29 marzo 2012

Fantascienza in arrivo: Gene Wolfe


No, nessuna novità in arrivo da Gene Wolfe - magari! - che sono anni che dell'autore americano arriva da noi solo qualche racconto sparso. 
Ma la nuova edizione a marchio Fanucci de Il Libro del Nuovo Sole da oggi in libreria merita comunque una menzione.
Uscita negli Stati Uniti tra il 1980 nel 1982, la tetralogia del Nuovo Sole ha goduto di ottima visibilità anche qui in Italia. L'editrice Nord l'ha pubblicata una prima volta nel 1983/84, per riproporla poi nel 1997/98 in un nuovo formato (e con nuove traduzioni). Quest'edizione è stata quindi riproposta in tascabile da Sperling Paperback nel biennio successivo.

A distanza di 15 anni tocca a Fanucci riportare Gene Wolfe in libreria con un'edizione che si fa immediatamente notare per il prezzo: il primo volume, L'ombra del Torturatore costa 6,90 euro, i successivi L'artiglio del Concigliatore, La Spada del Littore e La Cittadella dell'Autarca 9,90 euro l'uno. In un momento in cui i libri costano mediamente il doppio va sottolineato lo sforzo economico dell'editore romano.
L'edizione Fanucci aggiunge ai quattro volumi originali anche il quinto Urth del Nuovo Sole scritto da Wolfe parecchi anni più tardi. In questo seguito si scopre il destino finale di Severian, oltre a qualche altro aspetto dell'opera originale rimasto piuttosto misterioso.
Trattandosi di Gene Wolfe la qualità del romanzo è comunque buona, ma non raggiunge mai le vette dei primi quattro libri.

Per chi là fuori non lo conoscesse, il romanzo di Gene Wolfe (che nonostante i quattro volumi cui è stato diviso Il Libro del Nuovo Sole va inteso come opera unica) narra l'epopea di Severian, apprendista torturatore, in esilio dalla sua terra natale per non aver compiuto il proprio dovere e del suo viaggio tra le genti e i luoghi di Urth.
Narrato in prima persona dal suo protagonista, che ripercorre le tracce della sua vita grazia alla prodigiosa memoria di cui è dotato, Il Libro del Nuovo Sole è insieme la cronaca di un percorso iniziatico, un'esperimento metanarrativo, un meraviglioso viaggio ai confini del tempo.
Nonostante tutte le apparenze portino a catalogare il romanzo come fantasy, Il Libro del Nuovo Sole è fantascienza, straordinaria e piena d'inventiva.
Leggetelo, che al momento in libreria è difficile trovare libri migliori di questo.

26 marzo 2012

Hypernext

Foto di Giorgio Raffaelli
Ultima segnalazione fantascientifica del mese.
In colpevole ritardo segnalo la (ri)nascita di Hypernext, blog di riferimento del movimento connettivista che ha ricominciato a trasmettere con continuità,  proponendo un sacco di contenuti interessanti su fantascienza e dintorni.
Da Philip K. Dick a Anne McCaffrey, dall'arte alla politica, dalla rete al sociale, non c'è ambito che gli amici di Hypernext non affrontino con occhio fantascientifico ma piedi ben piantati nel nostro tempo, in questa realtà.

Leggete e condividetene tutti!


20 marzo 2012

Il futuro è tornato

Foto di Giorgio Raffaelli
Per continuare questo marzo all'insegna della fantascienza vi segnalo Il futuro è tornato, un nuovo progetto che si prefigge di diventare un punto di riferimento per la fantascienza in Italia.
 Qui di seguito copio/incollo il programma di massima della blogzine.
Non fa venire l'acquolina in bocca anche a voi?

Lunedì, la presentazione della settimana e una sorta di editoriale per suggerire dei temi su cui ragionare tutti insieme, sempre a sfondo SF;

Martedì, viene recensito un libro  e questa settimana avremo due diversi punti di vista su un romanzo di Glen Cook, “Passage at arms”, molto interessante;
 

Mercoledì, un’intervista e questa settimana riproponiamo la conversazione che il nostro Nocturniano ha avuto con Dunyach, autore francese di spicco;
 

Giovedì, viene recensito un film, questa volta tocca a “Moon” ovvero al lungometraggio di esordio di Duncan Jones con un Sam Rockwell in grande forma;
 

Venerdì, si torna a parlare di libri ma per tenere d’occhio i titoli in arrivo sul nostro mercato;
 

Sabato, si parla di generi e sottegeneri della SF. Questa settimana parliamo di “planetary romance” grazie al nostro Davide;
 

Domenica, proponiamo una ricognizione sulla SF in televisione sui canali nazionali e proponiamo alla vostra attenzione dei link ad altri progetti in Rete.

Il futuro è tornato è partito questa settimana. In cabina di regia c'è una posse di appassionati cultori del nostro genere preferito.
Gli auguro la migliore delle fortune.

16 marzo 2012

Cyberpunk Redux

foto di Giorgio Raffaelli
Come un reduce da infinite discussioni ritorno, ancora una volta, a parlare di cyberpunk. L'occasione è data da un improvviso ritorno di fiamma di quella critica che tende a ridimensionare una delle pietre angolari su cui si fonda il sottogenere.

Ha cominciato Gianluca Santini con un post di apprezzamento su Neuromante di William Gibson, subito rintuzzato da Davide Mana, da sempre critico nei confronti dell'autore canadese, che ha proposto una lista di letture alternative ai soliti nomi tirati in ballo quando si parla di cyberpunk.

Su Strategie evolutive ho espresso qualche dubbio sulla bontà di alcuni dei titoli elencati e ho rimarcato i meriti di Gibson, ma per mancanza di tempo non sono riuscito ad articolare meglio il mio punto di vista. Ci riprovo ora.

Davide rimprovera due cose a Neuromante: l'essere il discendente brutto e noioso di un sacco di bella letteratura precedente, l'essere stato di moda.
Non posso contestare nessuna delle due affermazioni, la prima, per quando possa non condividerla, è del tutto legittima; la seconda, per quando io gli dia un segno positivo, non posso che riconoscerla come vera.

Quel che posso fare è cercare di riaffermare come mai, a me, Neuromante ha cambiato la vita (si fa per dire) e perché il cyberpunk, lungi dall'essere stato devastante, ha invece salvato la fantascienza.



Si era nella seconda metà degli anni '80. Dopo la scorpacciata adolescenziale avevo praticamente smesso di leggere fantascienza. In quelle storie piene di meraviglie, divertenti e magari pure intellettualmente stimolanti non mi ci trovavo più, o meglio, nelle pagine di quei volumi non riconoscevo il mondo che iniziavo ad esplorare in quegli anni. In Neuromante ho ritrovato, per la prima volta in un romanzo di  genere, le stesse suggestioni che mi regalavano romanzi che con la fantascienza avevano poco a che fare. Il romanzo di Gibson è stato forse il primo libro in cui sono riuscito a scorgere uno sprazzo di futuro che non pareva del tutto ipotetico o letterario, uno dei pochi testi in sintonia con la realtà extraletteraria di quegli anni (per come la percepivo io perlomeno).

Davide ha un bel da citarmi il nugolo di precursori che con tutti i loro meriti hanno spianato la strada al cyberpunk. Nel 1984 nessuno di quegli autori era ancora riuscito a creare quel mix perfetto di atmosfera, scrittura, visione e prospettiva che William Gibson ha messo in piedi nel suo primo romanzo. Prendiamo due nomi su tutti, due autori che ho apprezzato anch'io, uno più, uno meno, nel corso del tempo: Raymond Chandler e John Brunner.

Raymond Chandler è solitamente il primo nome a venir citato parlando di cyberpunk. Atmosfere e personaggi del noir hard-boiled rieccheggiano ripetutamente nelle pagine di Neuromante: il cavaliere con più di una macchia a sporcargli il soprabito ma col cuore immacolato, la fanciulla bella e letale, il potere corrotto e il male diffuso, la strada e la città al centro dell'azione. Appropriarsi di certi stilemi e riproporli in un contesto altro non è certo un crimine, soprattutto se all'adattamento logistico si somma una scrittura che oltre a far risuonare il cuore pulp del romanzo, non disdegna incursioni in territori parecchio diverso, tanto che all'epoca azzardai addirittura accostare la scrittura visionaria di William Gibson alla prosa beat di Jack Kerouac. Con il suo testo sfuggevole e obliquo, con il privilegiare atmosfera e invenzione e sensibilità, anche a dispetto della linearità della trama Neuromante ha dato una bella scossa a una fantascienza che, dal mio angolo di mondo, sembrava attraversare una decisa crisi creativa.

Se William Gibson si deve confrontare con il creatore di Marlowe sul piano stilistico, con John Brunner il confronto avviene sui contenuti.
Un decennio prima di Neuromante l'autore inglese aveva pubblicato The Shockwave Rider (intitolato in italiano Codice 4GH nell'edizione del 1979, Rete globale nel 1996), conquistandosi di diritto un posto nella storia per aver anticipato l'avvento di internet con tutti gli annessi e connessi del caso (connessioni, hacker, virus, etc etc). A prescindere da ogni considerazione sul valore predittivo della letteratura (ma davvero credete che sia compito della fantascienza quello di prevedere il futuro?), a me pare che sia a livello empatico che si notano tutte le differenze tra i due romanzi. Il mondo tratteggiato da Gibson mi appariva vero, vivo e vitale sia dalle prime battute, mentre il panorama di Brunner non riesce mai a sganciarsi dalla pagina scritta e intergrarsi con la realtà che mi circondava. Le problematiche personali e sociali che si agitano tra le righe di Neuromante non hanno un corrispettivo altrettanto credibile e profondo in Rete globale e per quanto l'approccio politico di Brunner sia apprezzabile, non regge in alcun modo il confronto con l'overload sensoriale cui Gibson costringe il lettore.  Neuromante riesce a reinventare il presente narrandone un futuro prossimo possibile, The Shockwave Rider, pur con tutta la buona volontà del suo autore non riesce a esser altro che un buon romanzo di fantascienza.

I motivi per cui Neuromante è diventato una sorta di spartiacque per la fantascienza dello scorso secolo non si limitano alle sue qualità letterarie. Neuromante è diventata la bandiera per tutta una nuova generazione di autori, che ne han fatto il simbolo di un approccio al genere più proletario e tecno-artistico (in teoria!), cercando di ottenere, sotto l'etichetta "cyberpunk", una visibilità che andasse oltre gli angusti corridoi della fantascienza tradizionalmente intesa. Se da un lato è innegabile che un pugno di autori sia riuscito nell'intento e abbia poi continuato a sfornare opere più o meno ricollegabili alle caratteristiche programmatiche del genere, è anche vero che la qualità delle stesse non sia stata, nella maggior parte dei casi, altrettanto memorabile, e che molti autori, nati come cyberpunker, si siano poi progressivamente distaccati da quello che è diventato una sorta di canone per rientrare in un ambito indistinguibile dalla fantascienza più tradizionale. Tanto che, se dovessi nominare oggi qualche titolo imprescindibile per tornare a immergersi nelle atmosfere cyberpunk, quelli che mi paiono tuttora tra i più significativi - penso in particolare a titoli come Snow Crash di Neal Stephenson o Necroville di Ian McDonald - appartengono alla decade successiva al fiorire del sottogenere e affrontano i temi e le situazioni care a Gibson e soci con una consapevolezza e una maturità che non apparteneva agli originali fautori del movimento.

A quasi trent'anni  di distanza da Neuromante non sono molti gli autori cyberpunk rimasti impressi nella memoria. Oltre a William Gibson e Bruce Sterling (di cui ho comunque apprezzato molto più i racconti dei romanzi), rimangono i nomi di Rudy Rucker e Pat Cadigan (anche se di quest'ultima non sono ancora riuscito a leggere alcun romanzo, i racconti letti mi son sembrati tutti decisamente sopra la media), mentre altri autori arrivati alla fama in quegli anni hanno abbandonato - se mai ne hanno fatto davvero parte - quel genere di fantascienza (penso a Lewis Shiner o a Lucius Shepard), hanno perso nel tempo parecchio del loro fascino (un nome su tutti penso possa essere quello di John Shirley) o hanno fatto perdere le loro tracce letterarie (Marc Laidlaw scrive per i giochi, Tom Maddox inegna).
Dalle ceneri del cyberpunk non sono emersi solo autori di genere, Ci sono due grandissimi scrittori, ormai del tutto avulsi da ogni connotazione di genere, che partendo da un substrato cyberpunk sono riusciti a produrre grande letteratura andando oltre ogni etichetta. Mi riferisco a Jonathan Lethem e Murakami Haruki: il cyberpunk non poteva lasciare eredità migliore.

13 marzo 2012

Anarres

Esco dal letargo (ma il pezzo promesso sul cyberpunk sta arrivando…) per segnalare la nascita di Anarres, rivista di studi critici sulla fantascienza.

Della mancanza in Italia di una critica al contempo approfondita e fruibile al pubblico della rete se n'era parlato anche qui dentro qualche tempo fa. Credo che la nascita di questo nuovo soggetto  non possa che far bene alla fantascienza tutta.
L'approccio di Anarres è quello scientifico-accademico, con lo sguardo, almeno in questi primo numero,  rivolto alla storia del genere piuttosto che ai suoi sviluppi più recenti.
Ma non manca - lo segnalo soprattutto a Davide Mana, che so esserne un grande estimatore - un corposo contributo sulla trilogia marziana di Kim Stanley Robinson.

Allo staff di Anarres vanno i miei migliori auguri di lunga vita e prosperità.



06 marzo 2012

Space Opera a confronto: Il tempo del vuoto, di Peter Hamilton / Matter, di Iain M. Banks

foto di Giorgio Raffaelli
Ho letto Il tempo del vuoto e Matter a poca distanza uno dall'altro, e no, non è stato un caso. Dopo aver concluso il romanzo di Peter Hamilton, che è poi il secondo della trilogia del vuoto (del primo avevo parlato qui), sentivo il bisogno di leggere qualcosa che riportasse la Space Opera a un livello più consono alle sue potenzialità di riflessione e speculazione sulla vita, l'universo e tutto quanto. Detto in altre parole, avevo bisogno della Cultura.

Prima che arrivi marco con un "te l'avevo detto io!", che è da parecchio che si prende gioco di me per le buone parole spese su Hamilton nel tempo, sarà forse il caso di giustificare in qualche modo la preferenza accordatagli (ad Hamilton, non a marco).
Ho scoperto Peter Hamilton grazie ai commenti entusiasti di più di una conoscenza on-line, ai tempi di it.cultura.fantascienza e della Fantascienza Mailing List. Quando Urania ha proposto in una dozzina di volumi la sua trilogia de L'Alba della Notte ne sono diventato un appassionato lettore. Sono tuttora convinto che  quel ciclo rappresenti uno dei migliori esempi recenti di fantascienza popolare: le dimensioni cosmiche della narrazione, la storia avvincente, la messe di meraviglie, i personaggi ben tratteggiati, le sorprese e le emozioni. In quei romanzi c'è tutto quel che serve per intrattenere il lettore, e poco importa se l'intrattenimento è l'unico risultato, mica sempre si ha voglia di  profondità e riflessione.
Viste le premesse, la notizia della pubblicazione di un nuovo libro di Hamilton mi ha trovato in prima fila, pronto ad immergermi nuovamente nell'universo dell'autore inglese. In effetti con Il sogno del vuoto, primo volume di questa nuova trilogia, la lettura non è filata proprio liscia, ma l'esperienza non è stata nemmeno così negativa da esaurire la linea di credito di cui Hamilton godeva. Ne Il tempo del vuoto le qualità e i difetti riscontrati nel volume precedente rimangono grosso modo gli stessi. Il plot principale in cui confluiscono le storie e le situazioni che costituiscono il cuore della vicenda assume (finalmente!) una sua forma, ma la lettura non riesce mai ad essere così avvincente da non lasciar scorgere ridondanze e difetti strutturali, che riguardano soprattutto la scarsa personalizzazione dei personaggi, e l'impressione di una bulimia creativa (tutto è sempre più grande, più potente, più incredibile) che appiattisce il potenziale meraviglioso delle invenzioni dell'autore in una massa narrativa informe  (e anche piuttosto ingombrante). Il libro si lascia comunque leggere e non escludo a priori l'acquisto della parte finale della storia, che stanti i difetti menzionati, Hamilton è comunque in grado di intrattenere il lettore. Se rimane l'incertezza sulle effettive capacità dell'autore di condurre in porto una vicenda di siffatte dimensioni, sono però curioso di leggere come andrà a finire il tutto.

Iain M. Banks invece… beh… Iain M. Banks è tutta un'altra cosa. Certo, in apparenza Matter ha più di un aspetto in comune con Il tempo del vuoto. Oltre a essere catalogabili come Space Opera, in entrambi i romanzi aspetti caratteristici della fantascienza più classica (scenari galattici, tecnologia postumana, intelligenze artificiali etc etc) spartiscono la scena con società arretrate e con una profonda immersione in quelli che a prima vista appaiono essere aspetti caratteristici dei più tradizionali romanzi fantasy.
Detto questo i due romanzi non potrebbero essere più diversi per costruzione, svolgimento, profondità.

Quel che Hamilton cerca di ottenere per continua addizione e moltiplicazione (di scenari, personaggi, invenzioni ed esplosioni) Banks lo ottiene catalizzando l'attenzione del lettore su una manciata di personaggi e sulla meravigliosa e progressiva rivelazione dei legami tra i mondi e i protagonisti, rivelazioni che costituiscono l'asse portante della narrazione. Matter si svolge per la maggior parte su un enorme pianeta artificiale stratificato, con livelli che si sovrappongono concentrici uno sull'altro, alcuni abitati, altri deserti, altri con funzioni sconosciute o dimenticate. Su uno di questi livelli vivono e properano i Sarl, una razza umanoide strutturata in una società a mezza via tra un passato di stampo tardo medievale e i primi passi di un'era industriale, società che nonostante l'evidente gap tecnologico è ben conscia dell'esistenza, al di fuori del proprio mondo, di un universo frequentato da razze e culture infinitamente più potenti se non altrettanto progredite. Per una serie di eventi che pescano dalla tradizione più classica degli scenari letterari (tradimento, usurpazione, guerra) i Sarl, nello specifico alcuni appartenenti della famiglia reale al governo, si trovano coinvolti in uno scenario galattico che sfugge alla loro piena comprensione ma che non di meno influisce attivamente sulla loro esistenza.

Matter è l'ottavo romanzo di Iain M. Banks in cui compare la Cultura. Come sempre accade con l'autore scozzese, il fulcro della vicenda sta nel confronto tra la visione Culturale dell'esistenza e quella del resto dell'universo, che si esplicita nell'incontro tra individui cresciuti in contesti differenti, costretti a confrontare visioni etico/morali spesso antitetiche o comunque problematiche (per il lettore, se non per i personaggi stessi).
Sulla Cultura stessa ci sarebbero parecchie cose da dire. In un estremo tentativo di sintesi direi che la società distribuita inventata da Banks è uno dei rari casi di utopia funzionante che non si risolve in una semplice stasi sociale, ma che rimane dinamica e vitale grazie alla molteplicità di voci diverse che la animano e al confronto, spesso tutt'altro che pacifico, con il resto dell'universo. La Cultura è un'anarchia ricca, fondata sull'assunto dell'abbondanza di risorse e sull'amministrazione delle stesse da parte di intelligenze superiori (le Menti) che convivono con una molteplicità di esseri viventi (soprattutto umanoidi) che si adattano al codice morale della Cultura stessa.
(Oltre alla lettura dei romanzi, un punto di partenza consigliato per esplorare la Cultura potrebbero essere queste "note sulla Cultura" scritte da Iain Banks qualche anno fa).

Da quando ho iniziato a leggere fantascienza la Space Opera non è mai stata in cima alle mie preferenze. Le meraviglie con cui preferivo confrontarmi erano quelle che riguardavano tecnologia e società, piuttosto che quelle cosmiche e impalpabili dello spazio profondo, rese magari concrete e appetibili a suon di battaglie spaziali, astronavi e alieni assortiti. Iain M. Banks è riuscito a convincermi delle potenzialità che anche la Space Opera possiede di approfondire temi e situazioni decisamente più vicine alla vita quotidiana di questo spicchio di esistente. Il merito principale che riconosco all'autore scozzese è quello di essere riuscito a portare al centro della narrazione un dilemma etico, piuttosto che uno scontro tra visioni politiche contrapposte o le conseguenze che qualsiasi scelta morale porta con sè, miscelandolo senza soluzioni di continuità con i più incredibili, meravigliosi, colossali scenari cosmici, riuscendo a rendere appassionanti, divertenti e coinvolgenti le più complesse tra le interazioni sociali, creando, romanzo dopo romanzo, una serie di personaggi indimenticabili, da Bora Horza Gobuchol, fino a Djan Seriy Anaplian, passando per tizi del calibro di Jernau Morat Gurgeh o dell'uomo conosciuto come Cheradenine Zakalwe.
Non fossero sufficienti i mirabolanti contenuti dei suoi romanzi, ai pregi di Iain Banks vanno aggiunti una sapiente costruzione delle vicende narrate e una ricchezza stilistica che è riscontrabile in pochissimi altri autori di genere (Gene Wolfe e Ian McDonald sono gli unici che mi vengono in mente). La produzione fantascientifica di Iain M. Banks (che ha all'attivo anche tredici romanzi mainstream, a firma Iain Banks) è stata abbondantemente tradotta in italiano fino alla fine del secolo scorso, mancano purtroppo all'appello i tre romanzi usciti dopo il 2000.






01 marzo 2012

Una Ritmo, tanti anni fa

Questo post è dedicato a Lady Simmons, che mi ha fatto ricordare un viaggio, un secolo fa. 

Io, Paolo e Claudio, in versione selvatica scozzese.
Non ho mai avuto particolare passione per alcun modello di automobile, ma ricordo bene come la Ritmo fosse brutta in maniera specifica e particolare. Era la macchina del mio migliore amico, e noi lo pigliavamo in giro per i coprisedili pelosi e il volante ricoperto. La Ritmo era dei suoi genitori e all'epoca una delle  poche automobili a disposizione nel gruppo dei miei amici modenesi.
Era la seconda metà degli anni '80, io ero a Modena da poco. Non avevo la macchina, per spostarmi usavo autobus, bicicletta (quando i coinquilini non se la facevano fregare) e i passaggi degli amici.
Non ricordo com'è nata l'idea, ma nell'estate dell'89 abbiamo deciso di andare in Scozia. La macchina scelta per l'avventura era, ovviamente, la Ritmo di Claudio (non è che ci fosse poi molta scelta).
Il viaggio è stato fantastico, una di quelle esperienze che poi ti ricordi finché campi. Non vi sto ad annoiare con le tappe specifiche, gli aneddoti, gli scazzi e i ricordi, ma visto che si parla di Ritmo, ecco un piccolo siparietto comico nato da un incontro casuale lungo la strada.



Eravamo sull'isola di Lewis, nelle Ebridi Esterne, in una stradina fuori dal mondo, persi tra pecore, torbiere e spiagge deserte. La visione di una Ritmo rossa, identica a quella di Claudio (quante probabilità c'erano di incontrare una Fiat dello stesso modello e colore a quelle latitudini?) abbandonata in uno spiazzo nel bel mezzo del nulla ci ha costretti a fermarci, mettere mano a cacciavite e macchina fotografica per immortalare l'evento.
Poi siamo ripartiti, ma se mi capita di pensare a quei tempi, al tempo trascorso con gli amici in giro con quella macchina, beh… è a quella Ritmo rossa abbandonata in Scozia che penso, non a quella pelosa, accogliente e ordinaria del mio amico.