30 marzo 2007

Il bimbo e le oche


Picture by Iguana Jo.
Nel lontano 1915 mio nonno Carlo aveva più o meno l'età di Jacopo in questa foto.
A quell'epoca il Trentino era territorio asburgico, travolto come molte altre zone d'Europa dalla Grande Guerra. Circa 30.000 abitanti della regione furono sfollati e trasferiti in altre zone dell'impero. Alla famiglia di mio nonno toccò di andare in Boemia.

Non so come siano stati quegli anni per lui, mio nonno non era persona che amava parlare del passato e noi eravamo troppo giovani per essere davvero interessati a sapere. L'unica cosa che m'è rimasta di quell'epoca era sapere che il lavoro di mio nonno bambino in Boemia consisteva nel fare il pastore delle oche.
Il mio ricordo dei suoi anni da sfollato è la storia di questa foto, che questa statua in Francia me l'ha fatto ricordare.


29 marzo 2007

Spiegatemelo, che non ci arrivo


Picture by Iguana Jo.
C'è mica un buon cristiano, un prete o un politico cattolico che mi voglia spiegare in che modo il riconoscimento delle coppie di fatto metta in pericolo l'istituzione familiare?
Grazie.


28 marzo 2007

Abbiate fede! (nei pixel, almeno)


picture by Iguana Jo.
Abituato ormai a vedere le foto nelle limitate dimensioni permesse dal monitor, fa uno strano effetto vedersele comparire davanti in tutto lo splendore permesso dalla proiezione su schermo.
Se poi alle dimensioni si aggiungono la musica e la coerenza tematica di una serie allora si può ben dire di assistere alla fotografia nel suo aspetto più spettacolare.
Probabilmente per molti questi saranno dati scontati, ma per me vedere le mie foto insieme a quelle di un'altra decina di fotografi, beh… è stato emozionante. Per questo ringrazio ancora Cino & Faith per l'opportunità e soprattutto per l'ottimo lavoro svolto per questa seconda puntata di In Pixel We Trust (in FiIm Too) .

Ma non voglio annoiarvi sbrodolando complimenti a destra e a manca, piuttosto mi interessava proporre qualche considerazione a margine della serata al Pacio .
Assistere a una proiezione è diverso da sfogliare un libro o dal visitare una mostra. Le foto che vedi ti colpiscono in un modo particolare. Ce ne siamo accorti domenica notte, quando ripensando alle foto viste ci siamo resi conto che tra quelle che più sono rimaste impresse nella memoria c'erano praticamente solo immagini che ritraevano esseri umani, nelle più varie attività, con le più diverse facce, ripresi con le più varie tecniche, ma sempre e comunque persone.
Ci siamo chiesti quale poteva essere il motivo, che normalmente quelle che ritraggono persone non sono tra le nostre foto preferite. La risposta che ci siamo dati è che vedere in sequenza una serie di immagini non permette una visione troppo approfondita, non ti lascia scegliere cosa guardare, ti relega a un ruolo decisamente più passivo del percorrere i corridoi di una mostra, della navigazione in rete o dello scorrere le pagine di un libro.
L'occhio non ha il tempo di trasmettere compiutamente le foto al cervello, le fa passare direttamente dallo stomaco, organo notoriamente più sensibile alle fluttuazioni emotive. E le persone, non c'è niente da dire, sono immediatamente più emozionanti di case abbandonate o panorami marini. Su tempi più lunghi forse questi ultimi avrebbero qualche possibilità in più, ma nei pochi secondi di una proiezione video non c'è competizione. Questo senza nulla togliere alla qualità delle singole foto viste, che era in ogni caso decisamente alta.

Altra osservazione, da annotarsi per eventuali prossimi episodi video.
Le dieci immagini richieste come quantità minima per accedere alla proiezione sono decisamente poche. Non si fa in tempo a sintonizzarsi sul tema, a entrare nell'atmosfera della visione che lo spettacolo è già finito. Vedi per esempio la stupenda serie di Michael Dudding, una sequenza di scatti emozionanti intorno ad un edificio abbandonato, stavamo iniziando a gustarla davvero che zac, ne è cominciata una nuova.
Capisco che non è per niente facile mettere insieme una serie coerente di almeno una ventina di foto, specie se non si è progettato a monte un lavoro del genere. Ma vi assicuro che la differenza si vede, e in grande.

Detto questo non posso non menzionare le cose più belle viste al Pacio.
Su tutte la serie Touch di Sanoi. Estremamente potente, violenta e fulminante. Bianchi e neri strazianti nel mettere a nudo la nostra anima bestiale.
Eppoi i Very Normal People di Christian Fossati, emozioni per una normalità fortemente ricercata.
Altra menzione per Koan, i suoi Fetish Files mediano abilmente tra inquietudine e ironia, con il sorriso finale che illumina tutto la serie.
Poi mi sono piaciuti un sacco la grana che accompagnava le immagini di Urbania.Inc, i colori degli edifici abbandonati di Cino e l'atmosfera onirica dei panorami di Alessandro Gelmini, ma sono certo che anche gli altri fotografi hanno avuto i loro estimatori (almeno a giudicare dagli applausi che seguivano ogni sequenza).
Il miglior connubio tra immagini e colonna sonora spetta alla scelta di Giuseppe Astuto . Le immagini erano forse un po' troppe, però con la canzone che le accompagnava non ci si poteva certo annoiare.
Sempre a proposito di colonne sonore, non è possibile sapere di chi era la musica che accompagnava il set lusitano di Carlos Albalà?

Insomma, una gran bella serata quella di domenica. Nell'attesa della prossima, tra un mese o due, sempre a Piacenza, sempre al Pacio .

27 marzo 2007

Revenant!


Picture by afeman.
Revenant è la prima raccolta di racconti di fantascienza di Giovanni De Matteo, aka X. Capirete che già avere a che fare con un volume di racconti di fantascienza italiana è un piccolo evento nel panorama letterario nostrano. Ancora più eccezionale il fatto che per una volta i racconti presentati non sono permeati da quell'atmosfera nostalgico decadente che sembra imperare tra gli autori giovani o meno giovani della scena italiana, ma offrono una visione del futuro all'avanguardia per tematiche e suggestioni.

Detto questo, com'è realmente Revenant? Vale il tempo speso per la lettura?Presenta qualche traccia originale o è la solita riscrittura made in italy dei canoni fantascientifici anglosassoni?

La prima doverosa osservazione è che Giovanni De Matteo sa scrivere, questa almeno è una certezza. Anche se in alcuni racconti si nota qualche ingenuità, e forse un'eccessiva dipendenza dai moduli di scrittura cyberpunk - ma è troppo amore, mai scopiazzatura - la tensione narrativa rimane sempre alta. La capacità di immaginare e riproporre ambientazioni affascinanti, il forte impatto emozionale degli scenari speculativi insieme alla passione percepibile dietro ogni racconto sono i veri punti di forza di questa antologia. Nei sei racconti presenti si spazia dal cyberpunk urbano, al viaggio nel tempo, dall'avventura marziana alla riscrittura tecnologica del mito biblico. Ce n'è insomma per tutti i gusti, legati però da una sensibilità unificatrice riconducibile al paradigma connettivista promosso dall'autore, per cui ogni dettaglio, la più diversa speculazione, si situa in una visione postumana del futuro.

L'unico limite attuale dell'autore è forse rintracciabile nella mancanza di profondità dei protagonisti delle sue storie. I personaggi si muovono spinti da pulsioni troppo facili, i dialoghi e le emozioni che li dovrebbero caratterizzare danno l'idea di un'eccessiva drammatizzazione e, in un fondo, di uno scarso realismo. Ma il punto più dolente nella produzione di De Matteo sta secondo me nelle sue figure femminili: sempre fondamentali nello sviluppo narrativo, ma mai all'altezza del loro ruolo dipendenti come sembrano essere dalle figure maschili che ne determinano l'esistenza, idealizzate tanto da perdere ogni connotazione reale. Tutte le donne di De Matteo incarnano un'ideale femminile tanto irreale da risultare del tutto fuori luogo nelle le vicende prettamente terrene dei suoi racconti.

Eccezione in questo panorama di personaggi umani appena abbozzati è Cuore di Tenebra che, titolo escluso, mi pare la prova migliore dell'intera antologia. In questo caso le motivazioni, le spinte emotive, i turbamenti e le aspirazioni della creatura sotterranea protagonista del racconto sono rese in maniera magistrale. I personaggi di contorno dipinti in poche frasi prendono immediatamente vita agli occhi del lettore. Anche la scarsa indipendenza della figura femminile invece di apparire come possibile difetto, è perfettamente funzionale alla messa in scena orchestrata dall'autore.

Red Dust è l'altro racconto che rimane impresso nella memoria. La sua forza sta nello scenario originale (un Marte in via di terraformazione forzatamente abitato da reduci mediorientali e altra umanità emarginata) che offre all'autore la possibilità di scatenare tutta le sue capacità narrative e immaginifiche coniugando istanza politiche, tensioni post-umane e invenzioni tecnologiche. La carne al fuoco è davvero tanta per un unico racconto, tanto da lasciare facilmente presagire lo scenario per un futuro romanzo.

Sugli altri racconti non mi dilungo, ma mi piace notare come sia evidente e palpabile la progressione qualitativa man mano che si procede nella lettura dell'antologia. E se il buongiorno si vede dal mattino, beh… non vedo l'ora di mettere le mani sulle prossime prove narrative di Giovanni, che le premesse per la nascita di un Grande Autore italiano ci sono tutte.

20 marzo 2007

IN PIXELS WE TRUST (in film too) #2


IN PIXELS WE TRUST (in film too) #2
Originally uploaded by cinocino.


Non so ancora se domenica 25 marzo riuscirò a essere a Piacenza, ma le mie foto ci saranno di sicuro.

L'appuntamento è alle ore 22.00 al Pacio, Vicolo Molineria S.Andrea 4 - Piacenza.

Accorrete numerosi!

IN PIXELS WE TRUST (in film too) #2

Espongono:
Giovannin Hanninen . Alessandro Gelmini
. Carlos Albalà . Urbania.Inc . Koan . Franca Alejandra Franchi . Giuseppe Astuto . Jacopo Aquino . Marco Calò . Gex Paz . Christian Fossati . Cino . Michael Dudding . Giorgio "Iguana Jo" Raffaelli . Fabio Panichi

(la foto nel manifesto è di
Franca Alejandra Franchi )

16 marzo 2007

Urania al vapore


Picture by tiptoe.
Un giorno o all'altro troverò il tempo per postare le mie considerazioni sul miserevole stato della fantascienza in italia, e quanto questo dipenda dalla pervicace e ingombrante presenza di Urania in edicola. Nel frattempo beccatevi questo messaggio promozionale.

Vista che la scarsa quantità di buona fantascienza disponibile per il lettore italiano, e nonostante non ami per nulla la più longeva delle collane fantascientifiche nostrane, è doveroso segnalare l'eccezionale presenza - per Urania - di un volume che ha tutte le carte in regola per rimanere impresso nella memoria. Si tratta de L'Imperatore di Gondwana la prima antologia di racconti di Paul Di Filippo mai proposta in italia . Ai più il nome di questo autore non dirà nulla. Non è Gibson, non è Simmons ne tanto meno un Asimov o un Dick, ma Paul Di Filippo è uno degli autori più originali, creativi e meravigliosi al momento disponibili alla lettura.

Il fatto che questo autore americano non sia troppo famoso credo dipenda dal fatto che a) scrive fantascienza b) scrive racconti di fantascienza.
Chi frequenta il genere sa quanto la narrativa breve ne costituisca la spina dorsale, il cuore e i muscoli. Purtroppo però in libreria gli editori propongono e vendono (quasi) esclusivamente romanzi. Per questo motivo l'unico titolo finora disponibile dedicato a Di Filippo è il glorioso Steampunk, raro esempio di volume capace di dare origine a un intero sottogenere, edito nell'ormai lontano 1996 dall'editrice Nord. Nei tre romanzi brevi di quel volume si spaziava dalla Londra ottocentesca, agli strani incontri nella Providence di lovecraftiana memoria fino allo stupefacente incrociarsi dei destini di Emily Dickinson e Walt Whitman. Tutto condito al vapore in salsa fantascientifica per palati letterari interessati all'insolito.
Il resto della sua produzione breve edita in italia lo si trova sparso per una miriade di antologie più o meno rare, più o meno introvabili.
La speranza di vedere in libreria qualche altro titolo dedicato esclusivamente a Di Filippo è quindi praticamente nulla, motivo in più, se ne servisssero, per non lasciarsi sfuggire L'Imperatore di Gondwana nell'Urania ora in edicola.
Avete tempo fino alla fine del mese.

12 marzo 2007

Truman Capote & Syriana: la zetetica applicata al cinema

Causa impegni vari ultimamente non vediamo troppi dvd. Ma questo fine-settimana siamo stati fortunati. Ci siamo goduti ben due film, totalmente diversi tra loro, ma ambedue esempio di grande cinema. Entrambe le pellicole trattano la Verità, la sua percezione, i corto circuiti che si creano tra chi la tratta di mestiere, chi la subisce, chi semplicemente la ignora. E delle complicazioni che il perseguirla inevitabilmente porta con sè.

I due film sono Truman Capote: a sangue freddo e Syriana. Totalmente diversi per tecnica narrativa e regia, per argomenti trattati, ritmo e soluzioni visive, eppure simili nell'essere due ottimi esempi di zetetica applicata al cinema.

In Truman Capote sono almeno due le cose entusiasmanti. La prima è la capacità degli autori di rendere percepibile la personalità dello scrittore, la miscela di sensibilità e arroganza che lo caratterizza, il confronto con una realtà insopportabile rispetto all'insostenibile leggerezza in cui si rifugia la sua esistenza, il peso schiacciante della verità, a cui non vuole sottrarsi, nonostante tutto.
Il film riesce a comunicare il senso di tragedia della situazione senza ricorrere a sermoni o prediche, ma lasciando alla bravura di Philip Seymour Hoffman e al non detto cinematografico il compito di trasmettere la complessità delle emozioni che lo attraversano e allo spettatore il compito di decifrarle.
Conoscevo Capote solo di nome prima della visione del film ( e il nome non sapevo neppure come pronunciarlo!), non so quanto il film sia storicamente accurato rispetto alla sua figura, ci certo la sua vicenda diventa assolutamente vera nella visione cinematografica di Bennett Miller.
Un' ulteriore nota di merito va al direttore della fotografia Adam Kimmel. Suoi sono gli indimenticabili panorami autunnali del film. E senz'altro suo il merito (da dividere con il regista) per la composizione formalmente perfetta delle inquadrature, perfezione estetica che invece di imbalsamare il film diventa perfettamente funzionale alla generazione di una tensione palpabile per tutto il corso della vicenda. Era davvero da tempo che non vedevo un film così bello.




Sempre di verità si occupa Syriana, film di Stephen Gaghan, regista e sceneggiatore sconosciuto al sottoscritto ma che risulta aver scritto anche Traffic diretto poi da Steven Soderbergh. Non le verità dello spirito, ma quelle più tangibili e altrettanto sfuggenti delle grandi manovre occulte che conducono l'energia dagli impianti d'estrazione nel deserto fino alle nostre pompe di benzina attraverso il caos mediorientale. In questo caso il merito dell'autore sta soprattutto nell'essere riuscito a ricomporre una situazione così complessa, mutevole e complicata nell'ordine rigoroso di un film perfettamente godibile. Nello sviluppare il difficile tema del sua pellicola Stephen Gaghan non rinuncia alle storie personali dei suoi protagonisti, anzi fa di queste storie personali il collante che permette allo spettatore di seguire la vicenda conducendolo all'interno del terrificante mondo delle lobby petrolifere, dei perversi incroci tra ragioni di stato e libero mercato, nelle strade frequentate da quelle persone al tempo stesso vittime e agenti di quel terrore che attraversa tutte le nostre vite.
Un esempio pressoché perfetto di cinema impegnato che non rinuncia a raccontare storie, che non si rifugia in uno sterile documentarismo o nell'assettica denuncia di un insopportabile status quo, ma che invece si esalta della difficoltà strutturale di una vicenda la cui complessità è evidente fin dalla prima scena.
Un plauso quindi a Stephen Gaghan sceneggiatore e regista della pellicola, ma anche al cast sopraffino (tra tutti un grande George Clooney invecchiato e imbolsito, in veste anche di produttore) che riesce mantenere alta la tensione e la comprensibilità della vicenda per tutta la durata del film.
Un dubbio però m'è rimasto. Cosa significa Syriana?

08 marzo 2007

Rapporto letture - Febbraio 2007


Picture by Iguana Jo.
Un po' in ritardo, eccomi ad annotare le mie letture del mese di febbraio.

In questo mese l'unica lettura che varrebbe la pena ricordare è La Fortezza della sollitudine di Jonathan Lethem. Ma su questo meraviglioso romanzo mi sono già dilungato abbastanza qui . Purtroppo nessuno degli altri libri letti si può paragonare nemmeno lontanamente all'epopea brooklyniana dell'autore americano.

Vediamo i titoli. in rigoroso ordine di lettura:
- I fabbricanti di universi, di Philip J. Farmer. Esempio tipico di tutti quegli stereotipi per cui ancora oggi la fantascienza è ritenuta cosa da bambini, o quasi. Nel romanzo non c'è altro che un continuo susseguirsi di scontri e avventure con nemici sempre più grandi sempre più cattivi sempre più sorprendenti. Un racconto ad accumulo progressivo in cui la caratteristica più saliente è la magnifica muscolatura del protagonista, il suo rapporto virile con i compagni di viaggio, la stoica sopportazione dei disagi da parte della donzella in pericolo. Tutto qua.
La fantascienza dovrebbe trattare di idee, ma in questo romanzo le invenzioni originali latitano completamente (o sono troppo naif per essere menzionate), a meno che come idea non si intenda la descrizione di panorami esotici e delle improbabili comunità che vi risiedono, che di queste ce n'è invece in abbondanza.
Sembra incredibile che lo stesso autore abbia scritto uno dei miei racconti favoriti in assoluto, quel Riders of the Purple Wage (Il salario purpureo) che riesce a fondere magistralmente lo spirito dei sixties con uno sviluppo fantascientifico memorabile. Ma tant'è: nel caso de I fabbricanti di universi è tranquillamente dimenticabile.

- Futureland, di Walter Mosley. Con questo volume di racconti passiamo invece alla fantascienza più nuova e attuale. O almeno questo è quello che la data di pubblicazione e le note di copertina vorrebbero farci credere. In realtà la visione politica e la capacità di speculazione dell'autore sembrano nutrirsi dei luoghi comuni più frequentati dalla fantascienza di questi ultimi decenni: la megalopoli, il controllo delle corporation, l'uomo disumanizzato; con in più una serie di personaggi e situazioni che riporta ancora più indietro l'orologio fantascientifico, con la presenza del geniale e cattivissimo scienziato-capitalista di turno, l'eroina che proviene dal sottosuolo, l'afflato mistico della ribellione.
La sensazione più immediata è che ci si trovi di fronte allo Shirley di Eclipse in salsa afroamericana, in cui è evidente fin da subito chi siano i buoni, chi i cattivi, chi ha ragione chi ha torto… Intendiamoci, il volume si fa leggere molto volentieri, se non vi si cercano significati profondi e lo si può trovare anche divertente se non si presta troppa attenzione alla sottile vibrazione razzista sempre presente in sottofondo.
Ma ecco, da un libro promosso come un'opera visionaria tra le più rivelatrice del panorama contemporaneo mi aspettavo qualcosa di più.

- Hedrock l'immortale, di A.E. Van Vogt. Non so perché mi ostini a dare un'altra possibilità a Van Vogt. Probabilmente perché voglio arrivare a capire cosa ci abbiano trovato tutti gli ammiratori di cui gode ancora oggi la sua opera, che senz'altro, letta a 15 anni negli anni '40 doveva risultare davvero emozionante.
Del resto l'incessante susseguirsi di colpi di scena, di scenari sempre più esagerati, il mettere in gioco ogni volta il destino dell'universo, il basare il tutto sulle emozioni più basilari e i rapporti umani più semplici sono gli stessi meccanismi che decretano oggi il successo di miriadi di film d'azione ad alto budget. Probabilmente dunque sono io che ho aspettative troppo elevate e che non riesco a leggere nella dovuta prospettiva storica l'opera dell'autore canadese.
Vabbé, forse è il caso che ci rinunci…

Per il prossimo mese aspettatevi qualche escursione nel fantasy, almeno due righe su Crash e qualche nota connettivista.

06 marzo 2007

Siamo tutti connessi

Picture by Iguana Jo.
Fine settimana ricco di incontri, scoperte e soddisfazioni l'ultimo appena trascorso.

Grazie alla magia della rete ho avuto la possibilità di esporre alcune mie foto alla NextCon che si è tenuta sabato in quel di Vimercate.
Se siete curiosi riguardo alla Convention vi invito a fare un giro qui o qui, per quanto mi riguarda posso dire che è sempre bello vedere tanto entusiasmo per un progetto culturale alternativo al mainstream. Sulla sostanza della proposta non mi pronuncio (ma lo farò presto, che qualche libro l'ho pure acquistato), ma visto che finalmente ho toccato con mano la connessione due parole sul movimento le voglio spendere.

Per quanto mi siano piaciute le persone coinvolte nel Connettivismo faccio fatica a riconoscermi in un movimento, in un qualsiasi movimento. Dal mio punto di vista l'etichetta connettivista, come tutte le etichette, può essere comoda per riconoscere, distinguere e collocare un'opera d'arte. È utile e forse anche necessaria per fare ordine e catalogare. Ma il fatto di stabilire a priori una connotazione, il rifarsi a un manifesto, lo schierarsi artisticamente, sono cose che non riesco a sentire come mie. Certo, il proporsi come movimento può essere un'efficace strategia di marketing per attirare a se le luci dell'establishment, ma dal punto di vista autoriale mi sembra un'inutile gabbia, che imprigiona eventuali episodi talentuosi e livella la proposta alla qualità media della stessa.
Ovviamente queste sono tutte impressioni generiche che non si riferiscono esclusivamente al movimento connettivista, che vanno ben al di là del felice incontro di sabato e che forse servono soprattutto a togliermi dall'imbarazzo che mi ha colto quando mi è stata rivolta la domanda fatale: ma tu, sei un Connettivista? Sono onorato di averne conosciuto qualcuno, ma no, non mi sento parte di alcun movimento. Preferisco accompagnarlo lungo la strada, goderne le opere e partecipare magari a qualche episodio lungo il cammino.

Detto questo, non posso che menzionare e ringraziare di cuore X per avermi invitato a partecipare alla NextCon; Alessio, Alex, Serena e Andrea che si sono fatti in quattro, sempre gentilissimi e disponibilissimi, per permettere a me e Annalisa di allestire la mostra nel migliore dei modi; tutti i Connettivisti, una banda di persone creative e positive, con quella vena di follia indispensabile per proporre fantascienza oggi; gli amici che ci sono venuti a trovare, e soprattutto Margotta, che connettivista non è, ma che si è rivelata davvero per una persona squisita (buon viaggio!) e last but not least, Annalisa, che è stata la mente (e il braccio!) per quanto riguarda l'allestimento dell'esposizione fotografica,

Ah… dimenticavo! Un ulteriore ringraziamento è d'obbligo alla persona sconosciuta (se fosse connessa si faccia viva!) che mi ha regalato la soddisfazione finale della giornata, portandosi a casa una delle fotografie. Grazie di cuore!

Per noi la serata s'è conclusa anzitempo, altri piacevoli impegni ci attendevano a Milano, però c'è rimasto il tempo per assistere alla proiezione di Con gli occhi di domani (stupefacente performance cinematografica, che a dispetto dei mezzi minimi utillizzati s'è rivelata notevole soprattutto dal punto di vista tecnico) proposta da Walter L'Assainato e Mauro Gazzola (andateli a trovare qui) e alla performance di Zoon e Kremo quest'ultimo in vena decisamente declamatorio/futurista che ha conquistato l'auditorio riuscendo ad unire in un mix azzardato ma perfettamente riuscito Fabrizio De André al manifesto connettivista.

In tarda serata c'è stato per noi il felice incontro con altre conoscenze che da virtuali si fanno sempre più concrete e reali. Parlo degli amici flickriani riuniti da Sarmax per festeggiare il suo compleanno: Kozan, Śiva , Giona, Auro, Meme, Koan, Pensiero, Berberenike … sono nomi che fuori dalla rete non diranno niente ai più, ma che nascondono dietro l'obiettivo delle loro macchine fotografiche un sacco di talento.
Queste sono le connessioni che mi esaltano.
Alla prossima!