10 marzo 2011

Scintille e incomprensioni

Nell'ultima settimana si è discusso molto nei blog vicini di letteratura e politica, della legittimità di letture ideologiche di testi di genere, della priorità o meno, nella valutazione di un'opera, di un approccio etico/politico.

La discussione è partita dallo spazio commenti del post che Elvezio ha dedicato ad Harry Potter, è proseguita da Niccolò su Sei un'idiota ignorante per giungere infine sulla pagine di Strategie evolutive. Nello spazio commenti del post di Davide sono stato tirato in ballo da Marco per l'approccio pregiudiziale che avrei nelle mie recensioni nei confronti di romanzi che mal si coniugano con la mia particolare visione del mondo.

Non ho seguito come avrei voluto le varie discussioni. Da circa un anno è stato introdotto dall'azienda per cui lavoro un sistema di filtraggio dei contenuti web per cui faccio molta fatica ad accedere a determinati blog, a volte nel loro complesso (Sei un'idiota ignorante o il Grande Marziano, per esempio), a volte solo a singoli post (Malpertuis, Strategie evolutive ). Oltretutto queste ultime settimane sono state piuttosto impegnative anche al di fuori della rete. Il risultato è che sono fuori tempo rispetto alle discussioni di cui sopra, ma devo comunque una risposta alle sollecitazioni ricevute.

Ultima avvertenza: per comporre questo post ho trovato più comodo citare le parole di Marco, compresi alcuni estratti da un paio di mie vecchie cose portate come esempi significativi del mio modo di procedere: il primo era dedicato ad Arrivederci amore, ciao di Massimo Carlotto, il secondo a Sotto la pelle, di Michel Faber.


Picture by Iguana Jo.

Partiamo.

"Forse il mio mancato entusiasmo nei confronti del romanzo si può in effetti riassumere nel fatto che non riconosco il mondo che racconta l’autore come il mio mondo, che sento la mancanza di un riferimento altro rispetto all’immoralità di tutti i personaggi del romanzo."


Marco scrive: "Semplicemente trovo questo un approccio sbagliato, un giudicare le opere in base a quello che vorresti che fossero, e quindi rischiando di prestare meno attenzione a quello vogliono essere, e che intendono comunicare. Un autore non deve descrivere il tuo mondo, ma quello che interessa a lui raccontare."

No, aspetta. Non giudico i romanzi che leggo "in base a quello che vorrei che fossero", cerco piuttosto di capire se date certe premesse l'autore svolge la sua opera in modo coerente o se se invece svicola, per intortarmi magari con uno sviluppo che di quelle stesse premesse se ne frega.


O meglio. Proviamo a fare un passo indietro. Così forse usciamo dall'esempio specifico (ma ci torniamo, non vi preoccupate) per tornare al discorso generale che riguarda la valutazione etica/ideologica di quanto leggiamo.

Quando mi metto a pensare a quel che ho letto mi chiedo come prima cosa "perché?".
Perché il dato volume mi è piaciuto/non mi è piaciuto? È merito/demerito della scrittura? Del plot? Dei personaggi? Oppure è qualcosa che riguarda l'etica e la consapevolezza del contenuto?

Per rispondere a queste domande inizio a rimasticare il romanzo letto, faccio giocare le idee che ho colto dal testo con gli altri ingredienti che mi hanno colpito, metto a confronto la mia parzialissima visione del mondo con quella che traspare dalle parole dell'autore e cerco di prendere al volo - e quindi riportare sul blog - le scintille che si generano dall'incontro.

In altre parole, non si tratta di vedere quanto le idee che percepisco dal testo corrispondano alle mie, ma quanto queste siano integrate nella narrazione, quanto siano sottoposte a discussione, quanto siano coerenti con l'ambiente e i personaggi messi in scena dall'autore. Solo dopo, se è il caso o se colgo qualche aspetto interessante, mi metto a discutere l'ideologia che governa la narrazione.

Per tornare a Massimo Carlotto, quando scrivo: "Forse il mio mancato entusiasmo nei confronti del romanzo si può in effetti riassumere nel fatto che non riconosco il mondo che racconta l’autore come il mio mondo, che sento la mancanza di un riferimento altro rispetto all’immoralità di tutti i personaggi del romanzo." Lo faccio perché tutto nel romanzo urlava - fallendo - la perfetta sovrapponibilità della realtà romanzata con la mia di lettore.
Arrivederci amore, ciao a me è parso un romanzo a tesi, e come la maggior parte dei romanzi a tesi fallisce proprio nel volere estendere la visione parziale dell'autore fino a ricoprire tutta la realtà. Quel che mi premeva sottolineare è un problema che è insieme di umiltà e verità, ovvero il porsi l'autore al di là e al di sopra del lettore. (Lo stesso limite che ho ritrovato in Solaris, tanto per citare un altro romanzo che soffre degli stessi difetti e sul quale la mia opinione è in netta minoranza).

Marco: "Non riconosci come tuo il mondo di Arrivederci Amore Ciao mentre trovi realistico quello di Eureka Street?"

Vedi? È questo l'equivoco. Eureka Street non ha pretesa di verità. I personaggi che si muovono nella Belfast del romanzo sono tutti sopra le righe, hanno vite, reazioni e relazioni esagerate. Ciò che impedisce a Robert McLiam Wilson di deragliare completamente è l'aderenza di quei personaggi a un contesto reso invece con piglio quasi naturalistico. Belfast è lì, è vera, con tutta la sua storia drammatica, e non c'è un solo paragrafo dedicato alla realtà nord-irlandese che mi sia parso incoerente, irreale, sbagliato.

Marco: "Riguardo a Sotto la Pelle (così come a suo tempo Luce dall’Universo) ti fermi sugli elementi che non ti vanno a genio – i personaggi sono tutti cinici, perversi e sconfitti dalla vita, PER CUI l’autore sta cercando di èpater il borghese / Gli esseri umani sono senzienti, PER CUI il paragone con gli animali non regge – tutti gli altri livelli della satira, su televisione, sessualità, consumismo, (che secondo me contribuiscono a spostare il discorso dal piano del parallelismo diretto – con rapporto 1:1 a quello dell’esagerazione paradossale) magari li vedi anche ma non gli dai più peso, l’hai già bell’ e bollato come trattato vegetariano militante."


Ehm… in realtà seguo il percorso inverso.

Mi chiedo: perché non trovo credibile il parallelismo uomini/animali? Forse perché gli esseri umani che compaiono nel romanzo sono senzienti e il lettore empatizza con loro? O forse perché l'autore piega ogni aspetto del romanzo al fine di farmi cogliere questo parallelismo, collocando a fianco di ogni svolta del plot un sacco di punti esclamativi ed enormi cartelli indicatori?

Perché la data lettura non riesce ad appassionarmi/inquietarmi/affascinarmi ma invece mi irrita/annoia/disgusta? Forse per la caratterizzazione univoca di tutti i personaggi? Forse per le discrepanze nel plot? Forse perché sotto la narrazione si scorge il telaio e gli ingranaggi che l'autore ha utilizzato per sedurmi?

E no, non mi sento in colpa per non aver colto livelli ulteriori di lettura, o sottotesti per iniziati, o sfumature appena accennate (o esplicitamente raccontate, non è questo il punto). Tra l'altro se mi metto a discutere pubblicamente la mia esperienza di lettura è proprio perché do per scontato che altri lettori avranno colto dallo stesso testo cose diverse dalle mie. E cosa c'è di più interessante (e divertente!) del confronto tra percorsi diversi fatti sulle stesse pagine?

Marco: "Considerato che Faber vegetariano non è (la domanda naturalmente gli è stata fatta, dopo la pubblicazione del romanzo)- forse era più interessato a porre l’attenzione su certi eccessi dell’industria del carne
…snip…
…E visto che lui non lo intendeva come un trattato di vegeterarianesimo militante e molta gente non l’ha recepito come tale forse il fatto che non ci sia un equivalenza perfetta Isserley:Uomini=Uomini:Animali non è così significativo come è parso a te.
"

Per me, da lettore, le intenzioni dell'autore contano come il due di picche in una partita a scacchi. Dal momento che leggo un libro conta solo quel che riesce a comunicarmi con quel che ha scritto, che va al di là e oltre qualsiasi intenzione potesse aver avuto quando si è messo alla scrivania per iniziare il suo romanzo.
Una volta pubblicato quel testo non è più suo, ma del lettore, che ha tutti i diritti di farne quel che preferisce. Da parte mia l'unica regola che mi aspetto venga rispettata nella discussione di un testo è che le affermazioni che lo riguardano siano coerenti con quanto compare tra le pagine del testo stesso.

Per questo motivo non mi aspetto che chi passa dal mio blog possa condividere ogni affermazione fatta sul dato testo, mi aspetto però che la mia opinione venga rispettata o ridicolizzata non in base a presunti postulati iniziali ("l'autore intendeva dire che…"), ma solo sulla base della sua aderenza al testo in discussione.

17 commenti:

  1. Non ho seguito la discussione transumante, ma ho letto d'un fiato il tuo post, con almeno la cognizione di causa di aver letto (peraltro molto tempo fa) il romanzo di Faber - che ricordo mi piacque -, mentre non ho letto quello di Carlotto.

    Ebbene, devo dire che l'esegesi che fai del lettore, non fa una piega. L'autore, le sue idee e le sue intenzioni contano zero. Conta invece come il libro "risuona" in te lettore. E questo coinvolge la tua cultura, la tua esperienza, la tua visione del mondo.

    Poi è chiaro che può essere interessante confrontarsi con l'ideologia originaria del romanzo in questione, il motivo per cui l'autore lo ha scritto, che cosa intendeva dire, qual era il messaggio, il sottotesto eccetera. È curioso verificare se si colgono i sensi o se ne scoprono altri. Magari si travisano pure. Ma non ci sono regole. Ciò significa che (almeno) quando leggi non hai leggi che puoi infrangere. Vale tutto.

    Immagino inoltre che la lettura di romanzi fortemente distanti dalla propria realtà tenda a non portare il lettore a farsi domande circa il rapporto tra l'apprezzamento del libro e il livello di riconoscimento di quel mondo o almeno di parte di esso. D'altro canto è possibile che la lettura di romanzi almeno sotto qualche aspetto più vicini alla propria realtà tendano invece a portare il lettore a farsi domande circa il rapporto tra l'apprezzamento del libro e il livello di riconoscimento di quel mondo. Ma non sono per forza criteri discriminanti, né tantomeno necessari.

    Anche in questo, vale tutto.
    Ed è proprio questo il bello.

    Alla fine della lettura di un libro, il giudizio sul suo apprezzamento non può che essere analogico, variegato, sfumato e coinvolge tanti di quegli aspetti che è impossibile cercarvi un'esattezza che ne digitalizzi la considerazione o da cui si possa generare una metodologia replicabile. Quello che è interessante fare, di volta in volta, è indagare per scoprire per quali motivi un libro ci è piaciuto o no. Ma soprattutto sapere fin dall'inizio che la risposta a questa domanda può essere qualsiasi cosa.

    (P.S. Chissà cosa non gli piace di me al tuo filtro...)

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  2. Non ho seguito la discussione transumante, ma ho letto d'un fiato il tuo post, con almeno la cognizione di causa di aver letto (peraltro molto tempo fa) il romanzo di Faber, mentre non ho letto quello di Carlotto.

    Ebbene, devo dire che l'esegesi che fai del lettore, non fa una piega. L'autore, le sue idee e le sue intenzioni contano zero. Conta invece come il libro "risuona" in te lettore. E questo coinvolge la tua cultura, la tua esperienza, la tua visione del mondo.

    Poi è chiaro che può essere interessante confrontarsi con l'ideologia originaria del romanzo in questione, il motivo per cui l'autore lo ha scritto, che cosa intendeva dire, qual era il messaggio, il sottotesto eccetera. È curioso verificare se si colgono i sensi o se ne scoprono altri. Magari si travisano pure. Ma non ci sono regole. Ciò significa che (almeno) quando leggi non hai leggi che puoi infrangere. Vale tutto.

    Immagino inoltre che la lettura di romanzi fortemente distanti dalla propria realtà tenda a non portare il lettore a farsi domande circa il rapporto tra l'apprezzamento del libro e il livello di riconoscimento di quel mondo o almeno di parte di esso. D'altro canto è possibile che la lettura di romanzi almeno sotto qualche aspetto più vicini alla propria realtà tendano invece a portare il lettore a farsi domande circa il rapporto tra l'apprezzamento del libro e il livello di riconoscimento di quel mondo. Ma non sono per forza criteri discriminanti, né tantomeno necessari.

    Anche in questo, vale tutto.
    Ed è proprio questo il bello.

    Alla fine della lettura di un libro, il giudizio sul suo apprezzamento non può che essere analogico, variegato, sfumato e coinvolge tanti di quegli aspetti che è impossibile cercarvi un'esattezza che ne digitalizzi la considerazione o da cui si possa generare una metodologia replicabile. Quello che è interessante fare, di volta in volta, è indagare per scoprire per quali motivi un libro ci è piaciuto o no. Ma soprattutto sapere fin dall'inizio che la risposta a questa domanda può essere qualsiasi cosa.

    (P.S. Chissà che cosa non gli piace di me al tuo filtro...)

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  3. Quanto espresso in questo post mi sembra non vada molto d'accordo con la tua recensione di "Fanteria dello Spazio" di Heinlein.
    Infatti, mentre qui dici: "Da parte mia l'unica regola che mi aspetto venga rispettata nella discussione di un testo è che le affermazioni che lo riguardano siano coerenti con quanto compare tra le pagine del testo stesso."

    Al contrario, nei commenti alla tua recensione: http://www.blogger.com/comment.g?blogID=3571040&postID=6843995746563522921&isPopup=true

    Dici "Insomma, io non contesto ad Heinlein la mancanza di coerenza (come potrei? da questo punto di vista Fanteria dello spazio è solido come una roccia), gli contesto piuttosto una gestione totalmente arbitraria dell'aspetto politico del romanzo che si risolve in una apologia acritica del militarismo."
    Me la ricordo piuttosto bene questa cosa, visto che era un commento di risposta a un mio intervento.

    Insomma, cosa è più importante? La coerenza o l'ideologia di fondo di un romanzo?

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  4. Scusa, riformulo perché il mio commento precedente è nato da un errore nella comprensione del tuo post.
    Il discorso sulla coerenza che avevo fatto era di altra natura.

    Il mio quesito però rimane: non credi che quanto scritto da te in questo post sia in contrasto con la tua recensione di "Fanteria dello spazio" di Heinlein, in cui contesti chiaramente l'ideologia militarista contenuta nel romanzo?

    Qui la recensione: http://iguanajo.blogspot.com/2008/06/la-madre-di-tutte-le-discussioni.html

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  5. Lo faccio perché tutto nel romanzo urlava - fallendo - la perfetta sovrapponibilità della realtà romanzata con la mia di lettore.

    Non riesco a capire quel che vuoi dire. La storia di un ex-terrorista arrampicatore sociale nel Nordest non è sovrapponibile alla realtà di un lettore/grafico/fotografo/rugbysta della provincia di Modena?
    Al limite posso vederlo come un romanzo che usa una particolare lente - quella del noir - per parlare di aspetti della realtà che gli interessano. In questo senso la distorsione, o comunque la colorazione specifica della lente, è implicita nel tipo di narrazione.
    E' quello che dicevo da Davide: scegliere un punto di vista parziale non significa necessariamente essere di parte, quanto concentrarsi su quello che interessa. Se io leggo un romanzo che parla della crisi della piccola nobiltà tedesca in Germania alla fine dell'Ottocento, è sbagliato considerarlo limitato o a tesi se per par condicio non dà spazio equivalente all'ascesa della borghesia.
    Di quello se ne occuperanno altri, se ne avranno voglia. Capisco ancor meno le tue obiezioni visto che il romanzo è raccontato in prima persona dal protagonista, che è un personaggio moralmente repellente. Difficile pensare che frequenti i missionari comboniani o i centri che offrono sostegno giuridico agli immigrati, per cui non vedo come si potrebbe bilanciare (posto che serva a qualcosa) la visuale del romanzo. O forse intendi dire che corrispettivi delle situazioni non esistono nella realtà? Che non esistono figure simili?

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  6. A me, da lettore, le intenzioni dell'autore contano come il due di picche in una partita a scacchi.

    E allora perché le tiri in ballo continuamente? Fermati al libro e non usare come stampelle le intenzioni dell'autore, intenzioni che individui, senza mai mostrare il minimo dubbio, a ritroso dalla lettura del romanzo - cosa che, ripeto, fai spessissimo, se volessi andarmi a ricercare nelle tue recensioni sono innumerevoli le volte che ho letto: l'autore pensa/l'autore crede/l'autore sembra convinto che/si vede che l'autore... e così via. Nel caso specifico tu hai parlato di "intento smaccatamente pedagogico" dell'autore, di un "pamphlet moralista con l'ovvio scopo di convertire quel carnivoro di un lettore" e di un autore che non disdegna ogni colpo basso e bara per "far passare spudoratamente un messaggio da vegetariano integralista".
    Considerato che l'autore non intendeva affatto far passare un messaggio da vegetariano integralista e molti non hanno inteso il romanzo in quel senso (io non ho inteso il romanzo in quel senso), e soprattutto che tu sei arrivato a queste conclusioni sul romanzo, secondo la tua recensione originaria, ancor prima di finirlo, che senso ha discutere degli elementi che si possono riscontrare nel testo? Possiamo anche vedere le stesse cose, ma nel tuo caso (non disdegna ogni colpo basso?) sono come limatura di ferro in un campo magnetico: seguono le linee di forza di una interpretazione emotiva (parli di irritazione) che ti sei fatto ancor prima di finirlo.
    A me va bene anche la critica basata sulla "death of the author", storicamente però questo tipo di critica presuppone 1) di considerare l'autore morto davvero, non porsi il problema di quello che avrà voluto dire 2) di non imporre letture forti, definitive e dogmatiche, anche quando sembrano giustificate, ma a essere pronti a considerare, rivalutare e non dare per scontato il giudizio su un testo, che non finisce mai di rivelare i suoi significati.
    In questo senso (e ritorno, se permetti, anche alla discussione su Harrison, un autore, che, sulla base della tua lettura del romanzo, hai descritto come il tipo che butta un po' di personaggi malati e perversi nel mix per compiacersi dello scalpore) il richiamare le intenzioni dell'autore non è affatto un appello all'autorità, ma un invito a provare a riguardare, che magari se metti un attimo da parte quello che (qui come là) sembra averti dato fastidio così a pelle (vista anche la scelta di aggettivi qualificativi, che poi è anche difficile fare obiezioni in base all'aderenza al testo quando inserisci a ogni piè sospinto valutazioni personali come "irritante" e "fastidioso") potresti vedere determinate sfumature sotto una luce diversa. Poi ci mancherebbe, come lettore hai il diritto di fare come vuoi, secondo me nel lungo termine finisci per mettere una croce sopra diversi autori interessanti, ma oh, di pesci nel mare ce ne sono.

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  7. Nel corso della giornata dovrei riuscire a trovare il tempo per rispondere a tutti.

    Per ora mi tocca segnalare con un certo imbarazzo che blogger ha cassato come spam un paio di commenti di Marco che integravano il suo discorso qui sopra e i commenti di Edgar Collins.
    La questione è imbarazzante perché non riuscirò a recuperare quei commenti fino a stasera, che la pagina di blogger che mi permetterebbe di sbloccarli mi risulta inaccessibile causa firewall aziendale.

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  8. @ il grande marziano: "Conta invece come il libro "risuona" in te lettore. E questo coinvolge la tua cultura, la tua esperienza, la tua visione del mondo."

    Non avrei potuto dirlo meglio. Credo anche che nei libri che leggiamo sia inevitabile cercare un legame con ciò che già conosciamo, un minimo comune denominatore che ci permetta di avere quello scambio con il testo che è poi il motivo per cui leggiamo (per cui io leggo).

    Per questo motivo la presenza dell'autore non è fondamentale. Dopotutto la lettura è anche costruzione di un dialogo con se stessi, per mezzo delle parole di un altro.

    Il che non significa che l'autore non conti nulla - lo scrivo anticipando la risposta a Marco - quanto piuttosto che l'approfondimento delle sue convinzioni, della sua storia, del suo metodo di lavoro sono qualcosa che può diventare interessante a prescindere dalle reazioni che il suo testo è stato capace di suscitare. Il legame - innegabile! - tra lo scrittore e il suo testo è cosa di pertinenza degli studiosi di letteratura, non dei lettore (ovviamente le due figure possono coincidere: entrambe si muovono nello stesso ambito, ma in contesti diversi).

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  9. @ il grande marziano: Dimenticavo: non ho la più pallida idea di quali siano i motivi per cui il tuo blog è filtrato. Del resto proprio nell'ultima settimana ho avuto difficoltà ad accedere anche alle mie stesse pagine :-(
    Ah… il software colpevole del guaio si chiama DansGuardian. Se qualcuno avesse qualche contromisura efficace da suggerirmi…

    @ Edgar Collins: "non credi che quanto scritto da te in questo post sia in contrasto con la tua recensione di "Fanteria dello spazio" di Heinlein, in cui contesti chiaramente l'ideologia militarista contenuta nel romanzo?"
    Non vedo la contraddizione. L'ideologia militarista traspare dalle parole di Heinlein ad ogni pié sospinto. Non c'è bisogno di tirare in ballo altro che il testo di Fanteria dello spazio per verificare la mia affermazione.
    E come scritto a suo tempo nella discussione a seguito del post, che le idee di Heinlein corrispondessero in toto con quelle del romanzo o solo parzialmente o per nulla, è del tutto ininfluente nel giudizio che esprimo sul romanzo.

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  10. Scusate le risposte a rate. Qui e ora non riesco a fare di meglio…

    @ Marco: divido in due la risposta. Per prima cosa voglio tentare di togliere di torno la questione "Arrivederci amore, ciao".

    Le mie osservazioni sul romanzo di Carlotto riguardavano la sua componente politica perché era quella componente che mi interessava discutere in quel momento.
    Per me il problema del leggere AAC come romanzo politico sta tutto in quel che scrivevo allora: "Il protagonista del romanzo di Carlotto è imbattibile perchè totalmente cattivo dentro. Non è malato, non è vittima di un trauma ne del sistema, non ha motivazioni morali. È irrecuperabile.
    …snip…
    In altre parole: il protagonista non è un nemico politico, è un nemico morale, proprio a causa della sua immoralità.
    Narrando come Carlotto fa (e molto bene) di un vuoto morale, si svuota la realtà di qualsiasi possibilità politica. Nel romanzo è evidente che dove non ci sono più valori c'è solo la sopravvivenza, e a quel punto la dialettica politica non ha più senso.
    Ma senza morale ha senso parlare di intenzioni politiche del romanzo?
    "

    A prescindere da quanto detto finora (è quel vuoto morale che non riconosco così totalitario come appare nel romanzo), io allora terminavo il post con un dubbio, che non è un dubbio retorico, e che è rimasto tale per tutti i lunghi anni da quando ho scritto quelle note.
    Se tu riesci a spiegarmi in che modo AAC si possa configurare come romanzo politico io sarò ben lieto di ascoltarti.

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  11. Neanch'io ho molto tempo ora,e stasera esco (e anche ieri è stata una risposta scritta di getto). Magari domani o domenica rispondo meglio anche al resto della tua risposta, se intanto la completi.

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  12. Ho finalmente recuperto i commenti finiti nello spam, ed ecco anche la risposta all'ultimo commento di Marco.

    Marco scrive: "…nelle tue recensioni sono innumerevoli le volte che ho letto: l'autore pensa/l'autore crede/l'autore sembra convinto che/si vede che l'autore... e così via"

    Ahò! Ma scherzi?
    Certo che nelle mie recensioni faccio riferimento all'autore!
    Ma non mi sembra che per attribuire pensieri/credenze/convinzioni al dato autore io abbia mai utilizzato fonti diverse dal testo stesso che ho letto e recensito.

    Vedi gli esempi che tiri in ballo tu: nelle recensioni dei romanzi di Carlotto, di Faber o di Harrison vedi riferimenti all'opinione dell'autore diversi da quelli che desumo dal testo stesso?

    Se poi tu mi dimostri che convinzione e intenzioni dell'autore sono diverse da quelle che io immagino, beh… non posso far altro che prenderne atto. Però se il dato testo mi induce certe riflessioni non vuol dire per forza che le mie opinioni nascano da un pregiudizio, quanto piuttosto che le corde che quel testo ha fatto risuonare erano discordanti rispetto all'accordo impostato dallo scrittore.
    Non so poi se questa sia questione di sensibilità (o di insensibilità), di background o di semplice e schietta ignoranza. Qualsiasi sia la causa, mi sembra di essere sempre stato più che disponibile a discuterne. Che qua nessuno nasce imparato.

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  13. Arrivederci amore, ciao a me è parso un romanzo a tesi, e come la maggior parte dei romanzi a tesi fallisce proprio nel volere estendere la visione parziale dell'autore fino a ricoprire tutta la realtà. Quel che mi premeva sottolineare è un problema che è insieme di umiltà e verità, ovvero il porsi l'autore al di là e al di sopra del lettore. (Lo stesso limite che ho ritrovato in Solaris, tanto per citare un altro romanzo che soffre degli stessi difetti e sul quale la mia opinione è in netta minoranza).

    Questa tua facilità nel dare etichette è una delle cose che mi lascia perplesso. Vorrei capire ad esempio in che senso Solaris (che ho letto nel 1990, in prestito, per cui non ho ricordi non affidabili al 100%) sia un romanzo a tesi; casomai mi sembra un romanzo a ipotesi sull'incomunicabilità e inconoscibilità di ciò che è DAVVERO alieno. Vorresti dire che ti disturba di più degli infiniti romanzi con alieni che, per quanto strani siano all'esterno, sono sempre riconducibili come comportamento a proiezioni umane? Più in generale, trovo strana la tua fretta nel parlare immediatamente di retorica, telaio, ingranaggi usati per sedurre e cartelli indicatori per romanzi in cui percepisci un messaggio che non ti va a genio.
    Il romanzo più retorico (proprio nel senso di costruito ad arte per premere determinati bottoni) che ho letto negli ultimi anni è senz' altro La Strada. Non mi sembra che in quel caso la cosa ti abbia dato fastidio, se pure l'hai notata, però.

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  14. Su "Sotto la Pelle" certo hai diritto a pensarla come vuoi, in base alla tua esperienza di lettore, ecc.
    Non so se conosci "A Modest Proposal" di Jonathan Swift. E' una satira pubblicata in modo anonimo in cui si suggerisce una soluzione al problema della povertà e della fame fra la popolazione irlandese. La prima parte è una lunga disamina, seria e con tanto di dati, della situazione della popolazione irlandese. Poi, senza cambio di tono, si passa ad illustrare le virtù della proposta, che è di vendere i figli di famiglie numerose ai nobili come cibo, descrivendo le proprietà nutrizionali di un bel bambino di un anno, elencando i possibili modi in cui la carne può essere preparata e facendo un calcolo dei benefici economici che questa soluzione porterebbe se applicata nelle famiglie su larga scala. Ecco, se uno parlasse di "non risparmiare colpi bassi", di "telaio e ingranaggi che si scorgono" di "opera a tesi" sarebbe difficile rispondergli. Non si tratta di vedere chissà quali ingranaggi nascosti, quanto piuttosto di riconoscere quello che è evidente. Allo stesso modo, parlare di colpi bassi perché si tratta di mangiare bambini è giustificabile - si tratta di cose che nel libro ci sono, ogni lettore giudica secondo la sua esperienza, e difatti molti hanno preso A Modest Proposal seriamente (e con orrore) quando è uscito. Non mi sembra però un approccio produttivo.
    Io trovo Sotto la Pelle interessante anche e proprio perché, lungi dall'essere manipolatorio e nascosto, è molto esplicito nelle simmetrie e rovesciamenti; e anche, soprattutto, perché sono imperfette. Non credo il fatto che gli alieni siano sostanzialmente indistinguibili dagli umani a livello di personalità e struttura sociale sia il risultato di mancanza di fantasia; avesse voluto, probabilmente avrebbe potuto immaginare degli alieni così superiori e/o inconoscibili che il loro trattare l'umanità al livello di animali sarebbe apparso, se non piacevole, almeno giustificato in un ottica alieni> uomini >animali (incidentalmente, romanzi simili,anche molto belli, esistono. Magari ne leggerai uno prima o poi... più prima che poi, e lo considererai un romanzo a tesi e non ti piacerà :-)) . Io vedo questo raddoppiamento di prospettiva - per cui sia gli alieni che gli umani sono sostanzialmente "umani" invece molto efficace nel creare effetti di straniamento e dissonanza cognitiva nel corso del romanzo.
    Per altri aspetti lo vedo anche come una presa in giro di tante convenzioni della fantascienza pulp - che da "to serve man" in poi su cannibalismo o alieni che trattano gli esseri umani come topi o scarafaggi di storie ne ha scritte, salvo che poi alla fine l'umanità, anche se le era stata data una pessima mano, trovava il modo di rovesciare il tavolo. Per cui anche il tentativo di fuga dei prigionieri, più che considerarlo un "colpo basso" lo vedo alla luce di scene simili (p.e. in Of Men and Monsters di William Tenn) in cui, incomparabilmente inferiori fisicamente e intellettualmente e ridotti piuttosto male, i nostri eroi riescono a fuggire perché ...mmmh... perché ci identifichiamo con loro e non con gli alieni cattivoni?

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  15. Su Arrivederci amore, ciao.

    Non avevo considerato che "il problema non è il nemico "immorale" è la denuncia di una situazione in cui una persona simile può prosperare", forse perché nel romanzo non ho percepito l'esistenza di una "società civile" con cui eventualmente confrontare l'agire del protagonista.
    Carlotto racconta il Male, su questo credo siamo d'accordo, ed è quando il male diventa norma, e mi pare che sia questo quel che succede nel romanzo, che per me la realtà romanzata diventa incoerente con il panorama fuori dalla finestra.
    E non perché la società corrotta del nord-est non esista o non rientri nella mia esperienza, ma perché Arrivederci amore, ciao appiattisce su un questo unico livello ogni possibilità politica. Narrativamente è un artificio che funziona molto bene, ma io davvero non riesco a trasferire questa lettura monocorde dal contesto del romanzo alla complessità del reale.


    Sui romanzi a tesi.

    Per quanto riguarda Solaris, ti rimando al post relativo.
    Poi beh… io non ho fretta di parlare "di retorica, telaio, ingranaggi usati per sedurre e cartelli indicatori". In effetti ne parlo solo quando li percepisco. E li percepisco solo quando pregiudicano il piacere della lettura, ovvero quando c'è un qualcosa che m'impedisce di calarmi anima e corpo nel testo che sto leggendo.
    Può darsi che mi capiti di notare i difetti di costruzione di una storia più spesso con romanzi che raccontano cose e/o idee che non condivido, ma non ne sarei così convinto come invece sembri sostenere tu. Mi viene in mente Stephen King, che con la sua saga della Torre nera mi sta divertendo nonostante non abbia mancato di evidenziarne i difetti di costruzione, oppure a Vittorio Catani, di cui condivido - credo - parecchio della visione politica, ma il cui romanzo non m'è proprio andato giù.
    Citarmi in questo contesto "La Strada" è un colpo basso!
    Quel che dici è vero, chi lo mette in dubbio. Però McCarthy preme talmente bene, con un tocco così fine, quei determinati bottoni, che l'onda emotiva che crea travolge ogni altra considerazione. Del resto è questo che distingue un grande autore da uno qualunque: la capacità di usare consapevolmente ogni strumento retorico necessario a raggiungere il suo scopo. Con me ha fatto centro.


    Su Sotto la pelle

    A me sembra che si stia parlando di cose diverse. Io a "Sotto la pelle" contesto per prima cosa la debolezza narrativa e solo poi quella "ideologica". Se la storia del romanzo mi avesse preso per le sue qualità narrative allora forse l'aspetto ideologico non mi avrebbe irritato tanto quanto è poi risultato a fine lettura.
    Del resto nemmeno il paragone con "A Modest Proposal" regge, tranne forse per i contenuti "alimentari".
    Io ho letto "Sotto la pelle" come un romanzo di fantascienza e mi sono trovato con un testo in cui la fondamentale componente fantascientifica è gestita in maniera maldestra e malriuscita, "A Modest Proposal" è invece un saggio che trae la sua forza proprio dall'essere un pezzo scritto con tutti i crismi dell'Accademia. Paradossalmente se la fantascienza di "Sotto la pelle" fosse stata di qualità oggi non staremmo qui a scontrarci sul giudizio da dare al romanzo di Faber.
    (BTW non ho certezze, ma ti pare che Faber conosca davvero tutta la fantascienza cui credi faccia riferimento? o non è piuttosto wishful thinking da parte tua?)
    (wow! ho scritto davvero "wishful thinking"!!!)

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  16. L'hai ricevuta la mia mail o è finita in un anti-spam? Non c'è bisogno che rispondi alla mail eh...era per sapere

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  17. Ricevuta e letta con attenzione.
    Ti devo una risposta che arriverà non appena riesco a trovare il temo da dedicargli, che in questi giorni è dura.

    Intanto ti ringrazio, che è un piacere ricevere certi stimoli (anche se questo non significa che io sia d'accordo con quel che scrivi! :-P)

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