Parlare de La Straniera mi è difficile. Quando un libro ti colpisce tanto quanto questo di Claudia Durastanti vorresti essere in grado di scriverne come merita, ma sai già che sarà impossibile.
Ma sono in debito con Durastanti per una delle esperienze di lettura più importanti di questi anni, e scriverne, parlarne, è un modo per incuriosire altri potenziali lettori ma anche, soprattutto, un modo per riflettere e comprendere perché La straniera mi ha colpito tanto.
- la lingua
Quanto è importante l’udito, la vista, per esperire il mondo e imparare a viverci? Crescere in una famiglia sorda non rende secondaria la parola detta? non abitua forse a guardarsi intorno meglio, di più? E cos’è leggere se non ascoltare con gli occhi?
Ne La straniera il mondo è visto meglio, di più. La resa del dettaglio, il particolare che in pochi avrebbero percepito inquadrato in una visione più ampia, creare connessioni con altri particolari e dargli significati che ne trascendono la transitorietà, sono tutte piccole enormi meraviglie che si ripetono in tantissime pagine de La straniera. Forse perché l’italiano di Claudia Durastanti è una lingua bastarda, una lingua che appunto deve di più alla lettura che al parlato. Un italiano conosciuto strada facendo, lingua madre, certo, ma lingua surrogata spesso. Una lingua che deve molto alla doppia madrelingua dell’autrice, cresciuta tra Italia e America, ma che non suona mai sbagliata, semmai personale. Forse è proprio la lingua il primo grimaldello per penetrare nel mondo di Durastanti e comprendere quanto mi ci sia sentito vicino. Non ho mai letto troppi testi italiani, la maggior parte delle mie letture, del mio percorso tra i libri, arriva da testi tradotti dall’inglese, dalla letteratura americana, dalla letteratura di genere, con traduzioni più meno brillanti che mi hanno reso disponibili i testi più disparati.
Ne La straniera, nel linguaggio utilizzato da Durastanti, riecheggia quel tipo di lingua, quel tipo di approccio, quella forma che non riesco a non collegare a una scrittura diretta, senza troppi fronzoli, che lascia in primo piano il significato e solo sullo sfondo la ricerca di uno stile (ma che non è assenza di stile, non significa improvvisazione, significa asciugare ed eliminare ogni deriva altra dal significato che si vuol trasmettere, e credo sia difficilissimo riuscirci senza diventare didascalici, piatti, uniformi).
- il tempo
La prima cosa che mi ha colpito durante la lettura de La straniera è la scansione temporale degli eventi. Che si tratti della Roma anni ’70, della Brooklyn degli anni ’80 o della Basilicata anni ’90 (per non parlare dei vari scorci contemporanei, tra Londra e l’Italia e il resto del mondo toccato e riportato dall’esperienza di Durastanti), i luoghi assumono sempre caratteristiche eterne, e si cristallizzano nell’immaginario del lettore (di questo lettore perlomeno) in immagini e sensazioni che assumono le forme del mito, degli scenari più antichi che si sono incistati nella mia personale immaginazione, dal cinema, dalle letture, dalla televisione. Roma, Brooklyn, la Basilicata, non sono luoghi veri ma spazi cognitivi che vibrano nel lettore con frequenze fuori tempo. E insomma, a me pare incredibile che in quei momenti, in quei tempi, io c’ero già: nonostante la forma letteraria, gli spazi di Durastanti sono veri, reali, e scorrono paralleli alla mia esperienza di vita che se anche non li ha mai toccati, li conosce, dopo averli letti, dopo averli immaginati, con una consapevolezza diversa, come spazi in qualche modo miei.
- la vita
E poi c’è la vita di una famiglia, di due bambine, poi donne, e di un uomo. E c’è il dubbio della verità, il dolore della verità, la parola che non riappacifica, ma permette una sopravvivenza nonostante tutto. I genitori di Claudia Durastanti, la loro vita spericolata, la loro vita da film, che l’autrice, la figlia, riporta costantemente sulla terra, cercando e trovando un filo, più fili, una trama e un tessuto che spieghi e racconti come si diventa ciò che si è. A cosa ci si debba adattare, come le cose ci cambino, come il vuoto possa essere un motore, come il silenzio sia più rumoroso del suono più stridente. Come si possa diventare chi si tenta di diventare senza avere un obiettivo preciso, ma spingendo, cercando, volendo una realtà diversa, per se stessi per lo meno.
Ed è bellissimo e straordinario che nel racconto della sua vita, della vita della sua famiglia, Durastanti riesca a tenere il tono della voce sommesso, leggero, pacato, perché senti spesso tra le righe le urla appena sotto la superficie, domate, ma mai dimenticate. Il disagio, la distanza, la solitudine ci sono, ma sono diventati compagni di strada, e non più nemici da sconfiggere o fantasmi da esorcizzare “con questo italiano così bello, che non usa disgrazie e dolori per giustificarsi e cercare scuse e assolversi o assolvere altri, che non vede buoni e cattivi, che ironizza e usa metafore, che sublima il quotidiano e tarpa le ali a quel che per altri sarebbe materiale da esaltare e chissàcosa” (grazie Elv!).
- oggi
Che poi La straniera inizia parlando di una donna, ma finisce con un’altra donna, che ha più o meno la stessa età della prima all’inizio del racconto, che si trova altrettanto persa, ma altrettanto decisa a trovare una soluzione a una personale diversità. Se la madre di Durastanti è sorda e vive un isolamento che prima di essere sociale è fisico, intimo e personale, Claudia Durastanti vive una diversità che è soprattutto sociale, geopolitica quasi, molto più comune e distribuita e senza dubbio meno percepibile sul piano delle relazioni personali. E diversità è la parola che riassume all’estremo il senso dell’impatto che La straniera ha avuto su di me.
Non importa quanto tu ti senta diverso, quanta fatica costi la propria unicità, quanti limiti il tuo status possa portare con sé, quanti ostacoli tu debba crearti e superare. Ce la puoi fare, e non per ottenere il successo che il mondo si aspetta da te, ma semplicemente per riuscire a diventare una persona con cui riuscire a convivere, nonostante tutto.
Ecco cos’è stato La straniera per me, l’incontro con un mondo altro che è riuscito in qualche modo a sovrapporsi e spiegare il mio. E capisco bene chi ha definito Claudia Durastanti come una sorella che non hai ancora conosciuto, che senza conoscerti, senza conoscerla, capisce bene quello che tu senti, e lo trasforma in parole, per dargli sostanza e significato.
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