06 maggio 2013

Letture: Tom Waits. Il fantasma del sabato sera. A cura di di Paul Maher Jr.

© giorgio raffaelli
Il fantasma del sabato sera è un volume da fanboy, un libro la cui lettura non è consigliabile a chi già non conosca e apprezzi quello strano soggetto che è Tom Waits. D'altra parte, se non conoscete e apprezzate Tom Waits, cosa ci fate ancora qui? Andate piuttosto ad ascoltarvi un po' di buona musica

Ho conosciuto Tom Waits nel 1985, dopo l'uscita di Rain Dogs. All'epoca quel disco mi parve la cosa più nuova avessi mai ascoltato. Da allora non ho smesso di seguirlo, esplorando la sua produzione precedente, cercando poi di star dietro alla sua continua e sempre più stupefacente evoluzione sonora.

Il fantasma del sabato sera racconta la vicenda artistica di Tom Waits attraverso le interviste che il musicista ha rilasciato nel corso degli anni, interviste che segnano un percorso umano e artistico piuttosto peculiare, e che raccontano, tra le grinze e le smorfie e le storie che Waits riversa sull'ennesimo giornalista, il tentativo di nascondersi e inventarsi, la passione per la musica, la necessità di stare ai margini e perseguire un percorso personale che abbia come primo obiettivo la ricerca di un’espressione singolare, per quanto brutta sporca e cattiva questa possa apparire.
Chi frequenta la musica di Tom Waits conosce bene la svolta improvvisa che la sua carriera artistica ha preso tra la fine dei '70 e i primi '80, è però sorprendente il senso di continuità che emerge dalle interviste raccolte nel volume: Waits non smette mai, nemmeno per un attimo, di raccontare storie, di reinventarsi un passato sempre più nebuloso e al contempo di deviare costantemente la curiosità del pubblico riguardo la sua vita privata. Quel che cambia è il nucleo forte della sua passione, che dopo l'incontro con Kathleen Brennan si focalizza ed esplode in sonorità che si sganciano da qualunque debito avessero con la tradizione da cui derivano per avviarsi verso un'esplorazione sonora che continua album dopo album senza alcun compromesso o concessione al facile ascolto.

Le interviste seguono l'evoluzione di Tom Waits, dall'uscita del primo disco, Closing Time, del 1973, fino a Orphans: Brawlers, Bawlers & Bastards del 2006, ed è molto interessante osservare il percorso di maturazione dell’artista che, nonostante i cambiamenti nell'espressione musicale, mostra una coerenza non comune nell'approccio ai media da un lato e allo show business dall'altro. Tom Waits tiene sempre a distanza di sicurezza l'intervistatore (e il pubblico, più in generale), ma se può apparire scontroso, la sua riluttanza a parlare di sé non diventa mai scortesia, condita com'è di umiltà e consapevolezza, che fare musica non determina di per sé una condizione speciale o privilegiata, ma esprime solo un'innata curiosità. Ed è questo l'aspetto di Tom Waits che più forte emerge dalla lettura di questi incontri con la stampa: un uomo curioso, capace ancora, nonostante gli anni, di continuare a giocare con suoni e strumenti, alla ricerca di stimoli e illuminazioni.

Prima di concludere queste note mi pare cosa buona e giusta lasciarvi con un estratto dall'incontro di Tom Waits con Terry Gilliam, altro soggetto la cui produzione artistica appare esemplare per coerenza e visionarietà.


Tom Waits chiacchiera con il visionario regista Terry Gilliam. Fiere, corvi e fenomeni da baraccone a parte, sembrano due invasati che parlano lingue incomprensibili.

[…] 

È quello che mi frega sempre, della tua musica, fa vibrare il cervello e il corpo in modo diverso. Questo mi eccita e mi spaventa allo stesso tempo, e mi fa scattare tutta una serie di risonanze in testa.
Mi piacciono i dischi vecchi, e quel che mi piace dei dischi vecchi è il rumore di superficie che spesso è meglio della musica in sé, oppure i due combinati insieme che creano una sorta di fantasma. Quando ascolti una registrazione vecchia e gracchiante di Caruso sembra sempre che stia cercando di raggiungerti da lontano e ti fa venir voglia di aiutarlo. In un certo senso vorresti entrare nelle casse.

[La tua musica] è esotica, anche se parla di bifolchi che abitano nelle campagne del... Missouri. Continuano a venirmi in mente le favole ottocentesche dei fratelli Grimm.
Sono lusingato, Terry. Sono contento che ti siano entrate nelle orecchie; i tuoi film mi hanno trasportato in un altro mondo per molti anni. Ho visto [Le avventure del] Barone di Münchausen una cinquantina di volte... Credo sia un buon test per un’opera d’arte, il fatto che riesca a durare nel tempo e ad accompagnarti in modo che tu possa riscoprirla, e che lei possa riscoprire te.

Concordo. Che si tratti di un quadro, di un brano musicale o di una poesia: basta che continui a risuonare.
E poi, ovviamente, amo vedere una suora che galleggia – e il rapporto che ti lega ai nani. È meglio che andare al circo!

È proprio un argomento che ti ossessiona, vero? Le fiere, i circhi e i fenomeni da baraccone.
Credo di essere scappato per unirmi a un circo. Penso fosse proprio quello che volevo ricreare con la musica, e penso che a un certo punto dobbiamo esserci accorti di avere qualcosa di particolare che ci rendeva... diversi.

E poi nessuno al giorno d’oggi esalta l’unicità, il bizzarro, la stranezza o la meraviglia.
Sono d’accordo.

Non so come si potrebbe fare a riportare in auge tutto questo, a distinguerci dagli altri. Forse basta che continuiamo a fare il nostro mestiere.
È come se il mondo a questo punto fosse in mano a tre o quattro cartelli, e ognuno di noi finirà col lavorare per uno o due di loro.

Qual è la tua etichetta... La Anti-?
Si chiama Epitaph. La divisione di cui faccio parte è la Anti-. I suoi artisti sono Joe Strummer... Tricky... Merle Haggard.
È un posto insolito, una specie di ricovero per artisti traumatizzati, credo. È così corretto, sano, onesto. Sai, come quando porti il vestito in tintoria e poi te lo restituiscono per davvero.


[…]

Tutta la musica che hai scritto, per me, somiglia a un dipinto o a un corto cinematografico.
Le canzoni sono film e gioielli per le orecchie.

Quello che fai, e quello che spero di fare anche io, è continuare a dipingere questi quadri per il mondo, con la speranza che una o due persone si accorgano che si tratta proprio della realtà che le circonda. Mi sento come se stessimo lottando contro i poteri forti. Che siano la pubblicità, i media, il cinema – il cinema normale – sono tutti impegnati a fornire una rappresentazione fraudolenta del reale.
C’è una continua battaglia tra la luce e le tenebre. E io continuo a chiedermi se le tenebre non abbiano sempre un asso nella manica.

Perché le tenebre vengono rappresentate come luminose, allegre e divertenti.
È questo l’inganno.

Esatto, è proprio un inganno! Tutti dicono che il mio lavoro è cupo, lo dicono anche del tuo, ma non è vero. Credo invece che sia più vicino alla luce di quello che viene spacciato per tale.
Il cane si morde la coda da tanto tempo.

[…]

Mi fa incavolare l’idea che il surrealismo sia stato completamente svenduto; adesso viene usato nelle pubblicità e per vendere robaccia.
Lo so. Che fastidio.

Ormai è privo di contenuti. C’è un sacco di immaginario ma zero significato. Nei tuoi dischi compaiono spessissimo dei corvi.
I corvi, già: sono gli adolescenti del mondo ornitologico. Dicono che il problema dei corvi è che alle nove hanno già finito di lavorare e hanno troppo tempo libero a disposizione. Trascorrono il resto della giornata a giocare a una versione primitiva del rugby. O a nido libera tutti. Oppure si mettono a blaterare e a ciacolare. A quanto pare non c’è nessuna ragione biologica per questo comportamento... un corvo può starsene fermo, quasi in trance, su un formicaio fino a ritrovarsi totalmente coperto di formiche. Dicono che l’unica spiegazione plausibile è che questa sia una fonte di piacere, una specie di tossicodipendenza.

Scommetto che è così!
E poi rovesciano gli occhi nelle orbite e buttano indietro la testa per guardare il cielo. Dicono che faccia parte del destino di un corvo, perché rispetto agli altri uccelli ha il cervello più grande in proporzione al corpo e ha troppo tempo da sprecare. È inevitabile che inizi a farsi (ridono entrambi).

Meraviglioso.
Hai mai mangiato un corvo?

No, com’è?
Neanche io. O meglio, ne ho mangiati diversi, simbolicamente. È stata una dieta fissa per diversi anni.  

Sì, mi tiene in forma (ridono entrambi).
 (Tom Waits. Il fantasma del sabato sera. Interviste sulla vita e la musica. Estratto da BlackBook, 10 aprile 2002; data di pubblicazione: giugno 2002. Copyright minimum fax 2012, traduzione di Claudia Durastanti)


Bene. È tutto. Vi lascio con un Tom Waits in forma smagliante.
Ecco Hell Broke Luce, estratto da Bad as Me (2011).



4 commenti:

  1. Grazie! Conoscevo il brano ma non l'ottimo video. Semplicemente un genio, un mefistofele acuto e di cattivo umore.

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    1. Non so se Tom Waits sia un genio, di sicuro è uno dei pochi artisti in circolazione capaci di uno sguardo singolare e acuto sui dintorni. Senza considerare che secondo me è ancora capace di divertirsi come un bimbo con i suoi giocattoli musicali.
      Mica male per un tizio ormai abbondantemente sopra i sessanta.

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  2. Conosco a Tom Waits e mi piace molto, il video mi incanto, ma sono incuriosita dal titolo di questo libro,non vedo ora di comprarlo per leggerlo .Un abbraccio

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    1. Credo che se apprezzi Waits il libro non potrà non piacerti.
      Buona lettura!

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