26 ottobre 2011

Letture. Fantascienza che fu: Gomorra e dintorni, di Thomas Disch.

Villa a Carpi 06/20 by Iguana Jo
a photo by Iguana Jo on Flickr.
Benvenuti nel lato oscuro. Non provate nemmeno a mettervi comodi. Coltivate disillusione e rinunciate a ogni speranza di salvezza.
Qui si va nel mondo degli uomini, per umiliarli distruggerli e sterminarli, in totale indifferenza e abbandono.

A metà degli anni '60 del secolo scorso la fantascienza a stelle e strisce era ancora tesa all'esaltazione delle magnifiche sorti e progressive del secolo americano. Anche quando affrontava temi oscuri e apocalittici - la bomba, soprattutto - non rinunciava mai a inserire qualche labile speranza o a salvare almeno pochi, ma meritevoli, rappresentanti della razza umana.
C'era qualche eccezione, ma nessuna con l'amara cinica potenza di un Thomas Disch.

Gomorra e dintorni (The Genocides in originale), romanzo d'esordio di Thomas Disch edito negli Stati Uniti nel 1965, è l'anello di congiunzione tra la fantascienza apocalittica britannica a quella pragmatica e meravigliosa di stampo americano.
Gomorra e dintorni racconta dall'interno il disfacimento di una comunità fondata sui valori tradizionali di famiglia, religione, lavoro, che cercando di mantenere intatte le apparenze di una civiltà evoluta, discende progressivamente tutti i gradini dell'evoluzione umana fino a trovarsi ridotta a parassita in un mondo da cui è stata espropriata. Thomas Disch trasferisce in un contesto statunitense la visione dei maestri inglesi (penso a Ballard, soprattutto), spogliandola di ogni connotazione alta (non c'è alcun spazio interno a cui far riferimento, non ci sono memorie psichiche o sperimentazioni artistiche, intorno/dentro ai personaggi di Gomorra e dintorni non c'è proprio nulla, tranne l'anelito tutto americano alla speranza e al progresso) per poi distruggere metodicamente ogni illusione di salvezza il lettore possa nutrire.
Per ottenere questo risultato ricalca nella costruzione della storia quelli che erano i canoni dell'avventura fantascientifica dell'epoca, scardinando via via tutte le convenzioni del genere: la comunità rurale, classica culla del sogno americano che si rivela essere un covo di ipocrisie; la famiglia, in cui si ripropongono esacerbati tutti i meccanismi di competizione sociale esterni; l'uomo tecnologico cittadino, portatore di progresso, che si fa guidare dai più bassi istinti; gli alieni, che da nemico da combattere si trasformano in indifferenti motori di distruzione; il panorama naturale, sfondo magnifico e avventuroso, che diventa prima piatta uniformità, aggressiva e inesorabile, per poi evolvere in grembo e prigione, umiliante e definitiva.
La scrittura di Disch sottende una rabbia assoluta nei confronti del consesso civile, appena modulata da un'ironia nerissima e da una comprensione delle dinamiche di relazione tra esseri umani che non  permette all'autore di distogliere lo sguardo e che lo obbliga ad annotare spassionatamente come anche gli aspetti migliori dell'umanità vengano corrotti dalle consuetudini sociali e piegati alle priorità gerarchiche imposte dal Potere, per quanto misero e derelitto questo Potere si riduca ad essere.

La fantascienza di Thomas Disch è quanto di più nichilista possa capitare di incontrare, ma per quanto caratterizzata da una scrittura senza speranza, non è mai rassegnata, né morbosa o patetica. La fantascienza di Thomas Disch è un punto esclamativo che ti esplode in faccia mentre guardi l'ennesima replica di Star Trek. Sta a te decidere cosa farne.

22 ottobre 2011

consumati.abbandonati.recuperati



Ero qui che stavo sistemando delle cose sul mio Mac quando è saltato fuori questo vecchio progetto che risale a ormai quattro anni fa.  

Consumati.abbandonati.recuperati è nato grazie all'entusiasmo di un paio di compagni di strada flickeriani, che all'epoca misero in piedi una serie di appuntamenti fotografici presso un centro sociale piacentino.
L'evento si chiamava In Pixel We Trust e per me ha rappresentato una delle prime occasioni per mostrare le mie foto dal vivo, non più rinchiuse dentro un monitor ma in grandi dimensioni, proiettate su uno schermo.

All'epoca raccolsi qualche nota su quella serata al Pacio in questo post.
Da allora è passato un po' di tempo. La fotografia da gioco affascinante s'è trasformata in un'attività semi-professionale (se avete bisogno sapete dove trovarmi!), e i bei tempi di flickr sembrano essere ormai definitivamente andati.
Però mi dispiaceva lasciare questi vecchi file perduti nell'hard-disk e così, ecco qua:



19 ottobre 2011

Cronaca di una resa

OPG 20 by Iguana Jo
A photo by Iguana Jo on Flickr.
Questo post avrebbe dovuto intitolarsi: Letture. Toxic@ di Dario Tonani, ma purtroppo non sempre le cose vanno secondo i nostri desideri.
Non vedevo l'ora di leggere il seguito di Infect@, tanto che appena acquistata l'ultima fatica dell'autore milanese l'ho messa subito in cima alla pila dei libri in attesa di lettura. In quei giorni ero ancora alle prese con A Dance with Dragons, ma non appena finito il volumazzo di Martin ho iniziato Toxic@ con grandi aspettative e la miglior disposizione d'animo possibile.

Il romanzo parte bene come il suo predecessore, ma poi, procedendo nella lettura, si incappa in tutta una serie di imperfezioni che tolgono via via ogni divertimento e rendono il lettore (questo lettore) sempre più ostile e disincantato nei confronti della sostanza stessa della narrazione.
E allora, per non fare un torto a Dario Tonani, che reputo persona per bene e scrittore capace, ho preferito mollare la lettura, che evidentemente abbiamo opinioni diverse su quel che oggi si può considerare buono e accettabile, si tratti anche solo di letteratura d'intrattenimento.

Spero per lui nel prossimo giro, che mi auguro abbia un trattamento (almeno una lettura preliminare!) più attento e accurato di questo Urania.

13 ottobre 2011

Letture. Fantascienza che fu: Female Man, di Joanna Russ.

Back to Tate by Iguana Jo
A photo by Iguana Jo on Flickr.
Vedi cosa vuol dire la confezione? Senti la vocina del pregiudizio?
Female Man è un romanzo vecchio, puzza di ideologia, di femminismo militante, di quell'atmosfera grigia e opprimente che non posso fare a meno di associare agli anni '70. La copertina dell'edizione italiana, uscita nel 1989, quasi 15 anni dopo la pubblicazione originale, non aiuta certo a rendere il romanzo più attraente. Sebbene parecchie persone degne di fiducia me ne avessero parlato bene, l'ovvia conclusione è stata che io 'sto romanzo l'ho dimenticato in libreria per un sacco di tempo.
Poi è successo che Joanna Russ è morta, e beh… ricordarla attraverso la lettura del suo romanzo più conosciuto m'è parso cosa buona e giusta.

Female Man è un vecchio romanzo, ha un evidente contenuto politico, e sì, è indubbiamente straripante di personaggi femminili che si assumono il ruolo di protagoniste e agiscono e reagiscono, riflettono e pensano e discutono e cambiano. Però questo libro di Joanna Russ non ha nulla di grigio e opprimente e, se anche è stato scritto negli anni '70 del secolo scorso, è quanto mai attuale per contenuti, struttura, scrittura e ambizioni.

Female Man sfrutta il multiverso per fare incontrare tre donne provenienti da società piuttosto diverse tra loro. Questi personaggi, che diventano quattro quando si aggiunge la voce narrante dell'autrice, si trovano a relazionarsi tra loro e con il mondo di cui sono ospiti. Ci sono Jeannine, donna sottomessa e omologata di una Terra che non ha mai conosciuto la seconda guerra mondiale; Janet, donna libera e indipendente, originaria di Whileaway, una Terra in cui i maschi si sono estinti; Jael, donna guerriera, proveniente da un mondo in cui la battaglia tra i sessi sì è trasformata in guerra aperta; e infine Joanna, la narratrice, problematica quanto può esserlo una persona consapevole della condizione femminile a cavallo tra i '60 e i '70 del XX secolo.
Presentato in questo modo il romanzo appare quanto meno schematico, con in più tutti i rischi di didascalismo e pesantezza che una narrazione programmaticamente politica porta inevitabilmente con sé. Invece Female Man risulta sorprendentemente emozionante. Il racconto delle vicissitudini delle protagoniste, dei loro spostamenti da una realtà all'altra, dei loro incontri con gli uomini e le donne e le consuetudini sociali che caratterizzano le rispettive comunità, tocca tutti i registri espressivi e passa con facilità dal divertente al drammatico, dall'arrabbiato allo struggente, rimanendo sempre credibile e appassionato.

La struttura sofisticata e complessa del romanzo è parecchio diversa dallo standard cui il lettore di fantascienza è abituato: non c'è linearità spazio-temporale, c'è un continuo rimbalzare del racconto tra voci narranti diverse; non ci sono spiegazioni tecnologiche o scientifiche che possano meravigliare il lettore, ma c'è la consapevolezza dell'uso di convenzioni fantascientifiche consolidate (il multiverso, il viaggio transtemporale, l'invenzione sociale, utopica o distopica che sia) per distillare l'essenza delle idee che l'autrice pone al centro della sua narrazione. E c'è poi, questa sì meravigliosa, la scrittura  di Joanna Russ, capace di evocare con pochi tratti interi universi sociali, raccontando dei rapporti tra uomini e donne, delle gerarchie del potere, della connotazione profondamente sessista del nostro panorama senza indulgere in prediche o lamentazioni, ma giocando piuttosto con i contrasti e le aberrazioni di comportamenti e rapporti che sotto la sua lente fantascientifica emergono espliciti e percepibili più di quanto qualsiasi proclama sulla condizione femminile potrebbe mai riuscire a fare.

L'ambizione politica del testo della Russ è evidente sin dal titolo del romanzo. Nella definizione "Female Man" si dovrebbe trovare la formula semantica per ricollocare anche tassonomicamente l'essere umano femminile nel suo ruolo di Persona, mantenendo le connotazioni di genere che la distinguono dal Male Man, in un ruolo distinto ma paritario, non più ridotta a umile costola nel più vasto corpo dell'umanità. Del resto classificare gli umani in base a criteri arbitrari per poterli poi sottomettere e sfruttare è il gioco preferito del Potere. Rompere il giocattolo e mostrare come funzionano gli ingranaggi è il primo passo per esorcizzarlo. Female Man è un'ottimo romanzo e un grimaldello altrettanto valido per scardinare le illusioni che circondano il nostro agire quotidiano.

06 ottobre 2011

Super 8


J.J. Abrams è un discendente in linea diretta della stirpe dei Lucas, dei Zemeckis, dei Cameron. Proviene dallo stesso stampo, batte gli stessi sentieri: è un tecnico, un imprenditore, un uomo con una visione. Ha studiato, ha visto un sacco di film, ha le idee chiare. La sua carriera si fonda sul credo condiviso della fabbrica dei sogni: quel mondo a parte in cui il dollaro sposa la passione e poi la sfrutta per riprodursi incontrollatamente. La sua produzione lo rende il tipo di cineasta perfetto per Hollywood: inquietudini sotto controllo, emozioni primarie, storie popolari.

E i suoi film funzionano.
Vedi Super 8: i tempi della narrazione sono perfetti, la messa in scena semplice e diretta, i personaggi immediatamente riconoscibili, ognuno a contribuire con la sua brava dose di cliché e identità e identificazione, gli effetti speciali sfolgoranti e ben dosati, una serie di linee narrative che raggiungono ognuna la sua brava conclusione. Cosa chiedere di più?  

Super 8 è l'ennesimo film di pseudo-fantascienza (quel pseudo lo rivediamo più avanti) che con la scusa dell'alieno ci racconta la classica vecchia storia di lutto e redenzione, fine dell'infanzia e amicizia imperitura. Super 8 funziona alla grande perché non fa mai finta di essere altro da quello che è, perché limita improbabilità e incongruenze alla prima mezzora di storia, collocandole comunque sempre marginalmente alla narrazione primaria, perché sfrutta ogni secondo di tutto l'immaginario cinematografico degli ultimi decenni per scavarsi una nicchia comoda comoda negli occhi dello spettatore e in questo modo rassicurarlo, coccolarlo, farlo sentire a casa.

In Super 8 non c'è un solo istante in cui si lasci spazio al dubbio, all'ansia o all'inquietudine: sobbalziamo al momento giusto e sorridiamo in quello successivo, ci schieriamo con i buoni e facciamo il tifo contro i cattivi, arriviamo addirittura a comprendere il mostro, che quando finalmente ci guarda con quegli occhioni da ET riesce perfino a farsi perdonare antropofagia e distruzione.  

Super 8 è l'arma definitiva per uccidere qualsiasi pretesa di indagine del futuro possa avere ancora il cinema di fantascienza. Ne avevo già parlato in questo post: cosa c'è di più significativo che collocare un tema fondante il genere come quello del primo contatto in un contesto nostalgico come quello confezionato da J.J. Abrams?
Del resto la meraviglia e il mistero del film sono tutti nel rapporto tra i giovani protagonisti, nei turbamenti dell'età, nel fascino del cinema dentro il cinema, Non sono mai mai mai nella vicenda dell'alieno, che si ritrova ridotto alle dimensioni narrative di un MacGuffin con le zampe (e gli occhioni! guai a dimenticarsi gli occhioni!), buono solo a muovere la storia, senza alcuna caratterizzazione, dei modi o delle priorità, che lo distingua da un qualsiasi anonimo reduce che tenti un ritorno a casa in campo nemico, Di certo a me è parso più vicino a un Rambo - con ancor meno personalità - che a qualsiasi personaggio fantascientifico abbiate avuto la ventura di riconoscere nella sua ascendenza, da Predator a Wall-e, per non citare solo i parenti più prossimi. (*)

A J.J. Abrams va riconosciuto il merito di aver confezionato una pellicola capace di sbalordire, intrattenere ed emozionare quel branco di tredicenni che abbiamo accompagnato a vedere il film. Beati loro che non possono ancora fare confronti, e si possono godere 'sto genere di film per la prima volta!
Noi ci siamo comunque divertiti, con quella punta di rimpianto e qualche senso di colpa, che ormai godersi lo spettacolo non è più condizione sufficiente per riuscire ad amare questo genere di film.

* Per approfondire questo aspetto del film consiglio la lettura del post che il Grande Marziano ha dedicato a Super 8.

04 ottobre 2011

Ciao, Vic.

Foto di Iguana Jo
Stamattina Vittorio Curtoni ci ha lasciato.
Per chi non lo conosceva basti dire che Vittorio Curtoni è la persona che ha contribuito forse più di tutti - almeno nella sua generazione - a fare e trasformare la fantascienza in Italia. 

Del Vic mi rimarranno il ricordo del sapore inconfondibile dei suoi messaggi, nei primi anni della mia vita in rete. E poi le chiacchierate fatte per strada a Piacenza e le cene. Il fuoco della sua personalità, ingombrante e luminoso, la sua voglia di godere, che la vita è breve, la sua passione, il suo pessimismo, condito con la curiosità e la vitalità di un ragazzino.

Per come l'ho conosciuto io, il Vic era uno scomodo, uno incazzoso, uno che giudicava in fretta (a volte anche troppo), uno pronto a schierarsi, a dare tutto per difendere gli amici. Un uomo smisurato e affascinante, divertito e divertente. Vittorio Curtoni era sempre in bilico tra il suo ruolo storico, quasi istituzionale, di direttore di Robot  e quello di fan appassionato, pronto a incendiarsi quando si dibatteva di romanzi e autori, di fantascienza italiana o di cinema americano. Questa sua incapacità di rimanere nel ruolo che gli altri gli ritagliavano addosso era forse il tratto più genuino e inconfondibile di Vittorio.

Ora che se ne è andato, ora che non c'è più, siamo tutti più poveri, che nonostante tutte le parole spese, tutte le discussioni o le incomprensioni, Vittorio Curtoni era e resta un uomo d'onore, come il suo grande amico Ernesto Vegetti, e ce ne sono sempre meno in giro.

Spero ci sia un bicchiere di quello buono ad attenderli, ovunque siano adesso.