umani che caratterizzano il suo viaggio. L'impressione più forte che m'è rimasta è che Chris McCandless abbia dato la risposta sbagliata a problemi veri, che fosse un ingenuo che alle buone letture non accompagnava un'altrettanto buona esperienza, un ragazzino egocentrico ed entusiasta come, per fortuna o per forza, sono la maggior parte dei ventenni, imperdonabile solo per aver pagato fino in fondo il prezzo delle sue scelte.

Ma nonostante gli indubbi limiti a me il film è piaciuto per tutta una serie di motivi che con lo specifico della vita di Chris McCandless hanno forse poco a che fare. Into the Wild è pieno di spunti interessanti: c'è lo sguardo paterno (e quindi pudico e rispettoso e sempre moralmente attento, forse anche troppo, ma non tanto da diventare insopportabile) che Sean Penn adotta per raccontare la storia, c'è la forza delle immagini, che la natura nel film non è mai accomodante e caramellosa, quanto piuttosto selvaggia e indifferente, ma comunque stupefacente, c'è la straordinaria colonna sonora, che sentire la voce Eddie Vedder accompagnare le tappe del viaggio di Chris aggiunge una nota struggente che non mi ha lasciato indifferente e -soprattutto? - c'è stata l'indubbia suggestione di una serie di situazioni che mi hanno fatto rivivere uno scorcio del mio passato.
Vedere la strada aperta davanti a te, il pollice alzato, il camion che si ferma, son cose che mi hanno riportato ai miei vent'anni, quando preso dalla febbre della scoperta facevo l'autostoppista solitario in giro per l'Europa. Gli incontri lungo la strada, quelli buoni e quelli meno buoni, le notti passate a dormire per strada, i passaggi memorabili e le volte che aspettare era l'unica cosa da fare, l'ebbrezza del viaggio, il sapore della solitudine, l'ospitalità inaspettata, la libertà sconfinata e la pioggia che sa di malinconia. Nel film queste cose ci sono tutte ed era da tempo che non le ritrovavo così vere in una storia. Solo per questo Into the Wild per me è già un film memorabile. Che poi qui e ora, con qualche anno in più sulle spalle, si faccia fatica a capire la fame di Chris è forse comprensibile, ma a vent'anni, beh… a vent'anni la morte, i soldi, persino la famiglia, sono cose lontane, partire (che sia fuga o scoperta) e cercare la propria verità è decisamente meglio.
(ve l'avevo detto che il tono sarebbe diventato insopportabilmente melenso, no?)

04 gennaio 2010

Fantascienza a venire


Picture by Iguana Jo.
C'è un tormentone che accompagna costantemente le avventure dei lettori di fantascienza. Non c'è anno che non si alzi una voce (o due, o tre) a proclamare la morte del nostro genere preferito.
Per riportare la situazione sotto controllo ho provato a dare un'occhiata in giro e vedere che prospettive ci sono per l'anno appena iniziato. Beh… a quanto pare per il 2010 sono attese carrettate di novità e tutte (o quasi) molto molto stuzzicanti. Chi glielo dice a 'sti scrittori che il genere è morto?
Ovviamente si parla della scena anglosassone, che qui da noi si vivacchia (anche se l'annuncio della prossima pubblicazione in italiano di Incandescence, il romanzo di Greg Egan del 2008, il ritorno della space opera di Peter Hamilton e l'arrivo su Urania di Charles Stross non sono notizie da buttar via…).

Andando in ordine sparso ecco qualche titolo in arrivo nei prossimi mesi dai miei autori preferiti.
Partiamo con The Dervish House di Ian McDonald. Dopo l'India e il Brasile, McDonald esplora le potenzialità narrative di Istanbul, con una storia di nanotecnologie, antichi misteri ottomani e misticismo orientale. Credo proprio che le straordinarie capacità immaginifiche dell'autore nordirlandese troveranno terreno molto fertile a cavallo del Bosforo.

Iain Banks alterna opere mainstrem a romanzi di fantascienza. Visto che nel 2009 è uscito Transition, per quest'anno si attende un nuovo romanzo di fantascienza. Io ci spero, anche se nel suo caso non ho poi questa fretta visto che ho ancora qui Matter in coda di lettura.

Anche China Mieville ha un nuovo romanzo in arrivo. Il titolo dovrebbe essere Kraken, il contenuto è misterioso, ma se tanto mi da tanto non dovrebbe allontanarsi troppo dai territori oscuri delle sue opere precedenti.

Charles Stross
ha in programma di completare la saga dei Principi Mercanti. Non ho mai letto nulla di questo ciclo ma anche per lui vale quello che scrivevo per Banks: ho ancora un paio di suoi volumi da leggere, credo di essere a posto per tutto il 2010.

Greg Egan
nel corso del 2010 pubblicherà Zendegi che al contrario degli ultimi suoi romanzi non sarà ambientato nello spazio in un remoto futuro ma qui, sulla Terra prossima ventura. Sarà una storia che si muoverà tra comunità virtuali e ricerche neurali. Conoscendo Egan sarà davvero interessante leggere fin dove si spingeranno le sue speculazioni (fanta)scientifiche.

Nei prossimi mesi tornerà in libreria anche Richard Morgan con The Dark Commands, che però probabilmente non riguarderà l'universo di Takeshi Kovacs.

Sembra che nel corso dell'anno ci sarà anche un altro gradito ritorno. Dopo otto anni dall'ultimo romanzo torna Miles Vorkosigan in CryoBurn. Spero solo che Lois McMaster Bujold abbia mantenuto intatta la verve che caratterizzava le ultime comparse del nostro Vor preferito.

Tra le autrici cui sono più affezionato c'è anche Connie Willis. Anche lei tornerà nel 2010 con un nuovo romanzo. Il titolo previsto è Blackout e sarà un'ucronia nello stesso univeso de L'anno del contagio (che non ho letto e non credo leggerò, almeno non a breve).

Tra gli autori con qualche seguito qui in italia sono degni di menzione i nuovi romanzi di Ken MacLeod (The Restoration Game) e Cory Doctorow (For the Win), mentre tra le autrici che mi è capitato di leggere con piacere negli ultimi anni vanno ricordate Jo Walton, che con Among Others uscirà dai territori della storia alternativa per proporre "a semi-autobiographical tale of growing up nerdy", e soprattutto Mary Gentle, che proporrà un romanzo ambientato da queste parti, almeno a vedere il titolo che è The Kingdom of the Two Sicilies.

Tra le altre novità in arrivo i nuovi romanzi di Alastair Reynolds (Terminal World) e Peter F. Hamilton (The Evolutionary Void) mentre tra le possibili sorprese, almeno a vedere i relativi titoli, vanno citati New Model Army di Adam Roberts, Kosher Guide to Imaginary Animals di Ann and Jeff VanderMeer.

L'ultima segnalazione va di diritto a un romanzo che sto aspettando ormai da parecchi anni. È più una speranza che una certezza, ma chissà mai che non sia finalmente la volta buona per il buon George R. R. Martin di dare alle stampe il suo A Dance With Dragons?

(fonti: Uraniamania,
Cyberabad, io9, Richard Morgan Site, The Bujold Nexus)