30 novembre 2009

Altro che pecore elettriche. (Rugby, tifo & androidi italiani)


Picture by Codi Grifiti.
Sarà la sovrapposizione temporale degli eventi, i test match autunnali che arrivano insieme al premio Urania, ma ultimamente mi son trovato a paragonare lo stato della fantascienza italiana a quello della nazionale di rugby.
Sia i giocatori che gli autori nostrani si impegnano davvero al massimo, si sacrificano e lottano al meglio delle loro capacità per conseguire un risultato che però non arriva (quasi) mai. Ovviamente il tifoso premia l'impegno ed è disposto a chiudere più di un occhio di fronte ai limiti strutturali della propria squadra (o del proprio autore) arrivando a festeggiare anche il minimo successo come fosse un trionfo o a considerare una sconfitta dignitosa come un evento da ricordare.
Ma se questo atteggiamento è giusto e doveroso di fronte allo spettacolo di una squadra che scende in campo nonostante l'inferiorità tecnica e combatte fino all'ultimo per mantenere fede all'impegno preso mettendo tutta la grinta che ha in corpo per conquistare o difendere quegli ultimi metri che portano alla linea di meta, questo atteggiamento, dicevo, mi pare leggermente sterile quando ci si sposta dal terreno di gioco al campo delle lettere.

Vedi per esempio E-Doll il romanzo di Francesco Verso fresco vincitore del Premio Urania.
Nelle piazze e nei vicoli fantascientifici che frequento non mi era mai capitato di imbattermi in tanto acritico entusiasmo. Se da un lato fa piacere vedere un autore italiano di fantascienza supportato da una posse di fan agguerrita e pronta a rintuzzare ogni minima critica, dall'altro dispiace notare come la teoria rugbistica di cui sopra venga ancora una volta confermata.

Non ho alcun dubbio sulla serietà e la dedizione alla causa fantascientifica di Francesco Verso e non faccio nessuna fatica a riconoscergli le migliori intenzioni e il più grande entusiasmo. Ciò non toglie che al confronto delle opere di _______ (inserite il nome di uno dei primi dieci autori di sf che vi vengono in mente) il suo E-Doll non ci fa una gran bella figura.

Quali sono i difetti di questo romanzo, e perché non si è fatto niente per correggerli?

Per rispondere alla seconda domanda voglio partire dalle parole di uno dei professionisti responsabili dell'assegnazione del premio Urania al romanzo: "in revisione è toccato a me decidere cosa lasciare - tutto - cosa cambiare - pochissimo - e cosa aggiungere, ossia niente."
Una risposta come questa mi lascia basito. O il romanzo in questione è l'opera memorabile di un formidabile genio come nella fantascienza italiana non s'è mai visto (alleluia!) oppure in quella battuta tocca leggerci tutta la rassegnazione di chi, avendo avuto a che fare per tutta la vita con le ambizioni artistiche dei nostri autori, non ha più la forza o la voglia o il coraggio di mettere mano al lavoro di revisione che, immagino, per un autore praticamente esordiente sia sempre necessario.
Certo, esiste sempre l'ipotesi che io non abbia capito nulla delle qualità intrinseche di E-Doll, quindi lasciatemi elencare quelli che secondo me sono gli ahimé numerosi difetti del romanzo prima di sommergermi d'insulti.

- trama: la vicenda narrata in E-Doll è interessante, si sviluppa in tre filoni principali raccontando parallelamente la storia di un'investigazione, il percorso di formazione di una ragazzina, la presa di coscienza di un androide. Il comune denominatore del romanzo è il sesso, presentato di volta in volta come unica consolazione per l'investigatore, come strumento di potere per la ragazza, come mestiere e insieme inesorabile condanna per l'androide.
Le basi per un buon romanzo ci sono tutte. Peccato che nei momenti di svolta le scelte dell'autore invece di coinvolgere e affascinare il lettore lo spingono a chiedersi se non si poteva proprio trovare una soluzione diversa. Vedi per esempio l'incredibile scena dell'interrogatorio in diretta tv tra il Fabbricante e l'investigatore (episodio fondamentale del romanzo gestito nel peggiore dei modi) o il ritorno continuo della stessa anonima comparsa in tre momenti chiave della vita di Maya (la ragazzina) o l'incongruenza tra le capacità di analisi e riconoscimento di Angel (l'androide) e il travestimento della sua allieva. Tolto l'esempio iniziale, davvero imperdonabile, gli altri sono difetti veniali, da citare perché costituiscono parte della massa critica complessiva che ti fanno dire a fine lettura che insomma, dai, si poteva fare di meglio.

- personaggi: show don't tell, show don't tell, show don't tell! Il lettore di E-Doll non si trova mai al fianco dei personaggi. La percezione dell'azione è sempre filtrata dall'ingombrante presenza dell'autore che spiega spiega ma solo raramente mostra quello che succede.
L'unico personaggio che parla con una voce riconoscibile è Angel. Sull'androide Francesco Verso ha effettivamente fatto un buon lavoro di caratterizzazione e personalizzazione. Gli altri personaggi, al contrario, non spiccano mai per come si muovono o per come si esprimono, semmai per come l'autore descrive le loro reazioni alle varie situazioni in cui si trovano.
Questo difetto è accentuato dalla difficoltà a capire le motivazioni che muovono i protagonisti. Considerazione che fa il paio con i dubbi riguardanti l'evoluzione degli stessi nel corso della vicenda. Che a Maya basti lo sguardo di un poliziotto per trasformarsi da sex-addicted a brava ragazza tutta scuola e famiglia o che le conseguenze della raggiunta consapevolezza di Angel siano quelle descritte nel finale del romanzo (e che abbia comunque bisogno di Maya per realizzarle), danno un'idea della natura dei personaggi del tutto contraddittoria rispetto a quella presentata fino a quel momento.

- linguaggio. Forse l'aspetto del romanzo che m'è piaciuto meno. Eccessivamente contorto e confuso nell'esposizione, soprattutto quando si astrae dall'azione per indugiare sulla filosofia o le riflessioni dei personaggi.
Un esempio: "Quando lei vede il membro artificiale ergersi e ingrossarsi, abbassa gli occhi su di esso, simbolo del maschio e della sua inutilità resasi necessaria per un casuale incidente evolutivo." (pag. 42)
Non so voi, mai io una frase come questa non riesco proprio a capirla. Se tenete conto che questo è con buona approssimazione il linguaggio di tutto il volume (almeno nei momenti interlocutori del romanzo, e non sono pochi), vi rendete conto delle difficoltà che si incontrano per arrivare con scioltezza alla fine del volume.
Un discorso analogo andrebbe fatto su come l'autore affronta in generale il tema del sesso che sta alla base di tutto il romanzo. A me è parso di cogliere un continuo altalernarsi di due timbri contrapposti che faticano davvero a raggiungere l'equilibrio: da una parte la scelta di parlare degli innumerevoli atti sessuali in maniera ellittica e allusiva, dall'altra l'improvviso passaggio - senza nessuna percepibile necessità narrativa - a un linguaggio decisamente più esplicito e diretto.
Probabilmente questa è una scelta stilistica consapevole, però ecco, io non sono riuscito ad apprezzarla.

- ambientazione. Se c'è una domanda che mi piacerebbe porre all'autore è "perché Mosca?". Quale imprescindibile necessità narrativa ti ha costretto a scegliere la città russa? Per il lettore nostrano non sarebbe stato più coinvolgente vedere svolgersi l'azione in una città italiana?
Oltretutto come viene caratterizzata l'ambientazione moscovita del romanzo? Gli unici aspetti locali degni di nota sono la toponomastica e la citazione, sparsa qua e là, di numerosi piatti immagino tipici (immagino poiché, non conoscendo il russo, non sai mai se quello che i protagonisti mangiano è dolce o salato, prelibato o disgustoso, alta gastronomia o fast food). La specificità dello sfondo russo scelto dall'autore, che siano le periferie urbane della metropoli, gli uffici pubblici o i centri commerciali, non emerge da nessun altro punto di vista.
(per un confronto vedi ad esempio Brasyl di Ian McDonald: nonostante l'autore risieda nei dintorni di Belfast il ritratto che offre della realtà brasiliana è memorabile per vividezza, tridimensionalità e spessore.)

- ideologia & morale. Qui si entra in territori dove il giudizio è ancora più soggettivo. Non si tratta quindi di valutare se E-Doll è giusto o sbagliato, quanto piuttosto di capire se sia stato capace di entrare in sintonia con la mia specifica visione del mondo.
In questo senso c'è almeno un aspetto del romanzo che non ho digerito, ovvero l'idea del sesso visto sostanzialmente in due modi: o come strumento di potere o come puro sfogo animale. In tutto E-Doll non si esce mai da questa dicotomia, riducendo in pratica ogni atto sessuale a un momento di sopraffazione (ritualizzato, volontario, piacevole ma comunque mai paritetico tra i partecipanti). Nel romanzo si va addirittura oltre, fino a collegare esplicitamente violenza urbana e sesso in una catena di causa/effetto secondo me del tutto arbitraria.
Significativo in quest'ottica è anche il fatto che, nonostante i rapporti e l'identità sessuale siano il tema principale di E-Doll, non ci sia in tutto il romanzo una sola pagina di sano erotismo. Nel sesso vario e molteplice praticato dai protagonisti non c'è alcuna gioia, al massimo qualche consolazione.
Ben triste, no?

Una considerazione finale riguardo la valanga di critiche espresse sul romanzo.
Io non credo assolutamente che Francesco Verso sia l'unico responsabile delle carenze del libro. Sono convinto che se fosse stato seguito con più attenzione sarebbe stato possibile mettere una pezza a tutti i difetti elencati. Perché in effetti qualcosa di apprezzabile in E-Doll c'è ed è una cosa piuttosto rara nel panorama della scrittura di genere in Italia: l'intenzione di scrivere un romanzo di fantascienza originale, la consapevolezza di affrontare temi adulti, l'ambizione di rinnovare il panorama sf italico tentando una strada diversa. Se il romanzo non mi è piaciuto non vuol dire che mancassero idee o prospettiva, ma forse (forse!) solo pratica ed esperienza.
Poi certo, rimane il fatto che il premio Urania è una scadenza ineludibile. Vorrei modestamente segnalare che non è obbligatorio assegnare il premio a tutti i costi. Se la qualità grezza dei manoscritti che giungono in redazione non è all'altezza di uno standard minimo, per una volta si potrebbe anche rinunciare a un romanzo di fantascienza italiana. Altrimenti si potrebbe decidere di lavorarci sopra, insieme all'autore, per realizzare un'opera che abbia almeno un minimo di possibilità di raggiungere il livello qualitativo minimo richiesto a qualsiasi altro romanzo di fantascienza straniera.
Ma forse il punto è altro ancora. Temo ci si stia abituando alla mediocrità e invece di promuovere politiche editoriali che facciano crescere i giovani scrittori si preferisca mandarli allo sbaraglio, tanto il pubblico è di bocca buona e beve di tutto.
Poi è vero, c'è anche la possibilità che io non abbia capito nulla e che E-Doll sia effettivamente un capolavoro, ma per questo temo non ci sia rimedio.

24 novembre 2009

La gentilezza è rivoluzionaria


Chi è che ha detto che La gentilezza è rivoluzionaria? A me viene in mente Jack Kerouac (era ne I Vagabondi del Dharma? Mah…), ma si accettano smentite, integrazioni o approfondimenti. Chiunque sia stato ad avere l'illuminazione, "La gentilezza è rivoluzionaria" è stata la prima cosa che m'è venuta in mente guardando L'uomo che fissa le capre. 

L'uomo che fissa le capre è un film gentile in tutti i suoi aspetti: da come introduce l'indagine giornalistica a come tratta temi delicati come devianza e finzione, fino ad arrivare all'approccio laterale con cui si aggancia alla cronaca bellica di questi ultimi anni.
Ma L'uomo che fissa le capre è anche un film spericolato, almeno a vedere i rischi che si prende inoltrandosi nelle zone marginali dei poteri extrasensoriali o nei territori limitrofi della dabbenaggine e del disturbo mentale, senza considerare il sapore tardo-sixties che impregna tutta la vicenda. Decidere di girare un film come questo ed evitare di virare il tutto in farsa o, al contrario, di trasformare il soggetto in una favoletta surreale e inoffensiva è uno dei grandi meriti di Grant Heslov, che nonostante sia all'esordio come regista - ma va ricordato almeno per aver scritto quel piccolo gioiello di Good Night, and Good Luck - riesce a mantenere in mirabile equilibrio l'innegabile verve comica del film con istanze decisamente serie, per offrire allo spettatore uno sguardo originale sugli usi e costumi dell'uomo belligerante americano.

Una menzione d'obbligo va ovviamente agli ottimi George Clooney e Ewan McGregor (per non parlare di quello scoppiato di Jeff Bridges) senza i quali un progetto come questo non sarebbe mai potuto andare in porto. Tra i tanti momenti in cui il loro apporto diventa fondamentale mi piace ricordare il continuo sovrapporsi della faccia Ewan McGregor all'archetipo dello jedi ripetutamente evocato da George Clooney nel corso della vicenda. Temevo che un giochino come questo potesse affossare definitivamente qualsiasi pretesa seria del film e invece è proprio il continuo rimando a una realtà evidentemente fantastica a rendere paradossalmente la storia ancora più vera di quanto credevo possibile.

Insomma, L'uomo che fissa le capre è un gran bel film. Andatelo a vedere.

18 novembre 2009

Nessuna finzione

Ogni tanto capita. Inciampi in due frasi in un post che non ti aspetti, che ti fulmina per la pura e semplice verità che ti sbatte in faccia.
A me è successo ieri sera con S/T:

…preferisco teste dure non mi importa se le chiappe sono flosce.

Grazie, c.

17 novembre 2009

Aggiornamento sullo stato fotografico dell'iguana


Picture by Iguana Jo.
Ma quante poche foto ho postato quest'anno in rete? Cos'è, mi son stancato di fotografare, son diventato timido o è solo stipsi produttiva?

In realtà quest'anno ho fotografato (abbiamo fotografato, considerando anche il lavoro di Annalisa) tanto quanto gli anni precedenti, con la differenza che se prima la fotografia era un'attività completamente svincolata da impegni o vincoli o necessità documentative, ora è invece molto più mirata a progetti specifici o a veri e propri lavori in corso.
Visto che però il tempo a disposizione è sempre lo stesso, quello rimasto libero per il cazzeggio internettaro, per la cosiddetta produzione artistica o semplicemente per sistemare le foto cui sono più affezionato s'è ridotto drasticamente.

Non che fotografare su commissione non sia piacevole, tutt'altro. Specie quando chi ti chiede una mano è un amico, o quando ti ritrovi a bordo campo a fotografare i giovani rugbisti in azione - per non parlare dei veterani di mille battaglie che ancora ci provano (se leggete queste righe non picchiatemi la prossima volta al campo!) - o quando fotografando un matrimonio scattano quei meccanismi di complicità che rendono certe giornate speciali.

Il problema semmai è che se questi lavoretti aiutano a finanziare la passione, dall'altra tolgono molta della libertà espressiva cui ero abituato. L'impegno necessario per trattare al meglio questi servizi riduce il tempo passato a sistemare le immagini al computer in un lavoro (quasi) come un altro, trasformando il divertimento in routine e la sperimentazione in metodo.

Però è anche vero che l'esperienza che si matura con questa attività è impagabile. Chi l'avrebbe mai detto che mi sarei trovato a dover fare un servizio di moda con tanto di modella in un vero studio fotografico? Chi si sarebbe mai immaginato di ritrovarsi a pensare come rendere al meglio le stanze di un albergo?
Per non parlare delle difficoltà di fotografare il rugby, su campi sempre più grandi, con giocatori sempre più veloci, magari al freddo e al gelo, con il misero 70-200, che è l'unico tele che ho a disposizione.

Quindi ecco qua. Questa è la situazione. Continuerò a postare su flickr, certo. Credo che a breve ritornerò pure pro (che incredibile a dirsi, della decina di foto caricate su Getty Images un paio me le hanno pure vendute. E quindi chissà mai che a dargliene qualcun'altra non si riesca a guadagnare qualche soldino).

Non credo ci sia poi molta gente lì fuori che sente la mia mancanza (a parte la Lui, ovvio, sempre sia lodata!), ma nel caso vi stiate chiedendo che fine ho fatto, beh… ora lo sapete.


10 novembre 2009

Letture ottobre 2009


Picture by Iguana Jo.
Don DeLillo - Great Jones Street
La cosa migliore di Great Jones Street è il suo essere un racconto in presa diretta dai tenebrosi anni '70. La cosa peggiore di Great Jones Street? Continuare a essere un romanzo in presa diretta dai rutilanti anni '70.
Gli anni '70 descritti da DeLillo sono proprio come me li immagino: deprimenti, umidi e oscuri. Con quella qualità desaturata dei colori che invece di creare un'atmosfera la demolisce. Il romanzo è brillante, intendiamoci. DeLillo scrive come pochi altri. L'unico limite sta appunto nella scarsa attualità del mondo che descrive. Un mondo che anticipa il nostro ma che nel frattempo è praticamente scomparso, diventando territorio per scrittori nostalgici - e non è il caso di DeLillo - o rockers incurabili. Il mito del rock'n'roll decrittabile dalla vicenda di Great Jones Street (la rockstar in fuga dalla band, la crisi creativa, la droga e il businness) è qualcosa che ormai non esiste più, essendo stato ormai divorato dalla febbre del punk e dalla voracità di MTV. Però è in qualche modo consolante vedere narrare già nel 1973 la devoluzione di quella che all'epoca era ancora un icona rivoluzionaria. Dopotutto, e nonostante tutto, la musica non è finita e forse, da qualche parte, il fantasma di Bucky Wunderlick è ancora vivo, anche se è probabilmente troppo sfatto per combattere insieme a noi.


Roberto Bolaño - Chiamate telefoniche
Roberto Bolaño è il primo scrittore che scopro grazie ad Anobii. Dopo averne sentito decantare le lodi da più di un vicino, m'è venuto voglia di provare a leggerlo. Ho scelto questo volume di racconti un po' perché le antologie mi son sempre piaciute, un po' perché la forma breve mi consente di assaggiare aspetti diversi della sua produzione.
Magari mi sbaglio, ma l'impressione più forte che mi ha lasciato Roberto Bolaño è quella di essere un sopravvissuto (ai terribili anni '70 sudamericani, al talento artistico, al destino dei coetanei scomparsi) e di non riuscire a prescindere dal suo destino di uomo di lettere in esilio, in fuga, in perenne crisi esistenziale. I protagonisti delle sue storie sono sempre solitari, con seri problemi di socializzazione, con un qualche trauma alle spalle cui però non riescono proprio a rinunciare. Sono persone normali che si muovono ai margini del grande mondo la fuori, che non capiscono, che tentano di interpretare, ma che non cercano mai veramente di comprendere.
Ecco, forse il limite di questi racconti è che troppo spesso tra le righe delle storie (diverse, con una varietà di panorami e personaggi e situazioni) si vede l'autore, sempre l'autore, comunque l'autore, che non riesce a farsi da parte, a lasciar vivere autonomamente persone e situazioni, a non far pesare la sua ingombrante presenza, avvolgendo la realtà nelle spire a volte sin troppo soffocanti della creazione letteraria.
I racconti tormentati di Chiamate telefoniche sembrano avere un passato più profondo di quel che realmente hanno. Si collocano volontariamente fuori tempo, ma raggiungono a volte un'intensità rara, specie quando le tensioni tra necessità artistica e storia raccontata si sciolgono in un magistrale equilibrio narrativo.
Non so se leggerò altro di Bolaño, che in fondo non sento troppo vicino, di certo non rimpiango la lettura di questo volume.


Lucius Shepard - Stelle senzienti
Rock'n'roll e fantascienza. In realtà in Stelle senzienti c'è giusto il tempo per una sbirciata dietro le quinte del primo e per una spruzzata veloce della seconda, che poi il romanzo è finito. Però questa storia di Lucius Shepard funziona per l'evidente conoscenza che l'autore ha del sottobosco rock e per la sensibilità e l'affetto che dimostra nel tratteggiare i suoi personaggi, che siano coppie in crisi, bestie musicali o quarantenni rassegnati. La favola della realizzazione del talento potenziale, della sua perdita e delle conseguenze che il contatto con una forza superiore porta con sé sarà anche un tema già letto e riletto, ma questa versione di Shepard è comunque capace di regalare qualche emozione.


Jon Courtenay Grimwood - Pashazade
Perché nessuno mi ha mai parlato di Jon Courtenay Grimwood? Ricordo un'unica citazione di quest'autore ai tempi di ICF, la persona che ne parlava era affidabile e quindi mi ero debitamente segnato il titolo del romanzo. Però da allora son passati quasi 10 anni di assordante silenzio. Possibile che questo scrittore sia così poco conosciuto da 'ste parti?
Me lo chiedo perché Pashazade è una delle cose più interessanti, divertenti e avvincenti lette in ambito fantascientifico negli ultimi anni. Nel romanzo di Jon Courtenay Grimwood c'è un protagonista memorabile che si rivela nella sua complessità man mano che si procede con la lettura; c'è un'ambientazione formidabile: un'Alessandria d'Egitto di un prossimo futuro ucronico in cui le due guerre mondiali non ci sono mai state, ma che non per questo appare meno credibile o reale; c'è un plot avvincente, a metà strada tra mistero della camera chiusa e noir urbano; ci sono una serie di comprimari che si fanno ricordare, colti all'incrocio tra oriente e occidente, in precario equilibrio tra fascinazioni tecnologiche e tradizioni millenarie.
Insomma, in Pashazade c'è tutto quel che serve per divertirsi, tanto che adesso non vedo l'ora di mettere le mani sui due romanzi successivi della serie.


Beppe Fenoglio - Una questione privata
Vedi cosa mi perdo a ignorare scientemente la letteratura italiana? Sì, sono una vittima del sistema scolastico, ma sto cercando di rimediare. Dammi tempo, che un po' alla volta questi grandi autori italiani me li voglio leggere tutti. Un grazie a Chiara, quindi, che mi ha suggerito Beppe Fenoglio.
Nella corposa introduzione al romanzo si spiega come Una questione privata sia IL romanzo della Resistenza. Non so se è davvero così che, per dire, a me era già piaciuto moltissimo La messa dell'uomo disarmato. Di certo nel romanzo di Fenoglio si avverte tutta la fatica, il sudore e il freddo della lotta partigiana, si avverte la furia e la passione condita con la paura, la fame e la noia. Si scorge per un attimo un'Italia complicata e molteplice, uno schieramento tutt'altro che monolitico di fronte al nemico, la violenza improvvisa e accecante ma anche un'onestà che sa davvero d'altri tempi.
Che il tutto abbia la forma di un romanzo d'amore (ma siamo più dalle parti della passione ossessiva e furiosa di Wuthering Heights piuttosto che nel reparto baci-e-consolazione della narrativa romantica) è una specie di arcano, ipnotico ed emozionante e razionalmente quasi incomprensibile, almeno letto qui e ora.
In effetti sono arrivato alla fine di una Una questione privata scosso e stravolto quasi come Milton, il protagonista del romanzo. Non so se è l'insieme di suggestioni evocate dal racconto o se è la capacità di Fenoglio di farci rivivere un momento fondamentale della nostra storia, ma leggere questo libro è stata un'esperienza quasi commovente. In poco più di cento pagine ci rivediamo come eravamo, come saremmo sempre dovuti essere, come forse non saremo mai. E non so se è una fortuna o la più grande disgrazia ci potesse capitare.

04 novembre 2009

Tarantino Kamikaze


Cos'ha Bastardi senza gloria di così poco convincente? Perché per la prima volta dopo aver visto un film di Quentin Tarantino non sono uscito dal cinema entusiasta e saltellante (cavoli, a me era piaciuto un sacco perfino il bistrattato Deathproof…)?

É già qualche giorno che ripenso al film (il che vuol già dire qualcosa). La mia opinione al riguardo ha attraversato tutto lo spettro dei giudizi possibili, che mai come in questo film i colpi di genio si alternano, spesso nel giro di un attimo, addirittura nello stesso spazio/tempo!, a momenti di incomprensibile piattezza, i virtuosismi ai colpi d'accetta.

Per uscire dall'impasse voglio provare a riassumere (e magari trovare un senso) alle svariate impressioni che il film mi ha lasciato.

- ma quant'è bravo 'sto uomo?
La premessa sottintesa agli appunti che seguono è che pochi altri registi sono al momento capaci di fare film di tale caratura tecnica. Al volo mi vengono in mente i fratelli Coen, che però si posizionano ideologicamente agli antipodi di Tarantino. Dal punto di vista della regia, della messa in scena, dei dialoghi, del ritmo e della fotografia credo che pochi film raggiungano il livello di perfezione qualitativa di Bastardi senza gloria. Se c'è un qualche difetto è forse nella sceneggiatura e nel montaggio, ma nel complesso questo è un film decisamente superiore alla media.

- l'intero è inferiore alla somma delle sue parti
Se in un film come Kill Bill la scansione in capitoli della narrazione aveva un senso per accentuare i campi di ritmo e di stile cinematografico che caratterizzavano le varie fasi della vendetta della sposa, ne i Bastardi senza gloria i vari episodi in cui è diviso il film non si distinguono per particolari variazioni sul canone, e sebbene presi da soli siano più o meno tutti memorabili, le improvvise cesure tra un capitolo e l'altro si pongono come indebite interruzioni del flusso della storia, distraendo lo spettatore e costringendolo a ricostruire di volta in volta la vicenda appena ricominciata. Qual è il senso di questa frammentazione? Narrare più storie parallele non è mai stato un problema per Tarantino, come mai in questo caso c'è così poca organicità tra i vari capitoli?

- la questione della lingua
Non c'è intervento in rete che non celebri l'utillizzo delle varie lingue nel corso del film. A me pare che questo aspetto sia stato sopravvalutato. Certo, i passaggi da inglese a tedesco a francese a italiano sono brillanti, l'utilizzo della barriera linguistica come abile escamotage per far passare informazioni selezionate è decisamente funzionale, ma non riesco a levarmi di dosso l'impressione che Tarantino si sia semplicemente divertito a confondere le acque, a darsi un tono e a regalarsi un facile apprezzamento da parte di certa critica.
Lo dico perché in fondo l'utilizzo delle diverse lingue non è funzionale a sottolineare chissà quale differenza culturale, politica, economica - vedi per un confronto Eastern Promises (La promessa dell'assassino) di David Cronenberg - ma rappresenta unicamente una soluzione tecnica (elegante, certo) per fa procedere la vicenda.

- il cinema, soprattutto
Discorso simile a quello della lingua qui sopra. La massiccia presenza di tutta 'sta autoreferenzialità metafilmica alla fine m'è parsa stucchevole e forzata. Gli unici momenti in cui ho avvertito un sincero trasporto per il cinema sono quelli in cui Shoshanna e il suo assistente montano lo spezzone di pellicola nel film di Göbbels. Per il resto il continuo giocare a rimpiattino tra film e cinema a cui si assiste durante la visione m'è sembrato sin troppo spudorato per prenderlo sul serio. Trattandosi di Tarantino, questo aspetto di Inglorious Basterds m'è parso di volta in volta un giochino autocelebrativo, uno zuccherino concesso ai veri credenti, uno specchietto per le allodole attira critici da quotidiano.
(Paradigmatica in questo senso la scena in cui - ta-dan - l'azione si sposta improvvisamente - indebitamente, verrebbe da dire - sul suolo inglese.)
Solo quando i riferimenti sono più sottili emerge il manico del vero regista e del cineasta appassionato. Vedi per esempio la sovrapposizione tra il film nazista e gli avvenimenti in cabina di proiezione. Con lo stesso protagonista nello stesso momento nella medesima situazione. O la proiezione della risata del pre-finale sullo schermo in fiamme. Fortunatamente a Tarantino bastano un paio di scene così per riconciliarti col film.

- la violenza
Tarantino e la violenza. Quante parole sono già state spese al riguardo? Da parte mia posso solo notare come si sia evoluta la rappresentazione della violenza nel corso della sua carriera.
Dall'esaltazione estetizzante dei primi film, al ridicolo di Jacky Brown, all'astrazione di Kill Bill, passando per il grottesco di Deathproof fino alla messa in scena oltremodo reale e dolorosa di questo Bastardi senza gloria.
In effetti quest'ultimo film è forse il primo di Tarantino in cui gli scoppi di violenza sono ridotti al minimo, e proprio per questo decisivi nel trasmettere la realtà delle conseguenze del gesto violento. Il primo in cui lo spettatore è colpito direttamente dall'oltraggio fisico perpetrato alla vittima del caso.
Che si tratti di subire la visione di un cranio spappolato a colpi di mazza da baseball o di assistere allo sforzo bestiale di uno strangolamento, o al contrario di rimanere travolti dall'incomprensibile sparatoria all'interno nel seminterrato (niente slow motion, solo velocità e sangue), la violenza in questo film colpisce per quanto di offensivo (e osceno) risulta immediatamente percepibile allo spettatore. Che è esattamente l'opposto di quanto i blockbuster ci hanno ormai assuefatto ad accettare.
I colpi di Tarantino fanno male. E proprio per questo diventano difficili da mandar giù con indifferenza.

- i buoni e i cattivi
I nazisti sono il male, sceglierli quindi come cattivi vede gli spettatori allineati a priori in un giudizio morale generalmente condiviso. La qualità disturbante di Bastardi senza gloria sta anche nella capacità di Quentin Tarantino di riflettere su questo assunto costringendo il suo pubblico a scendere a patti con una rappresentazione del conflitto in cui i buoni sono personaggi pieni d'odio, che non accettano altra soluzione che quella finale, che sono disposti a immolarsi per la morte del nemico, che dimostrano continuamente un'adesione integrale alla causa, mentre i cattivi sono gli unici che dimostrano qualche sprazzo di umanità, a partire dal capitano tedesco che non capitola, passando per il neo-genitore fiducioso, per arrivare all'eroe innamorato che non manca di mostrare orrore per la sua stessa impresa.
Il tutto senza retorici rovesciamenti di prospettiva (che i nazisti siano il male non è mai in dubbio), ma compiendo un'operazione piuttosto insolita nel cinema popolare di questi decenni: rendere evidenti la complessità e le complicazioni di qualsiasi conflitto. Di nuovo, costringendo lo spettatore a fare i conti con la propria umanità.

- conclusioni
All'inizio dicevo che per la prima volta un film di Tarantino non mi ha entusiasmato. In effetti di tutti i suoi film Bastardi senza gloria è di certo il meno divertente. Ma non è detto che questo sia un difetto. Dopotutto andare al cinema e uscire con più domande di quando si è entrati sarà anche meno rilassante, ma è di certo più stimolante.
S'è parlato un po' ovunque della presunta maturità espressiva raggiunta dal regista, da parte mia credo che un po' rimpiangerò il Tarantino cazzone ed esagerato dei suoi film precedenti, ma sono curioso di vedere dove arriverà con questa sua nuova consapevolezza.
Fino a ieri i suoi film erano solo cinema, d'ora in avanti, chissà…