04 maggio 2011

Letture. Fantascienza che fu: Tschai, di Jack Vance

Illustrazione di Jeff Jones per la copertina di The Dirdir, terzo volume del ciclo di Tschai

Quando si parla di fantascienza, quella di una volta, quella vera, Jack Vance è uno di quei nomi che inevitabilmente viene citato dall'appassionato del caso come lettura imprescindibile. Io invece Jack Vance lo conosco molto poco. Prima di Tschai ho letto solo una manciata dei suoi racconti (quelli raccolti nelle varie antologie della meglio della fantascienza, dai volumazzi della Nord che raccolgono i premi Hugo a quelli Bompiani firmati Asimov che propongono anno per anno la produzione più significativa dai 1939 al 1959, agli Urania dedicati ai Grand Master) e i primi volumi del ciclo dei Principi Demoni.
Se dei racconti ho nel complesso ricordi positivi, quel paio di romanzi mi aveva lasciato perlomeno perplesso (all'epoca della lettura mi chiedevo: "Ma che ci trovano gli ammiratori di Vance in questo ciclo? La domanda non è oziosa: mi piacerebbe proprio capire cosa c'è di così notevole in un personaggio come il protagonista, in una galassia in cui sembra ci abitino giusto le 10 persone che si incontrano, in una serie di cattivi che definirli da operetta sarebbe fargli un complimento. Poi è vero che i romanzi si leggono agevolmente, ma se devo dire che mi sono piaciuti... forse come documento di un altro tempo, non certo come romanzi belli senza condizioni.")
Ma Vance è un nome importante per la definizione del genere per come lo conosciamo ora, uno di quelli che se frequenti la fantascienza non puoi non conoscere.

Eccoci dunque a Tschai, il volume che raccoglie i quattro romanzi che compongono il ciclo delle avventure del terrestre Adam Reith sull'omonimo pianeta. Pubblicati tra il 1968 e il 1970 i quattro romanzi sono un esempio perfetto di quella che era la fantascienza popolare che andava per la maggiore all'epoca. E beh… diciamolo, sono anche uno specchio piuttosto fedele di quello spirito conservatore caratteristico di molta letteratura fantascientifica che è sempre corso parallelo alla spinta progressista verso l'esplorazione del futuro che viene solitamente associata al genere.
Le quattro parti che compongono il volume raccontano delle peripezie di Adam Reith, unico sopravvissuto di una spedizione di esplorazione terrestre, nei suoi tentativi di recuperare una nave spaziale che lo riporti a casa, liberando nel frattempo la popolazione di origine umana sottomessa e succube dei loro padroni alieni. Ognuno dei quattro romanzi vede il confronto tra il pragmatismo e l'intelligenza yankee del protagonista e ognuna delle quatto razze aliene che si sono spartite il pianeta Tschai. Lo schema dei rapporti tra terrestre e alieni è molto semplice: l'unico alieno buono è l'alieno morto.

In effetti quel che mi ha sorpreso durante la lettura è il tasso di violenza che accompagna il procedere dell'avventura. Violenza del tutto indolore e priva della pur minima conseguenza morale. Violenza ingenua e incosciente. Violenza che non avevo mai considerato in questi termini nelle mie precedenti esperienze con la fantascienza classica.
Fantascienza classica che come spesso accade io trovo, ahimè, molto più interessante per quello che fa inconsapevolmente trasparire dello spirito del tempo che non per i contenuti letterari che porta con sé.

Non che Tschai sia lettura noiosa o pesante. Tutt'altro: le invenzioni e le trovate si susseguono pagina dopo pagina e la tensione avventurosa è costante. Per quanto la trama non sia eccessivamente complessa, tiene comunque avvinto il lettore.
L'unica precauzione da adottare avvicinandosi al romanzo è quella di tarare aspettative e speculazioni immaginando quali potessero essere quelle di un adolescente americano degli anni '60. Il rischio altrimenti è di trovare Tschai insopportabile, vuoi per il tasso di testosterone presente, vuoi per la prospettiva ristretta che il tour di Vance propone del pianeta.

16 commenti:

  1. Io sono un Vance-ologo, e naturalmente dissento. Ma di là di dissentire su Tschai in particolare, volevo farti capire come mai a me (e, credo, a molti altri) il buon JV piace tanto.

    Vance propone classiche avventure a briglia sciolta, con personaggi classici, in ambientazioni fantastiche. E se le storie sono appunto classiche e rodate, come lo sono i personaggi, gli ambienti che lui crea sono qualcosa di stupendo. Ambienti che dimostrano una grandissima cura per i dettagli di colore, sapore, uso e costume, e che hanno invariabilmente il forte sapore dell'esotico, descritti in modo da solleticare di continuo i sensi. Vance insiste nel parlare di cibi e relax: nel mondo dell'ultra hightech, è più probabile che ci si dedichi più agli hobby che al lavoro peso. :) E soprattutto questi ambienti non sono mai un bell'arazzo e basta, ma sono il fulcro stesso della storia. I personaggi di Vance sono quasi invariabilmente terrestri vicini a noi catapultati in un mondo alieno, che devono arrivare da A a B. Per farlo devono conoscere e comunicare, "immergersi" nel mondo. Chi non ci riesce fa una brutta fine, e il tema della comunicazione e del linguaggio è molto presente in quasi tutta la sua opera. Infine, parli di testosterone e spaccare. E c'è, le motivazioni degli eroi di Vance spesso sono semplicemente la sopravvivenza o la vendetta. Ma rappresentate con un distacco ironico che danno sigillo finale di vance-ianità e insomma ewwywa Vance ora e sempre, ecco. E perdona la lunghezza! :)

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  2. A parte condividere in pieno il commento di Negrodeath, non posso che ricordarti di THE BLUE WORLD, un romanzo sicuramente minore ma sche contiene tutte le caratteristiche migliori di Vance : immaginazione allo stato puro.
    Finita la parte seria del commento,adesso mi devo riprendere dall'infarto procuratomi dal leggere che finalmente hai ascoltato un consiglio (anche) mio e ti sei avvicinato al Vance scrittore di romanzi. :)

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  3. Condivido buona parte del commento di Negrodeath. Come illustratore ho sempre amato Vance per la sua grande immaginazione e capacità descrittiva. Su TSCHAI, poi, ho fatto la tesi (un libro illustrato) all'ISIA di Urbino nel '86. E' uno dei pochi cicli che ho letto più volte. E Vance sicuramente uno dei miei scrittori preferiti.

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  4. nemmeno io ho letto molto di Vance, il più recente è stato "l'odissea di glystra", ma la mia impressione è piuttosto simile alla tua. mi sembra di leggere una serie di avventure che se invece che sul pianeta più remoto dell'universo fossero nella giungla nera inesplorata non cambierebbe molto. personaggi stereotipati e trame che, se riservano qualche colpo di scena, comunque non sono sono mai molto avvincenti.

    insomma, può essere un grande narratore, ma le sue storie non mi sembrano così grandiose.

    "tschai" (l'edizione "grandi saghe urania") è in attesa, ma in effetti non sono molto ansioso di iniziarlo.

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  5. Sono d'accordo con Negrodeath. (Materia/Antimateria, la Toscana Esplode, 2012 Fine del Mondo).
    Il suo punto di forza sono dialoghi, ambienti e quelle descrizioni digressive che a prima vista sembrano incidentali alla narrazione, non tanto plot e personaggi. E' uno di quegli autori come Dunsany o Wodehouse che si leggono soprattutto per l'atmosfera creata dal linguaggio. E' anche giusto il discorso sull'ironia, che è onnipresente, a volte in maniera più evidente (scambi di battute nei dialoghi) più spesso in forma di umorismo asciutto, "sottotraccia".

    Ciò non vuol dire che la sua visione del mondo sia progressista o aproblematica - uno dei punti più dolenti per me è la descrizione di personaggi (che si capisce essere) omosessuali, invariabilmente presentati come negativi/debosciati/malvagi/pervertiti.

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  6. Grazie a tutti per il vostro contributo, soprattutto a Niccolò che mi permette di approfondire il discorso su pregi e difetti del buon Jack Vance.

    In generale mi trovo abbastanza concorde riguardo i giudizi espressi sulla scrittura di Vance, che in effetti è brillante, ricca, ironica. Del resto questo è forse il motivo principale per cui sono arrivato in fondo al volume.

    Faccio fatica invece a comprendere la fascinazione che è comune a tutti i fan vanciani per la capacità descrittiva dell'autore. Vance procede per accumulo progressivo di materiali, che questi siano dettagli esotici, invenzioni sociali, sollecitazioni palatali o stuzzichini sensoriali, non si va mai oltre la patina di colore che darà pur un tocco di straordinario al panorama, ma che non mi pare sia mai strutturale e profonda.
    Il fascino dell'ambientazione di stampo vanciano per me non è sufficiente a reggere da solo il peso del romanzo, soprattutto quando questa ambientazione ha la stessa profondità millimetrica dei personaggi che la frequentano. In Tschai c'è un uso smodato del colore, che accoppiato al tratto pesante utilizzato per delineare protagonista e comprimari mi ricorda parecchio quelle cose pseudo-infantili dell'arte naif, con risultati complessivi ancor più deludenti stante l'indubbia professionalità della scrittura di Vance.

    Niccolò evidenzia poi un aspetto caratteristico nelle sue opere: "I personaggi di Vance sono quasi invariabilmente terrestri vicini a noi catapultati in un mondo alieno, che devono arrivare da A a B. Per farlo devono conoscere e comunicare, "immergersi" nel mondo."
    Ora a me è parso che per tutto Tschai (inteso sia come ciclo che come pianeta) Adam Reith non faccia altro che ridurre ciò che incontra alla sua esperienza terrestre precedente. Non c'è mai, in nessun caso, un tentativo di apertura all'esterno, al diverso, all'alieno. L'unica comunicazione che avviene è costantemente a senso unico: o gli alieni si adattano alla visione del terrestre o sono da considerarsi nemici e quindi eliminabili, possibilmente nel modo più efficace ed economico. Anche i suoi compagni di viaggio sono totalmente Raith-dipendenti, non sono mai trattati alla pari, vengono sempre considerati con una certa condiscendenza, sono pedine spendibili nel compimento della missione.
    Per me il punto fondamentale è proprio questo: nella prosa di Vance non c'è alcuna compassione.
    Tschai sembra un western prima maniera, con l'eroe a spasso per la frontiera, con la colt fumante a caccia d'indiani. Poche domande, un sacco di piombo. Ottimo se hai 13 anni, un po' meno ora.


    @ Nick: tengo sempre in gran considerazione i consigli dei frequentatori del blog. Solo che ci vuole un po' di tempo prima che li metta in pratica, che come puoi immaginare la coda di lettura è piuttosto lunghetta…

    @ tcrem: Wow! Una tesi illustrata su Vance! Dev'essere stato un lavoro spettacolare!

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  7. Nel caso di Reith grosso modo è così, e non è il solo. Ma per esempio, se prendi il Gersen dei Principi Demoni, per individuare e uccidere i killer dei suoi genitori deve davvero immergersi nella cultura di provenienza del killer, individuarlo a distanza di moltissimi anni. Il fine poi è la vendetta (che alla fine svuota il monomaniaco :). Altrove ci sono personaggi scaltri e furbacchioni, irresistibili cialtroni che riescono a farcela per il rotto della cuffia (Miro Hetzel) o si fregano con le loro stesse mani (Cugel l'Astuto) o emeriti coglioni menati per il naso per tutto il libro (l'Opera dello Spazio).
    Dici, infine, che è un po' meno ottimo se hai superato i tredici anni? Sarà, per me è una delle riletture più gradite da almeno quindici anni (fermo restando che altre cicli sono migliori, secondo me, di Tschai).

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  8. Eh!
    Ma non vale mica che prima mi dite che Tschai è fondamentale e poi si scopre che gli altri sono meglio! :-)

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  9. Ciao!
    Passo spesso di qui e trovo interessanti le tue letture e recensioni: complimenti quindi per il blog.
    Anche io ho provato a leggere il primo romanzo dei Principi Demoni e a meno di metà del romanzo ho avuto la tua stessa reazione: "Ma che ci trovano gli ammiratori di Vance in questo ciclo?".
    Stesso discorso per "L'odissea di Glystra".
    Per quel che mi riguarda, e andando un po'OT, trovo altrettanto incomprensibile che a qualcuno possano piacere i romanzi e i racconti di Leiber, o di Van Vogt, ma probabilmente è una questione di mancanza di chiavi di lettura.
    Fatto sta che le prime e uniche 30 pagine de "il grande tempo" che sono riuscito a reg...ehm, a leggere, sono state fra le più pesanti della mia vita.
    Tornando a Vance il ciclo di Lyonesse, che non è fantascienza ma, secondo me, fantasy del più
    puro e cristallino che ci sia, l'ho trovato davvero bellissimo.
    Murgen
    Murgen

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  10. Ciao Murgen!
    Intervengo subito prima che a Davide, passando per caso da 'ste parti, venga un coccolone. :-)
    (Davide è notoriamente un devoto adepto della chiesa Leiberiana)

    Per me Vance, Van Vogt e Leiber sono su tre livelli molto diversi, per le tematiche affrontate, per le capacità stilistiche, per la pdronanza della materia narrata.

    Van Vogt per me risulta ormai illeggibile. Trovo che il suo sia un tipo una fantascienza esagerato ed esasperante.
    Di Vance ho già detto più su.
    Ma Leiber… beh… diciamo che Leiber sta a Vance come un vino rosso piemontese sta a una buona birra bavarese.
    Sono entrambi ottime bevande, ma assolvono a necessità diverse.

    Poi oh… mica tutti i palati sono uguali, e non c'è niente di male nemmeno ad essere astemi.

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  11. Naturalmente mi unirò in tag-team con Davide per difendere Vance e Leiber.

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  12. e non c'è niente di male nemmeno ad essere astemi.

    Infatti Davide è astemio. Siamo andati a trovarlo su in Piemonte e non ha bevuto neanche un goccio di quell'ottimo Leiber.
    (Metaphor Fail)

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  13. Avevo già "confessato" a Davide la mia incomprensione leiberiana su un suo post di qualche tempo fa e saggiamente mi ha risposto che è una questione di che cosa ognuno di noi cerca in un romanzo.
    Comunque, lungi da me l'idea di attaccare Leiber, Vance o chicchessia...
    Saluti
    Murgen

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  14. Che cazzo vuoi?
    Provaci tu a vivere su Tschai in pace e serenità, senza violenza.
    Quanto a Vance è una persona simpatica. alla fine gli ho perdonato i tagli che ha fatto, anche se resto convinto che la gente sarebbe stata contenta di saperne di più dul simpatico subdirdir.
    Anacho

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  15. @ marco: metaphor fail 'sta minchia (perdona il francesismo…): Davide Leiber lo mesce, mica lo consuma…
    (eppoi dai, la metafora generalizza, tu precipiti al particolare.)


    @ Anacho: oh! vedi ben che con 'sti post si riescono a stanare anche i subdirdir!

    Che poi sono d'accordo con te: me lo son chiesto più volte nel corso della lettura cosa ci avrà mai trovato uno figo come Anacho in quell'Adam? Boh…
    Per me se Vance avesse incentrato i romanzi su di te sarebbero stati decisamente più divertenti!

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  16. Mah, devo dire che spesso chi porta il rosa e il blu fa cose che non hanno una spiegazione evidente.
    Adam... non so, aveva qualcosa di strano, dove passava le cose cambiavano.
    Anacho

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