28 giugno 2013

Letture: Quattro apocalissi, di Andrea Viscusi

© giorgio raffaelli
C'è una parola che non avrei mai sperato di poter utilizzare per descrivere un qualche tentativo di fantascienza italiana. La parola è leggerezza, e non mi viene in mente termine migliore per definire sinteticamente i racconti contenuti in Quattro apocalissi.
La leggerezza di Andrea Viscusi non è mai vacuo parlarsi addosso, non assume mai l'aspetto d'improvvisata superficialità né si riduce a cinica o baldanzosa ironia. È semmai frutto di competenza nelle materie prime che compongono lo scheletro delle sue storie e, soprattutto, di consapevolezza delle implicazioni che sempre una storia porta con sè.

Come suggerisce il titolo, i racconti di questo volume raccontano della fine del mondo. Le quattro apocalissi proposte da Andrea Viscusi affrontano il tema da prospettive sempre diverse (casualità, destino, alieni, religione, sesso, malattia) e nonostante quello della catastrofe planetaria sia uno dei temi tra i più frequentati, fuori e dentro la letteratura di genere, riescono sempre a proporre lo sprazzo di una visione originale, condito da una scrittura piana e mai pretenziosa e costruzioni narrative che non temono invece di farsi più complesse.
Nelle quattro storie si respira l'aria di casa della fantascienza con cui siamo cresciuti, quel modello classico di racconto che pone persone comuni di fronte a situazioni eccezionali, proponendo al centro della narrazione lo sviluppo di un'idea portata fino alle sue estreme conseguenze. Ma sebbene l'impianto non offra particolari novità al lettore, queste storie non appaiono mai derivative, un po' per la già menzionata leggerezza che le contraddistingue, un po' per il tocco originale dell'autore, che regala ogni volta al lettore una speciale soddisfazione.


Quel che più mi ha sorpreso nella fantascienza di Andrea Viscusi e che più lo distanzia dalla maggior parte della produzione di genere nostrana, è la mancanza di qualsiasi pesantezza retorica. Credetemi, leggere un autore italiano che non predica né si lamenta, non indulge in eccessi pseudoromantici fatti di nostalgia e rimpianti, né soffoca la trama con trite elegie di sconfitte, sconforto e disperazione (che oh… il peso del mondo, oh… il destino avverso e crudele)  e nemmeno piega le sue storie alla necessità di convertire  quel caprone di un lettore, beh… è davvero una gran bella notizia. Che poi le suggestioni di queste Quattro apocalissi sono tutt'altro che banali, con in più il pregio sostanziale che la profondità delle riflessioni, quasi inevitabile trattandosi di (buona) fantascienza rimane sempre laterale, appena suggerita, e non è mai imposta al lettore.
A breve Andrea Viscusi dovrebbe pubblicare un nuovo ebook di racconti. Non vedo l'ora di leggerlo.

Quattro apocalissi
è scaricabile qui, mentre l'autore è rintracciabile in rete con il nick Piscu, e Unknown to Millions è il suo blog.

21 giugno 2013

Letture: The Steel Remains, di Richard K. Morgan


© giorgio raffaelli
Ma quanto sono fighi i personaggi di Richard K. Morgan? Non so se avete presente quell'incrocio tra Philip Marlowe, John McClane e un Che Guevara cinico e disincantato che risponde al nome di Takeshi Kovacs, beh… dopo aver creato un personaggio simile è difficile mantenere alto lo standard. Se poi ci mettete che The Steel Remains ha tutto l'aspetto di un romanzo fantasy, capite bene perché me ne sono tenuto lontano fino a ora. E dire che le (poche) fidate recensioni lette in giro erano più che positive. Vabbé, non è che nel frattempo non abbia letto nulla di buono, però… Avessi saputo prima cosa mi aspettava forse 'sto romanzo avrebbe guadagnato qualche posizione nella pila dei libri in attesa.

Per essere chiari fin da subito, in The Steel Remains non c'è un Takeshi Kovacs, ce ne sono tre! E nonostante tutte le apparenze fantasy (spade e mazzate e barbari e apparizioni, senza contare la cartina a inizio volume), 'sto romanzo è ottima fantascienza!
Ma come si fa a nascondere la fantascienza e spacciarla per (ottimo) fantasy? Basta  raccontare la storia dal punto di vista degli indigeni, fermi, loro sì, a un tardo medioevo oscuro e sanguinoso. E se forse il lettore più ingenuo si ferma alle apparenze (e l'editore si sfrega le mani!) The Steel Remains riesce ad accontentare anche quel rompipalle del sottoscritto. Del resto, come definireste voi un romanzo in cui compaiono popoli che arrivano da strani nuovi mondi, dove si parla di possibilità del reale, di terre parallele e di viaggi nel tempo? …avete presente la terza legge di Clarke*?

Il terzetto protagonista del romanzo è composto dai reduci dell'ultimo terribile conflitto che ha travolto le loro terre: Ringil Eskiath, eroe di guerra ritiratosi in un oscuro paese di provincia per i dissapori tuttora irrisolti con la sua ricca famiglia; Lady kir-Archeth Indamaninarmal, ultima della sua razza, è rimasta a Yhelteth per servire l'imperatore; Egar Dragonbane, barbaro mercenario, è ritornato nelle sue steppe a governare il proprio clan. I tre sono sopravvissuti all'esperienza dell'incontro con gli uomini-lucertola che hanno invaso il mondo nei decenni precedenti e si ritrovano a dover fare i conti con tre diversi misteri che li condurranno a un epico scontro finale.

Niente di nuovo, almeno all'apparenza, ma poi si scopre che il motivo dell'autoimposto esilio di Ringil sono la scarsa tolleranza familiare riguardo la sua omosessualità (per tacere delle conseguenze sociali), mentre Archeth, proveniente da una società decisamente più evoluta (per quanto apparentemente estinta), si trova a non poterne più dell'umanità che la circonda ed Egar, nonostante tutto il suo impegno, trova piuttosto noiosa la vita tribale a cui ha deciso di tornare, per tacere degli strani e potenti esseri che vogliono decidere del suo destino.
Richard K. Morgan è molto abile a mescolare tutto l'armamentario della fantascienza più attuale con i cliché del fantasy (che altro sono i tre protagonisti se non la solita triade di guerriero, mago e barbaro? …e poi draghi e uomini lucertola, quest a gogo e panorami che uniscono in un felice connubio i colori tolkeniani e le suggestioni hyperboreane). Il talento dell'autore si rivela soprattutto nella capacità di innestare su una trama appassionante più di una riflessione sull'attualità dei problemi legati a scelte sessuali, gestione del potere e violenza quotidiana, senza nuocere mai, in nessun momento, al ritmo perfettamente cadenzato del racconto.
Ma non vi preoccupate, il romanzo di Morgan non è un pamphlet socio-politico sotto mentite spoglie. In The Steel Remains  ci sono azione, sangue, sesso, violenza, un pizzico di compassione e giusto una briciola di orrore cosmico. Ciliegina sulla torta, il romanzo è stato tradotto in italiano da Gargoyle Books con il titolo Sopravvissuti. Detto in altre parole: non avete più nessuna scusa per non leggerlo!

The Steel Remains è il primo volume della trilogia A Land Fit For Heroes che dovrebbe concludersi quest'anno con l'uscita di The Dark Defiles. Il secondo volume, The Cold Commands, è già stato pubblicato in italiano, sempre da Gargoyle Books, con il titolo Esclusi.
Leggeteli, che meritano.



* La terza legge di Clarke: Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.

13 giugno 2013

Wolther Goes Stranger - Teho Teardo & Blixa Bargeld

Credevo che scattare le foto al concerto dei Dope DOD sarebbe stato un'eccezione, che pantofolaio come sono diventato quando mi ricapita di assistere a un altro concerto?
Invece, nemmeno due settimana dopo la puntata a Pinarella di Cervia, un amico mi ha convinto a seguirlo a Soliera dove suonava un gruppo di suoi compaesani - i Wolther Goes Stranger - seguiti da nientepopodimeno che Teho Teardo & Blixa Bargeld.
Poter assistere - gratis! - a un concerto di Blixa Bargeld è già  motivo sufficiente per alzarsi dal divano e fare quei pochi chilometri, ma Theo Teardo chi diavolo è? L'amico, che ne sa a pacchi, mi dice: "fidati, colonne sonore, Sorrentino, passato punk, bel disco". Mi son fidato, e ho fatto bene.
Teho Teardo e Blixa Bargeld, accompagnati dalla violoncellista Martina Bertoni, hanno presentato dal vivo le canzoni di Still Smiling, disco appena uscito, e mi hanno fulminato. Blixa Bargeld canta (e canta bene, chi l''avrebbe mai detto?), ogni tanto mugugna e ogni tanto urla, ma è il mix tra la sua interpretazione e la musica fornita da Teho Teardo e Martina Bertoni che rende il loro concerto qualcosa di unico.

Piccola parentesi: ripensando a Iain Banks, al sapore dei suoi romanzi e alla sua recente dipartita, credo che Still Smiling, con il suo gusto bizzarro, le melodie agrodolci, l'ironia stralunata e l'epica (quasi) sinfonica di certi passaggi, sarebbe stato un buon accompagnamento per i momenti più  introspettivi dei romanzi culturali. Ma non date troppo peso a certe considerazioni: è probabile che 'sta vicinanza la veda solo io, visto il sovrapporsi degli eventi.

Tornando al concerto di venerdì scorso, almeno due parole sui Wolther Goes Stranger le voglio spendere.
Il trio di Pavullo, accompagnato per l'occasione dal sassofonista Stefano Cristi, ha proposto una manciata di canzoni dal loro disco. La loro musica mescola abilmente un sound da garage digitale con qualche nota dark-romantica, e nonostante soffra la tendenza, faticosamente tenuta a freno, a trasformarsi in noiosissima house, non è poi male. Non è il genere di musica che ascolto spesso (eufemismo alert!) ma il loro set non mi è affatto dispiaciuto. 

Ecco qualche foto dei Wolther Goes Stranger (le altre sono —>qui<—)


Per finire ecco una selezione delle foto scattate a Teho Teardo & Blixa Bargeld (le altre sono —>qui<—)

10 giugno 2013

Iain Banks (1954-2013)

© giorgio raffaelli
I necrologi non li sopporto, ma ieri Iain Banks è morto e se anche preferirei il silenzio, due parole gliele devo, nonostante già sappia che queste note saranno insoddisfacenti, che non riuscirò mai a descrivere quanto importante sia stato Banks per me e per la fantascienza tutta. Come si fa a ricordare e rendere merito a colui che è stato il più grande scrittore di fantascienza abbia mai avuto la fortuna di incontrare?
Ci sono molti altri scrittori che apprezzo, ma nessuno è mai riuscito a regalarmi con la stessa continuità dell'autore scozzese l'ebbrezza dell'incontro con il senso del meraviglioso, che nelle sue storie si fonde sempre alla capacità di riflettere su etica e morale, delle società e degli individui. Ho letto tanta fantascienza ma nessun autore è stato capace come Banks di offrirmi cibo per la mente mescolandolo a esplosioni e astronavi, grandiosi panorami galattici e stupefacenti pianeti alieni.

Iain Banks è stato il primo scrittore che ho scoperto grazie alla FML (la mailing list storica del fandom italiano), all'epoca in cui c'era ancora chi si firmava Elethiomel. Ho alimentato la curiosità per anni prima di iniziare a leggerlo, che allora - si era alla fine degli anni '90 - i suoi romanzi erano esauriti e praticamente introvabili, ma nonostante le aspettative altissime, quando finalmente ho recuperato i suoi libri, Iain Banks non mi ha deluso, anzi.
In quegli anni l'unico suo libro facilmente reperibile era il suo romanzo d'esordio, La fabbrica degli orrori, che se anche non era fantascienza aveva comunque molte delle peculiarità che avrebbero caratterizzato la produzione successiva. Ricordo ancora l'entusiasmo al termine della lettura, mescolato a dubbi e varie inquietudini che riverberavano dal testo. E poi, quando finalmente sono riuscito a recuperare i romanzi del ciclo della Cultura, ah… è stato come ritornare in un posto che conoscevo benissimo pur senza averlo mai frequentato. Una specie di casa. Una speranza per il futuro.

Se William Gibson mi ha riavvicinato alla fantascienza, sono Banks prima e McDonald poi gli autori che mi hanno definitivamente legato al genere. Rendersi conto che non ci saranno più romanzi di Iain M. Banks è terribile, soprattutto quando all'orizzonte non si vede nessuno capace di prenderne il posto.

Io e Giovanni De Matteo abbiamo incontrato Iain Banks a Verona, qualche anno fa. Ricordo l'aria sorridente, l'affabilità e la gentilezza dell'uomo (nonché la sua pazienza, visto quel paio di domande piovute dal pubblico che beh… si vedeva quanto poco quel pubblico lo conosceva) e la sua disponibilità a rispondere a quell'improvvisata intervista che gli facemmo.
Di quell'incontro una cosa soprattutto che mi è rimasta impressa. Quando gli chiedemmo del rapporto tra umanità e intelligenza artificiale lui ci rispose che, se c'è una cosa che ci distingue dalle macchine, per quanto evolute e intelligenti queste possano diventare, è la nostra capacità di divertirci, di giocare.
Iain Banks mi ha sempre dato l'idea di sapersi divertire, pur sapendo bene che la festa prima o poi sarebbe finita. Ora che se n'è andato tocca proseguire un po' più soli, augurandoci di non perdere la voglia di giocare, con gli occhi bene aperti alle meraviglie e agli orrori che sempre ci circondano.

05 giugno 2013

Letture: Francis Scott Fitzgerald, Stephen King, Joe R. Lansdale

© giorgio raffaelli
Francis Scott Fitzgerald - The Great Gatsby
Si può arrivare alla mia età senza aver letto Il grande Gatsby? Evidentemente sì, però mi dispiace un po' non aver incontrato prima il romanzo di Francis Scott Fitzgerald.
Credo di averlo già scritto ma tanto vale ribadirlo: io sono tra quelli che tra fantascienza e cinema e beat generation e rock'n'roll l'America gli ha fottuto l'immaginario (su base consensuale e senza alcun rimpianto, anzi…). Capire quali sono le basi di questa fascinazione è sempre interessante, per questo motivo leggere The Great Gatsby, una colonna portante del senso americano per la narrazione, è illuminante.

Nella storia di Jay Gatsby, rivelata progressivamente da Fitzgerald sfruttando il punto di vista privilegiato di Nick Carraway, ci sono tutti gli ingredienti per quella via americana alla conoscenza del mondo che mescola insieme individualismo e ambizione, grandi passioni e ricerca dell'ideale, eguaglianza delle persone e aristocrazia del denaro. lotta di classe come affermazione individuale, morale che si piega al risultato e, soprattutto, l'esaltazione senza compromessi della giovinezza - il potenziale, l'energia, le possibilità -  rispetto alla consapevolezza delle sconfitte, inevitabili, della maturità.
Il Grande Gatsby è un gran bel romanzo per come è narrato, per il calibrato disvelamento del lato oscuro dei vari personaggi, per l'approccio normale agli eventi straordinari cui si assiste (Carraway è il perfetto contraltare alla grandeur di Gatsby), per il senso di rimpianto e nostalgia che emerge da ogni singola pagina senza risultare mai stucchevole o melodrammatico, a esaltare anzi, un romanticismo sotterraneo mai esplicito ma forse per questo ancor più struggente.
Arrivato in fondo capisci bene perché il romanzo di Francis Scott Fitzgerald sia diventato iconico e fondamentale, non solo per gli autori americani che seguiranno, ma anche per tutti quegli scrittori che nell'America letteraria han cercato fortuna e ispirazione.



Stephen King - La Torre Nera
C'ho messo poco più di quattro anni per arrivare alla fine di questa lunghissima saga, e per molto tempo mi son chiesto se era il caso di proseguire o mollare quello che per parecchio tempo m'è parso un furbo, per quanto piacevole, mappazzone narrativo. Nei sette volumi della saga de La torre nera c'è tutto quel che un lettore di genere può desiderare: magia e orrori, fantascienza e mostri, apocalissi assortite e mondi paralleli, con in più quell'abile tocco metaletterario capace di stuzzicare anche il lettore più scafato. Non sempre l'abbondanza è sinonimo di qualità, e più di una volta nei sei capitoli precedenti ho dubitato della capacità di Stephen King di dare armonia ed equilibrio alle varie componenti del suo ambizioso affresco.
Ero lì lì per mollare tutto a causa delle dimensioni di quest'ultimo volume e dell'opinione che avevo maturato al termine della lettura degli ultimi due capitoli della saga (I lupi del Calla e La canzone di Susannah), che mi son parsi frutto di calcolo e mestiere più che di passione e necessità narrativa. Ho deciso di leggere La torre nera un po' per l'inevitabile curiosità di sapere come va a finire, un po' per vedere se i giudizi confortanti letti un po' ovunque sarebbero stati confermati dai fatti.

Arrivato in fondo posso dire che La Torre Nera mantiene tutte le promesse, e conclude in maniera più che degna una storia che per lunghi tratti sembrava girare in tondo, svelando qualche mistero, dando risposte - magari poco piacevoli - alle domande dei personaggi, con un finale che riesce ad essere al contempo consolatorio e terrificante. Onore al merito a Stephen King dunque, che oltre ad essere un ottimo artigiano della scrittura, dimostra di saper condurre in porto una storia complicata come questa senza troppe concessioni ai desideri del pubblico, con un rigore e una coerenza esemplari.
E sì, credo che Roland un po' mi mancherà.



Joe R. Lansdale - Cielo di sabbia

Mi piace il modo in cui Joe R. Lansdale tratta i ragazzi. Che siano i lettori cui è destinato Cielo di sabbia o i personaggi stessi del romanzo, Big Joe non scende a compromessi, li lascia liberi di comportarsi come meglio credono, li lascia provare, li lascia sbagliare, a volte vincere, a volte piangere, ma senza alcuna supponenza, senza porsi quale esplicito giudice morale di comportamenti o scelte. Lasciandoli soprattutto parlare con la propria voce.

In effetti se c'è un motivo per cui val la pena leggere Cielo di sabbia è nella voce narrante del suo giovane protagonista. Joe Lansdale - e con lui Luca Conti, traduttore del romanzo - rende perfettamente il punto di vista di Jack, adeguando lessico e profondità a quelle di un adolescente che, sebbene si muova e agisca nella dust bowl della grande depressione, risulta riconoscibile nei comportamenti e perfetto nelle relazioni che instaura con i suoi compagni di viaggio (tra cui spicca Jane, meravigliosa femme fatale quattordicenne, anno più anno meno) anche qui e ora.
Sebbene non abbia le ambizioni dei precedenti romanzi "di formazione" dell'autore texano (penso a La sottile linea scura o a The Bottoms) Cielo di sabbia è una lettura piacevole e divertente, buona per grandi e piccini, nel solco tracciato negli anni dal talento e dal mestiere di quello che continua ad essere uno dei miei autori preferiti.