23 gennaio 2013
Visioni: Cloud Atlas
"Guarda mamma, senza mani!"
È assai probabile che le mamme dei fratelli Wachowski e di Tom Tykwer siano molto orgogliose dei rispettivi figliuoli. Noi invece, che non siamo parenti, abbiamo fatto parecchia fatica a sopportare l'approccio del trio alla realizzazione di quell'assemblaggio ipertrofico di parole e immagini che risponde al nome di Cloud Atlas.
Se è vero che non ci siamo annoiati, nonostante le tre ore e passa di permanenza in sala, è altrettanto vero che ci saremmo aspettati uno spettacolo decisamente più maturo e consapevole di quello che invece ci siamo ritrovati a vedere.
È difficile riassumere la quantità di dubbi e perplessità che si sono sommate procedendo nella visione. Il primo ostacolo al godimento del film son state le maschere, le smorfie e le boccacce cui tutti gli attori (tolti giusto un paio) son stati costretti a ricorrere in questo o quel ruolo. Vedere in un film con le ambizioni di Cloud Atlas attori ridotti a macchiette e personaggi che per come sono presentati hanno nel grottesco l'unica possibile chiave di lettura è stata la prima grossa delusione.
Ma forse l'esempio più evidente dell'insopportabile sboronaggine cinematografica che ha guidato la realizzazione di Cloud Atlas sta a monte, nel voler legare a forza di chiacchiere e metafisica d'accatto sei storie che da sole non avrebbero retto, non dico un film intero, ma nemmeno un cortometraggio decente.
L'elenco dei difetti e dei limiti delle singole vicende sarebbe troppo lungo e noioso, preferisco quindi segnalare quel poco di buono che val la pena di salvare. E qui c'è forse l'aspetto più interessante, visto almeno l'hype wachoskyano che circonda la pellicola: in un'ipotetico confronto tra gli autori del film, che si son divisi equamente la regia delle storie da raccontare, il buon Tom Tykwer batte tre a zero i Wachowski bros.
Li batte perché l'unica storia in grado di reggersi sulle proprie gambe, ad avere una coerenza e una profondità che le altre si sognano, è quella del musicista, che invece di svilupparsi, come succede alle altre, sul doppio binario della narrazione singola, lineare e consolatoria, con elementi che rieccheggiano nel resto della pellicola, è decisamente più ricca di spunti e suggestioni, oltre a legarsi in maniera solida e funzionale alla macrostoria che la comprende.
Tom Tykwer esce vincente dal confronto anche perché, quando gira una storia già vista e sentita un milione di volte (penso al thrillerino anni '70), la riesce a rendere sufficientemente appassionante e viva grazie alla quantità di dettagli e riferimenti che pescano dritti dritti dall'immaginario dell'epoca, sfruttando al meglio due facce come quella di Halle Berry e Keith David che in nessun altro episodio di Cloud Atlas risultano altrettanto credibili.
Come se la batosta non fosse già sufficiente, ci si mettono gli stessi Wachowski, con quello che a mio avviso è più clamoroso autogol del film, ovvero l'episodio fantascientifico ambientato a New Seul, che sembra un riassunto di Matrix girato da un dilettante orbo, ma con un sacco di soldi da buttar via.
Detto della schiacciante superiorità autoriale teutonica, rimane da affrontare il nodo della presunta complessità di Cloud Atlas. Raccontare sei diverse storie, sovrapporne lo sviluppo, farle interagire una con l'altra, è certo idea ambiziosa, capace di rendere la pellicola ben superiore alla somma delle sue singole parti. Benché nel film si riconosca un'unità narrativa coerente, la scelta di amalgamare le sei storie grazie sì al montaggio, ma soprattutto per mezzo dell'ammorbante ripetizione dei mantra tipici del Wachowski pensiero: siamo tutti connessi, il passato influenza il futuro che influenza il presente che influenza…, il karma e la reincarnazione, la cattiveria conservatrice del potere di turno e gli occhioni dolci dei rivoluzionari, ecc. ecc. ecc. rendono il risultato finale ben poco soddisfacente. C'è nel film questa sovrabbondanza di chiacchiere che nelle intenzioni degli autori dovrebbe forse guidare lo spettatore, ma che invece di dare profondità al progetto lo rendono piuttosto confuso, mescolando idee condivisibili (il refrain dello scontro con l'inalterabile "stato naturale" continuamente ribadito dalle elité dominanti di ogni epoca) con quel pateracchio di filosofie da supermercato, amore consolatorio e reincarnazione ideale (son stato l'unico che a forza di tatuaggi ritornanti a un certo punto ha pensato ai midiclorian?) che ormai il marchio di fabbrica del duo americano. Se non siamo usciti del tutto delusi dal cinema, lo si deve alla curiosità di vedere fin dove si sarebbero spinti gli autori, anche se poi, a mente fredda, c'è da considerare che probabilmente è il montaggio l'unico elemento che ci ha salvato dalla noia e dalla confusione.
Ultima nota su quello che è forse l'aspetto di Cloud Atlas che più mi ha lasciato perplesso. Conoscendo i precedenti dei fratelli Wachowski, qualche dubbio sulle capacità narrative o sulla pesantezza ideologia del film potevo anche aspettarmelo, ero però sicuro che sarei rimasto stupefatto almeno della gestione della messa in scena, soprattutto per quanto riguarda i momenti d'azione della pellicola.
Quello che invece mi ha colpito è la mancanza di ogni gradualità nel ritmo del film, che è dotato di due sole modalità: on-off. Le scene d'azione esplodono improvvise, quasi a sorpresa, per poi spegnersi subito dopo, con lunghi momenti dominati da panoramiche e chiacchiere, il cui ritmo è dettato unicamente dal montaggio incrociato delle sei storie che si sovrappongono. Le scene d'azione sembrano calibrate al secondo per mantenere desta l'attenzione dello spettatore e per distrarlo dall'eccesso di verbosità, più che per portare avanti una necessità narrativa. Soprattutto danno l'impressione, quasi tutte, di ovvio e già visto, nonché di piuttosto povero visivamente, il che è piuttosto singolare visti gli autori a capo del progetto. Il risultato finale è talmente scontato da far pensare che il budget programmato per la pellicola se ne sia andato per scenografie, costumi e panorami, e quando poi è arrivato il momento di girare e quindi post-produrre, si sia scelta la strada più sicura per evitare eccessi di spesa e minimizzare i rischi.
Anche se non ho alcuna informazione riguardo le vicissitudini produttive di Cloud Atlas, quel che è certo è che mi aspettavo un film diverso. Magari più complicato, ma anche più profondo e coinvolgente, Invece ci siamo ritrovati ad assistere a un enorme dispiegamento di mezzi, a una costruzione narrativa ottimamente congeniata, ma priva di qualsiasi spessore. Sono convinto che i fratelli Wachowski e Tom Tykwer c'abbiano messo quel che di meglio avevano da proporre, noi d'altra parte ci abbiamo investito qualche decina di euro e tre ore del nostro tempo. Visto com'è andata, credo di poter vantare qualche credito nei confronti degli autori.
…
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io onestamente sono rimasto davvero impressionato. è un film in cui non ho visto tanto un intreccio di trame, perché i legami veri e propri tra le varie epoche sono molto fragili, quanto un'unità di temi e significati che attraversano buona parte della storia umana. in questo senso, mi pare che il film sia all'altezza delle aspettative, perché riesce a creare davvero un filo conduttore ideale tra le diverse storie, che pure sono indipendenti.
RispondiEliminaè vero che c'è un po' di mistica new age di troppo (anche se non so se l'accenno alla reincarnazione sia da intendere in senso letterale), ma il tema dell'interconnessinoe è quello centrale del film (e suppongo anche del libro) per cui va accettato per quello che è.
ah, un ultimo appunto: i fratelli wachowski non sono più fratelli perché uno dei due ha cambiato sesso!
Parto dal fondo, così ci togliamo di torno l'inghippo: per definire una coppia fratello-sorella si usa comunque la parola fratelli. Potrà anche suonare maschilista, ma non ho trovato alternative valide.
RispondiEliminaTornando al film, la mia critica era rivolta proprio a come "il filo conduttore" viene intessuto attraverso le singole storie. Dici giustamente che le sei vicende sono collegate piuttosto lassamente dal punto di vista della trama, eppure risultano comunque fittamente intrecciate grazie al notevole lavoro di montaggio e alla progressione parallela che le contraddistingue.
Dal mio punto di vista il filo conduttore che le lega non è abbastanza interessante (o meglio non viene reso abbastanza interessante) da valere tutto quello sforzo tecnico, vista soprattutto la banalità di quasi tutte le storie prese singolarmente.
Credo che reincarnazione e karma siano presi piuttosto sul serio nel film, altrimenti non si spiega l'utilizzo degli stessi attori in ruoli diversi. Scelta che immagino sia stata fatta per rendere evidente il percorso morale che i loro personaggi percorrono passando da un'epoca all'altra.
giusta osservazione, anche se io ho risposto pensando più alla formula "wachoski brothers": non so se in inglese vale la stessa regola... ma vabbè è solo una questione linguistica.
RispondiEliminail fatto è che a livello tecnico sono d'accordo con te: le singole storie sono quasi banali (quella negli anni 70 in particolare è un thriller davvero spicciolo, forse l'unica più articolata è la parte di new seoul, per quel poco di invenzione e le impilicazioni pseudoreligiose). però prese insieme e confrontate a me sembrano davvero assumere una prospettiva diversa. forse dipende in parte dall'effetto scenico del cinema, per quello infatti vorrei rivederlo a casa (magari in lingua originale) e valutare quanto sopravvive alla seconda visione. sta di fatto che, per quanto quello lanciato non fosse certo un messaggio "nuovo", mi abbia comunque raggiunto.
l'utilizzo degli stessi attori per ruoli diversi io l'ho interpretato come un modo per rendere più evidenti sempre le interconnessioni, ma non un riferimento esplicito alla reincarnazione. anche perché, soprattutto tra gli anni 40 e 70 alcuni personaggi si sovrappongono, mi pare. e il "percorso morale" di ognuno non è lineare, visto che ricoprono alternativamente ruoli positivi, negativi o anche del tutto secondari nelle varie epoche. questo comunque è aperto a interpretazione.
Personaggi & reincarnazione.
EliminaA me invece ha dato l'impressione di essere una scelta voluta.
Pensa a Tom Hanks, che parte da perfido assassino, rinasce come laido portiere, quindi diventa informatore, scrittore pulp con cui non si scherza (!), per chiudere come pavido ma responsabile salvatore del mondo.
A me pare che un percorso moralmente lineare si possa riconoscere.
Altrettanto riconoscibile, ma ribaltato, il destino dei personaggi interpretati da Hugo Weaving o da Hugh Grant, che rimangono nei bassifondi morali della pellicola dall'inizio alla fine.
Se apprezzo l'attenzione a questo aspetto del film, ho fatto invece fatica a sopportare sia la recitazione che il trucco imposti ai vari attori. Capisco l'esigenza di renderli ben riconoscibili tra le decine di facce che scorrono ininterrottamente sullo schermo, ma quei personaggi diventano troppo spesso la caricatura di se stessi per essere davvero credibili, e nel contesto di Cloud Atlas m'è parso un difetto piuttosto grave.
Ecco, adesso mi avete messo in difficoltà. Lo ignoro bellamente per dedicare il risicato tempo ad altro o lo visiono per dargli una possibilità? Certo che tre ore so tante!
RispondiEliminaSe in questi giorni hai tempo per un solo film io ti consiglierei di dedicarlo a Django. L'ho visto ieri sera, e beh… rispetto a Cloud Atlas non c'è confronto. I due film sono lunghi entrambi, ma alla fine di quello di Tarantino ero ben più soddisfatto.
EliminaDjango l'ho già visto. Sì, tanta robba.
EliminaNon il miglior film di Tarantino, ma un primo tempo strepitoso e nell'insieme rimane sempre dell'ottimo cinema a tutti i livelli. Mi ha un pelo deluso la parte finale, forse per la chiusura di una sceneggiatura senza troppe sorprese. Dal Quentin si pretende, d'altronde. :)
A me è parso un deciso passo avanti rispetto ai Basterds. Che ok diventare seri (si fa per dire) ma è comunque meglio farlo con la roba di casa.
EliminaTornando a Cloud Atls, credo valga la pena vederlo per la cura con è gestita la dimensione multipla del film. Ma se sei allergico alle sbrodolate pseudofilosofiche forse è meglio lasciar perdere.
"Dal mio punto di vista il filo conduttore che le lega non è abbastanza interessante (o meglio non viene reso abbastanza interessante) da valere tutto quello sforzo tecnico, vista soprattutto la banalità di quasi tutte le storie prese singolarmente."
RispondiEliminaProprio quel che ho pensato io.
Ho visto quel che dicevi da te, e beh… direi che il commento migliore rimane quello di Niccolò, che quoto in toto.
EliminaA me m'ha fregato il trailer, che prometteva ben più di quello che poi s'è visto.
E a proposito dell'utilizzo degli stessi attori nelle diverse storie. Non lo trovo giustificato.
RispondiEliminaSe la risposta è "reincarnazione", boh, trovo la cosa un po' banalotta.
Banalotta tale e quale il resto del "messaggio" del film, no?
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