03 gennaio 2016

Letture: il meglio del 2015 - seconda parte

Buon anno a tutti!
Ecco la seconda parte della lista delle mie migliori letture del 2015.
Qui non si parla di fantascienza ma di tutto il resto della produzione letteraria che mi è capitata per le mani negli scorsi dodici mesi.
In effetti l'anno appena trascorso è stato uno dei più miseri come quantità di letture, le cause sono quelle che citavo nel post precedente: Zona 42 mi ha fatto diventare un lettore per lavoro, che tra i libri letti sperando di poterli un giorno pubblicare, quelli letti perché qualche autore ce li ha inviati con la speranza di essere pubblicato e le numerose (ri)letture causa revisione dei libri che abbiamo pubblicato, il tempo da dedicare ai libri in attesa magari da anni sull'apposito scaffale si è sempre più ridotto.

Comunque sia andata qualche buon libro l'ho pur letto e se ne segnalo solo due, non vuol dire che non ci sia spazio per qualche altro suggerimento, magari più controverso, ma su cui mi piacerebbe confrontarmi con altri lettori.

I miei due libri dell'anno sono stati, in ordine di lettura Nel mondo a venire, di Ben Lerner, e Siamo tutti completamente fuori di noi, di Karen Joy Fowler.


Nel mondo a venire racconta di come tutti i tempi possibili siano lì, a disposizione della nostra vita, di come navigare tra presente, passato e futuro sia opera eminentemente letteraria, di come la nostra vita si incastri quasi casualmente tra i vettori del tempo e di come le altre persone, le altre storie, siano tanto indispensabili quanto inutili se non inserite nella nostra personale narrazione.
Ben Lerner racconta la vita del suo alter ego letterario, tra crisi, viaggi, scelte e ricordi, e se riesce a coinvolgere il lettore lo fa grazie a uno stile ricco e terso allo stesso tempo, con la scelta  vincente di guardare soprattutto al mondo là fuori invece di intrattenersi nell'esame del proprio ombelico. A metà strada tra Jonathan Lethem e il West, Nel mondo a venire è un romanzo stupefacente per la quantità di suggestioni che porta con sé.


Siamo tutti completamente fuori di noi, è un romanzo strano, difficile parlarne senza rovinare la sopresa al lettore che voglia avventurarcisi. Perché quel che parte come una storia di famiglia in crisi (i figli partono, le mamme invecchiano…) si trasforma in qualcos'altro, man mano che si rivelano origini e conseguenze del mistero che sta alla base del romanzo (una sorella scomparsa).
Karen Joy Fowler condisce la storia di personaggi sfuggevoli e situazioni precarie e di improvvisi momenti di candida introspezione, tanto che il lettore (questo lettore) è costantemente spiazzato dal contenuto del romanzo che sembra essere sempre a un passo da un rivelazione definitiva. Tra le righe ci sono e succedono un sacco di cose interessanti, c'è tanta scienza (intesa come ragionamento su, piuttosto che come contenuti scientifici veri e propri), c'è una famiglia allo sbando per quelli che si scoprono essere i motivi sbagliati, c'è il raggiungimento di una consapevolezza che suona tanto amara quanto consolatoria.
Un gran bel romanzo insomma, profondo e sorprendente.


Se i due titoli qui sopra rappresentano senza dubbio le migliori letture dell'anno, devo citare anche quelle che si son rivelate più o meno deludenti. Si tratta di due autori americani le cui opere precedenti ho apprezzato assai e di un autore italiano, che non conoscevo, ma dal cui romanzo mi aspettavo qualcosa di diverso, di meglio.

Tra i contemporanei Jonathan Lethem è forse l'autore americano che amo di più, nel blog ho parlato spesso e volentieri dei suoi libri, di come abbia ritrovato nella sua scrittura una certa sintonia di vsione, una comunanza di interessi. I giardini dei dissidenti è il suo primo romanzo in cui non sono riuscito a entrare, l'ho trovato distante e fuori fuoco, concentrato come mi è parso sul chi (con personaggi sovracarichi di personalità, storie, suggestioni e manie) perdendo per strada il come, il perché, il cosa. E per un romanzo che vuole dichiaratamente percorrere la storia dei gruppi alternativi al potere americano mi pare difetto piuttosto sostanzioso. Poi certo, il romanzo si legge che è un piacere, perché Lethem rimane uno dei migliori scrittori sulla piazza. però ecco, mi aspettavo qualcosa di più.

Per Dave Eggers non ho mai nutrito lo stesso entusiasmo ma per me rimane comunque un autore importante, che qualche suo libro mi ha davvero colpito. Non posso dire lo stesso de Il Cerchio, romanzo che affronta temi importanti per la nostra contemporaneitò, ma che risulta schiacciato dall'intento pedagogico dell'autore. Di questo romanzo ho parlato in maniera un pochino pià approfondità qui.

Altro romanzo interessante letto negli ultimi mesi, ma che non è riuscito a convincermi del tutto, è XXI Secolo di Paolo Zardi. In questo caso credo che i problemi di sintonia col romanzo siano dipesi più dalle mie aspettative che non da difetti intrinseci al testo di Zardi. A leggere la presentazione del libro mi aspettavo un testo dalla forte componente distopica, una storia calata in un contesto di crisi che raccontasse la nostra reazione, o il nostro adattamento, a tempi ancora pià grigi di quelli che stiamo vivendo. Purtroppo (dal mio punto di vista) XXI Secolo è solo il racconto di una crisi personale, con il mondo in disfacimento in cui è calata la storia poco più che una nota di colore a caratterizzare in maniera ancora più esplicita la situazione del protagonista.


Ultima nota sullo stato del blog. Come già detto più volte, mantenere vivo e attivo il blog è compito superiore alle mie possibilità attuali. Scrivere qui dentro mi manca però molto, per cui non è detto che non riesca a ritagliarmi qualche istante per qualche nota sulle letture future, che per me non c'è nulla come ripensare per iscritto a quanto letto per scoprire aspetti nuovi, sia nel testo in questione sia nel mio approccio alla lettura. Non prometto nulla, e voi non trattenete il respiro nell'attesa di un nuovo post, ma è una cosa a cui tengo parecchio. Speriamo di risentirci presto!










15 commenti:

  1. Sui "Giardini" concordo, nel tentativo di dare conto di ogni sfumatura politica si perde per strada le storie interessanti. Però a me non era piaciuto neppure "Chronic City".

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    1. Ricordo che ne parlammo a suo tempo. Mi auguro solo che il prossimo Lethem ci trovi entrambi concordi in positivo! :-)

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  2. Le mie letture ultimamente riguardano libri scritti decenni fa e oltre.
    Prendo nota delle tue segnalazioni, la descrizione di Lerner è interessante.
    Ne approfitto per segnalare solo due cose molto diverse l'una dall'altra.
    La prima è un'antologia corposa: "Racconti italiani dell'Ottocento", ricca di corredi bio-bibliografici è stata per me una scoperta.
    I nomi degli fanno risuonare tristi obblighi di letture scolastiche ma i contenuti sono sorprendenti ed eterogenei.
    I più famosi sono Tommaseo, Nievo, i fratelli Boito (davvero da leggere!), Carlo Dossi, De Amicis e altri.
    Il secondo è "Albion - The origin and birth of the english imagination" di Peter Ackroyd, saggio che raccoglie ed elenca tutti i tòpoi del modo in cui gli inglesi guardano al mondo, come lo descrivono, come lo idealizzano ecc.
    Libro ricco, fin troppo, di riferimenti culturali tipicamente inglesi e non, suddiviso in molti capitoli non lunghi, ognuno dei quali affronta un singolo tema che poi si ritrova intrecciato inevitabilmente allo sviluppo dei temi ulteriori.
    Il risultato è un quadro ben delineato di come il filo della cultura inglese/britannica segua un percorso lungo gli stessi punti.
    Davvero ricco di spunti e vividi stimoli, dopo averlo letto si capiscono molte cose della letteratura anglosassone in genere e anche della sf inglese.
    Bellissimo saggio, lineare, fa venire voglia di approfondire ed immergersi nei testi citati (c'è anche un capitolo sulla musica).

    Vorrei aggiungere un punctum dolens che riguarda Desolation Road che ho cominciato recentemente e che ho smesso di leggere a pagina 90 ca.

    Il romanzo per me è mal scritto, MacDonald indugia sempre in espedienti letterari assimilati qua e là, non so quanto inconsciamente, da Steinbeck (vedi i paisanos di Tortilla Flat), realismo magico de "Il circo del dottor Lao" di Finney e gli altri che citate in seconda di copertina.

    Per me li usa male cercando di poetizzare e rendere un'epica del racconto ma i mezzi non li ha, perlomeno in questo libro; forse essendo il primo romanzo non aveva mestiere ma la reiterazione continua comincia già all'inizio con "...il deserto di rena rossa, il deserto di pietra rossa, il deserto di sabbia rossa".
    Tante altre volte utilizza queste ridondanze a scopo evocativo senza accorgersi che dopo un po' la cosa si fa stucchevole.
    Il trucco non funziona più se continui a ripeterlo.
    A questo punto mi viene una domanda alla Marzullo: avevo già notato ne "Il fiume degli dei" che un personaggio, credo il killer col suo tirapiedi, scompare dal libro per circa 100 pagine.
    Ora tutte queste ripetizioni... il ripetersi cumulativo dello stesso verbo per rafforzare l'immagine dell'azione in tono favolistico... mi chiedo se gli editori inglesi facciano opera di editing.


    MacDonald non ha il senso del ritmo e della misura il che lo rende prolisso e pesante, costruisce un birignao della sf.
    La cosa più fastidiosa, però. è che (fino a pag. 90, almeno) il romanzo è asfittico; mette lì un pentolone a cui aggiunge sempre altri ingredienti dando l'idea che qualcosa di magico e profondo stia accadendo o debba accadere, ma in realtà tutti gli artifici che usa e che non vedo come farina del suo sacco, alla fine lasciano il tempo che trovano.
    Sotto non c'è proprio niente... ma te lo fa sembrare... con un lessico e una costruzione della frase leziosa.
    Col tempo ho imparato una cosa: che un buon scrittore scrive in modo "semplice" (se intendi cosa voglio dire).
    Peccato, sono passato subito a Pashazade speranzoso; se riesco a finirlo in tempi decenti e la cosa ti interessa ti faccio sapere come mi è sembrato, il tema per come è presentato intriga...

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    1. Anch'io ci vedo riferimenti a Steinbeck e Faulkner nella struttura (debito più profondo rispetto a quello più citato a Marquez), ma per me il giudizio su DR è estremamente positivo.

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    2. Quindi non ci vedi artificiosità, ad esempio, nell'utilizzo sistematico di nomi "esotici" per dare la sensazione di un mondo esterno coerente con l'idea epico/poeticizzante che intende dare al microcosmo di Desolation Road?
      Te lo chiedo perché a mio avviso è proprio un difetto o un'astuzia (che a me non piace e che ritengo una presa in giro dell'intelligenza del lettore) di MacDonald che ho trovato ne "Il fiume degli dei" dove usa un'enorme quantità di termini indiani per "contornare" e accreditare il romanzo di un'aura geografico/culturale che ho trovato eccessiva, ripetitiva e segno anche di pigrizia.
      Ho letto recentemente il libro di Stephen Alter dove descrive il pellegrinaggio svolto con atteggiamento laico lungo le quattro sorgenti del Gange e il glossario è la metà di quello del fiume degli dei.

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    3. Non l'ho mai pensato in questi termini e a distanza di più di un anno dalla lettura non so bene cosa rispondere. Un romanzo scritto in prosa poetica, personaggi evocativi, orari palindromi, il destino di un pianeta concentrato in un villaggio sperduto: certo che è artificioso! Credo di capire che per te questo artificio è malriuscito, banale, ed è un giudizio soggettivo che non posso contestare, posso solo dire che a me è piaciuto proprio per questo.

      (Il fiume degli dei non ho ancora avuto il coraggio di leggerlo...).

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    4. Heropass innanzitutto grazie per il tuo commento su Desolation Road. Credo che le tue note siano le prime che leggo davvero critiche sul romanzo di McDonald, e per quanto non le condivida per nulla, mi hanno colpito per il semplice motivo che i difetti che imputi al libro rappresentano per me i suoi punti di forza.

      La scelta stilistica che McDonald adotta nella scrittura di Desolation Road è proprio il motivo per cui mi sono innamorato (da lettore prima ancora che da editore) del romanzo. Prima di leggere questo romanzo mi era capitato pochissime volte di trovare una storia di fantascienza in cui il tono e la voce del narratore si sposasse così bene alla materia narrata (Bradbury, forse, ma l'americano è fin troppo serio per i miei gusti, Gibson è un altro nome che mi ha colpito altrettanto, anche se la voce di Neuromante è agli antipodi rispetto a quella di Desolation Road).
      In altre parole, se lo stile di McDonald mi fosse parso manierato, scopiazzato o anche solo poco coerente alle vicende narrate, non avrei dubbi nel darti ragione, e nel trovare insopportabile l'arroganza e la sciatteria di un autore simile, invece con me ogni singola scelta stilistica adottata da NcDonald ha funzionato in pieno, aiutandomi a immergermi nell'atmosfera aliena, allo stesso tempo confortevole, per le ovvie similitudini con il nostro vissuto, e perturbante. per la messe di meraviglie di cui si fa portatrice, della sua comunità marziana.

      Mi spiace molto che a te abbia fatto tutt'altra impressione. Non so da cosa dipenda. Probabilmente la summa del tuo percorso di lettore è piuttosto diversa dalla mia, o forse quel che tu porti (e cerchi!) nei libri che leggi è profondamente diverso da quel che porto (e cerco!) io. Mi auguro davvero che la trilogia arabesca di Grimwood sia più nelle tue corde e leggerò più che volentieri le tue impressioni al riguardo.




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    5. Ciao e grazie dell'attenzione. Ho ripreso in mano il libro per verificare (un po' a fatica visto il disamore che mi ha procurato) il più possibile imparzialmente se andando avanti le cose cambiano.
      Probabilmente "Il fiume degli dei" ha inciso, però (ma te lo confermerò eventualmente più avanti) sono convinto che l'uso strumentale delle ridondanze che fa MacDonald sia una forma di povertà espressiva nonché di un'astuta farcitura di "pattern" letterari mediati da altri autori.
      Lo dico per due motivi: il primo è che il "genere" di... chiamiamole interiezioni o ellissi che infila nei capitoli è molto limitato; il secondo è che praticamente in ogni capitolo sono presenti.
      Io li vedo come elementi disarmonici che stridono proprio, emergono come corpi estranei inseriti un po' forzosamente e artatamente.
      Forme retoriche insistite per dare una coloritura poetico/evocativa rischiano di produrre (almeno per come l'ho letta io) l'effetto opposto se non dosate come si deve fare con ingredienti il cui fine è di ottenere un'amalgama riuscito.
      Mi ricordo quando lavoravo a Milano che mettevano la rucola dappertutto, poi è venuta la moda dell'aceto balsamico (con rucola!) sul filetto di manzo, immancabile, ma copre il gusto della carne, alla fine tanto vale mangiare patatine fritte con un hamburger o una pizza.

      È certamente vero che i nostri percorsi individuali ci formano (e deformano, a volte!) la "visuale".
      La cosa più interessante in questi casi è anche quella di leggere te stesso come lettore, come accade quando scambi le tue opinioni.

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    6. Io credo che invece i contributi chiamiamoli "stilistici" al testo, aiutino a rendere più unitario e compatto un romanzo che rischia di esplodere ad ogni ulteriore capitolo per la ricchezza e la varietà di invenzioni narrative che McDonald dona al lettore (tra personaggi, ambienti e avvenimenti ce n'è davvero per tutti i gusti…).

      In altre parole, sono un'ancora che consolida la narrazione e offrono al lettore una sorta di bussola con cui orientarsi nel panorama estremamente vasto che l'autore gli mette sotto gli occhi.

      Ma credo che potremmo star qui a discuterne ad libitum, senza arrivare a una quadra :-)

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    7. Per me ci sono troppe somiglianze con Tortilla Flat, la comunità, il modo in cui si accresce questa comunità e soprattutto lo stile.

      Si fosse ispirato capirei ma mi sembra proprio copiato (poi ci saranno anche influenze di Garcìa Marquez, l'ho letto troppo tempo fa e non so dire).
      Prendendo qua e là in McDonald leggo:

      "Aveva deluso se stesso. Aveva deluso la scienza. Aveva deluso la sua gente"

      "Come l'animale che lotta e lotta e lotta"

      Si sarebbe dovuto sbalordire o scioccare o qualunque(...)"

      "intorno ed intorno ed intorno"

      "Parlando, parlando"

      "la cometa arrivò quando arrivò e arrivò ecc."

      "a volte si struggeva ecc., a volte branava il pepe ecc., a volte (...) cercava il perdono materno"

      "Ci furono canzoni che facevano che facevano muovere i piedi e canzoni che facevano ballare ecc, e canzoni ecc." (questo va avanti per diverse righe poi a "canzoni" si sostituisce "musica").

      "Nessuno aveva visto Jericho entrare. Nessuno l'aveva visto sedersi al bar. Nessuno l'aveva ecc."

      Tutto il libro (almeno fino a dove ho letto) è pieno di queste reiterazioni e di altri tipi di reiterazioni tutte uguali; il dato soggettivo nel modo di integrarle nella lettura rimane ma il dato oggettivo della ripetizione per me è macroscopico.


      Come in Steinbeck i personaggi sono sostenzialmente "voci narranti" portatrici di dialoghi emblematici e simbolici.

      Non voglio essere pedante e mi fermo qui ma potrei portarti altri esempi.

      Detto questo, chiudo definitivamente con la mia analisi, vado a continuare Pashazade e un affascinante "Orienti - viaggiatori e scrittori dell'Ottocento" che iniziato prima di Pashazade ne diventa il complemento storico ideale.

      Sempre un in bocca al lupo per Zona 42.

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    8. Il punto non è tanto trovare similitudini o analogie con altri testi o altri autori. Il punto è capire se tali formule funzionano, e considerare poi, se calati nel contesto meravigliosamente (e compiutamente) fantascientifico del romanzo, aggiungono o tolgono qualcosa alla lettura, al lettore.

      Per concludere questa interessante discussione posso suggerirti di provare a leggere ad alta voce almeno una porzione di un capitolo qualsiasi tra quelli che comprendono le frasi citate?
      Per me il suono e il ritmo delle frasi è pressoché perfetto.

      Ci risentiamo quando avrai finito Pashazade, che sono molto curioso di conoscere la tua opinione su un testo che stilisticamente è agli antipodi di quello di McDonald.

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    9. La questione rimane irrisolta perché naturalmente ognuno legge con i suoi occhi e la sua propria esperienza.
      Le formule funzionano se non se ne abusa, cosa che secondo me McDonald fa.
      A mio avviso la poeticità di un testo ha bisogno di grande attenzione al ritmo, alle occorrenze dei termini e al "ventaglio" espressivo di cui ti servi.
      Se ti servi per circa 400 pagine degli stessi abbellimenti per me non sei più un cesellatore ma un carpentiere che vuole essere cesellatore senza averne la cifra stilistica.

      Tutto il romanzo fino a dove ho letto è sostanzialmente infarcito di queste formule che sono sempre le stesse.

      Il mio disappunto nasce dal fatto che leggendo il libro qualcosa istintivamente non tornava. Credo di poter dire che di solito quando leggi le tue associazioni mentali ed il tuo percorso culturale e, se vuoi, tecnico, si confrontano con l'uso dei temi e del linguaggio che incontri.
      In pratica fai una sintesi in certo modo irrazionale soprattutto per la sf dove c'è la suspension of disbelief.

      Questa suspension of disbelief è vitale per il lettore e per me non dipende tanto dalla verosimiglianza del testo (come ovvio!) ma dal fatto che il testo non risulti artificioso e, aggiungo, dal fatto che lo scrittore non si metta di mezzo tra te e la narrazione (su questo si potrebbero aprire lunghe discussioni); invece fin dal primo momento ho avuto la sensazione di assistere ad un'esibizione di McDonald, non ho quasi mai trovato fluidità (ed è un peccato perché dei momenti felici ci sono).

      Per giungere al punto credo che la differenza tra le nostre due letture del testo dipendano da una condizione principe (almeno credo): che ho letto abbastanza Steinbeck (ma aggiungerei altri testi perché McDonald non ha solo copiato - e uso appositamente il termine "copiato" - Steinbeck) e soprattutto quel testo che ti dicevo.

      Ti dico francamente che dopo aver letto parte di Desolation Road mi è venuto il sospetto che "Il fiume degli dei" possa essere ricondotto ad un discorso simile.

      Forse in un mio precedente intervento avevo citato l'uso eccessivo di termini "esotici" usati nel Fiume che mi hanno procurato la stessa impressione che ho poi ritrovato in Desolation.

      Ovvero che l'autore ricorra a stratagemmi finalizzati alla creazione di un mondo ma non ne abbia la padronanza perché non si tratta di farina del suo sacco.

      Leggendo il Fiume non ho quasi MAI avuto la sensazione di trovarmi in India.
      Avrebbe potuto essere ambientato ovunque, il fatto di ambientarlo in India ha a che fare sempre con una forma di esercizio di stile, direi quasi di un'esigenza di moda ricercata.

      Se McDonald avesse avuto come editore un John Campbell sarebbe uno scrittore più asciugato e forse si concentrerebbe sul contenuto piuttosto che sul contenitore e finalmente potrei valutare McDonald sfrondato da se stesso.

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    10. Una delle "condizioni principe" che sicuramente hanno influenzato il mio approccio è che a me in fondo John Steinbeck nemmeno piace :-)
      (troppo serio, anche quando scrive cose come Pian de la Tortilla o Vicolo Cannery)
      McDonald al confronto brilla per come mescola pop e letteratura.

      (Non sono un fan sfegatato de Il fiume degli Dei. McDonald ha scritto cose decisamente migliori, a partire da Cyberabad Days, nello stesso contesto indiano, ma per me anche Brazyl e soprattutto The Dervish Huose sono ancora migliori).

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  3. Bentornato Giorgio: se con "qualche nota sulle letture future" intendi la magnifica sintesi di Nel mondo a venire, direi che ci possiamo accontentare. E' davvero difficile parlare del libro di Lerner, ti linkerò ogni volta che lo consiglio.

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    1. Grazie!
      In effetti riassumere in poche righe il contenuto e i motivo per cui un libro mi ha colpito non è per niente facile, fa piacere trovare qualcuno che mi capisce. :-)

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