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19 dicembre 2012

Letture: Ghosh, Tonani, Grimwood, Year's Best

© giorgio raffaelli
Mare di papaveri, di Amitav Ghosh
Erano anni che non leggevo un libro come Mare di papaveri. Un romanzo con l'ambizione di ricreare la realtà ad uso e consumo della Storia. Un racconto in cui già la scelta della lingua (della narrazione, dei personaggi) plurale, straniera, imbastardita, sporca e colorata, narra di mondi diversi che si scontrano, mescolano, separano. Questi molteplici mondi sono quelli dell'India dell'ottocento, che Amitav Ghosh ritrae in una storia ricchissima di suggestioni, avventurosa, appassionante, meravigliosa.
Erano anni che non leggevo un romanzone simile, forse l'esempio più prossimo nella mia esperienza è La vera storia del pirata Long John Silver, che certo, è parecchio diverso da Mare di papaveri, ma che però m'è tornato in mente un po' per lo sfondo marinaro, ma soprattutto per il dettaglio storico, la passione della scrittura e l'avventura che permea ogni pagina.
Erano anni che non leggevo Amitav Ghosh. Dopo il folgorante Il Cromosoma Calcutta e il meraviglioso Il cerchio della ragione avevo perso di vista l'autore indiano. Sapere che Mare di papaveri è il primo volume di una trilogia, che nelle intenzioni dell'autore dovrebbe completarsi nel prossimo futuro, è un ottimo motivo per tenerlo d'occhio, sperando nella puntualità delle prossime uscite.


Infected Files, di Dario Tonani
Infected Files raccoglie il meglio della produzione breve di Dario Tonani, ed è un ottimo campionario dei temi e delle visioni che caratterizzano la fantascienza dell'autore milanese. Dall'ossessione per la macchina, all'angoscia tecnologia, dalle tinte ipersature dei suoi panorami urbani, alla distruzione del corpo (trasformato, mutilato, ferito e riciclato), la tavolozza fantascientifica di Dario Tonani ha tutti i colori per avvincere e irretire il lettore.
Nei racconti del volume è evidente come ciò che all'autore riesce meglio sono la costruzione della scena, il colpo a effetto, lo splendore del dettaglio meraviglioso (per quanto spaventoso possa essere) su uno sfondo opaco, squallido e terminale. Quel che invece ho avvertito come un limite è l'incapacità di andar oltre la superficie immediata delle cose per suscitare nel lettore la consapevolezza di una complessità che invece sfugge, relegata in un angolo dal clamore delle esplosioni o da quello dei sentimenti (sempre straripanti in queste storie). Dario Tonani possiede un talento innegabile nel dar corpo scritto alle sue visioni, che affascinano come raramente accade nei territori della fantascienza nostrana. Pazienza dunque se nelle sue storie non riesco a percepire qualcosa di più dello sbarluccicare dei primi piani sullo sfondo della desolazione circostante.
Nota finale sulla scelta dei racconti presenti nel volume: ho trovato piuttosto inutili quelli relativi alla Milano infect@, mentre ho sentito la mancanza di un racconto come L’uomo dei pupazzi di schiuma che credo sia, con Le polverose conchiglie del mattino, tra le cose migliori Dario Tonani abbia scritto.


Stamping Butterflies, di Jon Courtenay Grimwood
Dopo averlo scoperto con la trilogia arabesca non vedevo l'ora di leggere un nuovo romanzo di Jon Courtenay GrimwoodStamping Butterflies non delude le aspettative, tornando ancora una volta in Nordafrica (questa volta siamo a Marrakech, Marocco), per raccontare una storia che spazia dagli anni '70 dello scorso secolo fino a un futuro talmente estremo da diventare fantastico. Nel mezzo una manciata di personaggi segnati dal dolore, vittime di forze sui cui non hanno alcun controllo, che non possono far altro che resistere strenuamente fino alla catastrofe finale e a nuovo inizio, che non cancella nessuna delle tragedie della storia, ma che offre un qualche minimo barlume di speranza.
Jon Courtenay Grimwood riesce a essere spietato e commovente, con occhio attento all'umanità invisibile che ci circonda e una grandissima abilità nel calibrare il passo di un racconto sempre sospeso tra universi apparentemente inconciliabili (il Marocco anni '70, il presente del romanzo e l'insieme dei mondi dominati da un imperatore cinese dell'estremo futuro), senza perdere l'attenzione del lettore e il senso di una storia sempre in bilico tra meraviglia e orrore.
Stamping Butterflies è un gioco di equilibri pressoché perfetti, dove il rischio di cadere nel patetico, se non nel ridicolo, si sfiora ad ogni passo, ma che grazie all'attenzione di Grimwood per il dettaglio e a una sensibilità non comune, si regge straordinariamente in piedi a ogni ulteriore rivelazione della trama, tanto da riuscire a rendere credibile e sensato anche quel che fino a poche pagine prima credevi impossibile.


Graffiti nella biblioteca di Babele, a cura di David G. Hartwell & Kathryn Cramer
La raccolta del meglio dell'anno pubblicata da Urania l'estate scorsa presentava al pubblico italiano il volume dedicato al 2010, saltando quindi due anni (l'ultimo millemondi che presentava il Best of curato da Hartwell & Cramer riguardava i migliori racconti del 2007), per mettersi in pari con l'edizione americana dell'antologia. Non so quanto l'avvcinamento temporale abbia contribuito, ma ho trovato che questa raccolta presentasse mediamente storie più interessanti di quelle delle annate precedenti.
Come sempre accade in queste raccolte antologiche, anche in questo volume ci sono storie che ho sentito più vicine e altre che non sono riuscito ad apprezzare quanto sembra meritassero. Tra i ventuno racconti ce ne sono un paio che da soli valgono il prezzo del Millemondi. Sono Dalla lontana Cilenia di Karl Schroeder, in cui le speculazioni sull'evoluzione di comunità virtuali transnazionali autonome si sviluppa sulla base di una doppia indagine spionistica e personale, e Il ragazzo di Jackie, di Steven Popkes, racconto in cui storia di formazione e riflessioni su intelligenza non umana si fondono con sensibilità a un solido per quanto tradizionale scenario post apocalittico.
Se i due racconti menzionati spiccano sugli altri non vanno comunque dimenticati i contributi di autori affermati come Haldeman o Swanwick che percorrono in maniera molto soddisfacente la via dei classici, o quelli di nomi a me sconosciuti come Vandana Singh, Sean Mcmullen e Paul Park che innestano con buoni risultati nuove suggestioni a temi già ampiamente percorsi.
Nel complesso Graffiti nella biblioteca di Babele s'è rivelata un'ottima lettura, di una buona spanna superiore alla media dei volumi analoghi degli  ultimi anni.

03 dicembre 2012

Fantascienza in arrivo: Stephenson, Ruff, Scalzi, Mitchell, Tonani

© giorgio raffaelli
Una veloce segnalazione di novità fantascientifiche in libreria per cominciare bene la settimana.

Cominciamo da Fanucci che dopo aver pubblicato William Gibson (a proposito, l'ebook di Zero History è finalmente disponibile), fa uscire in questi giorni l'ultima fatica di Neal Stephenson Giochi Mortali (Reamde in originale).
Per chi ancora non lo conoscesse, in questi post trovate qualche riferimento all'autore americano.

Sempre Fanucci pubblica False Verità (The Mirage) di Matt Ruff, che io ricordo per lo splendido Acqua, Luce & Gas, romanzo che risale ormai al secolo scorso ma che rimane una lettura fondamentale, in equilibrio com'è tra distopia e demenziale.

Da Gargoyle è in arrivo un nuovo romanzo di John Scalzi, Le brigate fantasma (The Ghost Brigades, uscito nel 2006 in originale), collocato nello stesso universo di Morire per vivere (Old Man's War) uscito per lo stesso editore quasi un anno fa.

Frassinelli  riporta invece in libreria L'atlante delle nuvole, presentato a 'sto giro con il titolo originale Cloud Atlas per cercare di sfruttare il traino del nuovo film dei fratelli Wachowsky. Di David Mitchell, autore del romanzo, s'è parlato un paio di volte anche qui dentro.

Per finire una novità nostrana: da Delos Books è arrivato in questi giorni in libreria Mondo9, ultima fatica di Dario Tonani. Lo strillo che ne annuncia l'uscita "Un delizioso incubo steampunk che cola sangue e olio da ogni fessura" non lascia molti dubbi sul contenuto del romanzo. Anche per Tonani segnalo i post in cui s'è parlato dei suoi romanzi.


Buone letture!

19 ottobre 2011

Cronaca di una resa

OPG 20 by Iguana Jo
A photo by Iguana Jo on Flickr.
Questo post avrebbe dovuto intitolarsi: Letture. Toxic@ di Dario Tonani, ma purtroppo non sempre le cose vanno secondo i nostri desideri.
Non vedevo l'ora di leggere il seguito di Infect@, tanto che appena acquistata l'ultima fatica dell'autore milanese l'ho messa subito in cima alla pila dei libri in attesa di lettura. In quei giorni ero ancora alle prese con A Dance with Dragons, ma non appena finito il volumazzo di Martin ho iniziato Toxic@ con grandi aspettative e la miglior disposizione d'animo possibile.

Il romanzo parte bene come il suo predecessore, ma poi, procedendo nella lettura, si incappa in tutta una serie di imperfezioni che tolgono via via ogni divertimento e rendono il lettore (questo lettore) sempre più ostile e disincantato nei confronti della sostanza stessa della narrazione.
E allora, per non fare un torto a Dario Tonani, che reputo persona per bene e scrittore capace, ho preferito mollare la lettura, che evidentemente abbiamo opinioni diverse su quel che oggi si può considerare buono e accettabile, si tratti anche solo di letteratura d'intrattenimento.

Spero per lui nel prossimo giro, che mi auguro abbia un trattamento (almeno una lettura preliminare!) più attento e accurato di questo Urania.

04 febbraio 2010

Sawyer vs. Tonani


Picture by Luis Carlos Araujo.
Questo post nasce dalla costola di una discussione, lunga, accesa e spigolosa, nata dalle mie osservazioni su Il quinto principio e proseguita sulla Mailing List di Fantascienza, avente come nucleo del contendere la liceità o meno della lettura parziale di un'opera per giudicarla, la soggettività e l'oggettività della critica letteraria, il presunto pregiudizio del commentatore nei riguardi della fantascienza italiana.
A margine della discussione c'è stata anche la seguente osservazione:

"Forse ricorderai che quando si parlava dell'ultimo Tonani avevo tirato fuori la genesi della specie di Sawyer. Non è che sia ossessionato da Sawyer, ma davvero mi sembra un caso di scuola: lì ci sono tutti, ma proprio tutti, i difetti che la vulgata attribuisce alla sf italiana. Personaggi presi pari pari dai luoghi comuni, trama tenuta insieme con lo sputo, falle logiche da far rizzare i capelli e via di seguito. Eppure nessuno si è scandalizzato, anzi, non se ne è accorto proprio nessuno."

A cui io rispondevo:
"A me Sawyer era piaciuto. La sua è proprio quel genere di fantascienza "classica" che qua in italia non è mai mai nato. (l'esempio più prossimo è forse Alberto Cola - almeno le prime cose che ho letto: plot potente, personaggi immediatamente riconoscibili, poche menate e via che si va…).
Forse sarebbe interessante annotare quali sono le differenze nella mia percezione tra un romanzo di Sawyer e quelli, chessò, di Dario Tonani o di Vittorio Catani o di Giovanni De Matteo."


Questo post cerca di evidenziare le ragioni per cui il mio personalissimo giudizio sulla trilogia Neanderthaliana di Robert J. Sawyer (La genesi della specie, Fuga dal pianeta degli umani, Origine dell'ibrido ) è in definitiva migliore di quello formulato dopo aver letto L'algoritmo bianco di Dario Tonani.

La prima cosa da dire è che il sottoscritto potrebbe fare anche a meno della fantascienza di Sawyer: i suoi sono romanzi elementari per struttura, stile, speculazione. In nessuno dei libri di Sawyer si raggiungo quelle vette dell'immaginazione o della scrittura che ti rendono memorabile un romanzo. Ma Sawyer non è un dilettante, è un ottimo professionista che rimedia con lo studio, la preparazione e il metodo a quelle che potrebbero apparire come serie mancanze.
In questo senso leggere Sawyer non è mai una perdita di tempo. Nella sua trilogia Neanderthaliana non ci sono evidenti sciocchezze, non ci sono personaggi incoerenti o svolte palesemente improbabili. C'è l'invenzione e la speculazione che ci si attende da una buona storia di fantascienza classica, in cui date certe premesse il resto dovrebbe scorrere liscio come l'olio con magari qualche impennata nel ritmo per quel paio di svolte più o meno sorprendenti nel plot. L'originalità del progetto non è dovuta a chissà quale nuova idea, semmai all'ottimo world-building, così come la lettura non è resa avvincente da improvvisi scarti narrativi, quanto piuttosto dalla presenza di personaggi ben delineati e immediatamente identificabili.
In lista mi è stato fatto presente che non tutto nelle storie di Sawyer funziona a puntino, che ci sarebbero personaggi improbabili e avvenimenti realisticamente poco credibili. Dal mio punto di vista posso dire che se è vero che alcuni personaggi compiono azioni non propriamente consone alla situazione in cui sono calati, questi episodi non mi hanno dato eccessivo fastidio, un po' per la consapevolezza della realtà romanzesca in cui si ritrovano ad agire, un po' perché non hanno fatto saltare la soglia critica alla mia sospensione dell'incredulità.
Stessa cosa potrei dire per la questione delle conseguenze poco credibili ai fatti che avvengono nel romanzo. Ma dovrei anche precisare che per me il cuore della trilogia stava nella creazione della civiltà Neanderthaliana della Terra parallela. Il fatto che il resto della vicenda fosse costretto a piegarsi in qualche modo a quella particolare invenzione narrativa era scritto tra le righe nel patto stipulato tra lettore (questo lettore!) e l'autore del romanzo.

Discorso opposto per Dario Tonani. La scrittura dell'autore italiano è incomparabilmente superiore a quella del canadese Sawyer sia per la ricchezza delle suggestioni che emergono dalle sue pagine, sia per la resa cromatica unica del mondo in cui immerge le sue storie.
Riconoscendo questa superiorità stilistica io mi aspetto la stessa qualità anche nelle componenti prettamente narrative dei suoi romanzi: nella struttura del plot, nella creazione dei personaggi, nelle invenzioni che caratterizzano fantascientificamente le sue storie.
Se per quest'ultimo aspetto L'algoritmo bianco regge tranquillamente il confronto con i romanzi di Sawyer, la struttura del plot e soprattutto i personaggi non sono mai all'altezza dello scenario che Dario Tonani dispiega come elemento fondante la sua fantascienza. Non lo sono per due dettagli fondamentali: mancanza di profondità e coerenza.
I personaggi di Robert J. Sawyer risultano immediatamente riconoscibili. Questo significa che il lettore non fa nessuna fatica a seguirli e a immedesimarsi nei loro panni, di conseguenza nel corso della lettura non si generano mai confusioni di ruoli o sovrapposizione d'intenti. Certo, nessun personaggio rimane indelebilmente impresso nella memoria, Ponter Bondit non è un Elethiomel o un Prabir, ma tutti risultano egualmente vivi e reali agli occhi del lettore. Ne L'algoritmo bianco, al contrario, motivazioni e personalità del protagonista risultano parecchio vaghe se non palesemente incoerenti e quasi tutti i comprimari si perdono irrimediabilmente nello sfondo.

Un'altra differenza sostanziale tra i due autori sta nel peso della componente speculativa all'interno dei rispettivi romanzi. Se Tonani è superbo nella creazione e nella descrizione del suo mondo fantastico, il ruolo riservato all'estrapolazione speculativa della realtà fittizia in cui si svolge l'azione è lasciato più all'interpretazione del lettore, alla sua suggestione, piuttosto che all'intervento esplicito di una componente informativa. Questo non è un difetto, stante appunto la padronanza che ha l'autore delle capacità evocative della sua scrittura. D'altro canto Sawyer rimedia abilmente ai suoi limiti compositivi riuscendo a infilare nel racconto una messe di informazioni sorprendenti, realistiche e particolareggiate che ben difficilmente è riscontrabile in un normale romanzo di fantascienza italiana (a me è rimasta particolarmente impressa la digressione sulla presunta superiorità etica di una società di cacciatori/raccoglitori rispetto a quella che siamo abituati a ritenere più evoluta basata sull'agricoltura/allevamento, ma è solo una delle tante suggestioni (fanta)scientifiche che arricchiscono la trilogia).
La quantità d'informazione serve da un lato a mantenere vivo l'interesse del lettore anche in mancanza di vere svolte narrative, dall'altro lo rende complice e partecipe del percorso di scoperta che compie man mano che procede nel romanzo. L'algoritmo bianco fondandosi su un'unica linea narrativa e mancando di un valido contrappeso informativo avrebbe la possibilità di imporsi al lettore per la profondità che ci attenderebbe dalla scrittura di Tonani. Profondità che però svanisce una volta che lo sguardo del lettore passa dal contesto generale (in sostanza ambiente & idee di base) al particolare (personaggi, relazioni, svolte narrative).

In definitiva mi pare di poter dire che il giudizio espresso sui romanzi presi in esame è opposto rispetto alla mia opinione sulle capacità autoriali dei due scrittori. Se la lettura de L'algoritmo bianco mi ha soddisfatto di meno di quella dei romanzi di Sawyer è perché da un autore come Dario Tonani mi aspetto molto di più di quel che ritrovo nella fantascienza classica del canadese.
Magari mi sbaglio, ma se c'è qualcuno con le potenzialità per scrivere un grande romanzo, un'opera che rimanga impressa indelebilmente nel mio immaginario, beh… questo qualcuno assomiglia di certo più a Dario Tonani che a Robert J. Sawyer.

07 aprile 2009

Rapporto letture - Marzo 2009


Picture by Iguana Jo.
Ed Kramer & Neil Gaiman (a cura di) - The Sandman Book of Dreams
Era da tempo che non frequentavo il signore dei sogni, tanto da aver quasi dimenticato il fascino del mondo ricreato dalla fantasia di Neil Gaiman.
Questa antologia di racconti mi ha riportato indietro a quando la lettura delle storie di Sandman era una delle mie personali piccole meraviglie quotidiane. Fortunatamente i racconti raccolti in questo volume non hanno il sapore del tributo scolastico o dell'operazione nostalgica. Gli autori coinvolti dimostrano anzi una buona conoscenza del reame del sogno e soprattutto rendono bene l'idea di come le suggestioni evocate dal capolavoro di Gaiman abbiano arricchito la letteratura fantastica contemporanea.
Come ogni antologia anche questa non fa eccezione alla regola per cui racconti brillanti si alternano ad altri più deboli, ma se devo trovare un difetto più sostanziale, beh… mi è dispiaciuto solo che Morfeo compaia in primo piano un po' troppo di rado e lateralmente, anche se la sua presenza (e quella dei suoi fratelli e sorelle immortali) è sempre ben percepibile.
Tra le storie che più mi hanno colpito non posso non citare almeno quelle di John M. Ford (Chain Home, Low), di Robert Rodi (An Extra Smidgen of Eternity), George Alec Effinger (Seven Nights in Slumberland) e soprattutto quella di Susanna Clarke (Stopp’t-Clock Yard) l'unica in cui Sandman è davvero protagonista.
(e per finire un grazie a Sarmax che mi ha regalato il volume)

James Joll - Gli anarchici
Ho sempre avuto sentimenti contrastanti nei riguardi dell'anarchia. Da un lato c'è la convinzione dell'impossibilità di una società anarchica funzionante vista la disparità di risorse disponibili, dall'altro il principio bellissimo e coraggioso che vede tutti gli uomini liberi dal giogo e dalle tentazioni del Potere con la responsabilità della propria vita unicamente nelle proprie mani.
Questo volume racconta la storia del movimento anarchico attraverso la figura dei suoi principali esponenti. Gli anarchici è un libro illuminante soprattutto quando lascia emergere nel racconto delle vicende del movimento la situazione dell'umanità disperata che popola le città e le campagne tra l'otto e il novecento. E ben più interessante delle vite dei protagonisti (che fossero ideologhi da salotto - pochi - o rivoluzionari internazionali - i più - erano comunque per la maggior parte un branco di irriducibili idealisti, di illusi e di fondamentalisti) si percepisce il rigore e la dedizione dei singoli anarchici, anonimi per lo più, ma capaci di trasmettere nel tempo un ideale fondamentale, se non come pratica sociale almeno come utopica etica individuale. Per immaginare un futuro diverso, qualcosa che ormai non siamo più nemmeno capaci di concepire.

Dario Tonani - L'algoritmo bianco
Del romanzo di Dario Tonani ho parlato abbondantemente qui. Altri spunti interessanti li potete trovare su Lo strano attrattore.


David Ohle - L'era di Sinatra
Il sottotitolo de L'era di Sinatra recita "un romanzo molto strano". Ma può bastare una caratteristica aleatoria coma la stranezza a rendere interessante un romanzo?
In questo caso la mia risposta è decisamente no. Non basta infarcire un testo di parole inventate e situazioni paradossali, e calcare il pedale del disgustoso per rendere un'opera interessante. Soprattutto se poi ci si ritrova a constatare che, stranezze a parte, L'era di Sinatra, che pure sembra essere stato concepito come romanzo di fantascienza sperimentale, si rivela in realtà essere un ode al tempo che fu, sia per lo stile che adotta l'autore, sia per la costante sensazione che il rimpianto per un passato mitico sia l'unica molla capace di muovere l'azione. La mancanza di qualsiasi logica interna fa il resto, rendendo il procedere della lettura una noia senza scampo.
E dire che inizialmente L'era di Sinatra pare funzionare, con il lettore - questo lettore almeno - che rimane affascinato e incuriosito dagli strani meccanismi che sembrano governare il mondo di Ohle. Quando però appare evidente come sia il caso, se non l'estro del momento, a dirigere la penna dell'autore, tutta l'elaborata costruzione della vicenda perde molto del suo fascino riducendosi infine a uno sterile esercizio di stile.


04 aprile 2009

Algoritmi, letteratura di genere (e violenza gratuita)


Dario Tonani
Picture by Iguana Jo.
Dopo aver finito L'algoritmo bianco mi ero ripromesso di buttare giù qualche nota per aiutarmi a chiarire i dubbi nati nel corso della lettura. Ci ho messo più tempo di quanto prevedessi anche perché nel frattempo c'è stata l'ItalCon con la possibilità quindi di un proficuo scambio di opinioni con Dario Tonani. Sebbene io non sia stato proprio tenero con il suo romanzo Dario s'è dimostrato un signor autore accettando e discutendo le critiche che non mi sono trattenuto dal rivolgergli.

Ecco quindi cosa penso de L'algoritmo bianco.

Il romanzo si distingue per lo stile di scrittura sopraffino, per un mondo delineato in modo esemplare, per un'idea fantascientifica forte e in grado di sorreggere da sola ben più dell'esile storia - esile ma decisamente adrenalinica - che Dario Tonani ha imbastito. Se questi aspetti del romanzo sono senza dubbio positivi, altri non lo sono affatto: i personaggi, le relazioni che li legano e gli scambi di battute che dovrebbero rendere viva la vicenda sono ben lungi dall'essere all'altezza del buon romanzo che mi aspettavo di leggere. Immaginatevi quindi la mia sorpresa nello scoprire dalle parole di altri lettori quanto Gregorius Moffa, il killer protagonista della vicenda, abbia favorevolmente impressionato il pubblico di Urania.
Questa divergenza di valutazione mi costringe a fare una breve deviazione che forse aiuterà a chiarire meglio la mia critica al romanzo di Dario Tonani.

Partiamo subito con una domanda ai lettori che seguono con attenzione le poche uscite fantascientifiche nostrane: perché vi ostinate a leggere fantascienza?
Non è una domanda retorica e non voglio nemmeno imbastire la solita polemica sulla situazione che vive la letteratura di genere in Italia. È un domanda dettata dalla curiosità, con lo scopo nemmeno troppo recondito di capire se i motivi che ci portano a frequentare il genere siano davvero così diversi.
Il mio punto di vista è riassumibile nella constatazione che nessun altro genere letterario ha nel suo complesso lo stesso impatto intellettuale e viscerale che è in grado di generare una buona storia di fantascienza.
In effetti ciò che caratterizza la fantascienza, almeno quella che preferisco, è la sua straordinaria capacità di coniugare storie avvincenti, divertenti, emozionanti con una profonda riflessione su un qualche aspetto del reale (che si tratti di scienza o di politica piuttosto che di tecnologia o di etica, beh… è solo un dettaglio: sono le potenzialità della speculazione che fanno la differenza).

Certo, la fantascienza ha le sue radici più popolari nel pulp. Quelle che almeno in origine erano le sue espressioni più conosciute si sovrapponevano per buona parte alla letteratura d'avventura, con scenari alieni a sostituire nell'ambientazione il far west piuttosto che la classica metropoli americana. Le vicende di queste storie sono dominate dall'azione continua, dal succedersi di episodi sorprendenti o scenari mozzafiato, dalla riduzione ai minini termini di ogni complessità (poco importa che si rinunci a rendere più veri i personaggi o più credibile l'ambientazione). Lo scopo principale di queste storie era travolgere il lettore con la portata spettacolare dell'immaginazione dell'autore all'opera.

Nel corso dei decenni questa vocazione avventurosa ha lasciato spazio a suggestioni più complesse e all'elaborazione di strutture narrative più evolute. Contestualmente a tali cambiamenti la fantascienza si è trasformata da genere eminentemente popolare a letteratura di nicchia. Lo spazio per l'avventura non è mai venuto meno ma la progressiva complicazione (delle tematiche affrontate, dei riferimenti letterari, del background minimo - scientifico o tecnologico - spesso richiesto al lettore) ha allontanato la gran massa del pubblico delle origini, che magari ritrova oggi lo stesso tipo di godimento fantascientifico in altri media (penso ai blockbuster cinematografici degli ultimi decenni, penso ai giochi da consolle e da computer).

A questo punto dovrebbe essere più chiara la modalità con cui io mi accosto a una storia di fantascienza, e forse anche a capire come mai abbia trovato difettoso il romanzo di Dario Tonani.
Detto in maniera esplicita: una storia che si fonda esclusivamente sul sovraccarico sensoriale del lettore non mi basta più.

L'algoritmo bianco parte subito col botto: gli scenari, l'azione, l'idea fantascientifica che sorregge la trama sono tutti elementi resi alla perfezione dall'autore. La Milano del 2045 emerge in tutta la sua desolazione grazie alla scrittura densa e stratificata dell'autore. Il tono della narrazione è sempre equilibrato e non scade mai nel grottesco o nel didascalico, al contempo l'ambiente emerge molto vivido e presente agli occhi del lettore.
Questa maestria nella resa dell'ambiente non viene mai meno nel corso della lettura ed è la cosa che ho apprezzato di più in tutto il romanzo. Quello che invece emerge come difetto sostanziale è la qualità dei personaggi che si muovono in questo scenario. Gregorius Moffa, il protagonista indiscusso del romanzo, è un killer. Ci viene detto che è un autore di snuff movies, la sua dubbia moralità ci viene ribadita a ogni piè sospinto, eppure per tutto il tempo in cui lo vediamo in azione quest'aspetto del suo carattere non viene mai effettivamente visto tanto che il suo agire pare un esempio da manuale di equilibro e buoni principi (tranne in quell'esplosione di violenza finale, che visto il suo comportamento fino a quel punto m'è parsa del tutto gratuita e in definitiva illogica e incomprensibile).
Ma Moffa oltre a essere molto più bravo-ragazzo di quanto sarebbe lecito aspettarsi ha un difetto ancora più evidente: è totalmente anonimo. Se si distingue in qualche modo dallo sfondo è per i punti esclamativi che circondano ogni sua mossa, non certo perché la sua personalità riesca ad emergere autonomamente (vedi ad esempio la difficoltà a distinguerlo - per carattere, fisionomia e pensieri - dal criminale in fuga di Picta Muore nella seconda parte del volume).
Anche i personaggi di contorno non brillano per particolare tridimensionalità. A parte Mama, che vive unicamente per muovere l'azione (e il cui destino finale m'è parso decisamente incredibile), il ruolo che ho trovato più irritante è quello assegnato a Salima: gli scambi di battute - e di fluidi corporei - che caratterizzano la sua presenza in scena hanno lo spessore di un (buon?) film porno. Possibile che si debba ridurre l'unico personaggio femminile degno di questo nome in tutto il romanzo alla macchietta di uno stereotipo?

Confrontandomi su questi punti con Dario Tonani a me è sorto il dubbio che la sua idea di Gregorius Moffa fosse così precisa e reale e viva da dare per scontata che tale conoscenza percolasse automaticamente dalle pagine del romanzo alla consapevolezza del lettore (…e in effetti la maggior parte del suo pubblico pare dargli ragione). Per quanto riguarda invece i comprimari è possibile che parte del mio disappunto dipenda dal progressivo deteriorarsi delle mie aspettative riguardo al romanzo, anche se il trattamento riservato a Salima mi lascia comunque molto perplesso.

Per tornare all'inizio di queste note, non so come mai il mio giudizio si discosti tanto da quello della maggior parte dei lettori. Forse sono io che ho troppe pretese. Magari il lettore fantascientifico standard con un romanzo come questo è più che soddisfatto.
Dal mio punto di vista l'etichetta sf non dovrebbe servire a giustificare il fatto che un romanzo parta già con un piede zoppo, per magari godere a fine lettura di un giudizio più tollerante. Per me la fantascienza ha la stessa dignità di qualsiasi altro genere letterario, e lo standard minimo richiesto dovrebbe essere uguale per tutti.
Detto questo io sono tutt'ora convinto che Dario Tonani abbia tutte le qualità per scrivere un grande romanzo, zeppo di idee, immaginazione e umanità. Io avrei voluto che quel romanzo fosse L'algoritmo bianco, spero che l'appuntamento sia solo rinviato.
Io me lo auguro proprio.


15 maggio 2007

Milano infetta.


Picture by Z79.
Provate ad immaginare Alice, magari proprio quella disneyana che se ne va a spasso nel Paese delle Meraviglie, in giro per la New York del 1999 immaginata da John Carpenter per il suo Jena Plissken. Ecco, questa è già una buona approssimazione della Milano raccontata da Dario Tonani nel suo Infect@.

I protagonisti del romanzo vagano tra palazzi fatiscenti e costruzioni azzardate, nel grigio variabile della metropoli lombarda bagnata da una pioggia senza fine (che fa molto L.A. Deckardiana), in mezzo a una colorata (letteralmente!) fauna di cartoon di ogni genere: dai paperi di disneyana memoria a coyote più o meno aggressivi, tra gigantesche Betty Bop e Popeye riconvertiti a lavoratori urbani. La trama, piuttosto esile, è poco più di una scusa per un viaggio lisergico nelle periferie degradate del prossimo decennio.

I panorami che Tonani disegna sono affascinanti, senz'altro la cosa migliore del romanzo. Gli edifici in rovina, gli appartamenti assortiti, magari riconvertiti in bordelli economici, i ponteggi improvvisati, le fabbriche abbandonate, il popolo ibrido che li frequenta, le tracce di passaggi e frequentazioni più o meno equivoche più o meno effimere, sono tutte istantanee che rimangono scolpite nella memoria. Fino ad arrivare alla fine del viaggio in una Linate trasformata da aeroporto secondario a luogo surreale e immaginifico, in cui le mete diventano aeroplani e i viaggi si consumano al loro interno.
Infect@ da questo punto di vista è un romanzo imperdibile (ed è un peccato che essendo passato su Urania ormai si sia perso nel limbo dei resi da edicola), che grazie alla pura potenza evocativa riesce a farsi perdonare l'assenza di una trama forte. Infect@ non è esente da altri difetti: se la cripticità dell'idea alla base del romanzo contribuisce al fascino psichedelico della lettura, l'incapacità dell'autore di dettarne regole coerenti ne costituisce forse il più grosso limite. Però oltre alle notevoli capacità descrittive vanno menzionati a merito di Tonani almeno i personaggi (poliziotti, drogati, gangster e altri derelitti), che paiono scolpiti nella roccia del pulp d'antan, che parlano tra loro con dialoghi sempre brillanti, secchi e definitivi, neanche ci fosse un Hammett alla regia, personaggi ai quali non si può non affezionarsi.

Da quel che si legge in giro pare che Dario Tonani stia lavorando a un seguito. Rimaniamo in attesa, che di certo questo Infect@ s'è rivelato un'altra piacevole sorpresa nel panorama fantascientifico nazionale.
Forse che stia davvero per nascere una via nostrana alla fantascienza?