27 novembre 2006

Flickr, lasagne & cioccolato


Picture by Iguana Jo.
Ripensando alle mie esperienze sociali, credo di poter affermare che negli ultimi anni qualche miglioramento c'è stato. Una volta evitavo il più possibile ogni possibilità di incontro che riguardasse più di quattro persone. Non era una novità il fatto che preferissi di gran lunga stare per i fatti miei piuttosto che in compagnia, che la mia capacità di chiacchierare col prossimo rasentasse lo zero, che sebbene le persone in genere mi piacciano non andassi pazzo per le occasioni conviviali.
Ma le cose cambiano. Ultimamente il ritrovarmi in mezzo a gruppi eterogenei di persone non è più cosa così rara e inconsueta e l'apprezzare la compagnia di altri esseri umani è decisamente salita nella mia personale graduatoria delle attività gratificanti. Questo ovviamente non significa che gli altri apprezzino necessariamente la mia, di compagnia. Ma mi pare già qualcosa, no?

Vedi domenica per esempio. A parte ogni considerazione sulle quantità smodate di cibo che un essere umano medio è capace di ingurgitare quando messo nelle giuste condizioni. sull'altrettanto stupefacente effetto di sobria gaiezza capace di infondere un bicchiere di vino di quello buono (uno? vabbé, si fa per dire…). A parte tutti questi dettagli è bello scoprire che l'umanità in fondo non fa schifo, che in compagnia ci si sta bene, che anche i fotografi virtuali hanno un'anima. Vabbé, non voglio farla troppo lunga, che in fondo questo doveva essere solo un post di ringraziamenti. Ecco quindi qui di seguito i prodi flickriani che hanno sopportato ancora una volta la mia compagnia: grazie a Sarmax, alla Lui, a Matteo, a Simona, e grazie anche a Clay, Domenico, Marco ed Elena, che se pure non sono flickriani doc sono sempre delle belle persone. Un grazie anche ad Annalisa, che se ormai alla compagnia del sottoscritto dovrebbe essersi assuefatta, è comunque sempre in prima linea quando si tratta di rifocillare, intrattenere, ospitare gli amici che ci vengono a trovare.
Grazie a tutti per la splendida giornata. A presto.

Ah… dimenticavo, non so le foto degli altri, ma le mie non sono un gran che. È difficile scattare quando hai in una mano un bicchiere di vino, con l'altra stai cercando di ripulire il piatto che altrimenti ti perdi i dolci che i tuoi simpatici commensali ti stanno sfilando da sotto il naso e nel frattempo stai cercando di imbastire un discorso sensato sulla vita l'universo e tutto quanto… Per stavolta accontentatevi.

24 novembre 2006

Modena City (r)Amblers


Picture by _Drugo.
Ma che fine hanno fatto i Modena City Ramblers?
Come ha fatto Cisco a ridursi così?

In questi giorni m'è capitato di ascoltare su KRock (sempre sia lodata) qualche brano dei nuovi dischi dei due soggetti summenzionati. Per quanto affetto possa avere per i compagni modenesi, per quanta simpatia possa nutrire per le loro posizioni politiche, sono sempre più dell'idea che se avessero chiuso li le loro rispettive attività sarebbe stato meglio per tutti. Almeno il ricordo della gloria passata avrebbe continuato ad alimentare il fuoco dei Ramblers.

Già in Viva la Vida si riusciva ad intuire che buona parte della forza se n'era andata, che un paio di grandi pezzi non bastano a rendere memorabile un disco, Mi son detto che forse era solo Cisco ad essere scarico (e sentire il suo esordio solista non fa che confermare la mia impressione). Purtroppo, per quello che ho sentito, questo Dopo il lungo inverno è davvero triste: più che canzoni si ascoltano lamentazioni, più che rock'n'roll nenie parrocchiali.
Dove sono finite la rabbia e il divertimento? La passione e l'orgoglio? Tutta la trascinante energia della loro musica? L'impegno non basta a fare poesia, figuriamo un disco dei Ramblers (almeno dei Ramblers che ricordo io).

Di gente che predica ce n'è già fin troppa in giro, ed essere dalla parte giusta non è mai una buona scusa per limitarsi a campare.
Siete una band di rock'n'roll o no?

Dimostratelo.


22 novembre 2006

Signore della luce


Picture by Jack Brozina.
Roger Zelazny mi sta cordialmente antipatico sin dalle mie prime esperienze di lettore. La sua presunta ricercatezza stilistica, l'insistenza su certe tematiche superomistiche, i suoi personaggi monodimensionali non me l'hanno mai fatto annoverare tra i miei autori di fantascienza preferiti.
Però in molti mi hanno continuato a ripetere negli anni quanto fosse bravo, quanto abbia contribuito a rinnovare la fantascienza, e soprattutto quanto i suoi primi romanzi fossero notevoli anche rispetto alla sua produzione successiva.
L''uscita su Urania Collezione di Signore della luce, unanimemente ritenuto la sua opera più riuscita, mi ha dunque costretto a dare un'ultima chance all'autore americano.

Beh… devo dire che rispetto alle altre sue cose lette (con la parziale eccezione di Io, Nomikos l'immortale) questo Signore della luce ha sicuramente dei pregi: la storia è sufficientemente avvincente, il montaggio della vicenda è efficace, la rivelazione progressiva della natura del mondo è ben calibrata e le sorprese non mancano.
Il romanzo si fa dunque leggere senza opporre eccessiva resistenza. Nonostante il caratteristico stile pomposo e l'ambientazione pseudo-esotica l'autore è riuscito a destare la mia attenzione.

In effetti proprio l'inusuale ambientazione poteva essere uno dei motivi di interesse del romanzo. Il mondo presentato da Zelazny ha come protagonista l'intero ricchissimo pantheon induista che l'autore non sfrutta solo per l'abbondante quantità di nomi e caratteristiche di dei, semidei e demoni vari, ma che invece utilizza come approfondita base per strutturare coerentemente tutta la società.
Lo sforzo di documentazione e citazione dell'autore è davvero notevole, ma secondo me non è sfruttato come avrebbe dovuto per quanto riguarda i personaggi: le loro motivazioni e soprattutto le relazioni che instaurano tra loro continuano ad avere un forte sapore occidentale. La qual cosa è anche comprensibile (i primi fondatori della civiltà planetaria non sono di origine indiana) ma procedendo nella lettura provoca un senso di sfasamento e di incoerenza tra la forte struttura simbolica dell'ambientazione e l'approccio totalmente mondano degli uomini e delle divinità coinvolti nella vicenda.
C'è poi da aggiungere che il background indiano è sfruttato narrativamente solo parzialmente, anche se in maniera fantascientificamente brillante, unicamente per spiegare l''eterno ciclo di rinascita che caratterizza la vita di tutti gli umani del pianeta.

In definitiva in questo Signore della luce ci sono tutte le caratteristiche di Zelazny che trovo irritanti (i superuomini sempre sull'orlo della crisi di nervi, l'eroe perfettamente imperfetto, la folla adorante - e sacrificabile - in attesa del salvatore, un linguaggio che cerca uno stile aulico/letterario/epico ma che a me fa venire il latte alle ginocchia, la pressoché totale mancanza di senso dell'umorismo), ma nel complesso la storia ha una sua forza e le vicende di queste pseudo divinità indiane si fanno leggere fino in fondo.

20 novembre 2006

17 novembre 2006

One from the Storr

picture by Iguana Jo.
Meraviglie della rete: mi sono accorto che la pagina di flickr della foto che vedete qui a fianco è stata visitata oltre 5000 volte! Son numeri che fanno impressione, non trovate?

Non discuto la qualità dell'immagine, vedere quanto è piaciuta è per me già una grande soddisfazione.
La quantità di visitatori e tutti gli apprezzamenti che questa foto ha ricevuto in questi mesi rappresentano un giusto tributo a un luogo fantastico. Dopotutto per me questa è solo una foto ricordo: quando la riguardo non vedo la foto, ritrovo invece quello straordinario panorama.
Ripenso alla salita per arrivare in cima, a Jacopo che non è mai stato un gran camminatore e che invece quel giorno è partito in quarta, non si fermava più e che anzi incitava Francesco a continuare la salita.
Ripenso alle montagne (e montagna pare una parola enorme per un posto che sarà si e no qualche centinaio di metri sul livello del mare) che sono così diverse e così simili a queste rocce scozzesi, sento il vento, la terra morbida sotto i piedi, le pecore che zompettano tra l'erba, il sole che improvvisamente squarcia le nuvole.

Insomma, mi manca la Scozia, mi manca una bella camminata nei boschi, mi mancano il senso di libertà e avventura, la fatica della montagna.

Ma domani vado a Bolzano.
Chissà, magari ci scappa pure un giretto tra i monti…

15 novembre 2006

Parliamo di Gaiman?

Picture by Iguana Jo
Che Neil Gaiman sia bravo è un dato di fatto condiviso da un sacco di gente, me compreso. Sono però dell'idea che Gaiman riveli il meglio di se solo in determinate condizioni, che non tutte le sue opere siano ugualmente meritorie, che anzi stia progressivamente annacquando le sue migliori caratteristiche.

Gaiman rivela il meglio di sè quando ha il pieno controllo del mondo che racconta. Tolto Sandman, che meriterebbe di essere trattato a parte vista la sua eccezionalità, nei suoi romanzi è evidente un diverso approccio e una diversa qualità a seconda che si tratti di opere decisamente fantastiche o di romanzi dove il fantastico si intreccia con la nostra realtà condivisa.

Cos'hanno Coraline e Stardust in comune, e in cosa sono diversi (e migliori) rispetto a American Gods o a I ragazzi di Anansi, romanzi successivi e certo più ambiziosi?

Le avventure della bimba nella casa parallela o la ricerca di Tristran si svolgono in mondi chiusi, mondi in cui il controllo dell'autore è totale, mondi in cui non si muove foglia che lui non voglia. L'invenzione regna suprema, il fascino che questi luoghi hanno sul lettore è ineguagliabile: c'è magia e sostanza, emozione e partecipazione, tensione e divertimento. Cosa chiedere di più?
Magari un maggiore approfondimento, un romanzo più sostanzioso, una trama più complessa.
Ed ecco allora American Gods e I ragazzi di Anansi. Però qualcosa non funziona, non si prova lo stesso coinvolgimento, la scrittura per quanto brillante non colpisce con la stessa forza. La causa di tale distanza, che caratterizza entrambi i romanzi, è a mio avviso l'impossibilità per l'autore di avere il controllo totale della materia narrata. Gaiman ha bisogno di creare una realtà altra per poter affascinare e coinvolgere il lettore, che non appena il mondo che condividiamo prova a rivendicare la sua ingombrante presenza si iniziano ad avvertire i limiti della sua scrittura.

Sia American Gods che I ragazzi di Anansi sono romanzi piacevoli, avvincenti, ricchi di suggestioni e fascino, però non sono i Grandi romanzi che avrebbero potuto essere.
In entrambi Gaiman non osa fare il passo definitivo, preferisce chiudere gli occhi, evitare il confronto e limitarsi all'innocente invenzione fantastica, ad un mondo in cui nessuno si fa male per davvero.
Perché se anche Shadow & Charlie si muovono tra noi fanno di tutto per evitare di rimanere coinvolti. Tutte le scene in cui li si vede agire nel mondo si svolgono in posti chiusi, ristretti, luoghi in cui il rumore del mondo è ridotto al minimo indispensabile, quasi a una nota di colore, situazioni in cui la realtà è un dovere più che una necessità narrativa.

Certo, il risultato non è niente male e forse questo è il meglio che Gaiman è in grado di produrre.
Però a me dispiace, perché Coraline o Stardust mi hanno entusiasmato come solo Sandman era riuscito a fare e scorgere i limiti di quello che consideri uno dei tuoi autori preferiti non è mai una bella cosa. Soprattutto quando sei convinto che Gaiman abbia tutte le capacità e gli strumenti per immergersi completamente nella realtà e trarne conclusioni sorprendenti oltre a risultati più che soddisfacenti.
E il dubbio che non riesco a scacciare è che il buon Neil abbia scelto consapevolmente la strada più facile, quella che gli porta il massimo guadagno col minimo sforzo, una strada piena di luci ma che temo si rivelerà solo un vicolo cieco, almeno per questo lettore.

09 novembre 2006

Barrayar mon amour

Autumnal Mood
Picture by Iguana Jo.
E così è finita. Dopo 14 volumi la saga di Miles Vorkosigan sembra proprio essere giunta al capolinea anche per il sottoscritto.

Per me è finita. Ma forse l'ignaro lettore capitato per sbaglio in questo blog non ha la più pallida idea di chi o di che cosa io stia parlando. Ecco quindi qualche indizio per avvicinarsi al miglior ciclo fantascientifico mi sia mai capitato di leggere.

Lois McMaster Bujold ha il merito di essere la prima autrice che mi ha costretto a divorare un'intera saga in più volumi.
Scrivo divorare perché è quello che mi è sempre successo con tutti i romanzi del ciclo dei Vor. Se Immunità diplomatica, l'ultimo romanzo della serie, l'ho conservato per più di due anni prima di leggerlo è proprio perché sapevo che nonostante le sue 350 pagine sarebbe finito in fretta e poi addio.

Ma cos'hanno le storie della Bujold di tanto speciale da creare dipendenza?
I suoi romanzi non hanno particolari pregi stilistici, anzi. La scrittura è piuttosto piatta e lo svolgimento lineare, le invenzioni fantascientifiche non sono particolarmente innovative, i mondi e le società che tratteggia non brillano certo per originalità (anche se Cetaganda…).
Immergersi nell'universo dei Vor è un'esperienza di lettura unica soprattutto per l'incredibile miscela di leggerezza e complessità, per la disarmante umanità e l'abbondante ironia che contraddistingue le vicende di Miles e compagnia.
Miles Vorkosigan è il figlio sfigato di una nobile famiglia (ed eccezionale, se non altro per le origini) nel tetro e militarista mondo di Barrayar. Nato deforme a causa di un attentato alla madre incinta, ma contraddistinto fin da subito da una volontà ferrea e da una mente ossessiva, il buon Miles si farà strada nell'universo grazie al suo cervello e alla compagine di personaggi più o meno emarginati, più o meno scoppiati, che incontrerà nelle sue avventure.
Il tutto narrato con un tono leggero che non tralascia gli aspetti più cupi dell'esistenza ma che riesce comunque a non dimenticarsi quelli più giocosi e allegri, un raccontare che passa dai turbamenti amorosi che contraddistinguono l'esistenza di Miles alle più tetre riflessioni sulla manipolazione genetica, dalle sfrenate scene di azione alle drammatiche conseguenze dei pregiudizi dettati dall'ignoranza.

La saga si sviluppa per una dozzina di romanzi (tutti rigorosamente autoconclusivi) e un manciata di racconti in un crescendo continuo: dai primi romanzi che ancora soffrono di qualche piccola incertezza al capolavoro assoluto del penultimo capitolo dela vita di Miles, quel Guerra di Strategie che è la miglior commedia romantica mi sia mai capitato di leggere, dentro e fuori dall'ambito fantascientifico.

Leggetevi la Bujold insomma, che anche se non scrive opere rivoluzionarie, ne farà mai parte di alcuna avanguardia letteraria, scrive romanzi avvincenti, brillanti, intelligenti. Tre cose che nella fantascienza popolare degli ultimi decenni sono diventate sempre più rare e introvabili.

…………………………………………………………

Qui di seguito l'elenco dei volumi in ordine cronologico interno alla saga (diverso dall'ordine di pubblicazione originale dei singoli romanzi riportata a fianco del titolo):

- L'onore dei Vor, 1986
- Barrayar, 1991
- L'apprendista ammiraglio Vorkosigan, 1997
- Il gioco dei Vor, 1990
- Cetaganda, 1996
- La spia dei Dendarii, 1986
- L'eroe dei Vor, 1989 (racconti)
- Il nemico dei Vor, 1989
- I due Vorkosigan, 1994
- Memory, 1996
- Komarr, 1998
- Guerra di Strategie, 1999
- Festa d'inverno a Barrayar. 2004 (romanzo breve)
- Immunità diplomatica, 2002

06 novembre 2006

Quello che fotografa

Before/Prima
Picture by Iguana Jo.
Mi chiedono una presentazione, qualche parola per presentare le mie foto. Non sono abituato a parlare di me, preferirei che le foto parlassero da sole. Però mi piace provare a fare cose nuove, e quindi eccomi qua.

Un tempo c'erano i viaggi e la necessità impellente di fissare ricordi: un panorama indimenticabile, un momento prezioso, un luogo appena scoperto. Una volta c'era la pellicola. C'era il momento dello scatto, quello dello sviluppo e poi, ultimo, il momento della visione. La fotografia nasceva ed era vissuta in tutto il suo processo come ricordo, come memoria.

Le cose cambiano.
I viaggi ci sono ancora e le foto ricordo pure, ma col tempo tra i miei scatti sono spuntate anche le persone, i particolari, le situazioni.
Poi è arrivata la fotografia digitale, e da quel momento per me è cambiato tutto.

Fermare l'attimo non è più (solo) memoria. Diventa invenzione, rivelazione.
Ora la fotografia è un mezzo per intravedere nuovi mondi dietro il velo di quello condiviso. Mi offre la possibilità di far parlare i luoghi con parole che nemmeno conoscevano.
Lavorare sulle immagini diventa un modo per rimodulare la realtà.

Fissare un'immagine è contemporaneamente una forma di inganno e una sorta di rivelazione. Insieme a ciò che fotografiamo nascondiamo e raccontiamo l'occhio, la visione, del fotografo. L'obiettivo è unire l'emozione all'informazione, la percezione al sogno, la verità alla finzione.
Io l'ho scoperto solo da poco, e queste sono alcune delle immagini che ho incontrato, che ho inventato lungo la strada.

04 novembre 2006

Sincronicità

Mr Kurtz was here
Picture by Iguana Jo.
Ieri qui è nata una piccola discussione sulla fotografia, il suo rapporto con la realtà, il confronto con altre forme d'arte.
Sempre ieri, vagando tra gli amici in rete ho beccato da zio Gil questa sua straordinaria definizione:

Una fotografia è la rappresentazione piatta e monosensoriale di una realtà a quattro dimensioni che coinvolge cinque sensi. Non c'è confronto, a meno di usare qualche trucco. (Ritoccare le immagini) non è tanto diverso dal preoccuparsi che il soggetto della foto sia ben illuminato e isolato dallo sfondo; o dalla scelta dell'inquadratura; o dalla cura nella composizione.
E' un tentativo come un altro di includere nell'immagine finale tutto il lavoro inconscio di selezione che il cervello opera quando osserviamo qualcosa dal vivo.


Quando si parla di coincidenze.

02 novembre 2006

Rabbia per i morti, pietà per i vivi.


Originally uploaded by Iguana Jo.
Come si fa a 35 anni ad andarsi a schiantare dopo la discoteca?
Come si fa morire in maniera più stupida stupida stupida di così?

Quante volte l'abbiamo già letto, visto, sentito? Quante volte lo abbiamo pensato?
Oggi è toccato a me andare a un funerale.

Matteo non era un amico, avevamo lavorato insieme qualche anno fa, era solo una persona che ti trovi inconsapevolmente al tuo fianco, un altro essere umano che per un po' ha fatto parte della tua vita. Mi piaceva Matteo. Per quel che valgono le impressioni a me è sempre sembrato uno buono, era allegro e generoso e disponibile. Matteo aveva gli occhi lo sguardo da bambino, ed è così che mi piace ricordarlo. Ma non so cosa cercasse, quali fossero le sue priorità. Se era felice.
Ora è morto.

Meritava una fine migliore.