01 febbraio 2020

Letture: Melancolia della resistenza, di László Krasznahorkai


E questo sarebbe il famoso giorno del giudizio? Inghiottiti in silenzio da un mare d’immondizia, senza tante cerimonie, senza squilli di trombe e cavalieri dell’apocalisse? Tutto sommato,” Ester si aggiustò la sciarpa, “non ci sarebbe da stupirsi per un finale così” […]”
(da Melancolia della resistenza, di László Krasznahorkai, traduzione di Dora Mészàros e Bruno Ventavoli)


Ho sentito parlare per la prima volta di Krasznahorkai da Valeria Lattanzio credo ormai un paio di anni fa, che con i suoi pezzi dedicati all’autore ungherese mi aveva incuriosito assai. Ci ho messo un po’ ad arrivarci, ma infine eccomi, dopo aver terminato Melancolia della resistenza, a ringraziare Valeria per il consiglio, e a suggerirne a mia volta la lettura a tutti i passanti curiosi.

Melancolia della resistenza è davvero impressionante: per la scrittura travolgente dell’autore, per i ritratti terribili e commoventi dei suoi personaggi, per l’atmosfera e gli ambienti che tratteggia, che riescono ad essere insieme apocalittici e quotidiani, desolati e disumani, e sempre in bilico tra familiarità e inquietudine, per le digressioni filosofico/morali che accompagnano il testo senza distruggerlo, offrendo invece ulteriori livelli di lettura e suggestione e infine per quell’impalpabile umorismo che a volte fa capolino, timido, tra una scena e l’altra. 

Melancolia della resistenza è un ritratto magnifico e spietato dei tempi che stiamo attraversando. Un romanzo che parla la lingua della violenza e della sopraffazione, della decadenza e della distruzione, e infine della resistenza, vana forse, ma inevitabile e sì, melanconica, di chi non può o non riesce ad adeguarsi al vuoto che ci divora.
 
Leggerlo è stata un’esperienza straordinaria.



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