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Come si sarà forse intuito Noi della Galassia è un residuato di un'epoca antica, quando la Russia si chiamava ancora Unione Sovietica, il Partito Comunista italiano era una forza politica di tutto rispetto ed esisteva ancora un'editoria palesemente schierata da una parte o dall'altra, con un pubblico di lettori altrettanto diviso.
Ritrovarsi ora, in un'epoca più civile (seee…) a prendere in mano un volume simile fa quindi un certo effetto, che ai tempi Editori Riuniti era un marchio editoriale ben riconoscibile e darsi alla fantascienza sovietica gesto politicamente significativo, mentre ora quel che rimane è una vaga curiosità, un interesse storico, magari anche un po' di nostalgia.
Ma Noi della Galassia è anche il primo libro che il padre di Annalisa mi regalò (si era già negli anni '90, il significato ideologico del gesto era decisamente più sfumato, ma non del tutto appassito), condividendo così la sua passione per la fantascienza ma vedendomi forse troppo schierato su cyberpunk e affini.
Non ho letto allora Noi della Galassia per un insieme di motivi che mettono insieme le premesse di qui sopra con la convinzione, cresciuta in maniera progressiva man mano che tornavo a esplorare la letteratura di genere, che la fantascienza russa fosse una cagata pazzesca (avete presente Fantozzi?). In pratica la roba più simile alla fantascienza italiana (alla mia idea di fantascienza italiana) fosse possibile incontrare vagando per romanzi e racconti: 'na roba dove prevaleva il grigiore pedagogico, il passo pesante, la riflessione masturbatoria, storie dove l'avventura e il divertimento sono sempre succubi di morale e ideologia.
Nel tempo quest'idea si è solidificata in vero pregiudizio, confortato dal timido tentativo di leggere Stanislav Lem, da più parti osannato e glorificato (ok, Lem è polacco, ma per me la roba d'oltrecortina appariva tutta simile), e dall'opinione opposta che mi ero fatto invece leggendo Pelevin sul cambio di prospettiva e approccio nella Russia post-comunista. Noi della Galassia, con le sue storie di antica fantascienza sovietica, rimaneva dunque lì, intonso, ad aspettare il suo momento.

Prima di procedere con le note ai singoli romanzi una cosa va forse ricordata: quattro delle cinque storie presenti in Noi della Galassia risalgono a un epoca in cui la fantascienza, intesa come genere, con un proprio registro narrativo, un proprio canone, ed elementi generalmente condivisi, non esisteva ancora. Ed è molto interessante notare le similitudini e le differenze, le anticipazioni e le suggestioni di cui sono densi questi testi, soprattutto letti ora, dopo decenni di frequentazioni fantascientifiche diverse.
I cinque romanzi contenuti nel volume hanno inoltre tutti forti legami con la storia politica e la società sovietica, ma il loro approccio non potrebbe essere più eterogeneo, così come diversi sono i temi, le atmosfere e le vicende che queste storie raccontano. A prescindere dal giudizio su ogni singola narrazione, queste storie hanno tutte comunque contribuito a sciogliere molti dei pregiudizi che mi han tenuto lontano dalla produzione fantascientifica russa.
Eccole qui in fila, nell'ordine cronologico con cui sono presentate nel volume.
Aleksej N. Tolstoj - Aelita
Da qualunque punto di vista lo si voglia guardare, Aelita rimane un romanzetto. Una rozza favola propagandistica dell'allora fresca fresca rivoluzione bolscevica (il romanzo è del 1922), con l'intellettuale romantico triste ma geniale affiancato dal militare grezzo e vitale che tenta di esportare la rivolta sul suolo marziano, con contorno di bellezze indigene, sbruffonaggini varie e supercattivi a gogò. A leggerlo oggi rimane l'interesse storico per un romanzo che sorprende per quella che doveva essere la freschezza delle invenzioni e la meraviglia del setting. Aelita è da ricordare anche per l'omonimo film tratto dal romanzo nel 1924, che dicono sia una pietra miliare del cinema di fantascienza sovietico.
Evgénij Ivànovic Zamjatin - Noi
Noi invece è un capolavoro.
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Uno degli aspetti che rendono la lettura di Noi a tratti entusiasmante è la capacità di evocazione che Zamjatin riesce a far emergere da un testo scritto avendo ben chiaro il bagaglio limitato di riferimenti del suo protagonista. Abbiamo così descrizioni di persone basate costantemente su paragoni meccanici o matematici (ciglia come lance, sorrisi come forbici, figure che richiamano forme geometriche), sogni e impressioni descritti come funzioni matematiche distorte, sentimenti che cercano rifugio nella comprensione algebrica delle formule.
A questo livello semantico si sovrappongono quello sensuale delle necessità del corpo (nel mondo di D-503 i rapporti sessuali sono consensuali ma obbligatori, e strettamente regimentati; questo aspetto costituirà uno dei nuclei del malessere del protagonista) e quello misterioso degli scopi perseguiti dai vari personaggi che incrociano la strada del protagonista (e Zamjatin è abilissimo nel rendere ambiguo e complesso ogni rapporto), oltre a quello più propriamente politico - che è costato la censura e l'esilio al suo autore - per cui è immediato il paragone tra le prospettive utopistiche del regime staliniano e lo stato totale presentato nel romanzo e la conseguente critica all'omologazione massificante del regime sovietico post-rivoluzionario.
Niente male per un romanzo del 1921.
Michail Bulgakov - Uova fatali
Michail Bulgakov gode qui dentro d'imperitura stima, che il suo Il Maestro e Margherita è uno dei migliori romanzi io abbia mai letto, da sempre, in assoluto. Uova fatali non è certo paragonabile a quel capolavoro, ma nel suo genere si difende comunque molto bene.
Oltre alla meraviglia delle invenzioni scientifiche e allo sviluppo della trama che tocca certi territori che non sarebbe azzardato definire splatter ante-litteram, Uova fatali si fa ricordare per l'attenzione che il suo autore dedica ai personaggi. Bulgakov infatti non lesina nelle dimensioni della catastrofe, ma mantiene sempre il fuoco del racconto sulle azioni dei suoi protagonisti e sulle conseguenze individuali degli avvenimenti. Se lo sguardo satirico sulla burocrazia sovietica è uno degli aspetti fondamentali del racconto, a me pare che ciò che lo caratterizza maggiormente sia una certa amarezza nella considerazione dei movimenti di massa, dell'ignoranza diffusa, della violenza cieca che l'accompagna, che non è difficile trasferire all'esperienza rivoluzionaria appena trascorsa. Uova fatali risale infatti al 1925.
Aleksandr Beljaev - L'uomo anfibio
Non mi sarei mai aspettato di incontrare un rozzo positivista tra queste pagine, eppure Aleksandr Beljaev è un evidente discepolo di quella scuola che ha in Jules Verne il più esimio rappresentante letterario. Ne L'uomo anfibio, pubblicato per la prima volta nel 1928, si fondono in una lettura divertente il fantasma del capitano Nemo, le suggestioni dello scenario esotico (un'Argentina piuttosto fantasiosa), una progressione della vicenda degna del miglior romanzo d'appendice (amore, tradimento, avidità, passione, vendetta), un palese intento pedagogico scientista e anticlericale (che sì, scalda il cuore ancora oggi, abituati male come siamo…), e una fedeltà alla linea del Cremlino post-rivoluzionario che ha tutta l'aria di essere spontanea. Letto qui e ora L'uomo anfibio potrà forse far sorridere per la scarsa credibilità della vicenda narrata, anche se credo Beljaev ne fosse in fondo ben consapevole. Del resto i capitoli dove emerge più viva la voce e la passione dell'autore son quelli dedicati alla panoramica delle creature che vivono nei fondali marini, o alla strenua difesa del valore della scienza, come nel discorso finale di uno dei protagonisti. Forse i motivi d'interesse del romanzo stanno proprio nella possibilità di scorgere, oltre alla trama avventurosa, un certo sguardo particolare sulla realtà del periodo in cui L'uomo anfibio ha visto la luce.
Arkadij e Boris Strugatskij - Picnic sul ciglio della strada
È curioso che Picnic sul ciglio della strada compaia in un volume che raccoglie storie dell'inizio del '900. Come se tra i cinquant'anni che separano il romanzo di Arkadij e Boris Strugatskij dalle altre storie presentate in Noi della Galassia ci fosse il nulla, un buco nero in cui è scomparsa tutta la fantascienza sovietica del periodo. O forse l'occasione di una raccolta simile era troppo ghiotta per non inserire un capolavoro come questo, a prescindere da ogni considerazione sull'unità stilistica, storica, di contenuti dell'operazione.
Non so quale sia la storia redazionale di Noi della Galassia, ma son ben contento di essere finalmente riuscito a leggere questa storia, che è peraltro molto diversa da quel che mi aspettavo. Perché ecco, avete presente Stalker? Io immaginavo il romanzo come una versione letteraria del film, magari pesante, ma densa del fascino e delle atmosfere aliene del film di Tarkovskij. Invece Picnic sul ciglio della strada è una storia molto terrena, che racconta con la carne e con il sangue il confronto con l'inconoscibile da una parte, con il potere dall'altra. Nel mezzo c'è Redrick "Red" Schouhart, che se fossimo in un romanzo americano verrebbe riconosciuto dal lettore nella sua essenza di beautiful loser,. Essendo però dalle parti della Zona, assume ben altra personalità, che da quelle parti non c'è speranza di cambiamento che tenga.
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Redrick "Red" Schouhart è la nostra guida nei territori fantascientifici esplorati dal romanzo, la sua fame (d'indipendenza, di avventura, di felicità - e di libertà, forse) il motore dell'azione, la sua onestà (nei confronti di se stesso e della sua famiglia se non del mondo) l'ago della bussola morale del romanzo. Dall'altra parte abbiamo il campionario di fauna umana per cui la Zona è promessa di fama, ricchezza e potere (che siano leali scienziati o corrotti trafficoni, non c'è in fondo molta differenza) e la Zona stessa, fonte aliena di morte (spesso), di dubbi e di mistero.
A un bel po' da convincermi chi paragona Picnic sul ciglio della strada a Solaris. Certo, l'inconoscibilità dell'alieno è tema condiviso tra i due romanzi. Ma mentre nel romanzo polacco il pianeta Solaris riempie con la sua presenza ogni possibilità narrativa, la Zona dei fratelli Strugatskij è solo una possibilità percorribile, a volte disperata scelta di vita, altre volte pozzo senza fondo per le richieste umane (di conoscenza, ricchezza e potere, fondamentalmente). E se è vero che quella che risuona alla fine del Picnic è una preghiera, questa non suona come implorazione a un dio riottoso, piuttosto come una disperata bestemmia, che ponga fine al dolore.
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