21 maggio 2013

Letture: Kit Whitfield, Emmanuel Carrère, Gabe Hudson

© giorgio raffaelli
Kit Whitfield - In Great Waters
Quando ripensiamo a un romanzo di genere, che si tratti di fantasy o fantascienza, le prime cose che ci tornano in mente sono lo scenario, i personaggi e le idee, più o meno originali, che lo caratterizzano. Se siete lettori abituali, saprete bene quanto sia difficile trovare gestiti questi elementi con eguale intensità, originalità e profondità. Kit Whitfield ci riesce, sviluppando una storia in cui è difficile decidere se le cose migliori le abbia fatte con la costruzione del mondo, con il ritratto che offre dei personaggi, o nello sviluppo stesso della vicenda.

In Great Waters è un romanzo di storia alternativa, con tritoni e sirene (deepsman nella versione della Whitfield) che governano l'Europa rinascimentale mescolandosi agli uomini di terraferma.
In Great Waters è un romanzo di formazione e di rivoluzione, narrato mantenendo in primo piano la storia di un reietto e di una principessa, che superano le canoniche difficoltà di status e circostanze nel tentativo di vivere, almeno per un po', felici e contenti. 

Certo, raccontato in questo modo, non è che 'sto libro sembri offrire molte attrattive, incastrato come appare tra dinamiche da favoletta e setting infantile. Invece In Great Waters è un romanzo tecnicamente perfetto, che affronta tematiche adulte senza retorica o facili concessioni al lettore.
La storia di Henry, figlio bastardo del mare, abbandonato in spiaggia e cresciuto con un unico scopo, offre alla Whitfield la possibilità di esplorare da un lato una società aliena come quella dei deepsmen, dall'altro quella di costruire un personaggio complesso e tridimensionale e svilupparne l'evoluzione in maniera magistrale.
Se il personaggio di Henry permette alla Whitfield di gettare le basi drammatiche del romanzo, la vicenda di Anne, figlia minore del re, solitaria ed emarginata, fornisce all'autrice un punto di vista privilegiato sulle dinamiche del potere, e aggiunge quel tocco di sentimento che bilancia la drammaticità della storia e quel tocco di ironia che, specie nell'ultimo terzo del romanzo, dona alla vicenda un ulteriore motivo d'interesse.
Temo che In Great Waters non verrà mai tradotto in italiano (troppo particolare per trovare un mercato favorevole dalle nostre parti), ma per chi legge in lingua inglese è un romanzo assolutamente consigliato.



Emmanuel Carrère - Limonov
Si corre il rischio, affrontando un volume come questo di Emmanuel Carrère, di ridurre il giudizio sull'opera all'opinione che ci si crea del suo protagonista. Che si arrivi ad apprezzare, a giustificare o a condannare la vicenda umana di Limonov, a me pare che quel che davvero conta è il percorso narrativo che compie Carrère nello sviluppo di questa biografia.

Apparirà forse paradossale parlare di narrativa scrivendo a proposito di un volume biografico (quale altra ambizione se non la ricerca della verità dovrebbe avere un libro simile?), eppure il pregio maggiore di Limonov è il taglio personale che Emmanuel Carrère adotta per il racconto di una vita straordinaria come quella di questo russo dalle molteplici identità (poeta/emigrante/soldato/politico/delinquente, a seconda dei momenti e dei punti di vista). La storia di Limonov è la storia della Russia degli ultimi 60 anni, e del rapporto che con questa storia Carrère ha sviluppato nel corso di un'intera esistenza.

Lo scrittore francese mette in rapporto l'inestricabile mistero della personalità di Limonov con tutto ciò di apparentemente incredibile e storicamente eccezionale è avvenuto in Russia nei decenni cha hanno portato dal collasso dell'Unione sovietica all'era di Putin. Esplorare l'identità cangiante di Limonov significa interrogarsi sulla relatività di ogni posizione morale, sulla forza necessaria a mantenere coerenza e disciplina, sulle risorse che si hanno a disposizione per influire sulla realtà, per non parlare di casualità ed entropia, ospiti inattesi e indesiderati di ogni percorso esistenziale.
Ma raccontare la vita di Limonov come fa in questo volume Emmanuel Carrère, equivale anche a trasferire la necessità di una narrativa personale su una persona altra. Una persona la cui esistenza ci regala l'opportunità di diventare coprotagonisti di un'avventura umana il cui peso non saremmo mai stati in grado di reggere da soli. Perché in fondo quel che non riesco a togliermi dalla mente è l'idea che Carrere stia a Limonov come un Emilio Salgari sta al suo Sandokan. E che la Verità sia l'ultimo degli argomenti capaci di farci apprezzare un libro simile.




Gabe Hudson - Caro signor presidente
Sono rimasto folgorato da Gabe Hudson sulla via di Baghdad, grazie al suo Appunti da un bunker lungo la Highway 8, pubblicato in italia da minimum fax nella seconda raccolta del meglio di McSweeney. Da allora è passato un po' di tempo, ma quando sono incappato in Caro signor presidente, volume antologico che oltre al già citato racconto raccoglie altre sette storie che hanno a che fare con la prima guerra del  Golfo, non potevo certo lasciarmelo sfuggire.

Per quella che è la mia esperienza con la letteratura di guerra, o si parla di eroi o si mette in ridicolo la mentalità militare, in entrambi i casi quel che emerge solitamente è quanto brutta sia l'esperienza bellica. Gabe Hudson non si discosta da questa dicotomia, affrontando però il tema da un punto di vista parecchio laterale, sfruttando tutte le tecniche narrative sdoganate da quel gruppo di autori assortiti riconducibili al post-moderno. E se il succo non cambia (l'alienazione che accompagna l'esperienza militare, i danni visibili o invisibili provocati dall'esperienza sul campo di battaglia, i ripensamenti e la sopraggiunta consapevolezza dell'essere pedine in un gioco di cui non si conoscono nemmeno le regole), le forma che assumono i suoi racconti sono sempre piuttosto bizzarre.

Nei suoi momenti migliori (il racconto citato sopra, insieme a Come ho trovato la cura e L’uomo che amava travestirsi) Gabe Hudson mi ha ricordato una Aimee Bender in versione maschile, capace di combinare fulminanti visioni surreali alla sentita compassione per il destino dei suoi personaggi, in altri racconti l'alchimia tra i due piani del racconto non riesce appieno, rendendo alcune delle storie presenti stucchevoli e presuntuose, nella ricerca di un virtuosismo che m'è parso fine a se stesso. Nel complesso però il volume si legge comunque volentieri, pur senza risultare così entusiasmante come invece speravo.

11 commenti:

  1. Andrò in cerca di qualcosa della Whitfield, grazie per la segnalazione.

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    1. Come dice Marco qui sotto, la Whitfield ha goduto del privilegio di essere tradotta in italiano per Einaudi.
      Purtroppo le recensioni lette riguardo quel romanzo (Sorpresi dalle tenebre, Bareback in originale) non lo rendono molto appetibile, che pare molto lontano dalla qualità di In Great Waters.

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  2. oserei dire che ricordo anche quando l'hai fatta, questa foto.
    :-)
    di sicuro so dove è stata scattata.

    Lui

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  3. Il primo romanzo della Whitfield è stato tradottto in italiano ma pare che sia molto meno riuscito di questo.
    Potrebbe piacerti Dark Eden di Chris Beckett, che ha appena vinto il Clarke. E' un altro romanzo che fonde bene personaggi, caratterizzazione e idee, anche se è forse un po' più prevedibile di In Great Waters. Look it up.

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    1. Sai che mi fido dei tuoi consiglio, però ecco, 'sto Dark Eden non è che mi attiri particolarmente.

      (Ho finito L'italiana. Non so che effetto faccia a uno straniero, ma da bolzanino è un libro incredibile. E credo che sia stato ancora meglio averlo letto ora, da lontano, piuttosto che allora quando mi sarei sentito troppo coinvolto.)

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    2. Non so. Di Chris Beckett avevo letto racconti interessanti, e mi piace abbastanza da quel che ho potuto leggere. Le aspettative erano alte, per cui sebbene sia stata una lettura piacevole, che non rimpiango, allo stesso tempo è stata una delusione. C'è anche da dire che Dark Eden ricorda inevitabilmente un paio di romanzi per me fondamentali (We who are about to... di Joanna Russ, che prende le mosse da un naufragio spaziale e dal rifiuto della protagonista di fare Eva, RIddley Walker di Russell Hoban, in cui storia e tecnologia sono reinterpretate dopo alcune generazioni come mito) e il libro più famoso di un altro autore che apprezzo (Il Signore delle Mosche di Golding). Sebbene la storia funzioni bene, alla fin fine non c'è nulla di profondo o memorabile che possa reggere questi confronti. Ecco, considerando anche il fatto che lui ha lavorato come assistente sociale e nell'assistenza a minori e famiglie in difficoltà, le dinamiche interpersonali sono convincenti ma non particolarmente sorprendenti. Non significa che preso in sé e per sé non sia meglio del 90% della fantascienza pubblicata.

      Sono contento per l'italiana. E' piaciuto molto anche a me.

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  4. In effetti mi sorprende leggere la tua recensione della Whitfield, perché in Sorpresi dalle tenebre il difetto principale che avevo trovato era proprio l'inconsistenza del mondo rappresentato, che non reggeva a un minimo di logica applicata.
    D'altra parte, è anche possibile che uno scrittore migliori...

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    1. Quel che dici riguardo a Bareback l'ho ritrovato in un sacco di recensioni. Come del resto il giudizio positivo su In Great Waters.

      Si vede che la Whitfield ha preso atto dei difetti del primo romanzo, s'è messa in discussione e al secondo tentativo le è riuscito un lavoro nettamente migliore.

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  5. Anche a me interessa molto il libro della Whitfield, grazie per avermelo fatto scoprire.

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