17 dicembre 2012

Letture: Noi della galassia

© giorgio raffaelli
Noi della Galassia è un volume pubblicato da Editori Riuniti nel 1982. Contiene cinque romanzi di fantascienza di altrettanti autori russi:Aelita, di Aleksej N. Tolstoj; Noi, di Evgénij Ivànovic Zamjatin; Uova fatali, di Michail Bulgakov; L'uomo anfibio, di Aleksandr Beljaev; Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Arkadij e Boris Strugatskij.
Come si sarà forse intuito Noi della Galassia è un residuato di un'epoca antica, quando la Russia si chiamava ancora Unione Sovietica, il Partito Comunista italiano era una forza politica di tutto rispetto ed esisteva ancora un'editoria palesemente schierata da una parte o dall'altra, con un pubblico di lettori altrettanto diviso.
Ritrovarsi ora, in un'epoca più civile (seee…) a prendere in mano un volume simile fa quindi un certo effetto, che ai tempi Editori Riuniti era un marchio editoriale ben riconoscibile e darsi alla fantascienza sovietica gesto politicamente significativo, mentre ora quel che rimane è una vaga curiosità, un interesse storico, magari anche un po' di nostalgia.
Ma Noi della Galassia è anche il primo libro che il padre di Annalisa mi regalò (si era già negli anni '90, il significato ideologico del gesto era decisamente più sfumato, ma non del tutto appassito), condividendo così la sua passione per la fantascienza ma vedendomi forse troppo schierato su cyberpunk e affini.
Non ho letto allora Noi della Galassia per un insieme di motivi che mettono insieme le premesse di qui sopra con la convinzione, cresciuta in maniera progressiva man mano che tornavo a esplorare la letteratura di genere, che la fantascienza russa fosse una cagata pazzesca (avete presente Fantozzi?). In pratica la roba più simile alla fantascienza italiana (alla mia idea di fantascienza italiana) fosse possibile incontrare vagando per romanzi e racconti: 'na roba dove prevaleva il grigiore pedagogico, il passo pesante, la riflessione masturbatoria, storie dove l'avventura e il divertimento sono sempre succubi di morale e ideologia.
Nel tempo quest'idea si è solidificata in vero pregiudizio, confortato dal timido tentativo di leggere Stanislav Lem, da più parti osannato e glorificato (ok, Lem è polacco, ma per me la roba d'oltrecortina appariva tutta simile), e dall'opinione opposta che mi ero fatto invece leggendo Pelevin sul cambio di prospettiva e approccio nella Russia post-comunista. Noi della Galassia, con le sue storie di antica fantascienza sovietica, rimaneva dunque lì, intonso, ad aspettare il suo momento.

Il momento è arrivato il mese scorso. Non so bene quale sia stata la molla che mi ha fatto scegliere proprio quel volume. Forse il bisogno di staccare dalla fantascienza che ho letto negli ultimi tempi, forse la voglia di leggere qualcosa di completamente diverso e uscire dalla piega anglosassone che han preso le ultime letture, o forse, finalmente, la curiosità che da sempre circonda Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugatskij (colpa di Stalker e dell'abbandono) ha preso il sopravvento sui pregiudizi e sulla paventata pesantezza degli altri romanzi che lo precedevano nel volume.
Prima di procedere con le note ai singoli romanzi una cosa va forse ricordata: quattro delle cinque storie presenti in Noi della Galassia risalgono a un epoca in cui la fantascienza, intesa come genere, con un proprio registro narrativo, un proprio canone, ed elementi generalmente condivisi, non esisteva ancora. Ed è molto interessante notare le similitudini e le differenze, le anticipazioni e le suggestioni di cui sono densi questi testi, soprattutto letti ora, dopo decenni di frequentazioni fantascientifiche diverse.
I cinque romanzi contenuti nel volume hanno inoltre tutti forti legami con la storia politica e la società sovietica, ma il loro approccio non potrebbe essere più eterogeneo, così come diversi sono i temi, le atmosfere e le vicende che queste storie raccontano. A prescindere dal giudizio su ogni singola narrazione, queste storie hanno tutte comunque contribuito a sciogliere molti dei pregiudizi che mi han tenuto lontano dalla produzione fantascientifica russa.
Eccole qui in fila, nell'ordine cronologico con cui sono presentate nel volume.

Aleksej N. Tolstoj - Aelita
Da qualunque punto di vista lo si voglia guardare, Aelita rimane un romanzetto. Una rozza favola propagandistica dell'allora fresca fresca rivoluzione bolscevica (il romanzo è del 1922), con l'intellettuale romantico triste ma geniale affiancato dal militare grezzo e vitale che tenta di esportare la rivolta sul suolo marziano, con contorno di bellezze indigene, sbruffonaggini varie e supercattivi a gogò. A leggerlo oggi rimane l'interesse storico per un romanzo che sorprende per quella che doveva essere la freschezza delle invenzioni e la meraviglia del setting. Aelita è da ricordare anche per l'omonimo film tratto dal romanzo nel 1924, che dicono sia una pietra miliare del cinema di fantascienza sovietico.

Evgénij Ivànovic Zamjatin - Noi
Noi invece è un capolavoro.
© giorgio raffaelli
Narrato in prima persona sotto forma di diario, Noi racconta la vita di D-503 (questa la sigla con cui è conosciuto il protagonista) nella distopia tecnocratica in cui il pianeta si è trasformato dopo una terrificante guerra mondiale. Ogni individualità è stata debellata, ogni istante della vita dei cittadini è programmato scientificamente per ottenere il meglio e rendere perfette le vite degli uomini e delle donne che volentieri si adattano alle regole, che un'alternativa non è nemmeno immaginabile. Su queste basi si sviluppa una storia di consapevolezza e ribellione gestita da Zamjatin su più livelli che si intersecano e si sovrappongono, avviluppando il lettore in una trama appassionante, densa di inquietudini, di drammi e rivelazioni.
Uno degli aspetti che rendono la lettura di Noi a tratti entusiasmante è la capacità di evocazione che Zamjatin riesce a far emergere da un testo scritto avendo ben chiaro il bagaglio limitato di riferimenti del suo protagonista. Abbiamo così descrizioni di persone basate costantemente su paragoni meccanici o matematici (ciglia come lance, sorrisi come forbici, figure che richiamano forme geometriche), sogni e impressioni descritti come funzioni matematiche distorte, sentimenti che cercano rifugio nella comprensione algebrica delle formule.
A questo livello semantico si sovrappongono quello sensuale delle necessità del corpo (nel mondo di D-503 i rapporti sessuali sono consensuali ma obbligatori, e strettamente regimentati; questo aspetto costituirà uno dei nuclei del malessere del protagonista) e quello misterioso degli scopi perseguiti dai vari personaggi che incrociano la strada del protagonista (e Zamjatin è abilissimo nel rendere ambiguo e complesso ogni rapporto), oltre a quello più propriamente politico - che è costato la censura e l'esilio al suo autore - per cui è immediato il paragone tra le prospettive utopistiche del regime staliniano e lo stato totale presentato nel romanzo e la conseguente critica all'omologazione massificante del regime sovietico post-rivoluzionario.
Niente male per un romanzo del 1921.

Michail Bulgakov - Uova fatali
Michail Bulgakov gode qui dentro d'imperitura stima, che il suo Il Maestro e Margherita è uno dei migliori romanzi io abbia mai letto, da sempre, in assoluto. Uova fatali non è certo paragonabile a quel capolavoro, ma nel suo genere si difende comunque molto bene.
Oltre alla meraviglia delle invenzioni scientifiche e allo sviluppo della trama che tocca certi territori che non sarebbe azzardato definire splatter ante-litteram, Uova fatali si fa ricordare per l'attenzione che il suo autore dedica ai personaggi. Bulgakov infatti non lesina nelle dimensioni della catastrofe, ma mantiene sempre il fuoco del racconto sulle azioni dei suoi protagonisti e sulle conseguenze individuali degli avvenimenti. Se lo sguardo satirico sulla burocrazia sovietica è uno degli aspetti fondamentali del racconto, a me pare che ciò che lo caratterizza maggiormente sia una certa amarezza nella considerazione dei movimenti di massa, dell'ignoranza diffusa, della violenza cieca che l'accompagna, che non è difficile trasferire all'esperienza rivoluzionaria appena trascorsa. Uova fatali risale infatti al 1925.

Aleksandr Beljaev - L'uomo anfibio
Non mi sarei mai aspettato di incontrare un rozzo positivista tra queste pagine, eppure Aleksandr Beljaev è un evidente discepolo di quella scuola che ha in Jules Verne il più esimio rappresentante letterario. Ne L'uomo anfibio, pubblicato per la prima volta nel 1928, si fondono in una lettura divertente il fantasma del capitano Nemo, le suggestioni dello scenario esotico (un'Argentina piuttosto fantasiosa), una progressione della vicenda degna del miglior romanzo d'appendice (amore, tradimento, avidità, passione, vendetta), un palese intento pedagogico scientista e anticlericale (che sì, scalda il cuore ancora oggi, abituati male come siamo…), e una fedeltà alla linea del Cremlino post-rivoluzionario che ha tutta l'aria di essere spontanea. Letto qui e ora L'uomo anfibio potrà forse far sorridere per la scarsa credibilità della vicenda narrata, anche se credo Beljaev ne fosse in fondo ben consapevole. Del resto i capitoli dove emerge più viva la voce e la passione dell'autore son quelli dedicati alla panoramica delle creature che vivono nei fondali marini, o alla strenua difesa del valore della scienza, come nel discorso finale di uno dei protagonisti. Forse i motivi d'interesse del romanzo stanno proprio nella possibilità di scorgere, oltre alla trama avventurosa, un certo sguardo particolare sulla realtà del periodo in cui L'uomo anfibio ha visto la luce.

Arkadij e Boris Strugatskij - Picnic sul ciglio della strada
È curioso che Picnic sul ciglio della strada compaia in un volume che raccoglie storie dell'inizio del '900. Come se tra i cinquant'anni che separano il romanzo di Arkadij e Boris Strugatskij dalle altre storie presentate in Noi della Galassia ci fosse il nulla, un buco nero in cui è scomparsa tutta la fantascienza sovietica del periodo. O forse l'occasione di una raccolta simile era troppo ghiotta per non inserire un capolavoro come questo, a prescindere da ogni considerazione sull'unità stilistica, storica, di contenuti dell'operazione.
Non so quale sia la storia redazionale di Noi della Galassia, ma son ben contento di essere finalmente riuscito a leggere questa storia, che è peraltro molto diversa da quel che mi aspettavo. Perché ecco, avete presente Stalker? Io immaginavo il romanzo come una versione letteraria del film, magari pesante, ma densa del fascino e delle atmosfere aliene del film di Tarkovskij. Invece Picnic sul ciglio della strada è una storia molto terrena, che racconta con la carne e con il sangue il confronto con l'inconoscibile da una parte, con il potere dall'altra. Nel mezzo c'è Redrick "Red" Schouhart, che se fossimo in un romanzo americano verrebbe riconosciuto dal lettore nella sua essenza di beautiful loser,. Essendo però dalle parti della Zona, assume ben altra personalità, che da quelle parti non c'è speranza di cambiamento che tenga.

© giorgio raffaelli
La Zona è l'area (una delle sei al mondo) in cui è avvenuta una visita aliena. L'area della visita è attivamente studiata, ma non sembra offrire alcuna risposta agli scienziati e ai tecnici che si affannano nel ricercare spiegazioni ai misteri che la circondano. Nella Zona è possibile ritrovare manufatti alieni di natura sconosciuta, per ottenere i quali gli stalker rischiano la vita, inoltrandosi in un territorio trasformato dalla visita in un campionario di trappole e misteri. Se all'interno della Zona i rischi sono inconoscibili e alieni, all'esterno il pericolo è rappresentato dalle forze di sicurezza che, oltre a indagare per scoprire e reprimere i traffici degli stalker, sparano a vista su chiunque si allontani dal perimetro dell'area.
Redrick "Red" Schouhart è la nostra guida nei territori fantascientifici esplorati dal romanzo, la sua fame (d'indipendenza, di avventura, di felicità - e di libertà, forse) il motore dell'azione, la sua onestà (nei confronti di se stesso e della sua famiglia se non del mondo) l'ago della bussola morale del romanzo. Dall'altra parte abbiamo il campionario di fauna umana per cui la Zona è promessa di fama, ricchezza e potere (che siano leali scienziati o corrotti trafficoni, non c'è in fondo molta differenza) e la Zona stessa, fonte aliena di morte (spesso), di dubbi e di mistero.
A un bel po' da convincermi chi paragona Picnic sul ciglio della strada a Solaris. Certo, l'inconoscibilità dell'alieno è tema condiviso tra i due romanzi. Ma mentre nel romanzo polacco il pianeta Solaris riempie con la sua presenza ogni possibilità narrativa, la Zona dei fratelli Strugatskij è solo una possibilità percorribile, a volte disperata scelta di vita, altre volte pozzo senza fondo per le richieste umane (di conoscenza, ricchezza e potere, fondamentalmente). E se è vero che quella che risuona alla fine del Picnic è una preghiera, questa non suona come implorazione a un dio riottoso,  piuttosto come una disperata bestemmia, che ponga fine al dolore.

17 commenti:

  1. Di tutti questi ho letto solo uova fatali quando ero bimbetto. Quello del picnic l'ho recuperato dalle lodi del tuo penultimo post.

    Tolstoj che scrive sf!? Mammamia che gnurànt che sono... ;)

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    1. Appunto... Aleksej Tolstoj, non Lev. Non so neanche leggere adesso :(

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    2. Macché ignoranza e ignoranza: Tolstoj è un cognome talmente pesante che l'equivoco è pressoché inevitabile. (tra l'altro pare che 'sto Aleksej sia stato imparentato con il famoso Lev).

      Spero che il Picnic ti piaccia!

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  2. Credo che Alexej fosse il nipote di Lev, anche se sui due piedi non potrei giurarci. Dei romanzi ne ho letti in diversi momenti tre, Le uova fatali, Noi e Il picnic sul ciglio della strada in un'edizione Marcos y Marcos che è tuttora in commercio. Tre libri ognuno a suo modo meraviglioso e ti ringrazio davvero per aver trovato un momento e uno spazio per parlarne.

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    1. Salla parentela di Aleksej copio/incollo da wikipedia: "Aleksey was the son of Count Nikolay Alexandrovich Tolstoy (1849-1900) and Alexandra Leontievna Turgeneva (1854-1906). His mother was a grand-niece of Decembrist Nikolay Turgenev and a relative of a renowned Russian writer Ivan Turgenev. His father belonged to Tolstoy family of Russian nobles and was a remote relative of Leo Tolstoy."

      Grazie a te per esserti fermato a leggere 'sto papiro! :-)

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  3. Bene, perlomeno la tua prevenzione sulla fantascienza russa si è un poco sgretolata.

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  4. Benvenuto nella Zona! Dopo che ci siamo capitati, finiamo per portarcela dietro per sempre... Prendila pure come una minaccia, se vuoi. :-)

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    1. Ehi X! Lo sai che ho pensato a te, mentre scrivevo della Zona?
      Ti ricorda 'ste righe, di tanto tempo fa?
      È passata una vita, da allora…

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  5. Eh questi brutti pregiudizi antirussi...
    accenno solo che Nova Swing è omaggio a Roadside Picnic ma tanto so che anche contro Harrison hai dei pregiudizi

    A me piace molto la letteratura russa di inizio novecento. Platonov, Pilnjak, Invidia di Olesha, Pietroburgo di Bely, Babel, Ilf e Petrov, il Demone meschino di Sologub...alcuni di questi sono stati censurati e/o purgati e riscoperti solo in anni recenti, come Krizhanovsky http://www.nybooks.com/books/imprints/classics/the-letter-killers-club/
    Sono libri tutti ancora oggi molto freschi alla lettura (traduzione più, traduzone meno) e anche quando non toccano la fantascienza spesso sfiorano il paranoico/fantastico/distopico.

    Altro che bestemmia - la preghiera finale di Schuhart è l'invocazione dell'animale che chiede al padrone di occuparsi di lui - proseguendo colla metafora, è il momento in cui il lupo selvatico che si è nutrito di scarti chiede all'essere umano di di provvedere per lui come capobranco e diventa cane.

    Magari leggi Cyberiade se vuoi un Lem più divertente. E Monday begins on Saturday che è il romanzo bulgakoviano/satirico degli Strugatskj.

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  6. "A me piace molto la letteratura russa di inizio novecento…": accidenti che sfilarata di nomi. In effetti mi incuriosiscono, che una della qualità più apprezzabili dei testi di Noi della Galassia è il loro essere in generale molto freschi. Romanzi assimilabili al genere, risalenti agli stessi anni, ma provenienti dal repertorio americano, risultano (sempre generalizzando) molto più muffi. Ma dubito si trovi molto in italiano…
    (so di un'antologia di racconti, ma potrei sbagliarmi)

    "Altro che bestemmia…"
    Qui potremmo discutere per sempre. La tua lettura è coerente al testo, ma non riesco a immaginarmi Schuhart domato. L'unica motivazione potrebbe essere la disperazione. Per questo parlavo di bestemmia, perché si rivolge a un dio in cui non ha alcuna fiducia, per ottenere qualcosa che nega il dio stesso.

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  7. La tua lettura è coerente al testo,

    but you don't let facts get in the way of your interpretations, I know...

    Non c'è disperazione, quanto stanchezza e consapevolezza dei propri limiti.
    E' lui stesso a dire di essere un animale, dopo aver riflettuto sul senso della propria vita - ribelle o domato, non esce dall'interno di un compasso molto ristretto.

    Non ha senso parlare di bestemmia - la zona è un Dio indifferente in un Universo indifferente, e questo è dato; non si può in questo contesto parlare di fiducia o trovare alcun orgoglio in possibile gesto di rifiuto, specialmente dopo che per arrivare davanti alla sfera Red ha dovuto compiere un sacrificio umano.

    Per cui si tratta di una preghiera - alla sfera, che nella logica del romanzo potrebbe non essere nulla più dell'equivalente alieno di un giocattolo per bambini, cosa che ridicolizza implicitamente ogni discorso di "bestemmia" o di confronto romantico fra l'umano e il divino nel senso che intendi tu, e cioè tale da far risaltare la grandezza dell'essere umano anche di fronte alla sua limitatezza, come Titano che sfida il Dio o gli Dei (tradizione, ovviamente, che ha enorme spazio nella letteratura russa, basta pensare ai personaggi di Dostoyevsky credenti, atei, agnostici o bestemmiatori che siano, ma davvero tanti altri autori)

    Una preghiera che nasce direttamente dalla speranza che dopotutto l'essere umano abbia un valore e il dolore abbia un senso, dall' istinto di affidamento ad un istanza superiore che porti compassione e giustizia.

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    1. Sai essere molto convincente, ma io insisto coi miei dubbi. Se non ha senso parlare di bestemmia (vedi che ti seguo?), non ha nemmeno senso parlare di preghiera: non sono forse due facce della stessa medaglia?

      " divino nel senso che intendi tu, e cioè tale da far risaltare la grandezza dell'essere umano anche di fronte alla sua limitatezza"
      No no, questo non l'ho mai pensato, ma non tanto rispetto al Picnic, proprio in assoluto. Da dove ti arriva questa convinzione?
      Del resto sono convinto - convinzione che mi pare condividi - che tutto il romanzo sia una negazione di ogni possibile confronto romantico tra umano e divino. Sono due piani inconciliabili, e questo mi pare sia ben chiaro, magari in maniera implicita, anche a Schuhart. Per questo motivo insisto sul tasto della disperazione: è l'unico motivo per cui uno Schuhart esausto possa aver espresso, per la prima volta in tutto il romanzo, quello che davvero vuole, quello che forse tutti vogliamo.
      Schuhart è l'apoteosi dell'individualismo, paranoico, insicuro, ma certo delle sue (poche) convinzioni. Il suo urlo alla fine del romanzo è sì un urlo ferino, ma è anche l'ultimo suo gesto prima della fine, che comunque vada lui, dopo, non sarà più lo stesso. Capisci dunque perché parlo di disperazione? Avrei potuto anche scrivere liberazione, se fosse stato un gesto pensato e consapevole, ma se fosse stato tale avrebbe contraddetto tutto del carattere di Schuhart visto fino a quel momento.


      "Una preghiera che nasce direttamente dalla speranza […]"
      Ma questa affermazione non è un poco paradossale visto quel che scrivevi due righe più sù, a proposito di confronto divino/umano, senso del ridicolo, etc etc…?

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    2. Da dove ti arriva questa convinzione?

      Da come ho interpretato questo:

      Per questo parlavo di bestemmia, perché si rivolge a un dio in cui non ha alcuna fiducia, per ottenere qualcosa che nega il dio stesso.

      Ma questa affermazione non è un poco paradossale visto quel che scrivevi due righe più sù

      No, perché se la bestemmia è sempre un atto intellettuale, la preghiera nasce come atto istintivo, dal pensiero magico. Ed è a questo istinto/bisogno, quello per cui l'uomo primitivo prega le tempeste che ritorna Schuhart. E' il bisogno di fronte a qualcosa di alieno/superiore, di affidarvisi, di credere che non sia indifferente ma possa essere influenzato dai nostri comportamenti, che denota la preghiera.
      Se vuoi puoi chiamarla disperazione, ma nel voler credere che una macchina aliena possa garantire il paradiso - non un desiderio concreto, non qualcosa con cui l'umanità possa costruirselo da sè come, per dire, energia illimitata - vedo sia una regressione sia una consapevolezza dei limiti dell'umanità, che non sarebbe all'altezza (socialmente, intellettualmente) di gestire qualcosa di concreto.

      Ecco allora la speranza, il desiderio improvviso e irresistibile che erompe che la macchina possa davvero non solo esaudire desideri concreti, ma funzionare da surrogato di Dio che risolve tutti i problemi e le contraddizioni (quale società umana potrebbe garantire quello che chiede Schuhart?) occupandosi di ognuno secondo le sue disparate necessità, bacino della buonanotte e rimbocco coperte compreso :)

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    3. Forse ho capito da dove nasce la divergenza nella lettura del finale del romanzo.
      Quando dici "la bestemmia è sempre un atto intellettuale", ecco, io non la vedo così. Per me è un atto irrazionale, dettato da rabbia, disperazione, sconforto, ecc ecc.
      Insomma, al confronto la preghiera è atto decisamente più consapevole e meno istintivo.

      In questo senso la mia lettura è parallela alla tua (anche se viaggia in direzione opposta).

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  8. Aggiungo che gli Strugatskj hanno anche scritto un loro ciclo "Culturale" - il tema dell'interferenza "aliena" (spesso fra versioni dell'umanità a velocità diverse) è ricorrente e centrale in Hard to be a God mentre fuori da questa sequenza il perfetto paradiso artificiale della realtà virtuale assoluta è esplorato in The Final Circle of Paradise

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    1. Sembra molto molto interessante. E mi pare che qualcosina in italiano si trovi pure. Mi metto in caccia…

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