08 febbraio 2019

Letture: Un marito, di Michele Vaccari


Proseguo il discorso iniziato nel post precedente sugli strani incroci tra letteratura di genere, fantascientifica in particolare, e mainstream nell’editoria nostrana con qualche nota su Un marito, di Michele Vaccari.

A prima vista Un marito non potrebbe essere più lontano dalla fantascienza, per contenuti, scrittura, suggestioni. Il romanzo di Michele Vaccari è la storia complessa di un amore terminale, la narrazione di un quartiere e di uno stile di vita, la riflessione di un autore su quel che ci muove e ci tiene insieme.

Per chi non l’avesse letto, Un marito racconta di Marassi, Genova, e di Ferdinando e Patrizia, della loro unione fondata sulla rosticceria che gestiscono, del loro amore di cui sono felici prigionieri, della perenne e instancabile lotta contro il cambiamento del primo e della efficiente e tranquilla esistenza della seconda.
Per tutta la prima parte il romanzo racconta la vita di una coppia di periferia, apparentemente soddisfatta, forse rassegnata, quasi serena. 
Il ritratto di Ferdinando e Patrizia fatto da Vaccari li rende l’epitome della coppia italiana di questi tempi complicati, che si affida a qualsiasi cosa pur di frenare il cambiamento (qualsiasi cosa voglia dire cambiamento) e ancorare la propria esistenza su certezze su cui non si pone mai il minimo dubbio.
Ma poi nella seconda parte il romanzo esplode, le cose cambiano, il mondo se ne frega dei desideri della coppia protagonista e la narrazione si spinge in territori che mi permettono di ragionare su Un marito come testo che si muove intorno ad alcuni dei temi più tipici della letteratura di genere.

Una delle caratteristiche specifiche che distinguono la letteratura cosiddetta di genere dal mainstream è il focus della narrazione che si concentra sul mondo in cui i personaggi sono calati, piuttosto che sulla vita dei protagonisti. 
Nella prima parte di Un marito il fuoco della narrazione si sposta incessantemente dal ritratto di Ferdinando e Patrizia al mondo-quartiere che frequentano. Se il lettore mantiene sempre ben saldo il timone della narrazione lo si deve alla maestria con cui Vaccari conduce il testo in un continuo alternarsi dei piani di visione. 
Nella seconda parte, come già detto, il romanzo esplode, perde l’equilibrio, e costringe il lettore a riconoscere una realtà (leggermente) diversa da quella in cui si trova immerso. 
Lo sfasamento è sottile, e Vaccari è abilissimo a tenerlo quasi sottotraccia, in modo da non perdere per strada il lettore affezionato al destino di Ferdinando e Patrizia. Senza fare spoiler, tutto si riduce a una stanza che Ferdinando si trova a frequentare per risolvere un problema personale. Ma quello che sottende alla presenza di quella stanza (assolutamente coerente con quel che accade intorno ai personaggi) è sufficiente a creare quell’effetto di straniamento che, per chi frequenta quel genere di territori letterari, è l’anticamera della meraviglia.

Il combinarsi di questi diversi piani di lettura, dei molti e diversi motivi d’interesse che il romanzo porta con se, rende la lettura di Un marito invero memorabile. Il merito è soprattutto della penna di Michele Vaccari che riesce a fondere in una scrittura molto ricercata la cura certosina del dettaglio, una profondità espressiva invidiabile e la creazione di personaggi davvero potenti e veri (per quanto i loro dialoghi possano suonare a volte artificiali, sono sempre e davvero loro). In tutto il romanzo si percepisce forte il controllo perfetto della narrazione da parte dell’autore, con un attenzione allo stile che non soffre mai di quell’autocompiacimento che per una scrittura così complessa è un rischio sempre dietro l’angolo.

Se Un marito ha un difetto è nel pre-finale, dove Vaccari cade nel vizio di Spielberg (spero mi perdonerà il paragone…) e spiega troppo del suo mondo altro, aggiungendo dettagli e suggestioni che dal mio punto di vista era meglio lasciare in filigrana. Ma nel complesso è un peccato veniale, perché il racconto di Ferdinando e Patrizia è comunque un esempio di quel che la letteratura italiana è in grado di fare quando smette di contemplarsi l’ombelico e si scaglia nel mondo, cercando e curando i dettagli, magnificandoli in un panorama che scivola dal quadro globale a quello più particolare senza sforzo apparente, proponendo al lettore una magnifica esperienza di lettura.

Un marito non sarà un romanzo ascrivibile al genere, ma credo possa riservare parecchie soddisfazioni anche a quei lettori che normalmente rifuggono dalla letteratura italiana, soprattutto se cercano qualcosa di più e di diverso dalle solite narrazione familiari e familiste che invadono gli scaffali delle librerie.