28 maggio 2009

A proposito di vampiri


Picture by elzevira.
Per una curiosa coincidenza (see…) m'è capitato nel giro di pochi giorni di vedere due riproposizioni recenti del mito vampiresco. Ambedue sono fedeli al canone che vede i vampiri come creature che si alimentano di sangue umano, fotofobiche, metamorfiche, con forza e caratteristiche sovrumane, limitate nei loro movimenti (nel senso che per entrare in casa di un umano devono essere invitate), etc etc…
Le premesse che fanno da fondamento a queste due vicende sono dunque molto simili, eppure gli esiti non potrebbero essere più diversi.
Certo, uno è un prodotto televisivo, l'altro una pellicola cinematografica, il primo è decisamente americano mentre il secondo viene dalla periferia d'Europa, e se la differenza di medium è importante, decisamente più significativa m'è parsa la distanza geografica dei due progetti. Ça va sans dire che il confronto tra due visioni così diverse (praticamente agli antipodi) dello stesso mito è stato decisamente interessante.


True Blood è una nuova serie appena arrivata sui canali satellitari nostrani. Dopo averne sentito parlare bene più o meno ovunque ho deciso di dargli un'occhiata.
Ho visto le prime tre puntate e sono rimasto piuttosto deluso. Mi aspettavo una visione disincantata, inquieta e in qualche modo demenziale di un mondo in cui vampiri e umani tentano di coesistere più o meno pacificamente, mi aspettavo qualche torrida vampata di umori sudisti vista l'ambientazione nella periferia rurale della Louisiana. E invece mi sono ritrovato sommerso da un profluvio di luoghi comuni e da una sequela di personaggi finto-trasgressivi, il tutto condito da tette e buoni sentimenti con giusto qualche tocco di violenza tanto per gradire.
Travestito da telefilm cattivo True Blood è un tripudio di conservatorismo spicciolo e di facili moralismi. Che i diversi in questo caso siano vampiri invece che mutanti superumani o omini verdi da un altro pianeta è solo un dettaglio che fa molto colore ma che per il resto risulta del tutto superfluo.
A chi apprezza un po' di sangue e frattaglie e inquietudini varie nel formato televisivo consiglio di continuare a gustarsi Dexter che viaggia decisamente su altri livelli.

Lasciami entrare è un curioso film svedese del 2008 che mescola amabilmente la tradizione del vampiro cinematografico con i turbamenti della preadolescenza.
Tanto True Blood è saturo e grossolano (nei colori, nei dettagli, nella sovrabbondanza di chiacchiere e nelle cose che succedono) tanto questa pellicola è algida, rarefatta e dilatata. Il ritmo è assolutamente scandinavo (astenersi action movie-dipendenti), quindi privo di tutta la vacua frenesia della serie americana di cui sopra, e le improvvise esplosioni di violenza che scandiscono la vicenda risultano per questo ancora più efficaci a sottolineare i momenti decisivi del film.
La cosa migliore di Lasciami entrare sono senza dubbio i due giovani protagonisti. La relazione che stabiliscono, nata da impulsi propriamenti infantili e gestita in maniera mirabile dagli autori, si sviluppa nel corso della storia in un rapporto sempre più esclusivo tanto da permettere al regista di strutturare in senso circolare l'intera vicenda. I due attori (Kåre Hedebrant è Oskar, Lina Leandersson è Eli) sono perfetti nel ruolo: lui vittima predestinata con un disarmante bisogno di affetto; lei, giovane vampira in difficoltà ("Ho dodici anni ma li ho da un sacco di tempo."), riesce credibilmente a trasformarsi da giovane fanciulla sofferente a spietata assassina sovrumana regalando allo spettatore indimenticabili momenti di dolcezza e fascino soft-gore.
Lasciami entrare non è un film perfetto. La giustapposizione dei momenti dedicati ai due protagonisti alle sequenze in cui entra in gioco il gruppo degli adulti del quartiere m'è parsa forzata e fuori sincrono (per quanto necessaria ai fini della storia). Idem per il tenore dei dialoghi: sempre indovinati quando in scena ci sono Oskar ed Eli, decisamente più fiacchi negli altri casi. Anche il finale, o per meglio dire la serie di pre-finali messi in scena progressivamente, a mio parere non risulta del tutto convincenti. Mi riferisco soprattutto alla scena decisiva della piscina che per quanto liberatoria (e divertente!), rischia da sola di compromettere il delicato equilibrio del film a favore di una risoluzione troppo (in)credibile e trasparente di una parte della vicenda che poteva considerarsi già risolta in precedenza.
Nonostante questi difetti il film è decisamente apprezzabile: oltre a offrire un punto di vista piuttosto originale sul genere vampiri Lasciami entrare è girato in maniera mirabile, con scelte cinematografiche che privilegiano scientemente il vuoto (degli spazi) e la separazione (tra i personaggi) con improvvisi e brucianti scarti di ritmo a demolire mortalmente l'isolamento degli individui; con una fotografia che esalta i toni freddi dell'inverno e i colori dimessi e desolati della periferia; con una colonna sonora che mescola inascoltabili brani pop scandinavi (e struggenti, forse proprio per la loro improponibilità) ai silenzi dei boschi innevati e dei gelidi cortili nella notte svedese.
Guardatelo, e poi magari fatemi sapere cosa ne pensate.


19 maggio 2009

XXI Century Icarus


Di solito preferisco tenere separate le cose: qui dentro sono in primo piano le parole, mentre lo spazio per le foto è quello solito su flickr.
Però stavolta faccio un'eccezione, che sono davvero orgoglioso della foto che vedete sopra.

I motivi di soddisfazione legati a quest'Icaro del ventunesimo secolo sono sostanzialmente due.
È da parecchio tempo che le foto che faccio non mi soddisfano del tutto. Non so se è questione di soggetti e di possibilità, o se fotografare ormai quasi esclusivamente per necessità documentativa (le foto del rugby, ma anche i matrimoni) mi abbiano fatto entrare in una routine in cui la curiosità e la sperimentazione sono via via emarginate. Qualunque sia la ragione le mie foto non mi piacciono più come una volta. Fino a oggi, almeno.

L'altro motivo per cui essere soddisfatto è presto detto. I miei sono solitamente scatti estemporanei: vedo qualcosa d'interessante, scatto la foto, cerco di ottenere dall'immagine il massimo di quello che la situazione mi suggerisce. In questo caso invece il setting e la foto sono stati studiati e preparati, cercando di non lasciare nulla al caso. Sono pochissimi i miei scatti nati da situazioni simili. Normalmente preferisco cogliere la spontaneità del momento, o riuscire a trasmettere a chi guarda le sensazioni evocate da un luogo, da una luce particolare, da uno sguardo diverso dal solito.
In questo caso il risultato ripaga ampiamente lo sforzo.

(un grazie al mio collega Cristiano che si è prestato come modello)

17 maggio 2009

Che cos'è un fascista, ora?


Picture by Iguana Jo.
È già qualche giorno che rimugino sulla questione, che rimando il momento del confronto, ma oh… a un certo punto certe cose bisogna proprio chiarirsele.

C'è questo ragazzo, vent'anni, atleta, allenatore, studente universitario. Lo conosco ormai da più di un anno e in questo periodo ho avuto modo di apprezzarne le qualità. L'ho visto lavorare con i ragazzini, l'ho visto relazionarsi con gli adulti, l'ho visto con gli amici: entusiasta, gentile, disponibile. Massimo rispetto insomma.
Poi scopro inavvertitamente che oltre a tutte 'ste belle qualità il nostro è pure un irriducibile e nostalgico fascista. Roba da busto del duce in cameretta e gite a Predappio, roba da Faccetta nera e compagnia bella.

Passato il momento di sorpresa e sconforto ho iniziato a chiedermi come fosse possibile.
Il fatto è che per me è semplicemente inconcepibile che a vent'anni si possa avere nostalgia di un periodo in cui nemmeno i tuoi genitori erano ancora nati. Per me i vent'anni sono ancora sinonimo di ricerca e ribellione, per questo motivo arrivare a immaginare, a desiderare anzi, un'entità di controllo pesante e totalitaria come il fascismo a dominare la vita quotidiana mi risulta davvero intollerabile.

Ma va bene, il mondo è bello perché è vario. E allora ho cercato di capire cos'è per me un fascista oggi (no, tranquilli, niente trattati socio-politici o analisi dell'attualità, solo sensazioni).
Io credo che uno diventi fascista nel 2009 fondamentalmente perché se la fa sotto.
Perché è spaventato a morte dal ritmo del cambiamento, perché è convinto che si stava meglio quando si stava peggio, perché ha paura dello straniero, del diverso, di tutto ciò che non riesce a capire, perché avere il minimo dubbio è sempre un errore e una gretta ignoranza è sempre preferibile al non avere risposte adeguate alle domande che la realtà ci rovescia addosso.

La paura è l'unica spiegazione che riesco a darmi, che altrimenti non riesco proprio a capire la retorica della difesa della patria (se sei convinto che la tua cultura, la tua razza sia migliore, più forte, sia insomma superiore alle altre, che timore puoi mai avere di perdere l'identità nazionale? Solo uno sciocco sceglie l'opzione peggiorativa, o no?), non capisco l'appello alla tradizione (ma vi siete mai chiesti da dove nasca una tradizione? se sia davvero immutabile? e le tradizioni più vecchie che fine fanno?), non riesco a capire perché per riaffermare la propria superiorità si ricorra sempre alla violenza dei tanti contro uno.

Poi magari mi sbaglio e il fascismo è semplicemente una morale diversa, che non riconosce le persone, ma solo le categorie; è la necessità animale di avere una gerarchia nel branco, è la brama di potere da esercitare anche nel più piccolo ambito, è la certezza di essere i migliori e quindi, inevitabilmente, in grado di decidere il destino di tutti.

Da quanto sopra si sarà capito come io non abbia alcuna stima dell'ideologia fascista, di quanto provi ribrezzo per certe posizione fondamentaliste, per un credo politico che predica la sopprafazione di qualunque controparte. Resta però il fatto che ho conosciuto e conosco persone che nel fascismo si riconoscono, e che queste persone non sono necessariamente brutte persone. Dunque, se c'è qualche fascista ragionevole in zona, ha mica voglia di spiegarmi qual è il senso di una scelta di questo tipo? Grazie.


11 maggio 2009

Rapporto letture - Aprile 2009 - seconda parte


Picture by nedualismineregole.
AA.VV. - Alia [Italia]
Alia è una pubblicazione piuttosto anomale nel panorama editoriale nostrano. Edita da un pugno di disperati appassionati di letteratura Alia è un'antologia che si fa in tre per fornire al lettore affamato di meraviglie una buona dose di racconti fantastici. Alia infatti esce ormai da qualche anno in tre volumi annuali dedicati ognuno a un distinto orizzonte geografico/culturale: italiano, anglosassone, giapponese.
Il volume che m'è capitato di leggere è quello dedicato alla produzione italiana uscito nel 2007 . I 10 racconti, raccolti e presentati da Vittorio Catani, Massimo Citi e Silvia Treves offrono una visione molto variegata delle possibilità che ha il fantastico di far capolino tra le righe di racconti che spaziano dall'orrore alla fantascienza, dal (quasi) mainstream al fantasy borderline.
Un'antologia tanto eterogenea ha l'indubbio vantaggio di mostrare aspetti molto diversi dell'universo narrativo fantastico nostrano, ma porta inevitabilmente con sé il rischio di confondere il lettore per la varietà di stili e soggetti presenti (non che questo sia necessariamente un difetto). In effetti ciò che mi ha lasciato piacevolmente sorpreso è la qualità media della proposta, molto più alta di quella rintracciabile mediamente in prodotti analoghi (oh… non che ce ne siano molti, ma mi sembra valido per tutti il confronto con Robot). Certo, non tutti i racconti sono memorabili, anzi, ce ne sono un paio che proprio non ho digerito. Ma questo fa parte del gioco, e leggendo un'antologia è quasi inevitabile. D'altro canto basterebbe un racconto come Gli anni del tuono per rendere indimenticabile qualsiasi raccolta lo contenesse, tanto brillante sorprendente e meravigliosa è la storia di Davide Mana.
Tra gli altri racconti da ricordare nel volume vanno senz'altro citati Ola e Olb di Massimo Citi, fantascienza classica condita con un po' d'inquietudine grazie a una voce narrante piuttosto sorprendente, e Pater di Mario Giorgi che se non soffrisse di un'eccesso di verbosità costituirebbe davvero una pietra miliare nella fantascienza nostrana, abile com'è a giostrare tra realtà indubbiamente italiana, utopia sociale e passioni individuali.
Per me questa era la prima volta con Alia, ora si tratta solo di recuperare gli altri numeri. Se la qualità è analoga a questo credo ne valga assolutamente la pena. Se interessa anche a voi vi consiglio di fare un giro sul sito dell'editore.


Ken MacLeod - Luce nera
Con la pubblicazione su Urania di Luce nera prosegue il ciclo narrativo cominciato con il precedente La fortezza dei cosmonauti (vedi relativo post di febbraio).
Luce nera si lascia leggere senza opporre resistenza, a patto di non porsi troppi dubbi. L'inserimento della trama politica (con un conflitto sociale che rieccheggia quelli di fine 800) è piuttosto curioso e se ha un certo valore pedagogico a me è parso un filo forzato per il contesto space-operistico nel quale ci si trova catapultati. Ma va bene così, che ormai questo è un marchio di fabbrica di MacLeod. Dispiace solo che a farne le spese sia la trama più propriamente cosmica del romanzo, che a primo acchito sembrava decisamente più interessante. Il ciclo si dovrebbe concludere con un ultimo romanzo. Staremo a vedere se l'autore riuscirà a risollevare un pochino le sorti della vicenda.


James Graham Ballard - Cocaine Nights
Sono stato molto restio a inoltrarmi per le nuove rotte tracciate da Ballard a partire dagli anni '90. Il Ballard catastrofico di inizio carriera e quello clinico degli anni '70 avevano prodotto già sufficienti suggestioni da marcare indelebilmente il mio immaginario. Però qualche settimana fa Ballard è scomparso e m'è sembrata cosa buona e giusta ricordarlo con un libro che non avevo ancora letto.

Cocaine Nights
è il romanzo che più di ogni altro ha ridefinito la sfera d'attenzione di Ballard che da questo momento si sposta dai centri e dalle periferie urbane ai paradisi residenziali per benestanti all'ultimo stadio, alle residenze di lusso per manager dei media, alle enclavi protette che sempre più spesso spuntano nei luoghi più impensati del pianeta. In questo caso l'azione si svolge sulla riviera spagnola, in una comunità di benestanti e baby-pensionati nordeuropei che sta vivendo un improvviso risveglio sociale.
In Cocaine Nights risuonano gli echi della produzione precedente del nostro insieme ai turbamenti caratteristici della fine del XX secolo. Ecco quindi il paradigma ballardiano della comunità chiusa, il sonno tecnoindotto della ragione, la violenza come motore creativo: archetipi consolidati che si innestano questa volta sull'idea patologica della società del tempo libero, modello ideale di devastazione psichica totalmente avulsa dalla realtà. A sottolineare il disagio del lettore alle prese con un romanzo che ha tutte le apparenze di un giallo ma che si trasforma presto un un viaggio senza ritorno nelle esistenze artificiali di un intera comunità ecco le immagini simbolo di Ballard rivisitate alternativamente nella classica atmosfera desolata e corrotta, come anche nell'inconsueta versione immobile e aliena da plastico disneyano: mi riferisco ovviamente alle piscine, alle automobili, ai vari luoghi del disastro che scandiscono il procedere del romanzo.
Ad animare la narrazione Ballard reinventa quello che si potrebbe ben definire il nipotino scapestrato del Robert Vaughan di Crash. Come altro definireste Bobby Crawford, l'alfiere iperatletico del risveglio cognitivo della riviera spagnola? Tanto il primo manifesta la sua deviazione dedicandosi alla meticolosa mutilazione del corpo quanto l'iperattività del secondo agisce sul piano puramente materiale degli oggetti, come se la psiche collettiva di fine secolo avesse compiuto la metamorfosi finale abbandonando ogni speranza corporea per definirsi definitivamente negli ammennicoli tecnologici di cui non mancano di circondarsi i baby-pensionati dell'universo ballardiano. Sia il dottor Vaughan che Bobby il tennista sono motori di distruzione, entrambi sono figure virali in un sistema malato, entrambi esercitano un fascino incontrovertibile sulla realtà che li circonda. Se gli esiti del loro agire sono diversi è perché nei vent'anni che separano le loro azioni la realtà su cui Ballard ha costantemente indagato (quella che un tempo era la borghesia benestante occidentale, il mostro in cui in parte ci siamo tutti trasformati) si è definitivamente opacizzata sintonizzandosi su quello che pare essere ormai un canale morto dell'evoluzione.

07 maggio 2009

Rubacuori

Ne parlavo qualche giorno fa, ora con un po' di ritardo rispetto al previsto ecco finalmente Rubacuori, il cortometraggio che abbiamo presentato per l'edizione 2009 di 4 giorni corti.

Prima della proiezione due parole per presentare il concorso organizzato dal Nonantola Film Festival:
Il concorso 4 giorni corti consiste nel realizzare in 4 giorni di lavorazione un cortometraggio della durata massima di 4 minuti.
Il film deve contenere alcuni elementi obbligatori e rispettare il genere assegnato per sorteggio durante la serata di inizio gara.
Quest'anno tali elementi erano:
- un paio di guanti di lattice;
- un clessidra;
- la frase "dipende dai punti di vista".

Per noi è stato estratto il genere sentimentale

Ci risentiamo con qualche nota sul film al termine della visione. Buon divertimento!



I credits del corto, che nei quattro minuti del film non siamo riusciti a farci stare i titoli di coda:



E ora qualche considerazione sparsa:
- con grande rammarico dobbiamo confessare che nonostante la qualità del nostro film (!!!) non siamo riusciti a entrare in finale.
- soffocando la delusione siamo andati fino a Nonantola per assistere alla proiezione dei venti finalisti. Alla fine della serata ci siamo dovuti rassegnare all'idea che non avevamo alcuna speranza di vincere il concorso. (Wolfhound il film horror meritatamente vincitore è di una categoria decisamente superiore - a tutti i livelli - rispetto a tutti gli altri film in concorso, tolto forse uno).
- la qualità media dei finalisti non è comunque molto lontana da quella di Rubacuori. Vedere per credere.
- a nostro avviso i difetti fondamentali del nostro corto sono due: la qualità delle riprese e quella dell'audio. Per il resto, con tutti i nostri limiti, siamo rimasti piuttosto soddisfatti (considerate da dove partivamo!).
- non abbiamo nessuna intenzione di privare il mondo del nostro talento. Siete avvisati.

06 maggio 2009

Rapporto letture - Aprile 2009 - prima parte


Picture by Iguana Jo.
Douglas R. Hofstadter - Anelli nell'io
Ci sono domande che a un certo punto smettiamo di porci. Chi c'è dentro la nostra testa? da dove arrivano i pensieri? cosa definisce la nostra identità? se pensassi in modo diverso sarei un'altra persona? etc etc…
Di solito queste sono domande che ci si pone quando si raggiunge la consapevolezza della barriera insormontabile che esiste tra noi stessi e il mondo. Poi si cresce e certi dubbi si lasciano in qualche antico e polveroso cassetto mentale, lasciando che a rispondervi (o almeno a provarci) ci pensino mistici, poeti, filosofi e scrittori di fantascienza, o, con un po' di fortuna, anche qualche scienziato.
Una dozzina d'anni fa Douglas Hofstadter ha illluminato il mio cammino con un'opera fondamentale, un volume che mi ha riavvicinato al piacere del pensiero astratto, alla gioia degli incroci tra arte e matematica, coscienza e letteratura, scienza e paradosso. Gödel, Escher, Bach Un'eterna ghirlanda brillante è uno di quei rari libri capaci da soli di dare un senso nuovo alla nostra esperienza del mondo. Anelli nell'io prosegue il percorso iniziato con quel volume, focalizzando questa volta il discorso in maniera più precisa e approfondita sui meccanismi della coscienza.
Il volume è affascinante per la ricchezza di esempi e la chiarezza di esposizione di Hofstadter, e se anche l'impatto sul lettore non è paragonabile a quello di GEB Anelli nell'io rimane un'ottima lettura, notevole - almeno per il sottoscritto - anche per la costante presenza di molte suggestioni ampiamente esplorate da molta della migliore fantascienza letta negli ultimi anni.


Walter Tevis - Lontano da casa
Lontano da casa è un compendio dell'opera di Walter Tevis.
In bilico tra la fascinazione più propriamente fantascientifica e l'eco fortemente autobiografico che lasciano alcuni racconti, le storie raccolte in questa antologia sono costantemente impegnate a tracciare i nebulosi confini tra emarginazione e conformismo. I protagonisti dei racconti di Tevis sono colti in momenti di solitaria autocommiserazione, spesso con un bicchiere in mano, ma non appaiono mai patetici, piuttosto vittime e complici di un sistema di valori che non comprendono ma che sono convinti vada rispettato. Che si muovano negli oscuri territori nei dintorni dell'incesto o tra le misteriose pieghe dello spazio tempo, gli uomini e le donne di questi racconti viaggiano costantemente con l'immagine di una malinconica apocalisse a dominare il loro panorama psichico, quasi un destino segnato che non li abbandona nemmeno quando un insolito lieto fine arriva a rasserenare gli animi.
Lontano da casa è un vecchio Urania che contiene la produzione breve di Walter Tevis. Non so quanto sia facile reperirlo, se vi capita sotto mano non lasciatevelo sfuggire.


Wu Ming 2 - Guerra agli umani
Divertente Guerra agli umani, un plot ottimamente costruito, personaggi ben delineati e struttura narrativa sufficientemente complessa da non risultare scontata.
Insomma, il romanzo di Wu Ming 2 ha tutti gli ingredienti dosati a meraviglia per piacere a lettore, tanto ben calibrati da rischiare di far risultare in qualche modo stucchevole l'intera operazione. A ben guardare c'è forse da chiedersi cos'ha di così innovativo e rivoluzionario l'approccio adottato da quest'incarrnazione solitaria del collettivo wuminghiano. Perché in Guerra agli umani abbiamo un protagonista che si fa serio portavoce di istanze tanto assurde da apparire ridicole (qualcuno per favore mi aiuti a capire se il troglodita ci è o se ci fa) e un romanzo fantascientifico che scorre parallelamente alla vicenda ed è totalmente fuori registro sia nei riguardi dell'immaginario che dovrebbe raffigurare sia nei confronti della trama che dovrebbe sottolineare?
Ciò che però ho trovato più sorprendente (e francamente irritante) è il sapore vetero-cristiano che domina tutto il romanzo, per cui tutti coloro che peccano verranno puniti in proporzione all'entità della colpa, la natura ottiene la giusta vendetta per lo scempio subito mentre il santo troglodita rimane impassibile e intoccato da qualsivoglia dubbio o conseguenza possa riguardarlo. Questo è il contenuto rivoluzionario che Wu Ming auspica e predica con la sua idea di letteratura?
Da uno degli autori di Q e di 54 mi aspettavo davvero qualcosa di più.


04 maggio 2009

Annalisa Goes to Carpi

Picture by Annalisa.
Domani sera, martedì 5 maggio, a Carpi, nella serata inaugurale di Destinazione Donna in occasione di FotoCarpi09 mia moglie Annalisa presenterà per la prima volta al pubblico le sue fotografie.

Il programma della serata prevede un incontro/intervista con l'artista gestito da Amanda Maselli e la proiezioni su maxi-schermo di una selezione di immagini realizzate da Annalisa e divisa in tre distinte sezioni:
- Stagioni. Uno sguardo colorato e non convenzionale sul trascorrere del tempo, sul cambiamento d'animo proprio del ciclo stagionale.
- Il mio nome è Nero. Fotografie elaborate quando l'umore è nero e non si riesce a vedere uno spiraglio di luce. Uno sfogo creativo per lasciare passare rabbia e insofferenza.
- Occhio non vede. Particolari di cose, angoli, porzioni di un insieme. Cose che spesso l’occhio non vede, ma che assumono significato e diventano protagoniste perché contestualizzate in un'inquadratura che le esalta.

L'appuntamento è per le 21.30 presso il Cortiletto Nord del Castello del Pio a Carpi.
Vi aspettiamo numerosi!

Gli incontri di "Destinazione Donna" proseguiranno il 12 e il 19 maggio e avranno per protagoniste Antonella Monzoni e Lorenza Viola Savarese.