30 agosto 2011

Letture. Robot 57, 58, 59, 60 - Seconda parte

Illustrazione di Stephan Martiniere dalla copertina di Robot 57.

Spesi nel post precedente i miei due cent sull'offerta saggistica di Robot, rimane da annotare la componente narrativa della rivista.
Da qualche numero tale proposta si è assestata su una formula standard: due/tre tra romanzi brevi e racconti di provenienza anglosassone, il resto dello spazio a disposizione della produzione nostrana, con il recupero retrospettivo di un autore tra quelli che han fatto la storia del genere in Italia.
Nei numeri di Robot presi in considerazione in questo post la qualità media generale mi pare sia leggermente cresciuta rispetto a quelli precedenti (vedi qui per tutti post che dedicano qualche spazio alla rivista), ma forse più per merito dell'eccezionalità del singolo racconto che per un innalzamento distribuito della qualità della narrativa pubblicata.

Nello specifico il numero più debole del quartetto è il 57, che propone come piatto forte un romanzo breve di Lois McMaster Bujold, in verità piuttosto sciapo, le cui tematiche, che sfiorano quel che a me è parso un velleitario autobiografismo, si collocano ad anni luce dalla verve e dal fascino dei suoi romanzi.
Tra i vari racconti (di Alberto Cola, Lanfranco Fabriani, Robert Reed, oltre al curioso recupero di un pezzo di preistoria anarco-sindacalista di un tal Han Ryner, autore per me del tutto sconosciuto) quel che ho apprezzato di più è La danza degli spiriti, di Douglas Smith, che con i suoi spiriti dei boschi e compagnia ecologico-militante assortita non spicca certo per originalità. Eppure il racconto fila dritto come un treno, merito di una buona caratterizzazione dei personaggi e di un plot semplice ma ben strutturato.

Nel numero 58 si percepisce bene la distanza tra la miglior fantascienza anglosassone e quella italiana. Accostare a distanza di poche pagine un autore premio Urania ad uno premio Hugo non lascia molte speranze sulle capacità nostrane di esprimere fantascienza ad alto livello.
Se poi il premio Hugo in questione è Ted Chiang, con un racconto, Respiro, che è spettacolare per ambizione e prospettiva, beh… non sono solo gli scrittori italiani a doversi inchinare alla maestria dell'autore americano.
In effetti nessuno dei nomi presenti nel volume è all'altezza di Chiang: se Adriana Lorusso, Francesco Verso e Giulio Raiola sono lontanissimi, nemmeno Shelly Li ci fa una gran figura, mentre Mike Resnick raggiunge la sufficienza con un racconto che riprende uno standard classicissimo (il negozio fatato) svolgendolo con piglio deciso e professionale.

Robot 59 parte con un romanzo breve di Lucius Shepard: Radiosa stella verde che non aggiunge granché alla lunga e onorata carriera del suo autore.
Decisamente meglio Storia Illustrata del ventesimo secolo di Kim Stanley Robinson che chiude il volume. Il racconto di Robinson, scritto nel 1991 è un piccolo capolavoro (mi piacerebbe davvero sapere come un racconto simile sia giunto all'attenzione del curatore di Robot, a vent'anni dalla sua prima pubblicazione), capace di unire l'angoscia dello scienziato di fronte al dramma della Storia alla vicenda personale di un uomo messo di fronte alla più pura essenza dell'esistenza.
Tra i due autori americani si collocano tre racconti italiani, di Vittorio Catani, Paolo Aresi e Sandro Sandrelli. Se quello di Sandrelli doveva apparire derivativo già al momento della sua uscita, nel lontano 1963, quelli di Catani e Aresi ricalcano temi e situazioni già lette e rilette, ma svolte, almeno nel caso di Catani, con indubbia carica e passione. Se solo Catani riuscisse a svicolare dall'obbligo dell'impegno ideologico a tutti i costi che anima e al contempo frena la sua narrativa, potrebbe davvero ambire a essere la voce forte e autorevole di cui la nostra fantascienza sembra avere tanto bisogno.

Nel numero 60 di Robot è possibile finalmente trovare un racconto italiano che non ha nulla da invidiare a quelli provenienti dal mondo anglosassone. Mi riferisco a Gli ultimi giorni di Bassavilla, di Danilo Arona.
In passato non ho mai apprezzato l'opera dell'autore piemontese. Lasciando da parte la curatela di Bad Prisma, quella manciata di racconti letti non mi avevano mai convinto del tutto. Invece ne "Gli ultimi giorni di Bassavilla" c'è tutto quello che apprezzo in una bella storia: un'idea in grado di svelarsi progressivamente, personaggi e ambienti credibili, atmosfera resa magistralmente, una tecnica narrativa messa al servizio della storia e soprattutto un controllo sopraffino della scrittura.
Credo sia la prima volta (forse m'era capitato con il racconto di Francesco Rinaldi nel numero 42, ma allora non c'era la concorrenza degli autori stranieri) che mi capiti di leggere su Robot un racconto italiano davvero memorabile. E dire che in questo stesso numero erano presenti il vincitore del premio Hugo Eugie Foster e l'ottimo Guida marziana per gli Escursionisti di Ruth Nestvold, piccolo, freddo, divertito e agghiacciante racconto di sopravvivenza marziana.
Al confronto i pur buoni racconti di Dario Tonani e Francesco Dimitri, che in altri numeri di Robot avrebbero brillato di luce propria, paiono semplicemente buoni, mentre è forse il caso di sorvolare su Choukra, di Nicoletta Vallorani, che con la sua retorica, sospesa tra il patetico e il lamentoso, è l'unico episodio davvero sbagliato del volume.
Il compito di concludere questo Robot è affidato al sempre professionale Mike Resnick, stavolta in coppia con Lezli Robyn, che con Anime Gemelle chiude in modo dignitoso il volume.


11 commenti:

  1. Concordo su tutto, in particolare su Arona.
    Ciao.

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  2. Martiniere, gran figo.
    Iguana Jo, no.
    Ted Chiang, inchino, super figo.
    Komodo Jo, grande fan Iguana, apparenza inganna.
    Iguana, grande competenza e passione; narcisismo Iguana, incattivisce.

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  3. @ Nick: a ripensare a questi racconti m'è venuta voglia di leggermi anche gli ultimi. Speriamo che la qualità di Robot sia tuttora in crescita…

    @ Komodo Jo: posso farti una domanda tecnica?
    Come fai a risultare invisibile sia ai rivelatori di visite che a quelli di stronzate?
    C'hai voglia di insegnarmi?
    Grazie!

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  4. A livello base, scarica ghostery un add-on per firefox. Vedi come sono bravo? E ricorda, caro Iguana, che si scrive "ci hai". Sai che mi hanno fregato da sotto il naso una copia di Necroville di Ian McDonald? Tre euro in bancarella, ma porc...

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  5. Per quanto mi riguarda, accetto volentieri le parole di Iguana Jo e anzi lo ringrazio: i racconti o romanzi che lui ritiene troppo vistosamente ideologici, vogliono essere appunto così, fanno parte di una serie, ma rappresentano solo una parte (diciamo: una meta') della mia narrativa, quella che cerca semplicemente di immaginare e descrivere un futuro consequenziale alle derive politico-economiche attuali, quindi non può essere che "di parte", almeno per chi non condivide certe idee. Quanto al racconto di Raiola: è vero, non è la sua opera migliore. Avrei voluto presentare, di lui, "L'ultima finzione di Basilide", ma avevo gia' riproposto questo racconto su un vecchio numero di "Delos". Chiedero' al Direttore se sarà possibile fare un'eccezione. Il racconto della Vallorani fu accolto molto bene allorche' apparve la prima volta: chiaro una storia può piacere come può non piacere; comunque - cado nell'ovvio - la narrativa della rubrica "Retrofuturo" va letta anche immedesimandosi un po' nei tempi in cui fu scritta. Quanto a "Urania": beh, non credo sia mai siata una "rivista". Tranne ovviamente per quei 14 numeri della "Urania" delle origini.
    Grazie, e ciao a tutti.
    Vittorio

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  6. Pardon: una mia grossa svista. Ho scambiato involontariamente il nome di Raiola con quello di Massimo Lo Jacono, l'autore del racconto "L'ultima finzione di Basilide" (in effetti già pubblicato su un vecchio numero di "Delos").
    Colgo l'occasione per chiedere un chiarimento. Mi farebbe piacere sapere cosa intende Iguana Jo per "obbligo dell'intento ideologico che frena... etc". Domando, cioe', se per es. voglio scrivere una storia che ironizzi sulla distruzione del mercato del lavoro che continua a imperversare, sono già sulla via di un "intento ideologico"? Basta l'idea? In realtà si tratta di un evento che accade. Oppure posso scriverne, ma è il modo in cui lo scrivo che denuncia il mio intento? Ma allora come dovrei scriverlo? Onestamente non comprendo. Per me, l'ironia sulla distruzione del welfare o - per dire - una storiae sul preoccupante aumento del divario mondiale tra ricchi e poveri, è semplicemente scegliere un tema come un altro.
    Scrivere sulla distruzione dei ghiacci? Collaboro con una rivista di ecologia, "Villaggio Globale" e scrivo racconti brevi su temi ecologici: è ideologia anche questa? Che differenza fa con una storia sui viaggi nel tempo? Parlo seriamente e sarei lieto di capirne di più.
    Saluti.
    V.
    .

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  7. @ Komodo Jo: Grazie per ghostery. Ho dovutamente apprezzato il gesto. Ah… se vuoi segnalarmi altri errori nei post e nei commenti sei il benvenuto: la lotta tra me e l'italiano è una costante di queste pagine. (Anche se temo non rinuncerò a "c'hai". Mi piace assai più del "ci hai" che mi proponi tu, sorry…)
    Bella sfiga quella di Necroville. Non potevi darti una mossa? Quando ti ricapita di trovarlo? E a quel prezzo poi?

    @ Vittorio Catani: a me pare che molto spesso (almeno nelle tue ultime cose lette, su Robot e su Alia) la volontà di imporre un dato punto di vista sulla realtà pregiudichi la riuscita del racconto, piegando come fa ogni esigenza narrativa alla necessità politica di una dimostrazione a prescindere.
    Non si tratta di condividere o meno una particolare visione ideologica della realtà, quanto piuttosto di riuscire calare tale visione nel contesto narrativo scelto. Invece, leggendo i tuoi racconti, mi ritrovo spesso a fare i conti con un senso del grottesco che mi pare involontario e soprattutto con un'imposizione arbitraria del punto di vista dell'autore che non permette al lettore alcuna scarto rispetto alla validità dell'idea fantascientifica proposta nel testo e sul giudizio politico/morale da dare alla sua rappresentazione.
    A questo aspetto, che secondo me è un difetto di scrittura, si aggiunge la constatazione che nei tuoi racconti si arriva spesso al paradosso (politico!) che ogni novità, ogni cambiamento, ogni evoluzione tecnologico/sociale è portatrice di un peggioramento dell'esistente, mentre il punto di vista opposto (quello che inevitabilmente il lettore viene portato a considerare positivo, con tutte le frizioni del caso) è conservativo, reazionario, quasi nostalgico.
    In breve, e questa è una critica politica che si somma senza sovrapporsi a quella letteraria di cui sopra, a me pare che nei tuoi racconti il progresso (inteso come cambiamento della realtà nel tempo) è male, il rimpianto di un tempo passato è bene. E beh… io non condivido questo punto di vista.
    Ma lasciando stare la politica, io credo che tu abbia la capacità di comporre storie forti e narrativamente interessanti.
    Per dire "Brevi Incontri", pubblicato sul primo numero della nuova edizione di Robot, mi aveva lasciato senza fiato…

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  8. Ok! Grazie per questa risposta, che trovo dettagliata ed esaustiva. Quanto prima un mio commento.
    Vittorio

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  9. Vittorio Catani ha avuto qualche problema nel commentare ulteriormente il post. Mi ha scritto quindi in privato chiedendomi di inserire nello spazio commenti le sue parole.
    La lunghezza del suo commento mi obbliga a dividerlo in due parti.
    Ecco la prima:


    Cerco di rispondere alle tue osservazioni.
    Scrivi di "imposizione del mio punto di vista della realtà". Probabilmente c'è del vero, ma la mia non vuol essere una "imposizione": è semplicemente una "visione" della realtà: la "mia" visione, ovviamente, perché sebbene la fantascienza consenta l'amplificazione di certe situazioni (sappiamo che questa è una delle sue peculiarità, una delle sue "armi"), alla base io rielaboro situazioni che vedo come concrete. Ma queste parole dicono poco o nulla, occorre un esempio.
    Quando si dice che oggi abbiamo "perso il futuro", si dice qualcosa di reale. Oggi tutti pensiamo non al domani (come accadeva fino a qualche anno fa) ma al momento in cui si vive. E viviamo davvero alla giornata. Molti sogni sono caduti (per es. la "conquista dello spazio"),
    molte acquisizioni sociali costate secoli di lacrime e sangue ci vengono tolte senza che alcuno reagisca adeguatamente, la politica diventa
    prepotente, arrogante, distruttiva; l'ambiente frana; mai fra i giovani si era raggiunto il tasso d'ignoranza che ora regna sovrano, anche fra i laureati; il marcio dilaga e sembra inarrestabile, o diventare routine ordinaria. Il miracoloso "liberismo" si dimostra peggiore del male.

    E nulla, nessun segnale, ci dice che le cose miglioreranno. Tutt'altro.
    Almeno per ora. Questa è la mia attuale visione del mondo, ma credo - e continuamente verifico - non solo mia.
    Ora, in un simile contesto (che mai avevo conosciuto prima: penso a come si sognava il 2000 venti, trent'anni fa), mi chiedo come si possa - per chi, come me, voglia scrivere una sf del futuro prossimo venturo - presentare ancora una narrativa ottimista o spensierata, com'era una volta, e che io stesso una volta scrivevo. Se si vuole una sf "realista" e non cadere nell'assurdo, nell'inverosimile, perfino nella sf, non si può prescindere da tutto questo. Né le mie vogliono essere "dimostrazioni a prescindere" né tanto meno "necessità politica di dimostrazione". A prescindere da cosa? Dal mondo reale?
    Certo, ci sono anche le storie di Harry Potter, ed è bene che ci siano, e anche ciò che scrivo io ha le sue eccezioni, quando non tratto questioni sociali, ma la realtà per me è questa. Magari è una visione del mondo come un'altra.

    (continua)

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  10. (continua dal commento precedente, con la seconda parte del contributo di Vittorio Catani alla discussione)

    Ciò - sia chiaro - non significa necessariamente "nostalgia del passato", significa - al più - nostalgia del futuro, un futuro perduto, che
    nonostante tutto si spera sempre non simile al passato, ma "migliore". E non può essere altrimenti: l'autore di sf "pessimista" non
    credo esista: se così fosse, non solo l'autore sf, ma nessun autore scriverebbe nulla. Si scrive invece (anche e specie sf) proprio perché si cerca - con amplificazioni, ironia, satira, etc. - di richiamare il lettore sul presente, proprio per esorcizzarlo.
    Personalmente ho sempre in memoria una frase-chiave di Clifford Simak, che è anche una definizione: "La sf è la narrativa della speranza". E pure io, a ben vedere - anche nel "Quinto principio" nonostante le catastrofi a catena descritte - alla fine chiudo con un filo di speranza.
    D'altro canto esiste il sub-genere della sf chiamato "distopia", e lo conosciamo tutti. Personalmente penso che stiamo vivendo sempre più
    distopicamente.
    Mi rendo conto che queste sono solo le mie intenzioni narrative, che magari non sono poi in grado di trasmettere adeguatamente nel testo: ecco, questo - se ciò accade - mi si può far notare, o addebitare. Ma le intenzioni sono quelle
    descritte: basti pensare alla "social sf" degli anni '50. (Certo, quegli autori restano eccelsi e spesso insuperati Maestri).
    Quanto al senso del grottesco forse involontario, non saprei dire: può darsi che sia anche volontario, perché a me il grottesco - in certe situazioni - piace, ma non so specificamente a cosa ti riferisci.
    Grazie per il parere positivo su "Brevi incontri": se non erro, me ne parlasti anche a voce nella cena di una riunione (credo a Piacenza, o Milano?) di vari anni orsono, e il racconto era uscito da poco. Ma a parte il tuo parere, e di pochi altri, circa questo racconto rammento solo la sdegnatissima e quasi insultante lettera di un lettore pubblicata poi su "Robot", alla quale peraltro non veniva data risposta. Per tutto ciò, non ho più pubblicato storie di quel genere o su certi temi - l'ambiente della sf
    dovrebbe essere quasi per definizione apertissimo, ma spesso non lo è - anche se qualcosa poi l'ho scritta.

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  11. Adesso m'è venuta la curiosità di leggere "brevi incontri"

    Martin Lewis, uno dei giudici del Clarke Award e caporedattore per le recensioni di Vector, la rivista critica della fantascienza inglese, sta recensendo storia per storia Shine, l'antologia di fantascienza ottimista
    http://everythingisnice.wordpress.com/tag/shine/
    Può essere interessante leggere il primo post in basso, il commento all'introduzione.

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