Percorrendo la M1 da Dublino verso Belfast non ti accorgi del momento in cui entri in Irlanda del Nord fino a quando non esci dall'autostrada: niente posti di controllo, nessuna particolare segnalazione, solo il cartello che ti ricorda che da ora in avanti i limiti di velocità saranno espressi in miglia.
Poi ti capita di entrare nel primo villaggio/paese/cittadina e non puoi proprio evitare di incappare in una marea di bandiere rosse/bianche/blu, tante piccole Union Jack appese come festoni da un lato all'altro della strada, altre di misura regolamentare esposte in ogni spazio pubblico, appese fuori dalle finestre, su pennoni più o meno rimarchevoli nei giardini o sulle pareti di un pub, distribuite dal centro alla periferia senza soluzione di continuità.
(piccola digressione: non è che l'autore di queste note ha qualche pregiudizio sulla presenza di bandiere al di fuori di quella inevitabile negli spazi istituzionali? Ovviamente sì. La bandiera esposta afferma una determinata appartenenza, è un simbolo che sancisce un confine tra amici e nemici, una presa di posizione che esclude a priori la possibilità di un incontro tra uguali, quindi potete ben capire l'effetto che può avermi fatto in una terra con la storia che conosciamo).
L'effetto complessivo non è molto tranquillizzante, più che in un'Irlanda del Nord finalmente in pace, mi pare di essere entrato in un territorio pacificato, comodamente rintanato sotto la coperta britannica. Un paese in cui ogni occasione è buona per mostrare al visitatore (ma ovviamente anche all'avversario) dove si trova e con chi ha a che fare. Un luogo insomma dove la tensione continua a covare sotto la cenere e i miliardi di euro e sterline riversati a spegnere le fiamme più turbolente. Ovviamente queste sono impressioni da turista, non pretendo certo di essere un esperto della situazione nord-irlandese, certo che provenendo da un'altra terra altrettanto divisa e altrettanto affezionata ai suoi simboli come il Sudtirolo, beh… certe cose fanno effetto. Poi certo, è sicuramente meglio vedere sventolare qualche drappo colorato piuttosto che veder volare i proiettili, però ecco, non siamo ancora al finale e-tutti-vissero-felici-e-contenti.
La gita che abbiamo fatto a Belfast conferma la sensazione di tranquilla inquietudine. L'impressione è che tutti facciano davvero il possibile per scordare i problemi degli ultimi decenni. Ci sono cantieri ovunque, palazzi che vengono costruiti, quartieri interi pronti alla ristrutturazione, basta però girare l'angolo per ritrovarsi ancora tra le macerie di una guerra che non c'è mai stata, ma che ha lasciato comunque la sua bella quantità di rovine. Anche le zone più famose (o famigerate) vivono di un'atmosfera paradossale, con noi turisti quasi affannati a fotografare murales di gente armata fino ai denti, o esaltanti una qualche appartenenza politica/religiosa/nazionale, con la zona unionista decisamente più tenebrosa e quella cattolica con un'aria da santuario tra i pagani e intorno un sacco di gente che non so davvero cosa possa pensare di questa invasione di improvvidi stranieri ignoranti…
Che poi in effetti è davvero difficile parlare di queste cose con i locali, riuscire a capire dall'esterno i segnali che determinano un'appartenenza, intercettare un'opinione o farsi un'idea di cosa significhi davvero vivere in Irlanda del Nord.
((giustificazione alla percepibile supponenza di tali affermazioni: c'è da dire che ci vuole una bella faccia tosta a voler pretendere di capire qualcosa di una terra complessa come questa visitandola per quattro giorni in gita di famiglia, con la pretesa non solo di ammirarne gli spettacolari panorami ma anche di penetrarne la quotidianità. La presunzione delle intenzioni può essere scambiata per arroganza, il fatto è che mi sarebbe davvero piaciuto poter capire qualcosa di più di questa terra che, a costo di ripetermi per l'ennesima volta, a me pare tanto simile a quella da dove provengo e che - apparentemente almeno - è stata curata con la stessa medicina utilizzata per la mia. Non sarà bello, sarà poco idealista e troppo pragmatico, ma spero davvero che i soldi riescano a portarsi via col tempo anche tutti i rancori accumulati, mi auguro che non finiscano troppo presto e che non si trasformino in un'ulteriore fattore di divisione.)
Probabilmente, come ci ha fatto notare Anna qualche giorno più tardi a Dublino, gli abitanti nell'Ulster non amano particolarmente parlare della situazione politica del loro paese - con gli stranieri! - non tanto per timidezza o pudore o per qualche sorta di tabù (che in effetti faccio fatica ad immaginare un irlandese timido), quanto piuttosto per evitare al visitatore ignorante di mettersi lui per primo in situazioni imbarazzanti, magari con affermazioni altisonanti o dichiarazioni di simpatia fatte nel contesto meno indicato. …e anche in questo caso non posso fare a meno di pensare che anch'io ho iniziato a parlare del Sudtirolo con gli stranieri solo dopo essermene andato.
Per fortuna l'Irlanda del Nord non è solo politica e gli irlandesi qui come in tutto il resto dell'isola sono davvero affabili e disponibili. Nella fattoria in cui ci siamo fermati (la Dieskirt Farm, consigliata se pensate di fare una puntata da quelle parti) abbiamo toccato con mano la proverbiale ospitalità di questi luoghi, oltre ad avere un primo assaggio dei panorami che avrebbero accompagnato la nostra vacanza. Da qui siamo ripartiti dopo 4 giorni e tra pioggia, pecore, impervie scogliere e bicchieri di birra il nostro viaggio è proseguito senza scossoni verso la prossima meta: il Donegal.
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29 agosto 2008
27 agosto 2008
Anatema!
Invece di qualche nota sull'Irlanda (arriveranno, arriveranno…) eccovi una notizia dell'ultima ora.
Ho appena scoperto che la prossima settimana uscirà Anathem, il nuovo romanzo di Neal Stephenson!!!
Dopo la pubblicazione dell'enciclopedico e monumentale Ciclo Barocco (ancora parzialmente inedito in Italia) avevo perso le tracce dell'autore americano. Sapere che tra pochi giorni sarà disponibile un suo nuovo romanzo e che a quanto pare si tratta inequivocabilmente di fantascienza, beh… per me è stata una gran bella sorpresa!
…
Ho appena scoperto che la prossima settimana uscirà Anathem, il nuovo romanzo di Neal Stephenson!!!
Dopo la pubblicazione dell'enciclopedico e monumentale Ciclo Barocco (ancora parzialmente inedito in Italia) avevo perso le tracce dell'autore americano. Sapere che tra pochi giorni sarà disponibile un suo nuovo romanzo e che a quanto pare si tratta inequivocabilmente di fantascienza, beh… per me è stata una gran bella sorpresa!
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25 agosto 2008
We are baaaaaa…ck!

Ah… nonostante la pioggia (già a metà mese ci dicevano piuttosto sconfortati che questo è stato l'agosto più piovoso a memoria d'uomo!) l'Irlanda è sempre magnifica, vuoi per i panorami, vuoi soprattutto per i suoi abitanti.
Sono tornato da 5 giorni e già mi manca…
Seguiranno - forse! - note più esaustive.
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03 agosto 2008
01 agosto 2008
Rapporto letture - Luglio 2008
Michael Chabon - Il sindacato dei poliziotti yiddish
Recente vincitore del Premio Hugo, questo romanzo mescola l'ucronia con il noir per svelare al lettore uno spaccato della società ebraica svincolato dai legami con l'attualità. Benvenuti dunque nella penisola di Sitka, Alaska, benignamente concessa dal governo degli Stati Uniti d'America agli ebrei in cerca di una patria all'indomani della seconda guerra mondiale.
Se siete alla ricerca di una storia che narri delle vicissitudini e delle variegate espressioni del popolo ebraico probabilmente Il sindacato dei poliziotti yiddish è il libro che fa per voi. Se invece cercate una solida storia noir (in salsa fantascientifica) beh… potreste rimanere delusi. Michael Chabon non riesce infatti a trovare il giusto equilibrio tra le varie esigenze del racconto: se da un lato la spassionata carrellata sui vari volti della realtà ebraica è effettivamente interessante e ben sviluppata, l'eccessiva enfasi che l'autore mette nella creazione e nella gestione delle atmosfere di freddo squallore e oscurità che permeano la vicenda rende la lettura oltremodo pesante. Nemmeno tutto il tempo e le energie spese a caratterizzare l'agente Meyer Landsman, protagonista del romanzo, serve a rendere la lettura più memorabile. L'autore sembra infatti perennemente nel dubbio riguardo a come rendere la sua creatura: incerto tra la definitiva conferma del solito cliché dell'agente distrutto ma tutto d'un pezzo e il tentativo solo abbozzato di renderlo finalmente del tutto umano. Con il lettore (questo lettore perlomeno) che fatica davvero a dare corpo e anima al personaggio.
AA.VV. - United Stories of America
Le promesse della narrativa americana contemporanea secondo il giudizio di Granta, rivista apripista del mondo letterario anglosassone.
In questa antologia sono raccolti 21 racconti, non tutti sono memorabili, alcuni non mi sono piaciuti, ma la maggior parte m'è parsa decisamente superiore alla media di quanto si legge in giro.
Una nota interessante, tra i racconti più notevoli dell'antologia molti sono scritti da autori americani solo per modo di dire: scrittori immigrati di prima o seconda generazione, da paesi che più che condividere la cultura occidentale l'hanno sempre subita. È evidente che da tale confronto nascono delle potenzialità narrative non indifferenti.
Ian McDonald - King of Morning, Queen of Day
Ho già parlato di questo splendido romanzo in questo post di qualche giorno fa. Ora che ho terminato la lettura posso confermare l'impressione assolutamente positiva, King of Morning, Queen of Day è un ottimo esempio di letteratura di genere con influenze sia fantascientifiche sia più propriamente fantastiche.
Il romanzo racconta di tre generazioni di fanciulle irlandesi e si dipana per tutto il corso dello scorso secolo. La storia si sofferma sul rapporto di ognuna delle tre ragazze con il proprio dono: un legame ereditario che la lega indissolubilmente con il Mygmus, il mondo dei miti che permea e circonda la nostra realtà quotidiana. Ogni vicenda è narrata con uno stile diverso, cercando di catturare l'atmosfera letteraria del periodo in cui si svolge.
Si parte con Emily, nel 1913 e la struttura del racconto è diaristica-epistolare, con la storia che si dipana tra i diari di Emily e del padre, con le lettere che si scambiano i vari personaggi che animano la scena. Da segnalare tra i personaggi la presenza di William Butler Yeats.
Si prosegue quindi con Jessica. Siamo negli anni '30: la recente nascita della repubblica d'Irlanda e gli strascichi della guerra civile degli anni precedenti influenzano non poco la vicenda. Il racconto si fa più lineare, compaiono un paio di personaggi curiosi, e si indaga sul passato della protagonista.
La terza parte ha per protagonista Enye, siamo alla fine degli anni '80, sullo sfondo la caduta del muro e i vari problemi globali che assillano il pianeta.
La vicenda si sviluppa su piani temporali paralleli, lo stile ricorda molto quello del cyberpunk che allora andava per la maggiore.
Lo sviluppo di quest'ultima parte pesa forse un po' troppo sulle spalle della protagonista, e l'inserimento di alcuni personaggi particolari m'è sembrato stonare un po' con il clima generale del romanzo. Ma è un difetto veniale, che nel complesso King of Morning, Queen of Day è davvero una lettura soddisfacente.
Da segnalare l'abbondante uso di spade orientali (e non ho potuto evitare di pensare a Snow Crash, edito anche lui nel 1992) e la presenza dei corrieri in bicicletta ( vi dice niente il nome Chevette Washington? beh… lei compare sulla scena solo un paio d'anni più tardi). Erano i miti del periodo, evidentemente.
Ian Sansom - Il caso dei libri scomparsi
In procinto di partire per le vacanze cercavo un romanzo che raccontasse dell'Irlanda, e dell'Ulster in particolare, evitando di soffermarsi troppo sulla turbolenta e drammatica storia di quella terra bellissima e disgraziata. Sono incappato nel romanzo di Sansom quasi per caso, ma questo è esattamente il tipo di romanzo da leggersi prima di partire per la provincia irlandese. Le disavventure di Israel Armostrong, ebreo londinese alle prese con un ambiente decisamente alieno, sono leggere e divertenti. Ad accompagnare il neo assunto bibliotecario di Tundrum una galleria di personaggi che si fa ricordare per la capacità di incarnare perfettamente lo spirito di un'Irlanda rurale magari immaginaria, ma davvero credibile.
Robert J. Sawyer - La genesi della specie
Fantascienza nella più tipica delle sue espressioni La genesi della specie è romanzo avvincente e appassionante. Poco importa se la scrittura di Sawyer non ha nessuna pretesa di stile o se lo sviluppo della vicenda segue la più classica delle costruzioni, questo libro infatti trabocca di idee, invenzioni e suggestioni nella migliore tradizione del racconto (fanta)scientifico. Da un romanzo che mescola agilmente Neanderthal e fisica quantistica, sentimenti ed evoluzione, sistemi sociali e pregiudizi culturali non ci si potrebbe aspettare di meglio.
Seguite i link per le letture di gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio e giugno.
…
Recente vincitore del Premio Hugo, questo romanzo mescola l'ucronia con il noir per svelare al lettore uno spaccato della società ebraica svincolato dai legami con l'attualità. Benvenuti dunque nella penisola di Sitka, Alaska, benignamente concessa dal governo degli Stati Uniti d'America agli ebrei in cerca di una patria all'indomani della seconda guerra mondiale.
Se siete alla ricerca di una storia che narri delle vicissitudini e delle variegate espressioni del popolo ebraico probabilmente Il sindacato dei poliziotti yiddish è il libro che fa per voi. Se invece cercate una solida storia noir (in salsa fantascientifica) beh… potreste rimanere delusi. Michael Chabon non riesce infatti a trovare il giusto equilibrio tra le varie esigenze del racconto: se da un lato la spassionata carrellata sui vari volti della realtà ebraica è effettivamente interessante e ben sviluppata, l'eccessiva enfasi che l'autore mette nella creazione e nella gestione delle atmosfere di freddo squallore e oscurità che permeano la vicenda rende la lettura oltremodo pesante. Nemmeno tutto il tempo e le energie spese a caratterizzare l'agente Meyer Landsman, protagonista del romanzo, serve a rendere la lettura più memorabile. L'autore sembra infatti perennemente nel dubbio riguardo a come rendere la sua creatura: incerto tra la definitiva conferma del solito cliché dell'agente distrutto ma tutto d'un pezzo e il tentativo solo abbozzato di renderlo finalmente del tutto umano. Con il lettore (questo lettore perlomeno) che fatica davvero a dare corpo e anima al personaggio.
AA.VV. - United Stories of America
Le promesse della narrativa americana contemporanea secondo il giudizio di Granta, rivista apripista del mondo letterario anglosassone.
In questa antologia sono raccolti 21 racconti, non tutti sono memorabili, alcuni non mi sono piaciuti, ma la maggior parte m'è parsa decisamente superiore alla media di quanto si legge in giro.
Una nota interessante, tra i racconti più notevoli dell'antologia molti sono scritti da autori americani solo per modo di dire: scrittori immigrati di prima o seconda generazione, da paesi che più che condividere la cultura occidentale l'hanno sempre subita. È evidente che da tale confronto nascono delle potenzialità narrative non indifferenti.
Ian McDonald - King of Morning, Queen of Day
Ho già parlato di questo splendido romanzo in questo post di qualche giorno fa. Ora che ho terminato la lettura posso confermare l'impressione assolutamente positiva, King of Morning, Queen of Day è un ottimo esempio di letteratura di genere con influenze sia fantascientifiche sia più propriamente fantastiche.
Il romanzo racconta di tre generazioni di fanciulle irlandesi e si dipana per tutto il corso dello scorso secolo. La storia si sofferma sul rapporto di ognuna delle tre ragazze con il proprio dono: un legame ereditario che la lega indissolubilmente con il Mygmus, il mondo dei miti che permea e circonda la nostra realtà quotidiana. Ogni vicenda è narrata con uno stile diverso, cercando di catturare l'atmosfera letteraria del periodo in cui si svolge.
Si parte con Emily, nel 1913 e la struttura del racconto è diaristica-epistolare, con la storia che si dipana tra i diari di Emily e del padre, con le lettere che si scambiano i vari personaggi che animano la scena. Da segnalare tra i personaggi la presenza di William Butler Yeats.
Si prosegue quindi con Jessica. Siamo negli anni '30: la recente nascita della repubblica d'Irlanda e gli strascichi della guerra civile degli anni precedenti influenzano non poco la vicenda. Il racconto si fa più lineare, compaiono un paio di personaggi curiosi, e si indaga sul passato della protagonista.
La terza parte ha per protagonista Enye, siamo alla fine degli anni '80, sullo sfondo la caduta del muro e i vari problemi globali che assillano il pianeta.
La vicenda si sviluppa su piani temporali paralleli, lo stile ricorda molto quello del cyberpunk che allora andava per la maggiore.
Lo sviluppo di quest'ultima parte pesa forse un po' troppo sulle spalle della protagonista, e l'inserimento di alcuni personaggi particolari m'è sembrato stonare un po' con il clima generale del romanzo. Ma è un difetto veniale, che nel complesso King of Morning, Queen of Day è davvero una lettura soddisfacente.
Da segnalare l'abbondante uso di spade orientali (e non ho potuto evitare di pensare a Snow Crash, edito anche lui nel 1992) e la presenza dei corrieri in bicicletta ( vi dice niente il nome Chevette Washington? beh… lei compare sulla scena solo un paio d'anni più tardi). Erano i miti del periodo, evidentemente.
Ian Sansom - Il caso dei libri scomparsi
In procinto di partire per le vacanze cercavo un romanzo che raccontasse dell'Irlanda, e dell'Ulster in particolare, evitando di soffermarsi troppo sulla turbolenta e drammatica storia di quella terra bellissima e disgraziata. Sono incappato nel romanzo di Sansom quasi per caso, ma questo è esattamente il tipo di romanzo da leggersi prima di partire per la provincia irlandese. Le disavventure di Israel Armostrong, ebreo londinese alle prese con un ambiente decisamente alieno, sono leggere e divertenti. Ad accompagnare il neo assunto bibliotecario di Tundrum una galleria di personaggi che si fa ricordare per la capacità di incarnare perfettamente lo spirito di un'Irlanda rurale magari immaginaria, ma davvero credibile.
Robert J. Sawyer - La genesi della specie
Fantascienza nella più tipica delle sue espressioni La genesi della specie è romanzo avvincente e appassionante. Poco importa se la scrittura di Sawyer non ha nessuna pretesa di stile o se lo sviluppo della vicenda segue la più classica delle costruzioni, questo libro infatti trabocca di idee, invenzioni e suggestioni nella migliore tradizione del racconto (fanta)scientifico. Da un romanzo che mescola agilmente Neanderthal e fisica quantistica, sentimenti ed evoluzione, sistemi sociali e pregiudizi culturali non ci si potrebbe aspettare di meglio.
Seguite i link per le letture di gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio e giugno.
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30 luglio 2008
Il cavaliere oscuro
Non avevo troppa voglia di andare a vedere Il cavaliere oscuro. Ormai credo di aver raggiunto la soglia di saturazione per quanto riguarda le versioni cinematografare dei miei fumetti preferiti: tutte in fondo simili, tutte prevedibili, con l'unico pregio di far nostalgicamente saltare fuori dalle pagine personaggi e situazioni a cui sono tuttora molto affezionato. Le eccezioni che emergono dalla melma informe del cinema di derivazione superomistica si contano sulle dita di una mano, e alcune non derivano nemmeno dalla carta stampata.
Tra i film decenti ci si può in effetti infilare anche il primo capitolo della versione nolaniana dell'uomo pipistrello. Batman Begins era un buon film certo, ma non abbastanza da farmi sbavare per questo nuovo capitolo della sua saga.
Poi però mi sono imbattuto in questa recensione di Elvezio Sciallis e non ho saputo resistere.
Riletta col senno di poi, nella recensione di Sciallis tutti i segnali erano ben presenti, solo che preso dall'entusiasmo li ho volutamente ignorati.
Il film in effetti è grandioso e gli attori perfetti (con la parziale eccezione di Maggie Gyllenhaal che nemmeno a me è piaciuta troppo). Tecnicamente Il cavaliere oscuro è ineccepibile e c'è pure una storia che regge agilmente fino in fondo.
A fine visione mi son rimaste però un sacco di perplessità.
Mi viene da dire che probabilmente i nostri standard qualitativi hanno ormai raggiunto un punto di non ritorno se riusciamo a giudicare in maniera tanto entusiasta un film che a ben guardare non è altro che l'ennesimo giro sulla giostra del baraccone ipercinetico pseudoprofondo e ultraviolento (ma senza una goccia di sangue, mi raccomando!) del cinema hollywoodiano di ultima generazione.
Certo, ci sono innumerevoli esempi di film peggiori, ma oh… cos'ha questo Batman di così originale e innovativo? Cos'hanno il pipistrello e il Joker e tutti gli altri comprimari che non fosse già presente nei fumetti? Cosa c'è di realmente nuovo e indimenticabile in questo film?
Scrive Sciallis: "Il Cavaliere Oscuro è il tunnel di tenebra dove nessuno vince mai e dove i pochi momenti di fiducia nell’esser umano suonano forzosi e appiccicaticci, quasi inseriti come ripensamento per alleggerire il peso di una condizione di lupi in lotta, dominati dalle leggi del caos e del caso, e vi è ben più di un semplice spostamento di lettera fra i due poli."
Quasi tutto condivisibile, cambiandone però in toto la cifra interpretativa. Qualunque film che presentasse inserti "forzosi e appiccicaticci" verrebbe proprio per questo affossato e infine dimenticato. Io aggiungo che non solo "i pochi momenti di fiducia nell’esser umano" risultano posticci, ma che altrettanto inutili sono moltissime delle innumerevoli scene di puro intrattenimento spettacolare, gli inseguimenti e l'overdose quasi pornografica di esplosioni e macerie. Tutti 'sto sfoggio di allegra e spensierata devastazione era davvero necessario?
Insomma, a me è sembrato che Nolan abbia dovuto (voluto?) adeguarsi a un po' troppe esigenze, abbia voluto (dovuto?) accontentare tutti, e sia rimasto vittima di quell'esuberante gigantismo dello spreco che sembra contraddistinguere le ultime mega produzioni americane. Ci rimette, neanche a dirlo, l'esito complessivo della pellicola che perde quanto di buono investe nel doppio confronto tra le oscurità contrapposte del Joker e del Cavaliere oscuro e in quello speculare tra l'intransigente ma compromesso Harvey Dent e l'incorruttibile Gordon, a causa di quel senso di irrealtà diffusa che mette sempre più a dura prova la sospensione dell'incredulità dello spettatore.
Vedi per esempio la compostezza delle folle in ogni situazione esplosiva (in questo senso è premonitrice, posta com'è ad introdurre il film, la scena della rapina dove nessuno si sorprende nel vedere un autobus sfondare il muro di una banca e uscirne come niente fosse…), vedi i poteri davvero super del Joker che è ovunque e prevede qualunque mossa di chiunque per tutto il corso del film, vedi - come già sottolineato - lo strabordante ed esagerato e in definitiva insopportabile ricorso allo spettacolo della violenza, con Batman che no, non uccide (sia mai!), ma che non esita a mitragliare e a far esplodere qualsiasi mezzo si frapponga tra lui e la sua meta mentre scorrazza per le affollate strade di Gotham. (Ma forse ormai siamo assuefatti. Chi si trova in mezzo diventa come tradizione un “effetto collaterale” e quindi, chissenefrega?).
In fondo il susseguirsi incalzante di esplosioni-inseguimenti-esplosioni riconduce il film entro gli ambiti confortanti del solito canone da cinema d'azione, quando invece ne Il cavaliere oscuro c'erano tutte le potenzialità per rendere il viaggio dello spettatore nel tunnel di tenebra che avvolge Gotham qualcosa di indimenticabile. Ecco, forse le mie perplessità di fine visione hanno più il sapore del rimpianto per quello che avrebbe potuto essere, che quello della delusione per ciò che abbiamo visto.
Il cavaliere oscuro è solo un grande film. Ma la bellezza non sta sempre nelle dimensioni.
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Tra i film decenti ci si può in effetti infilare anche il primo capitolo della versione nolaniana dell'uomo pipistrello. Batman Begins era un buon film certo, ma non abbastanza da farmi sbavare per questo nuovo capitolo della sua saga.
Poi però mi sono imbattuto in questa recensione di Elvezio Sciallis e non ho saputo resistere.
Riletta col senno di poi, nella recensione di Sciallis tutti i segnali erano ben presenti, solo che preso dall'entusiasmo li ho volutamente ignorati.
Il film in effetti è grandioso e gli attori perfetti (con la parziale eccezione di Maggie Gyllenhaal che nemmeno a me è piaciuta troppo). Tecnicamente Il cavaliere oscuro è ineccepibile e c'è pure una storia che regge agilmente fino in fondo.
A fine visione mi son rimaste però un sacco di perplessità.
Mi viene da dire che probabilmente i nostri standard qualitativi hanno ormai raggiunto un punto di non ritorno se riusciamo a giudicare in maniera tanto entusiasta un film che a ben guardare non è altro che l'ennesimo giro sulla giostra del baraccone ipercinetico pseudoprofondo e ultraviolento (ma senza una goccia di sangue, mi raccomando!) del cinema hollywoodiano di ultima generazione.
Certo, ci sono innumerevoli esempi di film peggiori, ma oh… cos'ha questo Batman di così originale e innovativo? Cos'hanno il pipistrello e il Joker e tutti gli altri comprimari che non fosse già presente nei fumetti? Cosa c'è di realmente nuovo e indimenticabile in questo film?
Scrive Sciallis: "Il Cavaliere Oscuro è il tunnel di tenebra dove nessuno vince mai e dove i pochi momenti di fiducia nell’esser umano suonano forzosi e appiccicaticci, quasi inseriti come ripensamento per alleggerire il peso di una condizione di lupi in lotta, dominati dalle leggi del caos e del caso, e vi è ben più di un semplice spostamento di lettera fra i due poli."
Quasi tutto condivisibile, cambiandone però in toto la cifra interpretativa. Qualunque film che presentasse inserti "forzosi e appiccicaticci" verrebbe proprio per questo affossato e infine dimenticato. Io aggiungo che non solo "i pochi momenti di fiducia nell’esser umano" risultano posticci, ma che altrettanto inutili sono moltissime delle innumerevoli scene di puro intrattenimento spettacolare, gli inseguimenti e l'overdose quasi pornografica di esplosioni e macerie. Tutti 'sto sfoggio di allegra e spensierata devastazione era davvero necessario?
Insomma, a me è sembrato che Nolan abbia dovuto (voluto?) adeguarsi a un po' troppe esigenze, abbia voluto (dovuto?) accontentare tutti, e sia rimasto vittima di quell'esuberante gigantismo dello spreco che sembra contraddistinguere le ultime mega produzioni americane. Ci rimette, neanche a dirlo, l'esito complessivo della pellicola che perde quanto di buono investe nel doppio confronto tra le oscurità contrapposte del Joker e del Cavaliere oscuro e in quello speculare tra l'intransigente ma compromesso Harvey Dent e l'incorruttibile Gordon, a causa di quel senso di irrealtà diffusa che mette sempre più a dura prova la sospensione dell'incredulità dello spettatore.
Vedi per esempio la compostezza delle folle in ogni situazione esplosiva (in questo senso è premonitrice, posta com'è ad introdurre il film, la scena della rapina dove nessuno si sorprende nel vedere un autobus sfondare il muro di una banca e uscirne come niente fosse…), vedi i poteri davvero super del Joker che è ovunque e prevede qualunque mossa di chiunque per tutto il corso del film, vedi - come già sottolineato - lo strabordante ed esagerato e in definitiva insopportabile ricorso allo spettacolo della violenza, con Batman che no, non uccide (sia mai!), ma che non esita a mitragliare e a far esplodere qualsiasi mezzo si frapponga tra lui e la sua meta mentre scorrazza per le affollate strade di Gotham. (Ma forse ormai siamo assuefatti. Chi si trova in mezzo diventa come tradizione un “effetto collaterale” e quindi, chissenefrega?).
In fondo il susseguirsi incalzante di esplosioni-inseguimenti-esplosioni riconduce il film entro gli ambiti confortanti del solito canone da cinema d'azione, quando invece ne Il cavaliere oscuro c'erano tutte le potenzialità per rendere il viaggio dello spettatore nel tunnel di tenebra che avvolge Gotham qualcosa di indimenticabile. Ecco, forse le mie perplessità di fine visione hanno più il sapore del rimpianto per quello che avrebbe potuto essere, che quello della delusione per ciò che abbiamo visto.
Il cavaliere oscuro è solo un grande film. Ma la bellezza non sta sempre nelle dimensioni.
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23 luglio 2008
Scorci da un'Irlanda fantastica
Mancano poche settimane alla partenza per l'Irlanda e per iniziare ad assaporare l'atmosfera dell'isola mi sono finalmente deciso a leggere King of Morning, Queen of Day che da (troppo) tempo riposava sullo scaffale dei libri in attesa di lettura. Questo vecchio romanzo di Ian McDonald (è stato pubblicato nel 1992) racconta le vicende di tre generazioni di fanciulle che si muovono sullo sfondo della storia irlandese dello scorso secolo, con gran dispiego di meraviglie, sorprese ed eventi straordinari.
Il libro si presenta con tutte le caratteristiche del romanzo fantasy: il colore verde dominante, l'illustrazione di copertina con signorina discinta nel bosco fatato, la presentazione che enfatizza i poteri magici che scorrono nel sangue delle protagoniste. Forse son proprio questi sottili messaggi subliminali ad avermi tenuto lontano per tutto questo tempo dal romanzo, chissà…
Non ho ancora terminato la lettura, ma questo è un libro che pretende di essere raccontato, uno di quei romanzi che vorresti tutti potessero leggere, tanto avvincente e meraviglioso è il panorama che McDonald dispiega di fronte al lettore.
Più sopra parlavo di fantasy. Io non amo in modo particolare il genere, specialmente nella declinazione che sembra dominare l'editoria nostrana, che lo identifica unicamente o nello standard medievaleggiante pseudo tolkeniano o nel paradigma similpotteriano che ha invaso gli scaffali delle librerie negli ultimi anni. King of Morning, Queen of Day è a tutti gli effetti un libro fantastico. Ma è anche un libro che travalica gli angusti confini del genere e che apparirà a seconda del suo lettore, decisamente fantasy per l'incontestabile presenza di fate e folletti e altri esseri indubbiamente soprannaturali, oppure impudentemente fantascientifico per l'incontestabile coerenza con cui l'autore sforna teorie e spiegazioni a sorreggere l'impianto ultraterreno su cui si sviluppano le vicende del volume.
Un romanzo insomma che farà storcere il naso ai fondamentalisti (purtroppo, che sia fantasy o sf, ogni genere ha i suoi lettori integralisti) e che probabilmente per questo motivo è rimasto pressoché sconosciuto dalle nostre parti.
Per darvi un'idea del clima che si respira nelle sue pagine vi lascio con una citazione, che mi pare assuma un valore quasi programmatico riguardo le intenzioni dell'autore.
I have this dread that afflicts me in the dead of the night: it is that somehow, we have lost the power to generate new mythologies for a technological age. We are withdrawing into another age's mythotypes, an age when the issues were so much simpler, clearly definited, and could be solved with one stroke of a sword called something like Durththane. We have created a comfortable, sanitised pseudofeudal world of trolls and orcs and mages and swords and sorcery, big-breasted women in scanty armour and dungeonmasters; a world where evil is a host of angry goblins threatening to take over Hobbitland and not starvation in the Horn of Africa, child slavery in Filipino sweatshops, Colombian drug squirarchs, […].
Where is the mythic archetype who will save us from ecological catastrophe, or credit card debt? Where are the Sagas and Eddas of the Great Cities? Where are our Cuchulains and Rolands and Arthurs? Why do we turn back to these simplistic heroes of simplistic days, when black was black and white biological washing-powder white?
Where are the Translators who can shape our dreams and dreads, our hopes and fears, into the heroes and villains of the Oil Age?
Spero abbiate voglia di cercarlo, che King of Morning, Queen of Day è uno di quei romanzi capaci di lasciare davvero soddisfatto il lettore affamato di fantastico.
Ci risentiamo a fine lettura.
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Il libro si presenta con tutte le caratteristiche del romanzo fantasy: il colore verde dominante, l'illustrazione di copertina con signorina discinta nel bosco fatato, la presentazione che enfatizza i poteri magici che scorrono nel sangue delle protagoniste. Forse son proprio questi sottili messaggi subliminali ad avermi tenuto lontano per tutto questo tempo dal romanzo, chissà…
Non ho ancora terminato la lettura, ma questo è un libro che pretende di essere raccontato, uno di quei romanzi che vorresti tutti potessero leggere, tanto avvincente e meraviglioso è il panorama che McDonald dispiega di fronte al lettore.
Più sopra parlavo di fantasy. Io non amo in modo particolare il genere, specialmente nella declinazione che sembra dominare l'editoria nostrana, che lo identifica unicamente o nello standard medievaleggiante pseudo tolkeniano o nel paradigma similpotteriano che ha invaso gli scaffali delle librerie negli ultimi anni. King of Morning, Queen of Day è a tutti gli effetti un libro fantastico. Ma è anche un libro che travalica gli angusti confini del genere e che apparirà a seconda del suo lettore, decisamente fantasy per l'incontestabile presenza di fate e folletti e altri esseri indubbiamente soprannaturali, oppure impudentemente fantascientifico per l'incontestabile coerenza con cui l'autore sforna teorie e spiegazioni a sorreggere l'impianto ultraterreno su cui si sviluppano le vicende del volume.
Un romanzo insomma che farà storcere il naso ai fondamentalisti (purtroppo, che sia fantasy o sf, ogni genere ha i suoi lettori integralisti) e che probabilmente per questo motivo è rimasto pressoché sconosciuto dalle nostre parti.
Per darvi un'idea del clima che si respira nelle sue pagine vi lascio con una citazione, che mi pare assuma un valore quasi programmatico riguardo le intenzioni dell'autore.
I have this dread that afflicts me in the dead of the night: it is that somehow, we have lost the power to generate new mythologies for a technological age. We are withdrawing into another age's mythotypes, an age when the issues were so much simpler, clearly definited, and could be solved with one stroke of a sword called something like Durththane. We have created a comfortable, sanitised pseudofeudal world of trolls and orcs and mages and swords and sorcery, big-breasted women in scanty armour and dungeonmasters; a world where evil is a host of angry goblins threatening to take over Hobbitland and not starvation in the Horn of Africa, child slavery in Filipino sweatshops, Colombian drug squirarchs, […].
Where is the mythic archetype who will save us from ecological catastrophe, or credit card debt? Where are the Sagas and Eddas of the Great Cities? Where are our Cuchulains and Rolands and Arthurs? Why do we turn back to these simplistic heroes of simplistic days, when black was black and white biological washing-powder white?
Where are the Translators who can shape our dreams and dreads, our hopes and fears, into the heroes and villains of the Oil Age?
Spero abbiate voglia di cercarlo, che King of Morning, Queen of Day è uno di quei romanzi capaci di lasciare davvero soddisfatto il lettore affamato di fantastico.
Ci risentiamo a fine lettura.
…
15 luglio 2008
Miserabili. Io e Margaret Thatcher.
Miserabili. Io e Margaret Thatcher è il titolo dello spettacolo teatrale che Marco Paolini sta portando in giro per l'Italia con i Mercanti di liquore. L'altra sera erano a Modena (vedi le foto) e ci hanno offerto due ore e mezza di intensa passione civile, di divertimento tutt'altro che spensierato, di musica e canzoni e pensieri di quelli che ti rimangono dentro a macinare e a lottare con le tue convinzioni, con la tua memoria, con l'essere qui e ora, sempre più persi, sempre più impegnati.
Lo spettacolo ha la forma degli album a cui Paolini ci ha abituati, con l'attore a vestire i panni del suo alter-ego Nicola e di una manciata di personaggi del suo nord-est in una serie di istantanee che offre uno scorcio sugli ultimi decenni della nostra storia, con la memoria che si fa grimaldello per scassinare il pensiero unico, con la convinzione forte che senza un sentire comune e un agire condiviso ci si ritrova qui e ora apparentemente più ricchi ma inesorabilmente miserabili di fronte all'umanità senza portafoglio che ci circonda.
Tra tutti gli album questo m'è parso essere è il più spietato, forse perché viviamo tempi disperati, forse perché il tema che fa da sfondo a tutto lo spettacolo è quello dell'economia, soggetto unico divoratore di realtà, sostanza inesorabile di cui è impregnato tutto il nostro presente.
Come abbiamo potuto diventare così miserabili? Quando sono cominciate a precipitare le cose? Queste sono le domande cui Paolini cerca di rispondere, ripensando agli ultimi venticinque anni, risalendo fino al dopoguerra, per evocare nel finale l'incubo delle speculazioni bancarie e l'opera di desertificazione sociale che ha caratterizzato l'azione politica e culturale di questi anni.
Certo, come tutti i precedenti capitoli nella vita di Nicola anche in questo non mancano i momenti divertenti e liberatori, anche se ho trovato davvero paradossale la reazione di parte del pubblico che sembrava non riuscire a trattenere la risataa ogni minima occasione di divertimento, neanche fosse di fronte a una sit-com, anche nei momenti in cui da ridere c'era, secondo me, veramente poco, messi di fronte alle nostre meschine debolezze, alla nostra esaltata omologazione, al nostro quieto vivere codardo e rassegnato. E Paolini a chiedersi, a chiederci, con uno sconcerto forse solo parzialmente teatrale, se erano le battute a risultare così divertenti o se fosse proprio il testo ad essere buffo. Lasciandomi un retrogusto amaro che rarissime volte ho provato con il suo teatro.
Poi, per fortuna, ci sono stati istanti in cui la maestria dell'attore insieme alla fortuna del momento hanno regalato attimi davvero esilaranti. Come quando interrogando il pubblico sulla seconda legge della termodinamica (strano soggetto per una piece teatrale, ma Paolini è Paolini) si sente rispondere dalla platea con una definizione sublime dell'entropia: "l'acqua la va a la basa" che lo lascia senza parole, che lo costringe a modificare la scaletta, ma che gli offre l'occasione per far sfoggio d'improvvisazione scaldando il pubblico con un tentativo di dialetto emiliano.
Assistere a uno spettacolo di Marco Paolini è sempre un'esperienza esaltante, una sferzata di vita vera in questi tempi anche troppo artificiali, una passeggiata lungo i binari della memoria fatta con l'unico scopo di andare incontro al presente che incombe un po' più attrezzati. Una boccata di ossigeno per continuare a resistere.
Lo spettacolo finisce con Paolini che intona con i Mercanti di liquore una vecchia canzone di Gaber. Ci portiamo le parole a casa, sperando di non scordarle troppo in fretta.
"La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione."
…
Lo spettacolo ha la forma degli album a cui Paolini ci ha abituati, con l'attore a vestire i panni del suo alter-ego Nicola e di una manciata di personaggi del suo nord-est in una serie di istantanee che offre uno scorcio sugli ultimi decenni della nostra storia, con la memoria che si fa grimaldello per scassinare il pensiero unico, con la convinzione forte che senza un sentire comune e un agire condiviso ci si ritrova qui e ora apparentemente più ricchi ma inesorabilmente miserabili di fronte all'umanità senza portafoglio che ci circonda.
Tra tutti gli album questo m'è parso essere è il più spietato, forse perché viviamo tempi disperati, forse perché il tema che fa da sfondo a tutto lo spettacolo è quello dell'economia, soggetto unico divoratore di realtà, sostanza inesorabile di cui è impregnato tutto il nostro presente.
Come abbiamo potuto diventare così miserabili? Quando sono cominciate a precipitare le cose? Queste sono le domande cui Paolini cerca di rispondere, ripensando agli ultimi venticinque anni, risalendo fino al dopoguerra, per evocare nel finale l'incubo delle speculazioni bancarie e l'opera di desertificazione sociale che ha caratterizzato l'azione politica e culturale di questi anni.
Certo, come tutti i precedenti capitoli nella vita di Nicola anche in questo non mancano i momenti divertenti e liberatori, anche se ho trovato davvero paradossale la reazione di parte del pubblico che sembrava non riuscire a trattenere la risataa ogni minima occasione di divertimento, neanche fosse di fronte a una sit-com, anche nei momenti in cui da ridere c'era, secondo me, veramente poco, messi di fronte alle nostre meschine debolezze, alla nostra esaltata omologazione, al nostro quieto vivere codardo e rassegnato. E Paolini a chiedersi, a chiederci, con uno sconcerto forse solo parzialmente teatrale, se erano le battute a risultare così divertenti o se fosse proprio il testo ad essere buffo. Lasciandomi un retrogusto amaro che rarissime volte ho provato con il suo teatro.
Poi, per fortuna, ci sono stati istanti in cui la maestria dell'attore insieme alla fortuna del momento hanno regalato attimi davvero esilaranti. Come quando interrogando il pubblico sulla seconda legge della termodinamica (strano soggetto per una piece teatrale, ma Paolini è Paolini) si sente rispondere dalla platea con una definizione sublime dell'entropia: "l'acqua la va a la basa" che lo lascia senza parole, che lo costringe a modificare la scaletta, ma che gli offre l'occasione per far sfoggio d'improvvisazione scaldando il pubblico con un tentativo di dialetto emiliano.
Assistere a uno spettacolo di Marco Paolini è sempre un'esperienza esaltante, una sferzata di vita vera in questi tempi anche troppo artificiali, una passeggiata lungo i binari della memoria fatta con l'unico scopo di andare incontro al presente che incombe un po' più attrezzati. Una boccata di ossigeno per continuare a resistere.
Lo spettacolo finisce con Paolini che intona con i Mercanti di liquore una vecchia canzone di Gaber. Ci portiamo le parole a casa, sperando di non scordarle troppo in fretta.
"La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione."
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07 luglio 2008
Ritorno in Irlanda
Tra meno di un mese partiremo per una vacanza in Irlanda. Dall'ultima volta son passati tredici anni ma il ricordo dell'isola, della sua gente soprattutto, s'è mantenuto formidabile fino a oggi. Per questo motivo non vediamo l'ora di tornare, per lo stesso motivo speriamo di non rimanere delusi.
Un po' inseguendo l'onda del ricordo, un po' per evitare i luoghi più trafficati, un po' per scoprire finalmente un territorio conosciuto più per la cronaca che per le sue caratteristiche, abbiamo deciso che la meta principale del nostro viaggio sarà l'Ulster.
L'Irlanda del Nord è una mia fissa da parecchio tempo. Forse da quando mi sono reso conto che non ci voleva poi molto perché anche il posto dove sono cresciuto diventasse un inferno come sembrava essere Belfast in quel periodo. Sì, io sono stato molto fortunato a non crescere nell'Ulster degli anni '70, e forse proprio per questo m'è rimasta la curiosità di vedere, di leggere, di ascoltare le voci di quella terra.
L'ultima volta che siamo stati in Irlanda siamo passati per Enniskillen, siamo ripartiti con una batteria nordirlandese per la macchina (la nostra Fiesta non ne voleva sapere di andarsene) e con il ricordo delle fortificazioni che circondavano le stazioni di polizia, dei metri e metri di filo spinato, ma anche dei prati verdi e della gentilezza delle persone.
Manca meno di un mese alla partenza. In queste settimane c'è ancora tempo per leggere o scoprire ancora qualcosa di quei posti così lontani, così vicini.
Tutti i suggerimenti riguardo luoghi da visitare, libri da leggere, persone da incontrare, sono benvenuti.
…
Un po' inseguendo l'onda del ricordo, un po' per evitare i luoghi più trafficati, un po' per scoprire finalmente un territorio conosciuto più per la cronaca che per le sue caratteristiche, abbiamo deciso che la meta principale del nostro viaggio sarà l'Ulster.
L'Irlanda del Nord è una mia fissa da parecchio tempo. Forse da quando mi sono reso conto che non ci voleva poi molto perché anche il posto dove sono cresciuto diventasse un inferno come sembrava essere Belfast in quel periodo. Sì, io sono stato molto fortunato a non crescere nell'Ulster degli anni '70, e forse proprio per questo m'è rimasta la curiosità di vedere, di leggere, di ascoltare le voci di quella terra.
L'ultima volta che siamo stati in Irlanda siamo passati per Enniskillen, siamo ripartiti con una batteria nordirlandese per la macchina (la nostra Fiesta non ne voleva sapere di andarsene) e con il ricordo delle fortificazioni che circondavano le stazioni di polizia, dei metri e metri di filo spinato, ma anche dei prati verdi e della gentilezza delle persone.
Manca meno di un mese alla partenza. In queste settimane c'è ancora tempo per leggere o scoprire ancora qualcosa di quei posti così lontani, così vicini.
Tutti i suggerimenti riguardo luoghi da visitare, libri da leggere, persone da incontrare, sono benvenuti.
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03 luglio 2008
William Gibson
Complice la compulsione alla catalogazione di cui sono vittima ultimamente per colpa di Anobii, ecco un'altra corsa sul binario delle letture passate.
Oggi tocca a William Gibson. Nell'attesa di leggere Guerreros riporto anche qui qualche nota sui suoi libri precedenti (e perdonate le ripetizioni, se potete):
Neuromante (Neuromancer), 1984
Una supernova per l'immaginazione. Dopo aver letto questo romanzo nessun'altra lettura è stata più la stessa. La luce in un mondo fantascientifico sempre più crepuscolare e asfittico.
La notte che bruciammo Chrome (Burning Chrome), 1986
In questo volume sono raccolti i racconti che hanno cambiato definitivamente la mia percezione della fantascienza.
Più che un libro, una leggenda.
Giù nel ciberspazio (Count Zero), 1986
Monna Lisa Cyberpunk (Mona Lisa Overdrive), 1988
Neuromante è forse il mio romanzo di fantascienza preferito, una di quelle letture capaci da sole di cambiare la percezione della realtà, per questo motivo ho lasciato trascorrere davvero molto tempo prima di leggere gli altri due romanzi che compongono la trilogia dello Sprawl. Avevo il timore che come spesso accade i seguiti non fossero all'altezza dell'originale.
In effetti questi romanzi non sono all'altezza di Neuromante: impossibile eguagliare l'impatto incredibile che quel romanzo ha avuto sull'immaginario collettivo e sul mio in particolare. Ciò nonostante sia Giù nel ciberspazio che Monna Lisa cyberpunk sono due ottimi libri, opere in cui all'esplorazione della matrice e delle sue conseguenze sul vivere comune si affiancano le storie di personaggi memorabili.
La trilogia dello Sprawl ha ridefinito i confini della fantascienza. Anche ora che il cyberpunk è morto e sepolto le tracce di Case, Bobby e compagni sono ben visibili in un sacco di romanzi contemporanei.
Qui trovate gli originali.
La macchina della realtà (The Different Engine), 1991
Ho poco da dire su questo libro: è l'unico romanzo di William Gibson che proprio non ho digerito. Colpa di Sterling, senza dubbio.
Luce virtuale (Virtual Light), 1993
Con questo romanzo Gibson inizia a ricalibrare la sua fantascienza su intervalli temporali più stretti, sperimentando una scrittura meno visionaria ma non per questo meno efficace per indagare una realtà in perenne mutamento.
La sua capacità di raccontare il prossimo futuro come fosse già avvenuto è micidiale, ma Luce virtuale soffre un po' troppo di questo cambio di registro e non tutto funziona come dovrebbe.
Certo, Chevette Washington è un gran bel personaggio, il ponte un'idea grandiosa resa in maniera perfetta, ma purtroppo la storia latita, e le dinamiche che legano i protagonisti suonano già sentite, quasi retoriche e insomma non all'altezza dei precedenti romanzi gibsoniani.
Un romanzo comunque buono, anche se non memorabile.
Aidoru (Idoru), 1996
Il mio giudizio del libro poteva essere viziato dal fatto che io ho adorato il Gibson della trilogia dello Sprawl e dei racconti de La notte che bruciammo Chrome. Tanto mi erano piaciuti quei libri tanto mi aveva deluso Luce Virtuale che sì, era un libro leggibile e anche piacevole, ma non era un libro all'altezza del William Gibson che ricordavo.
E invece vi dirò che arrivato in fondo, Aidoru mi è piaciuto veramente tanto. Ok, non raggiunge il livello della trilogia (impossibile del resto... troppe parole sono state scritte dai tempi dello Sprawl a oggi), ma riesce comunque a rendere benissimo l'idea di un futuro che per Gibson sembra già passato, vista la naturalezza con cui lo descrive.
Ecco, per Gibson la fantascienza forse è già realmente defunta. Lui descrive un presente solo leggermente scivolato in avanti. In effetti il maggior pregio del libro sta proprio nella capacità di Gibson di rendere reale e tangibile un domani ancora ipotetico. Anche se la storia in sé non ha niente di trascendentale, l'accuratezza del background e la profondità di campo della sua scrittura lo rendono comunque una lettura se non indimenticabile senz'altro superiore alla media.
American Acropolis (All Tomorrow's Parties), 1999
Prima di dire due cose sul American Acropolis devo fare una piccola premessa: Gibson è uno dei miei autori sf preferiti, di lui leggerei volentieri anche la lista della spesa. Detto giusto per evitare fraintendimenti... perche' ho avuto l'impressione che l'autore abbia scritto American Acropolis più per dovere che per comunicare qualcosa di nuovo.
Il romanzo si legge bene, Gibson è pur sempre Gibson, quello che manca è proprio la sostanza: la trama è quasi inesistente e infarcita da una parte di spudorate coincidenze, dall'altra di un mistero che rimane irrisolto; i personaggi, seppur tutti in qualche modo interessanti, sembrano muoversi un po' spaesati all'interno del volume.
Un libro senz'anima, e un bel passo indietro rispetto ad Aidoru.
L'accademia dei sogni (Pattern Recognition), 2003
L'accademia dei sogni rappresenta un grosso passo in avanti rispetto agli ultimi romanzi di Gibson e un enorme passo avanti rispetto ad American Acropolis. Una lettura adatta a questi tempi, uno sguardo lucidamente fantascientifico sulla nostra realta'.
Alcune note sparse:
- il romanzo parte come fosse la versione narrativa di No Logo, e un po' si rimpiange il deragliamento verso qualcosaltro, verso i confini di logoland;
- nonostante una scrittura freddissima, quasi chirurgica, Gibson non lesina emozioni al lettore. E la fantascienza (assente di fatto, ma aleggiante in spirito) lo aiuta non poco.
- i personaggi di Gibson sono sempre piu' evanescenti, vengono definiti quasi solo da quello che li circonda. Da cio' che li veste;
- i veri protagonisti del romanzo, gli elementi cui Gibson infonde il suo personale soffio vitale non sono persone, sono le citta', i luoghi reali o quelli solo immaginati. Londra Tokyo Mosca diventano percepibili come mai prima. Gli scorci di architettura post industriale, le luci e, ovunque, i marchi, definiscono le identita' e le differenze. Globalizzazione vs. localismo.
- Gibson non rimpiange il passato, ma una qualche nostalgia forse c'e'. Come spiegare altrimenti le visiere cromate, i Case nel testo, i giubbotti scuri?
- Io invece rimpiango un pochino le storie dal basso: in questo romanzo c'e' tutto un dispiegarsi di piani alti, lusso consumistico e ricchezza sfrenata. Alla lunga lo sfoggio e' quasi irritante.
- Gibson cede qualcosa al nuovo corso Stephensoniano. Altrimenti i Curta che ci stanno a fare? Pero' i suoi crittografi sono molto piu' scoppiati.
- Gli hacker dello Sprawl si sono trasformati in cacciatori semiotici. Non so bene cosa significhi, se sia bene o male, ma ok, di storie come questa ne voglio ancora.
- Non c'e' un solo pc in tutto il romanzo!
…
Oggi tocca a William Gibson. Nell'attesa di leggere Guerreros riporto anche qui qualche nota sui suoi libri precedenti (e perdonate le ripetizioni, se potete):
Neuromante (Neuromancer), 1984
Una supernova per l'immaginazione. Dopo aver letto questo romanzo nessun'altra lettura è stata più la stessa. La luce in un mondo fantascientifico sempre più crepuscolare e asfittico.
La notte che bruciammo Chrome (Burning Chrome), 1986
In questo volume sono raccolti i racconti che hanno cambiato definitivamente la mia percezione della fantascienza.
Più che un libro, una leggenda.
Giù nel ciberspazio (Count Zero), 1986
Monna Lisa Cyberpunk (Mona Lisa Overdrive), 1988
Neuromante è forse il mio romanzo di fantascienza preferito, una di quelle letture capaci da sole di cambiare la percezione della realtà, per questo motivo ho lasciato trascorrere davvero molto tempo prima di leggere gli altri due romanzi che compongono la trilogia dello Sprawl. Avevo il timore che come spesso accade i seguiti non fossero all'altezza dell'originale.
In effetti questi romanzi non sono all'altezza di Neuromante: impossibile eguagliare l'impatto incredibile che quel romanzo ha avuto sull'immaginario collettivo e sul mio in particolare. Ciò nonostante sia Giù nel ciberspazio che Monna Lisa cyberpunk sono due ottimi libri, opere in cui all'esplorazione della matrice e delle sue conseguenze sul vivere comune si affiancano le storie di personaggi memorabili.
La trilogia dello Sprawl ha ridefinito i confini della fantascienza. Anche ora che il cyberpunk è morto e sepolto le tracce di Case, Bobby e compagni sono ben visibili in un sacco di romanzi contemporanei.
Qui trovate gli originali.
La macchina della realtà (The Different Engine), 1991
Ho poco da dire su questo libro: è l'unico romanzo di William Gibson che proprio non ho digerito. Colpa di Sterling, senza dubbio.
Luce virtuale (Virtual Light), 1993
Con questo romanzo Gibson inizia a ricalibrare la sua fantascienza su intervalli temporali più stretti, sperimentando una scrittura meno visionaria ma non per questo meno efficace per indagare una realtà in perenne mutamento.
La sua capacità di raccontare il prossimo futuro come fosse già avvenuto è micidiale, ma Luce virtuale soffre un po' troppo di questo cambio di registro e non tutto funziona come dovrebbe.
Certo, Chevette Washington è un gran bel personaggio, il ponte un'idea grandiosa resa in maniera perfetta, ma purtroppo la storia latita, e le dinamiche che legano i protagonisti suonano già sentite, quasi retoriche e insomma non all'altezza dei precedenti romanzi gibsoniani.
Un romanzo comunque buono, anche se non memorabile.
Aidoru (Idoru), 1996
Il mio giudizio del libro poteva essere viziato dal fatto che io ho adorato il Gibson della trilogia dello Sprawl e dei racconti de La notte che bruciammo Chrome. Tanto mi erano piaciuti quei libri tanto mi aveva deluso Luce Virtuale che sì, era un libro leggibile e anche piacevole, ma non era un libro all'altezza del William Gibson che ricordavo.
E invece vi dirò che arrivato in fondo, Aidoru mi è piaciuto veramente tanto. Ok, non raggiunge il livello della trilogia (impossibile del resto... troppe parole sono state scritte dai tempi dello Sprawl a oggi), ma riesce comunque a rendere benissimo l'idea di un futuro che per Gibson sembra già passato, vista la naturalezza con cui lo descrive.
Ecco, per Gibson la fantascienza forse è già realmente defunta. Lui descrive un presente solo leggermente scivolato in avanti. In effetti il maggior pregio del libro sta proprio nella capacità di Gibson di rendere reale e tangibile un domani ancora ipotetico. Anche se la storia in sé non ha niente di trascendentale, l'accuratezza del background e la profondità di campo della sua scrittura lo rendono comunque una lettura se non indimenticabile senz'altro superiore alla media.
American Acropolis (All Tomorrow's Parties), 1999
Prima di dire due cose sul American Acropolis devo fare una piccola premessa: Gibson è uno dei miei autori sf preferiti, di lui leggerei volentieri anche la lista della spesa. Detto giusto per evitare fraintendimenti... perche' ho avuto l'impressione che l'autore abbia scritto American Acropolis più per dovere che per comunicare qualcosa di nuovo.
Il romanzo si legge bene, Gibson è pur sempre Gibson, quello che manca è proprio la sostanza: la trama è quasi inesistente e infarcita da una parte di spudorate coincidenze, dall'altra di un mistero che rimane irrisolto; i personaggi, seppur tutti in qualche modo interessanti, sembrano muoversi un po' spaesati all'interno del volume.
Un libro senz'anima, e un bel passo indietro rispetto ad Aidoru.
L'accademia dei sogni (Pattern Recognition), 2003
L'accademia dei sogni rappresenta un grosso passo in avanti rispetto agli ultimi romanzi di Gibson e un enorme passo avanti rispetto ad American Acropolis. Una lettura adatta a questi tempi, uno sguardo lucidamente fantascientifico sulla nostra realta'.
Alcune note sparse:
- il romanzo parte come fosse la versione narrativa di No Logo, e un po' si rimpiange il deragliamento verso qualcosaltro, verso i confini di logoland;
- nonostante una scrittura freddissima, quasi chirurgica, Gibson non lesina emozioni al lettore. E la fantascienza (assente di fatto, ma aleggiante in spirito) lo aiuta non poco.
- i personaggi di Gibson sono sempre piu' evanescenti, vengono definiti quasi solo da quello che li circonda. Da cio' che li veste;
- i veri protagonisti del romanzo, gli elementi cui Gibson infonde il suo personale soffio vitale non sono persone, sono le citta', i luoghi reali o quelli solo immaginati. Londra Tokyo Mosca diventano percepibili come mai prima. Gli scorci di architettura post industriale, le luci e, ovunque, i marchi, definiscono le identita' e le differenze. Globalizzazione vs. localismo.
- Gibson non rimpiange il passato, ma una qualche nostalgia forse c'e'. Come spiegare altrimenti le visiere cromate, i Case nel testo, i giubbotti scuri?
- Io invece rimpiango un pochino le storie dal basso: in questo romanzo c'e' tutto un dispiegarsi di piani alti, lusso consumistico e ricchezza sfrenata. Alla lunga lo sfoggio e' quasi irritante.
- Gibson cede qualcosa al nuovo corso Stephensoniano. Altrimenti i Curta che ci stanno a fare? Pero' i suoi crittografi sono molto piu' scoppiati.
- Gli hacker dello Sprawl si sono trasformati in cacciatori semiotici. Non so bene cosa significhi, se sia bene o male, ma ok, di storie come questa ne voglio ancora.
- Non c'e' un solo pc in tutto il romanzo!
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01 luglio 2008
Rapporto letture - Giugno 2008
Ecco qui l'elenco delle letture di giugno:
Lui Tasini - Piccola storia del 'se' caduto dal terrazzo
Di questo libro ho già parlato qualche settimana fa, qui non mi resta che ribadire quanto mi sia piaciuto. Piccole storie con un grande cuore.
Kathryn Davis - Il luogo sottile
Le premesse per un'ottima lettura c'erano tutte, almeno a leggere la presentazione del romanzo sul sito di minimum fax. Mi aspettavo un romanzo in cui il fantastico si mescolasse con la quotidianità, in cui le caratteristiche di questo favoloso luogo sottile si manifestassero turbando e meravigliando, o al limite sconvolgendo, la tranquilla esistenza dei personaggi che animano la tranquilla cittadina di Varennes. Mi sono ritrovato invece tra le mani un incrocio tra Desperate Housewives e il National Geographic, con una spruzzatina di soprannaturale e una dose eccessiva di afflato mistico religioso.
Kathryn Davis è un'ottima narratrice ma molto probabilmente io non sono il suo lettore ideale.
William Faulkner - L'urlo e il furore
Finalmente l'ho letto. Era da parecchi anni che io e questo romanzo ci fiutavamo da lontano. Periodicamente il nome di Faulkner saltava fuori nei più diversi contesti, e il titolo del romanzo era spesso citato da molte delle persone di cui apprezzavo gusti e letture. Ma per un motivo o per l'altro rimandavo sempre il momento di prendere il libro in mano.
In effetti L'urlo e il furore è tutt'altro che una lettura semplice, ma oh… che soddisfazione arrivare in fondo.
Per quanto io sia facile all'entusiasmo sono davvero poche le volte che ho usato il termine capolavoro, però il romanzo di Faulkner se lo merita tutto. La progressione labirintica della vicenda, il pugno di personaggi che la muovono, la capacità di Faulkner di dare una voce unica e irripetibile ai vari membri della famiglia Compton nelle quattro parti che compongono il testo, la forza devastante con cui conduce in porto una storia tragica e sublime, tutto si fonde in un'opera davvero fondamentale nel panorama letterario del ventesimo secolo.
Per concludere questa nota vi lascio con le parole di Faulkner, in un brano citato anche nella postfazione di Bertolucci, che mi pare descriva in maniera perfetta il rapporto che lega autore e lettore nel viaggio tra le pagine di questo volume: "Tu e io soltanto allora tra l'esecrazione e l'orrore in un cerchio di pura fiamma."
George R. R. Martin - Le torri di cenere
Lasciando da parte ogni considerazione sulle strategie di marketing della mondadori, ecco la prima parte del volume che raccoglie in maniera esaustiva tutta la produzione breve di George R. R. Martin.
Nei dieci racconti che compongono questa antologia la fantascienza la fa da padrona, con una serie di storie che mostrano le capacità di Martin di evocare nuovi mondi, più o meno avanzati, più o meno pittoreschi, sempre profondamente imbevuti di umanità. In effetti questi racconti, tutti risalenti agli anni '70 dello scorso secolo, risentono molto dell'atmosfera del periodo con la componente scientifica e tecnologica piuttosto sfumata e un peso decisamente maggiore dato alla costruzione dell'atmosfera e delle relazioni tra i personaggi.
Quella che scrive Martin non è il genere di fantascienza che preferisco, ma nonostante queste non siano le sue Cronache, il volume si legge comunque volentieri.
Fred Vargas - Io sono il tenebroso
Terzo tentativo con i gialli della scrittrice francese. In questo caso ritornano in scena gli Evangelisti, già visti in azione in Chi è morto alzi la mano. In questi caso però i tre storici con zio al seguito rimangono sullo sfondo, mentre i primi piani sono tutti riservati al Tedesco, che sarà anche un personaggio interessante, ma che non ha un decimo dell'appeal del quartetto protagonista del romanzo precedente.
La Vargas scrive bene, i suoi personaggi son sempre ben delineati e riconoscibili, ma la vervé che mi aveva conquistato al primo incontro con i suoi romanzi qui mi sembra decisamente più sfumata. Oltretutto la vicenda gialla imbastita dall'autore è oltremodo prevedibile e quando la tensione poliziesca viene a mancare (ben prima di arrivare a metà del volume) del libro rimane ben poco di memorabile.
Nonostante i suoi difettiIo sono il tenebroso rimane comunque una lettura piacevole e rilassante, ma dopo averne letto tanto bene in giro mi aspettavo qualcosa di più.
Prossimamente letteratura americana a go-gò, altra fantascienza e forse forse anche qualcosa d'italiano.
Seguite i link per le letture di gennaio, febbraio, marzo, aprile e maggio.
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Lui Tasini - Piccola storia del 'se' caduto dal terrazzo
Di questo libro ho già parlato qualche settimana fa, qui non mi resta che ribadire quanto mi sia piaciuto. Piccole storie con un grande cuore.
Kathryn Davis - Il luogo sottile
Le premesse per un'ottima lettura c'erano tutte, almeno a leggere la presentazione del romanzo sul sito di minimum fax. Mi aspettavo un romanzo in cui il fantastico si mescolasse con la quotidianità, in cui le caratteristiche di questo favoloso luogo sottile si manifestassero turbando e meravigliando, o al limite sconvolgendo, la tranquilla esistenza dei personaggi che animano la tranquilla cittadina di Varennes. Mi sono ritrovato invece tra le mani un incrocio tra Desperate Housewives e il National Geographic, con una spruzzatina di soprannaturale e una dose eccessiva di afflato mistico religioso.
Kathryn Davis è un'ottima narratrice ma molto probabilmente io non sono il suo lettore ideale.
William Faulkner - L'urlo e il furore
Finalmente l'ho letto. Era da parecchi anni che io e questo romanzo ci fiutavamo da lontano. Periodicamente il nome di Faulkner saltava fuori nei più diversi contesti, e il titolo del romanzo era spesso citato da molte delle persone di cui apprezzavo gusti e letture. Ma per un motivo o per l'altro rimandavo sempre il momento di prendere il libro in mano.
In effetti L'urlo e il furore è tutt'altro che una lettura semplice, ma oh… che soddisfazione arrivare in fondo.
Per quanto io sia facile all'entusiasmo sono davvero poche le volte che ho usato il termine capolavoro, però il romanzo di Faulkner se lo merita tutto. La progressione labirintica della vicenda, il pugno di personaggi che la muovono, la capacità di Faulkner di dare una voce unica e irripetibile ai vari membri della famiglia Compton nelle quattro parti che compongono il testo, la forza devastante con cui conduce in porto una storia tragica e sublime, tutto si fonde in un'opera davvero fondamentale nel panorama letterario del ventesimo secolo.
Per concludere questa nota vi lascio con le parole di Faulkner, in un brano citato anche nella postfazione di Bertolucci, che mi pare descriva in maniera perfetta il rapporto che lega autore e lettore nel viaggio tra le pagine di questo volume: "Tu e io soltanto allora tra l'esecrazione e l'orrore in un cerchio di pura fiamma."
George R. R. Martin - Le torri di cenere
Lasciando da parte ogni considerazione sulle strategie di marketing della mondadori, ecco la prima parte del volume che raccoglie in maniera esaustiva tutta la produzione breve di George R. R. Martin.
Nei dieci racconti che compongono questa antologia la fantascienza la fa da padrona, con una serie di storie che mostrano le capacità di Martin di evocare nuovi mondi, più o meno avanzati, più o meno pittoreschi, sempre profondamente imbevuti di umanità. In effetti questi racconti, tutti risalenti agli anni '70 dello scorso secolo, risentono molto dell'atmosfera del periodo con la componente scientifica e tecnologica piuttosto sfumata e un peso decisamente maggiore dato alla costruzione dell'atmosfera e delle relazioni tra i personaggi.
Quella che scrive Martin non è il genere di fantascienza che preferisco, ma nonostante queste non siano le sue Cronache, il volume si legge comunque volentieri.
Fred Vargas - Io sono il tenebroso
Terzo tentativo con i gialli della scrittrice francese. In questo caso ritornano in scena gli Evangelisti, già visti in azione in Chi è morto alzi la mano. In questi caso però i tre storici con zio al seguito rimangono sullo sfondo, mentre i primi piani sono tutti riservati al Tedesco, che sarà anche un personaggio interessante, ma che non ha un decimo dell'appeal del quartetto protagonista del romanzo precedente.
La Vargas scrive bene, i suoi personaggi son sempre ben delineati e riconoscibili, ma la vervé che mi aveva conquistato al primo incontro con i suoi romanzi qui mi sembra decisamente più sfumata. Oltretutto la vicenda gialla imbastita dall'autore è oltremodo prevedibile e quando la tensione poliziesca viene a mancare (ben prima di arrivare a metà del volume) del libro rimane ben poco di memorabile.
Nonostante i suoi difettiIo sono il tenebroso rimane comunque una lettura piacevole e rilassante, ma dopo averne letto tanto bene in giro mi aspettavo qualcosa di più.
Prossimamente letteratura americana a go-gò, altra fantascienza e forse forse anche qualcosa d'italiano.
Seguite i link per le letture di gennaio, febbraio, marzo, aprile e maggio.
…
30 giugno 2008
Haruki Murakami
Sempre dalla mia libreria su Anobii, ecco una carrellata sulle mie note ai romanzi di Murakami Haruki. È da qualche anno che non frequento l'autore giapponese, ma ripensando alle sensazioni che mi hanno lasciato i suoi romanzi, beh… mi sta tornando voglia di leggere qualcosa di suo.
Tokyo Blues (Norvegian Wood), 1987
Il primo Murakami non si scorda mai.
Intenso, dolce, oscuro e malato.
Ma sempre sempre sempre delicato e meraviglioso.
Dance Dance Dance, 1987
Dance Dance Dance è il romanzo di Murakami che mi ha lasciato più soddisfatto, probabilmente per la capacità del suo autore di mantenersi in straordinario equilibrio tra la tensione del mistery e la struggente sensazione di solitudine, tra le suggestioni del fantastico e il realismo insopprimibile del vivere sul confine tra culture diverse.
Un romanzo incredibilmente denso e leggero e affascinante. Memorabile.
A sud del confine, ad ovest del sole, 1992
A sud del confine, ad ovest del sole è il peggior romanzo di Murakami mi sia capitato in mano: una storia inutile con personaggi inconsistenti, niente di quanto scritto m'è rimasto impresso.
Se volete provare a leggere Murakami (e io lo continuo a consigliare) non leggete questo romanzo!
L' uccello che girava le viti del mondo, 1994
Probabilmente questo romanzo costituisce il viaggio più completo nel mondo di Haruki Murakami.
Da leggere, con la precauzione di sapere a cosa si va incontro. A questo scopo possono forse essere utili i cinque motivi per cui mi piace Murakami:
- Il giappone trasparente, spiegato all'occidente;
- Il fantastico nel quotidiano, senza scuse ne giustificazioni;
- Il sesso normale e la musica;
- La calorosa freddezza;
- La tranquillità della follia, quella della morte.
La ragazza dello Sputnik, 1993
Dolce, melanconico, struggente, ma pure un po' troppo sognante ed effimero per i miei gusti.
Bello, però.
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Tokyo Blues (Norvegian Wood), 1987
Il primo Murakami non si scorda mai.
Intenso, dolce, oscuro e malato.
Ma sempre sempre sempre delicato e meraviglioso.
Dance Dance Dance, 1987
Dance Dance Dance è il romanzo di Murakami che mi ha lasciato più soddisfatto, probabilmente per la capacità del suo autore di mantenersi in straordinario equilibrio tra la tensione del mistery e la struggente sensazione di solitudine, tra le suggestioni del fantastico e il realismo insopprimibile del vivere sul confine tra culture diverse.
Un romanzo incredibilmente denso e leggero e affascinante. Memorabile.
A sud del confine, ad ovest del sole, 1992
A sud del confine, ad ovest del sole è il peggior romanzo di Murakami mi sia capitato in mano: una storia inutile con personaggi inconsistenti, niente di quanto scritto m'è rimasto impresso.
Se volete provare a leggere Murakami (e io lo continuo a consigliare) non leggete questo romanzo!
L' uccello che girava le viti del mondo, 1994
Probabilmente questo romanzo costituisce il viaggio più completo nel mondo di Haruki Murakami.
Da leggere, con la precauzione di sapere a cosa si va incontro. A questo scopo possono forse essere utili i cinque motivi per cui mi piace Murakami:
- Il giappone trasparente, spiegato all'occidente;
- Il fantastico nel quotidiano, senza scuse ne giustificazioni;
- Il sesso normale e la musica;
- La calorosa freddezza;
- La tranquillità della follia, quella della morte.
La ragazza dello Sputnik, 1993
Dolce, melanconico, struggente, ma pure un po' troppo sognante ed effimero per i miei gusti.
Bello, però.
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26 giugno 2008
Ian McEwan
Sistemando la mia libreria su Anobii mi sono reso conto che negli ultimi 10 anni ho letto un sacco di libri scritti da Ian McEwan. Ecco quindi una breve rassegna delle mie impressioni di lettura riguardo la produzione dell'autore inglese nel corso del tempo.
Racconti: Primo amore, ultimi riti - Fra le lenzuola, 1975-1978
McEwan è uno scrittore straordinario, i suoi personaggi escono dalle pagine del libro e prendono vita con tutto il loro cumulo di disagi e paranoie o semplice necessità di raccontarsi. Dopo averne letto tanto in giro non sapevo bene cosa aspettarmi, ma non mi è sembrato che l'autore spingesse troppo sul pedale del morboso o della violenza. A parte il racconto Farfalle (agghiacciante eppure avvincente), gli altri racconti mi sono sembrati soprattutto esemplari nella loro capacità di descrivere la "normalità" della vita dei loro protagonisti. E poi c'è anche un tocco di umorismo sornione che proprio non mi aspettavo, vedi per esempio Cocker.
Il giardino di cemento, 1978
La cronaca della vita quotidiana di una famiglia particolare. Conturbante e trasgressivo, ma al contempo pieno di umanità, Il giardino di cemento è un romanzo in cui McEwan rigira la morale comune come un guanto. Decisamente inquietante ma indimenticabile.
Cortesie per gli ospiti, 1981
Cortesie per gli ospiti è forse il romanzo meno convincente tra la sua produzione degli esordi. La tensione verso i confini della relazioni, della morale, dell'umanità dei suoi personaggi mi pare trattata qui in modo un po' troppo artificioso e dimostrativo, troppo astratto per i miei gusti.
La lettura rimane comunque avvincente, forse un po' troppo tesa a solleticare la morbosità del lettore, del resto il disagio che riusciva a trasmettere McEwan con questi suoi romanzi era una bella sferzata alla normalità circostante.
Bambini nel tempo, 1987
Agghiacciante se hai dei figli, ma in un modo molto molto inglese.
Comunque bellissimo.
Lettera a Berlino, 1989
Probabilmente il romanzo di McEwan a cui sono più affezionato. Anche in questo caso, nonostante le apparenze che lo avvicinano al tipico best-seller spionistico a la Ludlum, emerge preponderante una delle caratteristiche più significative dell'autore: la capacità ineguagliabile di esplorare i territori ambigui della morale con una lucidità senza compromessi che sfiora la morbosità, ma che è al contempo priva di qualsiasi compiacimento o moralismo. Rimanendo sempre e comunque profondamente morale.
Cani neri, 1992
Cani neri mi ha sorpreso, un deciso cambio di atmosfere rispetto ai romanzi precedenti.
McEwan inizia con questo romanzo a normalizzarsi, la scrittura è sempre limpida, analitica, inesorabile, ma i temi e le situazioni si fanno più vicini all'esperienza del suo lettore tipo.
Lo preferivo prima, ma oh… non si può avere tutto.
L'inventore di sogni, 1994
Di Ian McEwan conosco bene l'abilità di muoversi attraverso le più tenui sfumature della moralità, la sua capacità di affrontare il male che ci circonda e ci appartiene, di raccontare in maniera esemplare l'ambiguità dei rapporti e delle relazioni dei suoi personaggi. Per questo motivo ero piuttosto curioso di leggerlo nell'inconsueta veste di autore per ragazzi.
L'inventore dei sogni è il più classico dei libri dedicati all'nfanzia: quante volte abbiamo letto di ragazzini trasformati in gatti o che si ritrovano improvvisamente adulti, di storie di prepotenze scolastiche o di incomprensioni familiari. Ma nonostante tutto il peso dei libri passati, rileggere le stesse vicende raccontate da un autore con la sensibilità di McEwan ce le restituisce come nuove al piacere della lettura. Onore al merito, quindi. Ora sono davvero curioso di sentire i miei figli cosa ne pensano.
L'amore fatale, 1997
Ho trovato L'amore fatale un po' troppo artificioso: come se si sentisse troppo la voce dell'autore a scapito di personaggi e avvenimenti. È sempre McEwan, e quindi comunque buono, ma non al livello dei suoi romanzi precedenti.
Espiazione, 2001
Quando mi sono finalmente deciso a leggere Espiazione era da un po' di tempo che non frequentavo McEwan. Nel corso del tempo le tematiche e i personaggi che andava esplorando coi sui romanzi si sono via via allontanati da quelle che sono le mie preferenze di lettore.
Ma Espiazione me l'hanno regalato e così alla fine la curiosità ha prevalso.
Diciamolo subito, arrivare in fondo alla prima parte del romanzo è stata una vera sofferenza: il continuo procrastinare l'esplosione della vicenda, il perdere tempo con la descrizione di fatti e personaggi per cui il mio interesse era prossimo allo zero, il rimandare il lettore a relazioni e situazioni sempre più sfuggenti, beh… stavo davvero per mollare tutto.
Poi per fortuna il romanzo cambia registro. Il racconto della disastrosa ritirata di Dunkerque è tutt'altra cosa rispetto alla narrazione delle vicende iniziali e la parte finale nella Londra sotto i bombardamenti è un piccolo gioiello per come riesce a rimanere in miracoloso equilibrio tra il racconto delle possibilità e quello dei fatti, tra l'espiazione e la colpa, tra la tragedia personale e quella collettiva.
Non so se in fondo il romanzo mi ha soddisfatto, troppo diverse le sensazioni nel corso della lettura. Di certo mi pare che Ian McEwan si sia definitivamente imborghesito (si potrà dire definitivamente qui?). Io lo preferivo quand'era più cattivo, quando la sua sensibilità si rivolgeva ai lati più oscuri dell'esistenza, quando si sforzava di comprendere e trattare con le persone comuni piuttosto che con quella sorta di elitè culturale che progressivamente è diventata la protagonista dei suoi romanzi.
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Racconti: Primo amore, ultimi riti - Fra le lenzuola, 1975-1978
McEwan è uno scrittore straordinario, i suoi personaggi escono dalle pagine del libro e prendono vita con tutto il loro cumulo di disagi e paranoie o semplice necessità di raccontarsi. Dopo averne letto tanto in giro non sapevo bene cosa aspettarmi, ma non mi è sembrato che l'autore spingesse troppo sul pedale del morboso o della violenza. A parte il racconto Farfalle (agghiacciante eppure avvincente), gli altri racconti mi sono sembrati soprattutto esemplari nella loro capacità di descrivere la "normalità" della vita dei loro protagonisti. E poi c'è anche un tocco di umorismo sornione che proprio non mi aspettavo, vedi per esempio Cocker.
Il giardino di cemento, 1978
La cronaca della vita quotidiana di una famiglia particolare. Conturbante e trasgressivo, ma al contempo pieno di umanità, Il giardino di cemento è un romanzo in cui McEwan rigira la morale comune come un guanto. Decisamente inquietante ma indimenticabile.
Cortesie per gli ospiti, 1981
Cortesie per gli ospiti è forse il romanzo meno convincente tra la sua produzione degli esordi. La tensione verso i confini della relazioni, della morale, dell'umanità dei suoi personaggi mi pare trattata qui in modo un po' troppo artificioso e dimostrativo, troppo astratto per i miei gusti.
La lettura rimane comunque avvincente, forse un po' troppo tesa a solleticare la morbosità del lettore, del resto il disagio che riusciva a trasmettere McEwan con questi suoi romanzi era una bella sferzata alla normalità circostante.
Bambini nel tempo, 1987
Agghiacciante se hai dei figli, ma in un modo molto molto inglese.
Comunque bellissimo.
Lettera a Berlino, 1989
Probabilmente il romanzo di McEwan a cui sono più affezionato. Anche in questo caso, nonostante le apparenze che lo avvicinano al tipico best-seller spionistico a la Ludlum, emerge preponderante una delle caratteristiche più significative dell'autore: la capacità ineguagliabile di esplorare i territori ambigui della morale con una lucidità senza compromessi che sfiora la morbosità, ma che è al contempo priva di qualsiasi compiacimento o moralismo. Rimanendo sempre e comunque profondamente morale.
Cani neri, 1992
Cani neri mi ha sorpreso, un deciso cambio di atmosfere rispetto ai romanzi precedenti.
McEwan inizia con questo romanzo a normalizzarsi, la scrittura è sempre limpida, analitica, inesorabile, ma i temi e le situazioni si fanno più vicini all'esperienza del suo lettore tipo.
Lo preferivo prima, ma oh… non si può avere tutto.
L'inventore di sogni, 1994
Di Ian McEwan conosco bene l'abilità di muoversi attraverso le più tenui sfumature della moralità, la sua capacità di affrontare il male che ci circonda e ci appartiene, di raccontare in maniera esemplare l'ambiguità dei rapporti e delle relazioni dei suoi personaggi. Per questo motivo ero piuttosto curioso di leggerlo nell'inconsueta veste di autore per ragazzi.
L'inventore dei sogni è il più classico dei libri dedicati all'nfanzia: quante volte abbiamo letto di ragazzini trasformati in gatti o che si ritrovano improvvisamente adulti, di storie di prepotenze scolastiche o di incomprensioni familiari. Ma nonostante tutto il peso dei libri passati, rileggere le stesse vicende raccontate da un autore con la sensibilità di McEwan ce le restituisce come nuove al piacere della lettura. Onore al merito, quindi. Ora sono davvero curioso di sentire i miei figli cosa ne pensano.
L'amore fatale, 1997
Ho trovato L'amore fatale un po' troppo artificioso: come se si sentisse troppo la voce dell'autore a scapito di personaggi e avvenimenti. È sempre McEwan, e quindi comunque buono, ma non al livello dei suoi romanzi precedenti.
Espiazione, 2001
Quando mi sono finalmente deciso a leggere Espiazione era da un po' di tempo che non frequentavo McEwan. Nel corso del tempo le tematiche e i personaggi che andava esplorando coi sui romanzi si sono via via allontanati da quelle che sono le mie preferenze di lettore.
Ma Espiazione me l'hanno regalato e così alla fine la curiosità ha prevalso.
Diciamolo subito, arrivare in fondo alla prima parte del romanzo è stata una vera sofferenza: il continuo procrastinare l'esplosione della vicenda, il perdere tempo con la descrizione di fatti e personaggi per cui il mio interesse era prossimo allo zero, il rimandare il lettore a relazioni e situazioni sempre più sfuggenti, beh… stavo davvero per mollare tutto.
Poi per fortuna il romanzo cambia registro. Il racconto della disastrosa ritirata di Dunkerque è tutt'altra cosa rispetto alla narrazione delle vicende iniziali e la parte finale nella Londra sotto i bombardamenti è un piccolo gioiello per come riesce a rimanere in miracoloso equilibrio tra il racconto delle possibilità e quello dei fatti, tra l'espiazione e la colpa, tra la tragedia personale e quella collettiva.
Non so se in fondo il romanzo mi ha soddisfatto, troppo diverse le sensazioni nel corso della lettura. Di certo mi pare che Ian McEwan si sia definitivamente imborghesito (si potrà dire definitivamente qui?). Io lo preferivo quand'era più cattivo, quando la sua sensibilità si rivolgeva ai lati più oscuri dell'esistenza, quando si sforzava di comprendere e trattare con le persone comuni piuttosto che con quella sorta di elitè culturale che progressivamente è diventata la protagonista dei suoi romanzi.
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24 giugno 2008
Canzoni da spiaggia (post deturpato e ignorante)
Queste brevi note sono dedicate al signore signorino del male idiotaignorante, con molto affetto.
Vent'anni fa il cd de Le luci della centrale elettrica (che evidentemente chiamarsi Vasco Brondi non fa abbastanza figo) Canzoni da spiaggia deturpata sarebbe diventato immediatamente uno dei miei dischi preferiti. Questo non significa che il disco suoni datato (per niente!), che il buon Vasco sia fuori tempo o fuori luogo (tutt'altro!), significa solo che ormai non ho più un'età da facili entusiasmi e precipitose attribuzioni di merito.
In effetti Canzoni da spiaggia deturpata si ascolta davvero volentieri: il suono e le intenzioni, le parole e le canzoni, tutto è curato e interessante e ben costruito. Sarà che il frullato di chitarre m'è sempre piaciuto, sarà che mi emoziono facilmente tra le distorsioni elettriche dissonanti e le morbidezze desertiche dell'acustica (ma forse sono solo troppo affezionato agli spiriti notturni del buon vecchio Tom Waits e alle spettrali cavalcate urbane dei Sonic Youth, chissà…), sarà che le parole scolpiscono le canzoni in una forma che era da tempo non mi capitava di sentire (però qualcosa per quell'accento ferrarese forse era il caso di farlo…), comunque sia al primo ascolto il disco mi ha davvero colpito e impressionato.
Ma non sono solo rose, che in fondo, a ravanare ben bene tra le tracce di questo disco c'è qualcosa che non mi torna. No, non è la musica, che continua imperterrita a piacermi, è piuttosto l'atteggiamento, il mood, il senso stesso del disco che tende a lasciarmi un po' perplesso. Dopo qualche ascolto non sono più così sicuro che siano solo applausi quel che si merita questo Vasco cresciuto tra la via Emilia e il west, o se invece non si meriti piuttosto di essere mandato un po' a provare cos'è la vita vera, che nonostante il panorama ci son luoghi ben peggiori dove crescere che non il suo personale inferno padano.
Oh, intendiamoci, sono convinto della sua buona fede, la sincerità dell'artista e la sofferenza ecc ecc. Magari il ragazzo ci marcia un po', ma è talmente bravo con le parole che se lo può pure permettere, però ecco, 'sto continuo lamentarsi e la vita di merda e la depressione cosmica, eccheccazzo basta! Se di questi anni zero non avrai un cazzo da raccontare ai figli che non avrai, forse qualche piccolo tentativo di fare qualcosa - anche solo una risata - invece che menarsela e basta potrebbe pure servire.
La rozza parafrasi del testo brondiano mi serve per arrivare a un altro punto topico. Ovunque nella sfera mediatica circostante sento ripetere e ribadire e stracitare a cazzo (secondo me!) quanto lo spirito imperituro di Rino Gaetano aleggi tra le tracce di questo disco. A me invece pare che non ci siano autori più diversi tra il calabrese buonanima e il giovane virgulto emiliano: tanto solare, ironico e divertito il primo, quanto cinico scazzato e serio il secondo. Tanto le parole di Rino Gaetano sono politiche e dolci e vitali, quanto quelle di Vasco Brondi suonano autoreferenziali e funeree e deprimenti.
Magari mi sbaglio, ma mi spiegate magari con parole semplici e comprensibili dove lo trovate Rino Gaetano nel disco di Vasco Brondi?
Ecco, direi di aver detto quel che avevo da dire, e quindi non date troppo retta al buon Niccolò li sopra. Non sono le Canzoni da spiaggia deturpata a essere inutili e superflue. piuttosto molti dei suoi effimeri estimatori.
Io intanto Vasco Brondi aka Le luci della centrale elettrica me lo sono segnato, sperando che nel frattempo coltivi un po' di sano senso dell'umorismo. Nel qual caso ne sentiremo davvero delle belle.
…
Vent'anni fa il cd de Le luci della centrale elettrica (che evidentemente chiamarsi Vasco Brondi non fa abbastanza figo) Canzoni da spiaggia deturpata sarebbe diventato immediatamente uno dei miei dischi preferiti. Questo non significa che il disco suoni datato (per niente!), che il buon Vasco sia fuori tempo o fuori luogo (tutt'altro!), significa solo che ormai non ho più un'età da facili entusiasmi e precipitose attribuzioni di merito.
In effetti Canzoni da spiaggia deturpata si ascolta davvero volentieri: il suono e le intenzioni, le parole e le canzoni, tutto è curato e interessante e ben costruito. Sarà che il frullato di chitarre m'è sempre piaciuto, sarà che mi emoziono facilmente tra le distorsioni elettriche dissonanti e le morbidezze desertiche dell'acustica (ma forse sono solo troppo affezionato agli spiriti notturni del buon vecchio Tom Waits e alle spettrali cavalcate urbane dei Sonic Youth, chissà…), sarà che le parole scolpiscono le canzoni in una forma che era da tempo non mi capitava di sentire (però qualcosa per quell'accento ferrarese forse era il caso di farlo…), comunque sia al primo ascolto il disco mi ha davvero colpito e impressionato.
Ma non sono solo rose, che in fondo, a ravanare ben bene tra le tracce di questo disco c'è qualcosa che non mi torna. No, non è la musica, che continua imperterrita a piacermi, è piuttosto l'atteggiamento, il mood, il senso stesso del disco che tende a lasciarmi un po' perplesso. Dopo qualche ascolto non sono più così sicuro che siano solo applausi quel che si merita questo Vasco cresciuto tra la via Emilia e il west, o se invece non si meriti piuttosto di essere mandato un po' a provare cos'è la vita vera, che nonostante il panorama ci son luoghi ben peggiori dove crescere che non il suo personale inferno padano.
Oh, intendiamoci, sono convinto della sua buona fede, la sincerità dell'artista e la sofferenza ecc ecc. Magari il ragazzo ci marcia un po', ma è talmente bravo con le parole che se lo può pure permettere, però ecco, 'sto continuo lamentarsi e la vita di merda e la depressione cosmica, eccheccazzo basta! Se di questi anni zero non avrai un cazzo da raccontare ai figli che non avrai, forse qualche piccolo tentativo di fare qualcosa - anche solo una risata - invece che menarsela e basta potrebbe pure servire.
La rozza parafrasi del testo brondiano mi serve per arrivare a un altro punto topico. Ovunque nella sfera mediatica circostante sento ripetere e ribadire e stracitare a cazzo (secondo me!) quanto lo spirito imperituro di Rino Gaetano aleggi tra le tracce di questo disco. A me invece pare che non ci siano autori più diversi tra il calabrese buonanima e il giovane virgulto emiliano: tanto solare, ironico e divertito il primo, quanto cinico scazzato e serio il secondo. Tanto le parole di Rino Gaetano sono politiche e dolci e vitali, quanto quelle di Vasco Brondi suonano autoreferenziali e funeree e deprimenti.
Magari mi sbaglio, ma mi spiegate magari con parole semplici e comprensibili dove lo trovate Rino Gaetano nel disco di Vasco Brondi?
Ecco, direi di aver detto quel che avevo da dire, e quindi non date troppo retta al buon Niccolò li sopra. Non sono le Canzoni da spiaggia deturpata a essere inutili e superflue. piuttosto molti dei suoi effimeri estimatori.
Io intanto Vasco Brondi aka Le luci della centrale elettrica me lo sono segnato, sperando che nel frattempo coltivi un po' di sano senso dell'umorismo. Nel qual caso ne sentiremo davvero delle belle.
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17 giugno 2008
Un piccolo libro con tante belle storie dentro.
È passata ormai più di una settimana da quando ho finito di leggere i racconti della Piccola storia del 'se' caduto dal terrazzo e ancora non sono riuscito a definire qual è la qualità specifica che me li ha fatti piacere così tanto.
Le piccole storie di Lui Tasini sono infatti così ricche di suggestioni che per me è difficile andare a scovare il nucleo del suo raccontare, soprattutto per provare a spiegarlo a chi non la conosce.
Nelle istantanee che compongono questo volume si mescolano i fili della nostalgia per un'epoca che vive solo nel ricordo insieme con la meraviglia continua del vivere quotidiano. Le storie della Lui non vivono però dell'illusione del buon tempo andato anzi, gli spigoli vivi dell'esistenza su cui tutti ci siamo feriti sono sempre ben evidenti, ma insieme al dolore c'è sempre la consolazione che solo la vicinanza di un'altra persona è in grado di dare. Non sono favole, ma sono comunque universali, non sono ingenue, sono così semplicemente umane da essere commoventi e soprattutto vanno dirette al cuore delle cose senza perdersi in preamboli, in voli pindarici o in compiaciute complicazioni stilistiche.
No, è inutile, per quanti tentativi faccia di inquadrare questi microracconti in un modello di riferimento, essi sfuggono a una veloce classificazione. Forse la qualità inconsueta che caratterizza la produzione della Lui è la totale mancanza di quel cinismo che pare essere ormai un ingrediente fondamentale del nostro vivere quotidiano. Le storie di questa raccolta sono totalmente aperte, non nascondono nulla e nulla hanno da nascondere. Ci si ritrova come a casa, senza maschere da indossare o sottigliezze interpretative da tirare in ballo. In questi racconti ci si deve confrontare con l'improvvisa sospensione della realtà virtuale in cui tutti siamo immersi, per ritrovarsi senza fiato a confrontarsi con la vita vera, quella che emerge dalle pagine della Lui, quella dei suoi personaggi, tanto familiari quanto dimenticati, quella di una Storia quotidiana fuori dalla luce dei riflettori, ma tanto, tanto vicina al cuore delle cose.
Per un assaggio del mondo della Lui potete cliccare sulla foto qui sopra e poi da lì iniziare a vagabondare per il suo stream.
Ah… dimenticavo.
L'unico difetto di questo libro è che non lo riuscirete a trovare in libreria.
L'autrice ha infatti deciso di autoprodurlo e per trovarlo dovrete andare qui. Buona lettura.
…
Le piccole storie di Lui Tasini sono infatti così ricche di suggestioni che per me è difficile andare a scovare il nucleo del suo raccontare, soprattutto per provare a spiegarlo a chi non la conosce.
Nelle istantanee che compongono questo volume si mescolano i fili della nostalgia per un'epoca che vive solo nel ricordo insieme con la meraviglia continua del vivere quotidiano. Le storie della Lui non vivono però dell'illusione del buon tempo andato anzi, gli spigoli vivi dell'esistenza su cui tutti ci siamo feriti sono sempre ben evidenti, ma insieme al dolore c'è sempre la consolazione che solo la vicinanza di un'altra persona è in grado di dare. Non sono favole, ma sono comunque universali, non sono ingenue, sono così semplicemente umane da essere commoventi e soprattutto vanno dirette al cuore delle cose senza perdersi in preamboli, in voli pindarici o in compiaciute complicazioni stilistiche.
No, è inutile, per quanti tentativi faccia di inquadrare questi microracconti in un modello di riferimento, essi sfuggono a una veloce classificazione. Forse la qualità inconsueta che caratterizza la produzione della Lui è la totale mancanza di quel cinismo che pare essere ormai un ingrediente fondamentale del nostro vivere quotidiano. Le storie di questa raccolta sono totalmente aperte, non nascondono nulla e nulla hanno da nascondere. Ci si ritrova come a casa, senza maschere da indossare o sottigliezze interpretative da tirare in ballo. In questi racconti ci si deve confrontare con l'improvvisa sospensione della realtà virtuale in cui tutti siamo immersi, per ritrovarsi senza fiato a confrontarsi con la vita vera, quella che emerge dalle pagine della Lui, quella dei suoi personaggi, tanto familiari quanto dimenticati, quella di una Storia quotidiana fuori dalla luce dei riflettori, ma tanto, tanto vicina al cuore delle cose.
Per un assaggio del mondo della Lui potete cliccare sulla foto qui sopra e poi da lì iniziare a vagabondare per il suo stream.
Ah… dimenticavo.
L'unico difetto di questo libro è che non lo riuscirete a trovare in libreria.
L'autrice ha infatti deciso di autoprodurlo e per trovarlo dovrete andare qui. Buona lettura.
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11 giugno 2008
Indiana Jones e non ci sono più gli inseguimenti di una volta.
So cosa state pensando. Del resto me l'avevano detto tutti: ci rimarrai male, Indy è vecchio, son passati vent'anni…
Ma sono un testone. Anzi, di più: sono un testone romantico e Indiana Jones è un personaggio che mi ha accompagnato per un sacco di tempo. Il minimo che potessi fare era rivederlo al cinema per un'ultima volta, no?
Che poi, in definitiva, Indiana Jones è l'unico che non tradisce le mie aspettative. Si vede che anche Harrison Ford è affezionato a quella frusta e a quel cappello.
I punti dolenti son ben altri, su tutti l'incredibile sciatteria con cui è stato portato avanti il progetto. Tutta nella realizzazione del film sembra improvvisato, dal soggetto alla sceneggiatura, dalla scelta dei personaggi (quel tizio NON può essere il figlio di Indy!) alla post-produzione digitale. In parte ero preparato, a parte gli avvertimenti degli amici, sono ormai più di dieci che Steven Spielberg e George Lucas non raccontano una storia senza banalizzarla, che sembrano subordinare sceneggiatura e messa in scena a esigenze che con il Cinema hanno poco a che fare (penso a videogame e a spot pubblicitari, che mi sembrano essere diventati il loro obiettivo primario, almeno a guardare le ultime prove del dinamico duo). Però una certezza mi era rimasta. Almeno lo spettacolo puramente visivo, la tecnica sopraffina, la capacità di catturare lo spettatore con il movimento di macchina mescolato alla cgi, beh… questi aspetti li davo quasi per scontati avendo a che fare con la premiata ditta S & L.
Invece Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo è stata una delusione anche da questo punto di vista: troppo evidente l'uso del digitale all'interno di ambientazioni naturali (penso alla necropoli sopra Nazca, all'accampamento nella giungla, allo strapiombo a lato della strada, all'anfibio nella cascata, etc. etc.) troppo lunghe ed esagerate e pedestri molte delle scene d'azione (il serpente, l'inseguimento nella foresta, la discesa nel fiume, i vari meccanismi e i passaggi segreti), troppo macchinose e ripetitive le soluzioni narrative (gli interrogatori, i confronti tra i personaggi, le sparatorie).
Non tutto è da buttar via: il prologo è efficace, le formiche sanno di deja-vù ma mantengono una loro dignità, la scena finale è potente, ma oh… non stiamo mica parlando di un esordio, Spielberg e Lucas sono i due tizi che 'ste cose le hanno inventate e predicate e praticate come mai nessuno prima negli ultimi 30 anni!
Insomma, se ci si poteva aspettare qualche delusione dal vedere un Indiana Jones ormai invecchiato (e invece Harrison Ford è praticamente perfetto nel ruolo) quello che mi ha davvero deluso è stato constatare l'evidente decadimento senile dei creatori di sogni della mia generazione.
Per certa gente non sono i chilometri, son proprio gli anni…
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Ma sono un testone. Anzi, di più: sono un testone romantico e Indiana Jones è un personaggio che mi ha accompagnato per un sacco di tempo. Il minimo che potessi fare era rivederlo al cinema per un'ultima volta, no?
Che poi, in definitiva, Indiana Jones è l'unico che non tradisce le mie aspettative. Si vede che anche Harrison Ford è affezionato a quella frusta e a quel cappello.
I punti dolenti son ben altri, su tutti l'incredibile sciatteria con cui è stato portato avanti il progetto. Tutta nella realizzazione del film sembra improvvisato, dal soggetto alla sceneggiatura, dalla scelta dei personaggi (quel tizio NON può essere il figlio di Indy!) alla post-produzione digitale. In parte ero preparato, a parte gli avvertimenti degli amici, sono ormai più di dieci che Steven Spielberg e George Lucas non raccontano una storia senza banalizzarla, che sembrano subordinare sceneggiatura e messa in scena a esigenze che con il Cinema hanno poco a che fare (penso a videogame e a spot pubblicitari, che mi sembrano essere diventati il loro obiettivo primario, almeno a guardare le ultime prove del dinamico duo). Però una certezza mi era rimasta. Almeno lo spettacolo puramente visivo, la tecnica sopraffina, la capacità di catturare lo spettatore con il movimento di macchina mescolato alla cgi, beh… questi aspetti li davo quasi per scontati avendo a che fare con la premiata ditta S & L.
Invece Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo è stata una delusione anche da questo punto di vista: troppo evidente l'uso del digitale all'interno di ambientazioni naturali (penso alla necropoli sopra Nazca, all'accampamento nella giungla, allo strapiombo a lato della strada, all'anfibio nella cascata, etc. etc.) troppo lunghe ed esagerate e pedestri molte delle scene d'azione (il serpente, l'inseguimento nella foresta, la discesa nel fiume, i vari meccanismi e i passaggi segreti), troppo macchinose e ripetitive le soluzioni narrative (gli interrogatori, i confronti tra i personaggi, le sparatorie).
Non tutto è da buttar via: il prologo è efficace, le formiche sanno di deja-vù ma mantengono una loro dignità, la scena finale è potente, ma oh… non stiamo mica parlando di un esordio, Spielberg e Lucas sono i due tizi che 'ste cose le hanno inventate e predicate e praticate come mai nessuno prima negli ultimi 30 anni!
Insomma, se ci si poteva aspettare qualche delusione dal vedere un Indiana Jones ormai invecchiato (e invece Harrison Ford è praticamente perfetto nel ruolo) quello che mi ha davvero deluso è stato constatare l'evidente decadimento senile dei creatori di sogni della mia generazione.
Per certa gente non sono i chilometri, son proprio gli anni…
…
06 giugno 2008
Nuove occasioni per vecchie ossessioni
Uno alla volta o in piccoli gruppi, un po' alla chetichella o sbandierandolo ai quattro venti, molti dei miei contatti in rete sono precipitati in questo nuovo vortice succhia-tempo. Nonostante la tentazione e le lusinghe di molti di voi io ho resistito per quasi un anno, ma da ieri ne sono rimasto inesorabilmente attratto. In due giorni di immersione ho già provveduto a scaricarci sopra una cinquantina di volumi.
Se non fosse ancora chiaro, beh… sto parlando di Anobii, che per un catalogatore compulsivo come me rappresenta davvero la strada per la perdizione.
Al momento sto inserendo nella libreria solo i volumi che ho già commentato in qualche modo, qui o nelle mie incarnazioni internettare precedenti, poi si vedrà. Se considero che il mio database domestico ha registrati al momento più o meno 1400 volumi, direi che avrò da divertirmi per parecchi mesi.
Yuppieeeeeeee!
(Aaargh!)
…
Se non fosse ancora chiaro, beh… sto parlando di Anobii, che per un catalogatore compulsivo come me rappresenta davvero la strada per la perdizione.
Al momento sto inserendo nella libreria solo i volumi che ho già commentato in qualche modo, qui o nelle mie incarnazioni internettare precedenti, poi si vedrà. Se considero che il mio database domestico ha registrati al momento più o meno 1400 volumi, direi che avrò da divertirmi per parecchi mesi.
Yuppieeeeeeee!
(Aaargh!)
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05 giugno 2008
Rapporto letture - Maggio 2008
Ecco qui l'elenco delle letture di maggio:
David Foster Wallace - Considera l'aragosta
È da qualche settimana che ci penso, ma non riesco proprio a ricordare un altro volume con una tale concentrazione di scrittura brillante, chiarezza d'esposizione e pura e semplice intelligenza. Che scriva di industria del porno o di Dostoevskij, di politica o dell'umorismo di Kafka, di aragoste o di talk-show radiofonici David Foster Wallace dimostra ogni volta (come se ce ne fosse bisogno!) una capacità ultraterrena di rendere interessante, illuminante e divertente qualsiasi argomento si trovi ad affrontare.
Una nota particolare per il saggio "Autorità e uso della lingua": non avrei mai immaginato che mi sarei tanto appassionato alla recensione di un dizionario. In questo saggio, probabilmente il più significativo dell'intera raccolta, Wallace riesce a parlare dell'uso della lingua, delle implicazioni politiche che sempre il linguaggio porta con se e della lotta - politica - tra studiosi di correnti diverse in un modo che non credevo fosse nemmeno immaginabile: visto l'argomento mi sarei aspettato di trovarmi immerso nella lettura di un mattone terrificante e invece, oltre ad essere illuminante come di consueto, la lettura di questo saggio è stata pure estremamente goduriosa. Provare per credere.
Ian McDonald - Empire Dreams
A Ian McDonald sono molto affezionato. Per me è uno dei migliori scrittori di fantascienza in circolazione, ma è praticamente sconosciuto in Italia, nonostante siano ormai più di vent'anni che sforna magnifici romanzi.
Empire Dreams è la sua prima antologia di racconti. Pubblicato nell'ormai lontano 1988 è un volume decisamente variegato per temi e situazioni, ma assolutamente coerente per lo stile e la personalità dell'autore. Le caratteristiche che da sempre contraddistinguono la produzione di Ian McDonald sono infatti ben evidenti già in queste opere d'esordio: un'immaginazione sfrenata, da lasciare a bocca aperta anche il più scafato frequentatore del genere; una scrittura estremamente curata, che se anche scivola in qualche racconto verso uno stile un po' troppo barocco rimane sempre di una qualità decisamente superiore agli standard fantascientifici medi; una notevole attenzione nella creazione e nella caratterizzazione dei personaggi, capaci di rimanere impressi come poche volte accade nella memoria del lettore.
Non tutti i racconti dell'antologia sono dei capolavori, ma a me ha fatto particolarmente piacere ritornare sul Marte terraformato del suo romanzo d'esordio, dare un'occhiata all'Irlanda che attraversa molte sue storie, incontrare un Van Gogh inedito e spingermi ai confini del sistema solare per poi tornare precipitosamente a terra.
Per tutti questi motivi non smetterò mai di consigliare a tutti di provare almeno una volta la fantascienza di Ian McDonald.
Un ringraziamento particolare lo devo ad Anna FDD che non solo mi ha regalato quest'antologia che risulta ormai introvabile, ma me l'ha pure fatta autografare (con la dedica!) dall'autore stesso.
Joe R. Lansdale - La notte del drive-in 3
Era proprio ora di tornare nel folle Drive-In del mio texano preferito!
C'è poco da dire, il Lansdale che adoro non è quello degli ultimi tempi che pur con tutte le sue incredibili capacità compositive sforna romanzi che sono diventati via via sempre più normali, ma quello capace di mescolare nella maniera più sbracata splatter, fantascienza, volgarità gratuite e azione sfrenata, il tutto in un contesto quasi metafisico in cui alla risata liberatoria segue spesso e volentieri l'istante di puro genio. Questo è l'Orbit che ricordavo e questa terza incursione nei suoi territori non delude le aspettative. Ci son voluti 11 anni. Valeva la pena aspettare.
Ian McEwan - L'inventore dei sogni
Di Ian McEwan conosco bene l'abilità di muoversi attraverso le più tenui sfumature della moralità, la sua capacità di affrontare il male che ci circonda e ci appartiene, di raccontare in maniera esemplare l'ambiguità dei rapporti e delle relazioni dei suoi personaggi. Per questo motivo ero piuttosto curioso di leggerlo nell'inconsueta veste di autore per ragazzi.
L'inventore dei sogni è il più classico dei libri dedicati all'nfanzia: quante volte abbiamo letto di ragazzini trasformati in gatti o che si ritrovano improvvisamente adulti, di storie di prepotenze scolastiche o di incomprensioni familiari. Ma nonostante tutto il peso dei libri passati, rileggere le stesse vicende raccontate da un autore con la sensibilità di McEwan ce le restituisce come nuove al piacere della lettura. Onore al merito, quindi. Ora sono davvero curioso di sentire i miei figli cosa ne pensano.
Questo è tutto per il mese appena trascorso. Per la prossima puntata aspettatevi ancora fantascienza, un salto nella nuova letteratura americana e qualche assaggio di scrittori nostrani.
Seguite i link per le letture di gennaio, febbraio, marzo e aprile.
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David Foster Wallace - Considera l'aragosta
È da qualche settimana che ci penso, ma non riesco proprio a ricordare un altro volume con una tale concentrazione di scrittura brillante, chiarezza d'esposizione e pura e semplice intelligenza. Che scriva di industria del porno o di Dostoevskij, di politica o dell'umorismo di Kafka, di aragoste o di talk-show radiofonici David Foster Wallace dimostra ogni volta (come se ce ne fosse bisogno!) una capacità ultraterrena di rendere interessante, illuminante e divertente qualsiasi argomento si trovi ad affrontare.
Una nota particolare per il saggio "Autorità e uso della lingua": non avrei mai immaginato che mi sarei tanto appassionato alla recensione di un dizionario. In questo saggio, probabilmente il più significativo dell'intera raccolta, Wallace riesce a parlare dell'uso della lingua, delle implicazioni politiche che sempre il linguaggio porta con se e della lotta - politica - tra studiosi di correnti diverse in un modo che non credevo fosse nemmeno immaginabile: visto l'argomento mi sarei aspettato di trovarmi immerso nella lettura di un mattone terrificante e invece, oltre ad essere illuminante come di consueto, la lettura di questo saggio è stata pure estremamente goduriosa. Provare per credere.
Ian McDonald - Empire Dreams
A Ian McDonald sono molto affezionato. Per me è uno dei migliori scrittori di fantascienza in circolazione, ma è praticamente sconosciuto in Italia, nonostante siano ormai più di vent'anni che sforna magnifici romanzi.
Empire Dreams è la sua prima antologia di racconti. Pubblicato nell'ormai lontano 1988 è un volume decisamente variegato per temi e situazioni, ma assolutamente coerente per lo stile e la personalità dell'autore. Le caratteristiche che da sempre contraddistinguono la produzione di Ian McDonald sono infatti ben evidenti già in queste opere d'esordio: un'immaginazione sfrenata, da lasciare a bocca aperta anche il più scafato frequentatore del genere; una scrittura estremamente curata, che se anche scivola in qualche racconto verso uno stile un po' troppo barocco rimane sempre di una qualità decisamente superiore agli standard fantascientifici medi; una notevole attenzione nella creazione e nella caratterizzazione dei personaggi, capaci di rimanere impressi come poche volte accade nella memoria del lettore.
Non tutti i racconti dell'antologia sono dei capolavori, ma a me ha fatto particolarmente piacere ritornare sul Marte terraformato del suo romanzo d'esordio, dare un'occhiata all'Irlanda che attraversa molte sue storie, incontrare un Van Gogh inedito e spingermi ai confini del sistema solare per poi tornare precipitosamente a terra.
Per tutti questi motivi non smetterò mai di consigliare a tutti di provare almeno una volta la fantascienza di Ian McDonald.
Un ringraziamento particolare lo devo ad Anna FDD che non solo mi ha regalato quest'antologia che risulta ormai introvabile, ma me l'ha pure fatta autografare (con la dedica!) dall'autore stesso.
Joe R. Lansdale - La notte del drive-in 3
Era proprio ora di tornare nel folle Drive-In del mio texano preferito!
C'è poco da dire, il Lansdale che adoro non è quello degli ultimi tempi che pur con tutte le sue incredibili capacità compositive sforna romanzi che sono diventati via via sempre più normali, ma quello capace di mescolare nella maniera più sbracata splatter, fantascienza, volgarità gratuite e azione sfrenata, il tutto in un contesto quasi metafisico in cui alla risata liberatoria segue spesso e volentieri l'istante di puro genio. Questo è l'Orbit che ricordavo e questa terza incursione nei suoi territori non delude le aspettative. Ci son voluti 11 anni. Valeva la pena aspettare.
Ian McEwan - L'inventore dei sogni
Di Ian McEwan conosco bene l'abilità di muoversi attraverso le più tenui sfumature della moralità, la sua capacità di affrontare il male che ci circonda e ci appartiene, di raccontare in maniera esemplare l'ambiguità dei rapporti e delle relazioni dei suoi personaggi. Per questo motivo ero piuttosto curioso di leggerlo nell'inconsueta veste di autore per ragazzi.
L'inventore dei sogni è il più classico dei libri dedicati all'nfanzia: quante volte abbiamo letto di ragazzini trasformati in gatti o che si ritrovano improvvisamente adulti, di storie di prepotenze scolastiche o di incomprensioni familiari. Ma nonostante tutto il peso dei libri passati, rileggere le stesse vicende raccontate da un autore con la sensibilità di McEwan ce le restituisce come nuove al piacere della lettura. Onore al merito, quindi. Ora sono davvero curioso di sentire i miei figli cosa ne pensano.
Questo è tutto per il mese appena trascorso. Per la prossima puntata aspettatevi ancora fantascienza, un salto nella nuova letteratura americana e qualche assaggio di scrittori nostrani.
Seguite i link per le letture di gennaio, febbraio, marzo e aprile.
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03 giugno 2008
La Madre di tutte le discussioni
Colgo al volo l'occasione che mi da il blog di x per rispolverare dall'archivio un vecchio post su Fanteria dello spazio inviato in rete nel lontano 2004.
La madre di tutte le discussioni, dicevo.
Almeno di quelle intorno a politica e fantascienza.
Ovvero: ho riletto Fanteria dello spazio, e mi piacerebbe avere un sereno scambio d'opinioni con chi ha apprezzato il romanzo di Robert Heinlein.
Astenersi fondamentalisti e fanatici, grazie.
Ho letto la prima volta Fanteria dello spazio piu' di vent'anni fa. Al momento della rilettura non ricordavo praticamente nulla della storia, solo che m'era piaciuta e che c'erano le tute potenziate.
Beh... Per quanto riguarda le tute potenziate ricordavo bene.
Per quanto riguarda il gradimento della vicenda invece le cose non sono andate come speravo. Non che il romanzo sia brutto, anzi: si legge con piacere, le vicissitudini del fante Rico non annoiano e la ricostruzione ambientale è molto ben fatta. Quello che non ho digerito è il sostrato ideologico del romanzo.
Le mie perplessità non si riferiscono tanto alla struttura della società futura immaginata da Heinlein: a mio avviso il regime che presenta è ancora più utopistico (e incredibile) della Cultura di Banks e in quanto tale non val la pena perderci più tempo del necessario.
Quello che mi ha davvero infastidito (con momenti che vanno dalla nausea al raccapriccio) è la continua esaltazione del militarismo come stile di vita: i militari sono giusti, i militari sono buoni, i militari fanno quello che devono, i militari hanno ragione. Sempre e comunque. Non c'è spazio per alcun dubbio, non ci sono domande scomode, ci sono solo risposte adeguate.
Forse avrò letto troppe volte Comma 22, ma la mia idea delle forze armate e' leggermente diversa.
Il principio del tutto folle secondo cui il massimo a cui un uomo possa aspirare sia frapporsi tra una guerra e la propria casa è il fondamento ideologico a tutta la costruzione heinleiniana.
Domanda per i fan del romanzo: ma davvero pensate che quella sia la più nobile scelta che possa fare una persona? Non e' forse la sorte piu' terribile che possa capitare a un uomo? Boh.. Magari me lo sapete spiegare meglio.
A peggiorare la situazione tutto questo bendiddio propagandistico è condito da un cinismo, da un'intolleranza programmatica, da una totale mancanza totale di senso dell'umorismo che è davvero allucinante.
Le tute potenziate pero' sono davvero spettacolari.
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La madre di tutte le discussioni, dicevo.
Almeno di quelle intorno a politica e fantascienza.
Ovvero: ho riletto Fanteria dello spazio, e mi piacerebbe avere un sereno scambio d'opinioni con chi ha apprezzato il romanzo di Robert Heinlein.
Astenersi fondamentalisti e fanatici, grazie.
Ho letto la prima volta Fanteria dello spazio piu' di vent'anni fa. Al momento della rilettura non ricordavo praticamente nulla della storia, solo che m'era piaciuta e che c'erano le tute potenziate.
Beh... Per quanto riguarda le tute potenziate ricordavo bene.
Per quanto riguarda il gradimento della vicenda invece le cose non sono andate come speravo. Non che il romanzo sia brutto, anzi: si legge con piacere, le vicissitudini del fante Rico non annoiano e la ricostruzione ambientale è molto ben fatta. Quello che non ho digerito è il sostrato ideologico del romanzo.
Le mie perplessità non si riferiscono tanto alla struttura della società futura immaginata da Heinlein: a mio avviso il regime che presenta è ancora più utopistico (e incredibile) della Cultura di Banks e in quanto tale non val la pena perderci più tempo del necessario.
Quello che mi ha davvero infastidito (con momenti che vanno dalla nausea al raccapriccio) è la continua esaltazione del militarismo come stile di vita: i militari sono giusti, i militari sono buoni, i militari fanno quello che devono, i militari hanno ragione. Sempre e comunque. Non c'è spazio per alcun dubbio, non ci sono domande scomode, ci sono solo risposte adeguate.
Forse avrò letto troppe volte Comma 22, ma la mia idea delle forze armate e' leggermente diversa.
Il principio del tutto folle secondo cui il massimo a cui un uomo possa aspirare sia frapporsi tra una guerra e la propria casa è il fondamento ideologico a tutta la costruzione heinleiniana.
Domanda per i fan del romanzo: ma davvero pensate che quella sia la più nobile scelta che possa fare una persona? Non e' forse la sorte piu' terribile che possa capitare a un uomo? Boh.. Magari me lo sapete spiegare meglio.
A peggiorare la situazione tutto questo bendiddio propagandistico è condito da un cinismo, da un'intolleranza programmatica, da una totale mancanza totale di senso dell'umorismo che è davvero allucinante.
Le tute potenziate pero' sono davvero spettacolari.
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27 maggio 2008
Frammenti di presentazione
Sabato un nugolo di Connettivisti è calato su Modena per la presentazione del volume Frammenti di una rosa quantica presso la libreria Feltrinelli. Queste sono alcune note a margine dell'evento.
Per me è stata la prima volta in veste di organizzatore di un evento simile, ma nonostante l'inesperienza mi pare che la promozione della presentazione sia stata fatta del migliore dei modi: articoli sui quotidiani locali, locandine presso la libreria e in qualche altro spazio scelto, informazioni in rete su un siti e blog vari, pieghevoli e volantini a tappeto per tutta la settimana precedente l'avvenimento. E in più una mostra fotografica a fare da cornice, in modo tale che anche chi non è un lettore forte e guarda solo le figure potesse avere qualche soddisfazione.
Purtroppo nonostante tutto il lavoro di preparazione svolto le persone presenti in sala erano davvero poche. Poco importa se chi ha già partecipato a iniziative simili mi ha abbondantemente rassicurato che i numeri sono sempre questi, che quando ci sono più di venti persone è già un successo, per me la scarsa partecipazione è stata una piccola delusione. Non che ci aspettassimo troppo. Sappiamo tutti che la fantascienza italiana non gode certo di un gran pubblico, ma vista la sede, la data e l'occasione ci auguravamo tutti un'affluenza maggiore.
Fortunatamente il giudizio di chi ha partecipato alla presentazione è stato unanimemente positivo. Non mi riferisco tanto alle parole degli autori presenti, quanto piuttosto all'opinione di alcuni amici, nessuno dei quali particolarmente legato alla lettura fantascientifica, che un po' per le foto, un po' per curiosità hanno fatto un salto in Feltrinelli. Tutti sono rimasti davvero colpiti dal tuffo in quel nucleo pulsante della fantascienza italiana che è il Connettivismo.
L'atmosfera è andata via via riscaldandosi man mano che gli autori si rilassavano e che i discorsi si allontanavano dalla didascalica presentazione dei racconti raccolti nell'antologia per affrontare temi tradizionali quali la misera situazione dell'editoria fantascientifica italiana per arrivare poi a discutere dei massimi sistemi (temi leggeri quali il ruolo dell'uomo nell'universo, la guerra ai tempi della connessione, con una spruzzata di Beckett e Kafka tanto per gradire) passando per l'immancabile tentativo di definire in poche parole cosa sia il Connettivismo (tentativo fallito, ovviamente!). Credo che se non fosse stato per la chiusura della libreria saremmo ancora tutti lì a chiacchierarne amabilmente.
In definitiva un'ottima giornata quindi, con un pensiero dispiaciuto per chi non c'era, suggellata dalla cena finale in cui il Connettivismo ha dato come sempre il meglio di sè.
Alla prossima!
(Qui è possibile scaricare le foto in alta risoluzione della presentazione. Attenzione: sono circa 33 Mb.)
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Per me è stata la prima volta in veste di organizzatore di un evento simile, ma nonostante l'inesperienza mi pare che la promozione della presentazione sia stata fatta del migliore dei modi: articoli sui quotidiani locali, locandine presso la libreria e in qualche altro spazio scelto, informazioni in rete su un siti e blog vari, pieghevoli e volantini a tappeto per tutta la settimana precedente l'avvenimento. E in più una mostra fotografica a fare da cornice, in modo tale che anche chi non è un lettore forte e guarda solo le figure potesse avere qualche soddisfazione.
Purtroppo nonostante tutto il lavoro di preparazione svolto le persone presenti in sala erano davvero poche. Poco importa se chi ha già partecipato a iniziative simili mi ha abbondantemente rassicurato che i numeri sono sempre questi, che quando ci sono più di venti persone è già un successo, per me la scarsa partecipazione è stata una piccola delusione. Non che ci aspettassimo troppo. Sappiamo tutti che la fantascienza italiana non gode certo di un gran pubblico, ma vista la sede, la data e l'occasione ci auguravamo tutti un'affluenza maggiore.
Fortunatamente il giudizio di chi ha partecipato alla presentazione è stato unanimemente positivo. Non mi riferisco tanto alle parole degli autori presenti, quanto piuttosto all'opinione di alcuni amici, nessuno dei quali particolarmente legato alla lettura fantascientifica, che un po' per le foto, un po' per curiosità hanno fatto un salto in Feltrinelli. Tutti sono rimasti davvero colpiti dal tuffo in quel nucleo pulsante della fantascienza italiana che è il Connettivismo.
L'atmosfera è andata via via riscaldandosi man mano che gli autori si rilassavano e che i discorsi si allontanavano dalla didascalica presentazione dei racconti raccolti nell'antologia per affrontare temi tradizionali quali la misera situazione dell'editoria fantascientifica italiana per arrivare poi a discutere dei massimi sistemi (temi leggeri quali il ruolo dell'uomo nell'universo, la guerra ai tempi della connessione, con una spruzzata di Beckett e Kafka tanto per gradire) passando per l'immancabile tentativo di definire in poche parole cosa sia il Connettivismo (tentativo fallito, ovviamente!). Credo che se non fosse stato per la chiusura della libreria saremmo ancora tutti lì a chiacchierarne amabilmente.
In definitiva un'ottima giornata quindi, con un pensiero dispiaciuto per chi non c'era, suggellata dalla cena finale in cui il Connettivismo ha dato come sempre il meglio di sè.
Alla prossima!
(Qui è possibile scaricare le foto in alta risoluzione della presentazione. Attenzione: sono circa 33 Mb.)
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