07 giugno 2011

Tree of Life


Immagine caricata da bswise.

Considerando Giobbe quale nume tutelare dell'opera, credo proprio che Shit happens sarebbe stato il sottotitolo ideale per Tree of Life. Il film di Terrence Malick non concede però nulla al suo pubblico e un simile sottotitolo avrebbe avuto tutta l'apparenza di una strizzatina d'occhio, un tocco di postmoderna ironia col potenziale distruttivo di uno slogan fuori contesto. Tree of Life è infatti un film serissimo, pesante come una lezione di religione, sopraffacente per il suo carico simbolico, magnifico per la capacità di scardinare le aspettative di un pubblico che inizia la visione con ancora negli occhi il trailer di Transformer 3.

Tree of Life è bellissimo, le immagini sono meravigliose, la colonna sonora stupefacente. Malick ha in mano un telecomando divino con cui saltare dal canale del National Geographic a uno speciale sulla nuova architettura, a un film (ehi! davvero!) di Terrence Malick ambientato negli anni '50. Il tutto con tempi perfetti, suoni perfetti, e, meraviglia dopo meraviglia, sguardo perfetto.

Bisogna essere nella giusta disposizione d'animo per godersi un film come Tree of Life. Bisogna crederci, probabilmente.
Malick parte in un modo che non lascia dubbi sul contesto in cui si muoverà: il mondo, l'universo, la vita, funzionano così, prendere o lasciare. È come la dicotomia western dell'uomo con la pistola carica e di quello che scava. Alternative non paiono esserci. Punto. Sì parla di Dio, mica bruscolini.
E un dio come quello di Malick, per quanto indifferente, è maledettamente ingombrante, specie per chi non sente nessuna esigenza di divinità, nessun bisogno di spiegazioni esterne, nessuna necessità di un quadro più ampio. Per me dire "la vita non ha senso" è quanto di più liberatorio si possa esprimere riguardo al mistero che ci circonda, e vedessi proiettare per le due ore e rotti di Tree of Life la parabola, al contempo spietata e consolatoria, del dio americano di Malick è quasi intollerabile.
Quasi.
Perché Malick non è un predicatore, e per quanto il suo film sia ricolmo di ogni bendiddio, la sua maestria gli permette di colpire anche lo spettatore senza senso del divino e la sua umiltà rifugge da ogni retorica.

In effetti se accantoniamo per un attimo il problema della presenza di Dio in Tree of Life rimangono ancora un sacco di cose da guardare, su cui riflettere, da meditare.
C'è la memoria, la famiglia e il ricordo dell'infanzia. Vale a dire la storia di Jack, primogenito della famiglia O'Brien su cui si riversano inarrestabili i sogni di riscatto del padre e l'amore silenzioso della madre. In questa storia, montata per scatti ed episodi, c'è più di un momento in cui pare di essere piombati nel diario personale di un vecchio signore tutto preso a riconsiderare il percorso di una vita. Questa visione oltremodo personale riunisce insieme la mancanza di una storia lineare con l'evidente partecipazione al destino della famiglia O'Brien. È un cinema che getta ponti e cerca contatti con il percorso dello spettatore, che inevitabilmente cerca similitudini e differenze ma che, per la sua stessa natura personale, risulta sempre monco, incompleto. Se non fosse per lo straordinario mestiere di Malick nel creare tensione col semplice uso di macchina e montaggio, con pochissime parole, con gli sguardi e i silenzi dei suoi protagonisti, con il continuo controcanto tra uomini e natura, credo che a metà film ce ne saremmo andati, che la vita quotidiana nella provincia cristiana non è proprio spettacolo così eccitante.

Alla riflessione sul percorso di formazione personale, legato a doppio filo con l'educazione cristiana che domina la vita familiare dei protagonisti, si sovrappone la ricerca di una risposta al mistero dell'esistenza, che non si riduce a un semplice e consolante fideismo ma si arricchisce di un meraviglioso excursus sull'origine e l'evoluzione della vita sul pianeta. La porzione documentaristica della pellicola - non saprei come meglio definirla - è straordinaria per l'impatto delle immagini, e fornisce un grandioso accompagnamento in levare alla visione religiosa altrimenti intollerabile che plasma e forma il contesto metafisico del film (ehi! ci sono perfino i dinosauri!).
(Non so se a qualcun altro ha fatto lo stesso effetto, a me quella porzione di film è parsa una risposta, altrettanto potente e allucinatoria, al viaggio finale di Bowman in 2001: Odissea nello spazio. E quando ho visto il nome di Douglas Trumbull nei titoli di coda, beh… non m'è parso così strano. Ma forse son io che sono tarato.)

A chiudere il cerchio e sintetizzare in un finale la storia di Jack, quella della sua famiglia, il percorso religioso e quello sulla memoria ecco di nuovo Jack, adulto e realizzato, interpretato da Sean Penn con la sua migliore faccia da lottatore stanco. Il Jack adulto sembra aver scelto la fuga dalla natura che ha accompagnato la sua infanzia per rifugiarsi in una fortezza della solitudine fatta di vetro e acciaio, bellissima e freddissima. Ma Jack ricorda, e nel suo ricongiungersi con il fratello, con la famiglia e con tutti gli altri abitanti della sua memoria su quella spiaggia, a metà strada tra immaginazione e paradiso, cerca un'impossibile sintesi tra religione e razionalità, lasciandosi sopraffare dalle emozioni.

Tree of Life è un film difficile da mandar giù, forse per i richiami profondi alla mia storia personale, che nonostante i percorsi divergenti ed esiti parecchio diversi da quelli proposti da Malick, non può evitare di risuonare al tocco di più di una corda sensibile (anche se questo potrebbe semplicemente voler dire che sono ormai vecchio abbastanza per commuovermi al ricordo melanconico del tempo passato). O forse Tree of Life è uno di quei rari film che ti piglia per esasperazione, che è troppo bello per lasciarti indifferente nonostante l'intollerabile sentenziosità di alcuni momenti. Tree of Life è perturbante e malinconico, misterioso e meraviglioso. Distante, eppure così vicino.
Comunque la si pensi, io dico grazie a Terrence Malick, che è riuscito a scuotermi di dosso noia e disincanto e mi ha fatto spalancare gli occhi, di nuovo, con il suo cinema.

4 commenti:

  1. La cosa bella di Malick è che, a differenza di tanti suoi colleghi, non batte sempre le stesse piste, ma ogni volta si mette alla prova. Portando noi spettatori con lui.
    E' un tipo di cinema che oggi è raro e che ti costringe(fortunatamente) a non essere spettatore passivo.

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  2. Più che altro il suo mi sembra un cinema molto più serio della media e sì, sono davvero pochi i nomi dei registi americani che gli accosterei.
    Forse Clint Eastwood, e lo stesso Sean Penn.

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  3. Ah, appena venuta fuori. Pare che ci sia un cinema dove per due settimane avevano proiettato il film con i tempi invertiti, cioè prima il secondo tempo e poi il primo.
    E non se ne era accorto nessuno.
    Tristissima. :(

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  4. Beh… tolti prologo ed epilogo, il resto della pellicola avrebbe potuto essere montata in qualsiasi modo (si fa per dire…) la qual cosa non avrebbe alterato in maniera percepibile la comprensibilittà del film.
    (però a me 'sta cosa sembra impossibile, ma forse perché da noi proiettavano un'edizione digitale)

    Comunque, a proposito di reazioni del pubblico, nel cinema dove lo abbiamo visto c'era parecchia gente che ha vissuto la fine del film come un'autentica liberazione. Certo, se sei abituato al ritmo attuale del cinema popolare, Malick rischia davvero di farti perdere la pazienza…

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