04 aprile 2009

Algoritmi, letteratura di genere (e violenza gratuita)


Dario Tonani
Picture by Iguana Jo.
Dopo aver finito L'algoritmo bianco mi ero ripromesso di buttare giù qualche nota per aiutarmi a chiarire i dubbi nati nel corso della lettura. Ci ho messo più tempo di quanto prevedessi anche perché nel frattempo c'è stata l'ItalCon con la possibilità quindi di un proficuo scambio di opinioni con Dario Tonani. Sebbene io non sia stato proprio tenero con il suo romanzo Dario s'è dimostrato un signor autore accettando e discutendo le critiche che non mi sono trattenuto dal rivolgergli.

Ecco quindi cosa penso de L'algoritmo bianco.

Il romanzo si distingue per lo stile di scrittura sopraffino, per un mondo delineato in modo esemplare, per un'idea fantascientifica forte e in grado di sorreggere da sola ben più dell'esile storia - esile ma decisamente adrenalinica - che Dario Tonani ha imbastito. Se questi aspetti del romanzo sono senza dubbio positivi, altri non lo sono affatto: i personaggi, le relazioni che li legano e gli scambi di battute che dovrebbero rendere viva la vicenda sono ben lungi dall'essere all'altezza del buon romanzo che mi aspettavo di leggere. Immaginatevi quindi la mia sorpresa nello scoprire dalle parole di altri lettori quanto Gregorius Moffa, il killer protagonista della vicenda, abbia favorevolmente impressionato il pubblico di Urania.
Questa divergenza di valutazione mi costringe a fare una breve deviazione che forse aiuterà a chiarire meglio la mia critica al romanzo di Dario Tonani.

Partiamo subito con una domanda ai lettori che seguono con attenzione le poche uscite fantascientifiche nostrane: perché vi ostinate a leggere fantascienza?
Non è una domanda retorica e non voglio nemmeno imbastire la solita polemica sulla situazione che vive la letteratura di genere in Italia. È un domanda dettata dalla curiosità, con lo scopo nemmeno troppo recondito di capire se i motivi che ci portano a frequentare il genere siano davvero così diversi.
Il mio punto di vista è riassumibile nella constatazione che nessun altro genere letterario ha nel suo complesso lo stesso impatto intellettuale e viscerale che è in grado di generare una buona storia di fantascienza.
In effetti ciò che caratterizza la fantascienza, almeno quella che preferisco, è la sua straordinaria capacità di coniugare storie avvincenti, divertenti, emozionanti con una profonda riflessione su un qualche aspetto del reale (che si tratti di scienza o di politica piuttosto che di tecnologia o di etica, beh… è solo un dettaglio: sono le potenzialità della speculazione che fanno la differenza).

Certo, la fantascienza ha le sue radici più popolari nel pulp. Quelle che almeno in origine erano le sue espressioni più conosciute si sovrapponevano per buona parte alla letteratura d'avventura, con scenari alieni a sostituire nell'ambientazione il far west piuttosto che la classica metropoli americana. Le vicende di queste storie sono dominate dall'azione continua, dal succedersi di episodi sorprendenti o scenari mozzafiato, dalla riduzione ai minini termini di ogni complessità (poco importa che si rinunci a rendere più veri i personaggi o più credibile l'ambientazione). Lo scopo principale di queste storie era travolgere il lettore con la portata spettacolare dell'immaginazione dell'autore all'opera.

Nel corso dei decenni questa vocazione avventurosa ha lasciato spazio a suggestioni più complesse e all'elaborazione di strutture narrative più evolute. Contestualmente a tali cambiamenti la fantascienza si è trasformata da genere eminentemente popolare a letteratura di nicchia. Lo spazio per l'avventura non è mai venuto meno ma la progressiva complicazione (delle tematiche affrontate, dei riferimenti letterari, del background minimo - scientifico o tecnologico - spesso richiesto al lettore) ha allontanato la gran massa del pubblico delle origini, che magari ritrova oggi lo stesso tipo di godimento fantascientifico in altri media (penso ai blockbuster cinematografici degli ultimi decenni, penso ai giochi da consolle e da computer).

A questo punto dovrebbe essere più chiara la modalità con cui io mi accosto a una storia di fantascienza, e forse anche a capire come mai abbia trovato difettoso il romanzo di Dario Tonani.
Detto in maniera esplicita: una storia che si fonda esclusivamente sul sovraccarico sensoriale del lettore non mi basta più.

L'algoritmo bianco parte subito col botto: gli scenari, l'azione, l'idea fantascientifica che sorregge la trama sono tutti elementi resi alla perfezione dall'autore. La Milano del 2045 emerge in tutta la sua desolazione grazie alla scrittura densa e stratificata dell'autore. Il tono della narrazione è sempre equilibrato e non scade mai nel grottesco o nel didascalico, al contempo l'ambiente emerge molto vivido e presente agli occhi del lettore.
Questa maestria nella resa dell'ambiente non viene mai meno nel corso della lettura ed è la cosa che ho apprezzato di più in tutto il romanzo. Quello che invece emerge come difetto sostanziale è la qualità dei personaggi che si muovono in questo scenario. Gregorius Moffa, il protagonista indiscusso del romanzo, è un killer. Ci viene detto che è un autore di snuff movies, la sua dubbia moralità ci viene ribadita a ogni piè sospinto, eppure per tutto il tempo in cui lo vediamo in azione quest'aspetto del suo carattere non viene mai effettivamente visto tanto che il suo agire pare un esempio da manuale di equilibro e buoni principi (tranne in quell'esplosione di violenza finale, che visto il suo comportamento fino a quel punto m'è parsa del tutto gratuita e in definitiva illogica e incomprensibile).
Ma Moffa oltre a essere molto più bravo-ragazzo di quanto sarebbe lecito aspettarsi ha un difetto ancora più evidente: è totalmente anonimo. Se si distingue in qualche modo dallo sfondo è per i punti esclamativi che circondano ogni sua mossa, non certo perché la sua personalità riesca ad emergere autonomamente (vedi ad esempio la difficoltà a distinguerlo - per carattere, fisionomia e pensieri - dal criminale in fuga di Picta Muore nella seconda parte del volume).
Anche i personaggi di contorno non brillano per particolare tridimensionalità. A parte Mama, che vive unicamente per muovere l'azione (e il cui destino finale m'è parso decisamente incredibile), il ruolo che ho trovato più irritante è quello assegnato a Salima: gli scambi di battute - e di fluidi corporei - che caratterizzano la sua presenza in scena hanno lo spessore di un (buon?) film porno. Possibile che si debba ridurre l'unico personaggio femminile degno di questo nome in tutto il romanzo alla macchietta di uno stereotipo?

Confrontandomi su questi punti con Dario Tonani a me è sorto il dubbio che la sua idea di Gregorius Moffa fosse così precisa e reale e viva da dare per scontata che tale conoscenza percolasse automaticamente dalle pagine del romanzo alla consapevolezza del lettore (…e in effetti la maggior parte del suo pubblico pare dargli ragione). Per quanto riguarda invece i comprimari è possibile che parte del mio disappunto dipenda dal progressivo deteriorarsi delle mie aspettative riguardo al romanzo, anche se il trattamento riservato a Salima mi lascia comunque molto perplesso.

Per tornare all'inizio di queste note, non so come mai il mio giudizio si discosti tanto da quello della maggior parte dei lettori. Forse sono io che ho troppe pretese. Magari il lettore fantascientifico standard con un romanzo come questo è più che soddisfatto.
Dal mio punto di vista l'etichetta sf non dovrebbe servire a giustificare il fatto che un romanzo parta già con un piede zoppo, per magari godere a fine lettura di un giudizio più tollerante. Per me la fantascienza ha la stessa dignità di qualsiasi altro genere letterario, e lo standard minimo richiesto dovrebbe essere uguale per tutti.
Detto questo io sono tutt'ora convinto che Dario Tonani abbia tutte le qualità per scrivere un grande romanzo, zeppo di idee, immaginazione e umanità. Io avrei voluto che quel romanzo fosse L'algoritmo bianco, spero che l'appuntamento sia solo rinviato.
Io me lo auguro proprio.


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