03 marzo 2010

In medio stat virtus?


Picture by Iguana Jo.
Qualche giorno fa su uno Strano Attrattore è comparso un post che univa polemica a recensione e che comprendeva una dichiarazione programmatica che si basava su un preciso assunto:
"Parlo di libri nella norma … Sono questi libri a fornire lo stato di salute di un genere, essendo per la massa molto più facile condizionare la percezione esterna di quanto non lo sia per un singolo titolo … o per un singolo autore … "

Per quanto riguarda la recensione del romanzo di Oppegaard e la discussione sullo stato dei rapporti tra fandom e letteratura di genere vi rimando al post originale di X.
Qui mi interessa approfondire il discorso su quali sono gli aspetti preponderanti di un genere letterario che ne determinano una data percezione presso il pubblico generalista e quello specializzato. Nello specifico si parlerà di fantascienza, ma credo che le ipotesi che salteranno fuori siano valide anche per i generi limitrofi, in particolare fantasy e horror.

Il motivo che mi ha spinto a scrivere queste note è molto semplice. Trovo che la tesi espressa da Giovanni De Matteo sia davvero poco convincente e non individui correttamente i valori che spingono un lettore a riconoscere le caratteristiche salienti di un genere letterario.
Come facciamo a essere certi che per i lettori sia la massa dei prodotti qualsiasi - purché etichettati come fantascienza - a determinare il riconoscimento di tutto un genere? Da dove deriverebbe questa identificazione?
Immagino che l'unico modo che il lettore ha di farsi un'idea di un genere sia frequentarlo, magari sporadicamente o eccezionalmente - penso al lettore generalista o mainstream che dir si voglia - o al contrario in maniera più assidua, addirittura esclusiva e univoca, come accade ai lettori specializzati più spesso di quanto non ritenessi possibile.
Sono convinto che l'idea che questi due lettori tipici si faranno della fantascienza sia poco sovrapponibile, ma comunque in qualche modo coerente con quello che il genere ha da offrire.

Detto questo, a me pare che sia assai più probabile che, qualsiasi tipo di lettore si voglia considerare, la percezione di cosa sia in un dato momento il genere fantascienza non possa in alcun caso derivare dal prodotto letterario medio quanto piuttosto da due modelli fondamentali: il classico sempreverde o il nuovo paradigma. Al primo possiamo ascrivere chessò, Isaac Asimov piuttosto che Philip Dick e romanzi come Fahrenheit 451 o Fanteria dello spazio, al secondo, dai contorni decisamente più sfumati, autori come James Ballard o Iain Banks e romanzi come Neuromante o Distress o qualsiasi altro titolo sia riuscito a dare uno scossone al genere e/o al suo particolare pubblico di quel determinato periodo.

Il lettore generalista si farà un'idea della fantascienza per averne sentito parlare, per averla vista citata, per aver letto i testi più noti e più facilmente reperibili in libreria. Nessuno di noi lettori specializzati consiglierà mai a un amico mainstream un testo che consideri meno che fondamentale. Può anche succedere, e temo capiti con una frequenza non insolita, che il lettore generalista decida di sapere benissimo cos'è la fantascienza basandosi sull'assunto che è quella roba che vendono in edicola oppure trovandosi a leggere proprio l'Urania medio da cui è partita la discussione. Ma temo che in tal caso sia ben poco probabile che questo lettore torni sui suoi passi e dia una seconda possibilità al nostro genere preferito.

Il lettore specializzato, al contrario, sa già benissimo che esistono un sacco di fantascienze diverse e credo sappia altrettanto bene quali sottogeneri apprezza di più e quali preferirebbe evitare. La sua percezione del genere deriva dalla quantità di letture pregresse e da quelli che per lui sono i riferimenti principali. Avendo letto nella sua storia di lettore decine di romanzi e racconti ben lungi dalla perfezione (il cosiddetto prodotto medio) sarà naturalmente più disponibile a scendere a compromessi sulla qualità letteraria del testo, ma al contempo non perderà mai di vista quelle che sono, a suo giudizio, le vette della produzione. Ambirà di conseguenza a trovare quanto più spesso possibile testi analoghi. Come credo capiti a tutti, tenderà a ricordare soprattutto le opere che più lo hanno entusiasmato o, al contrario, quelle che proprio non gli sono andate giù, relegando all'oblio tutti quei volumi che lo hanno magari divertito, ma che costituendo la gran massa delle sue letture non sono stati in grado di colpirlo come solo i grandi racconti o romanzi sono riusciti a fare.

Da questi esempi mi pare evidente che un modello come quello prospettato da Giovanni nel suo blog sia del tutto alieno alla mia esperienza.
C'è però un'ulteriore considerazione da fare.
Se il discorso appena fatto lo trasliamo dal mondo dei lettori a quello degli scrittori le cose acquistano effettivamente un senso diverso. Se ci immaginiamo un autore che voglia misurarsi con il genere fantascienza allora sì che il discorso sulla qualità media del genere ha una sua credibilità. Uno scrittore sa benissimo che, quali che siano le sue aspettative, l'ipotesi di aver realizzato il prossimo capolavoro fantascientifico globale è con tutta probabilità abbastanza remota. Se è dotato di un minimo di umiltà e concretezza riconoscerà i propri limiti e accetterà di confrontarsi con quello che, con un approccio antitetico rispetto a quello del lettore riportato precedentemente, possiamo continuare a definire prodotto medio. Si rapporterà con quella che è l'offerta letteraria del momento, con la segreta speranza di essere premiato dai lettori stessi, con la consapevolezza che "capolavoro" è una definizione che si coniuga a un testo solo dopo che è stato letto, non al momento della stesura, tantomeno a quello della sua pubblicazione.

13 commenti:

  1. Credo che nessuno, mettendosi alla tastiera, si dica "Ok, ora scrivo un libro nella media".
    Nessun musicista aspira ad una performance media.
    Io non cucino un mediocre spezzatino di cinghiale, non svolgo ricerche scientifiche su argomenti nella media e quando pubblico, che diavolo, non mando articoli nella media a riviste nella media.
    E di sicuro non vado in libreria a chiedere al mio amico Massimo Citi "Consigliami un libro medio per passare mediamente divertendomi un paio di serate".

    Il problema, poi, è che naturalmente tutti noi abbiamo criteri diversi.
    E c'è la volta che lo spezzatino non viene proprio al meglio.
    Però è il meglio, quello a cui aspiriamo - come utenti e come creatori.

    La media qualità, il sei a scuola, non è qualcosa di attivamente ricercato, o di consapevolmente prodotto.
    Tutti noi cerchiamo il meglio e vorremmo tanto esprimerci al meglio.

    Poi, si diceva, capita.
    Ho beccato un romanzo che non era proprio eccelso, ma neppure faceva completamente schifo.
    Quelo che io di solito definisco (e alcuni miei lettori si scocciano) "un sano intrattenimeno, ma non grande letteratura".
    Mi sta bene.
    Ma non è ciò che stavo cercando.

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  2. Hai assolutamente ragione. Del resto questo genere di approccio per avere qualche speranza di successo presuppone una conoscenza di quelli che sono gli standard del genere. L'autore che si appresta a scrivere il romanzo di fantascienza del secolo non può non avere ben chiaro in mente quello che nel post definivo il "prodotto medio". Non in quanto obiettivo della sua creazione, quanto piuttosto perché quel tipo di prodotto costituisce la pietra di paragone per comprendere quali siano le aspettative minime di editori e pubblico.
    In questo senso è vero quello che scriveva Giovanni, ovvero che la produzione media di un genere influenza le proposte letterarie ad essa contemporanee. Che in ogni caso è ben diverso dal considerare questo tipo di prodotto capace di dettare il passo dei contenuti, delle idee e delle caratteristiche letterarie del genere stesso, che come tentavo di dire nel mio post è invece stabilito dai "capolavori" (qualunque cosa noi vogliamo intendere con questa parola) che costituiscono la parte più visibile dell'iceberg fantascientifico (quello che tutti vedono e contro cui poi si scornano i titanici wannabe che ne tentano l'avvicinamento).

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  3. Avevo letto le parole di Giovanni in altra maniera, mi sorprende in parte questo tuo post con cui tra l'altro sono d'accordo. E' che secondo me X diceva che per tenere in vita la sf sono essenziali questi libri definibili "medi", e la qualità di questi libri medi ci dice quanto stia bene la sf. Però magari sono io che non ho capito, eh... :)

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  4. Niccolò ha sintetizzato alla perfezione uno degli aspetti che mettevo in evidenza nel mio post. Per tutto il resto, come ti dicevo in privato, un confronto diventa difficile in quanto le nostre posizioni sono così divergenti da sembrarmi incompatibili. Di conseguenza, sarebbe solo volume di banda sprecato :-)

    A quanto ribadiva Niccolò aggiungo solo che a mio parere (umilissimo, fallibilissimo, etc.) un lettore non di genere che s'imbatta in Oppegaard abbiamo la speranza di rivederlo con un libro di SF in mano. Non posso dire lo stesso di un lettore occasionalmente arrivato alla SF che come prima esperienza si sia imbattuto in Egan o Gibson. Anzi, quanti lettori hanno maturato reazioni allergiche al cyberpunk dopo aver letto Gibson? E per me Gibson resta in coppia con Delany il miglior scrittore di SF di tutti i tempi.

    Con questo cosa voglio dire? Che un libro che non si presti a livelli di lettura particolarmente profondi non è necessariamente escluso dall'apprezzamento del pubblico. Così come un libro dotato di meriti incontrovertibili non è necessariamente destinato all'apprezzamento universale.

    Poi, ognuno resta libero di leggere e consigliare i libri che preferisce. Io continuo ad avere bisogno di sessioni defatiganti. Un Goodis minore tra un Hammett e un Crumley, un Oppegaard tra un Reynolds e un MacLeod, nel mio caso funzionano benissimo.

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  5. @ Niccolò: quel che contestavo a Giovanni era l'approccio programmatico, per cui si assumeva il "prodotto medio" come riferimento ottimale dei gusti e delle aspettative del lettore.
    È ovvio che se invece del punto di vista del lettore prendiamo quello del critico (o dello storico della letteratura) allora sì che quello che ci ostiniamo a definire il "prodotto medio" diventa riferimento puntuale di quello che è il polso della produzione di un determinato genere in un determinato periodo.
    Solo, mi pare che i due approcci al testo (quello del lettore e quello dello storico) siano molto molto diversi.

    @ X: non voglio ribadire concetti già espressi più e più volte, ma a me le nostre rispettive posizioni non paiono poi incompatibili, semmai complementari: tu preferisci vedere il bicchiere mezzo pieno, io invece mi ostino a considerarlo mezzo vuoto.

    Ti lascio con una domanda. A un lettore mainstream generico tu che titoli di fs consigli normalmente?

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  6. Innanzitutto bentornato. Ho visto stamattina l'altro tuo post e spero che sia tutto ok! Ci risentiamo comunque per le vie esterne al web ;-)

    Per rispondere alla tua domanda (e poi la pianto), io ho imparato a consigliare titoli "universali" come primo approccio: Vonnegut ("Mattatoio n. 5", "Le sirene di Titano", "Ghiaccio Nove") e Ballard, soprattutto. Se il lettore è appassionato di noir, mi spingo fino a Morgan, che comunque mi sembra di lettura immediata almeno sul primo livello, e soprattutto condisce le sue visioni di dosi massicce di azione, per cui anche volendo risulta difficile annoiarsi.

    Se Bester e Delany fossero di facile disponibilità, consiglierei anche "Tigre della notte" e "Babel 17", che ormai si fondano su un immaginario invalso anche al di fuori della cerchia dei cultori di SF, continuando a conservare quelle prerogative del genere che ce lo fanno amare. Ma non mi sogno più di spingere un neofita verso Gibson, Egan, Vinge o Stross, come facevo un tempo.

    E comunque il discorso di Oppegaard riguardava i lettori occasionali che entravano accidentalmente in contatto con la SF in edicola: ecco, un Oppegaard oggi non è così rischioso come avrebbe potuto essere un Goulart a caso che imperversava in "Urania" qualche decennio fa ;-)

    Ciao!
    X

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  7. Vedi che nonostante la presunta incompatibilità delle nostre opinioni alla fine mi dai ragione? :-P
    Anche tu consigli al lettore mainstream quelli che per te sono capolavori del genere, mica il primo libro "medio" che ti passa davanti…
    Poi certo, il consiglio va modulato ai gusti della persona che ce lo chiede. Dopotutto la fantascienza è il metagenere per eccellenza e la varietà è tale da poter accontentare (quasi) tutti i palati (a conoscerli, ovviamente).
    Da parte mia se mi ha sorpreso il rifiuto di Stross da parte di un paio di conoscenti, mi sono rinfrancato con l'ottima riposta per Morgan e la Bujold. (E un Gibson dato in mano alle persone giuste è tutt'altro che "pericoloso"…).

    Per quanto riguarda il lettore occasionale non so che dirti. Sarà che non credo molto alla sua esistenza, ma non mi porrei troppo il problema di cosa fargli leggere. Non è lui che può far cambiare le sorti commerciali dell'editoria fantascientifica.

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  8. Ma nemmeno per sogno... :-)

    Io sostengo che la funzione di un titolo come quello di Oppegaard (= scrittore non di primissima fascia, sostituire nome con un classico a scelta tra Wilson Tucker, Charles Eric Maine, Barrington Bayley, Daniel F. Galouye, o autori più recenti come Robert Sawyer o Michael Marshall Smith) è duplice:

    a. innanzitutto, non rischia di allontanare un lettore occasionale che s'imbatte nella SF per la prima o una delle prime volte, a differenza di quanto accadrebbe con un capolavoro scelto a caso (Bester, Delany, Vonnegut e Ballard sono scelte mirate, hanno bisogno di qualcuno che ti piloti sui loro titoli; ma un Gibson agli esordi è una terapia d'urto quasi per chiunque);

    b. non danneggia affatto chi già sa cosa di buono e cosa di meno buono ha da offrire il genere (a differenza, chessò, di "Futureland" di Mosley, che io ho trovato una perdita di tempo in quanto sembra un campionario di come oggi non dovrebbe scriversi fantascienza, scritto da quello che per altro è un campione riconosciuto della nuova generazione noir made in USA).

    Preciso inoltre che io non consiglio affatto quelli che per me sono i capolavori del genere, bensì quelli che ritengo gli esempi più rappresentativi della SF e che reputo al contempo più facilmente digeribili. Se dovessi consigliare i capolavori del genere in maniera indiscriminata dovrei infilarci dentro anche Gibson, Banks, Stross, ma non potrei attendermi la stessa risposta.

    Infine: se non credi nel lettore occasionale che si avvicina al genere dai generi contigui o per semplice curiosità, allora dovresti spiegarmi come credi che la fantascienza possa guadagnare nuovi lettori, sufficienti per esempio a giustificare il salto di una collana da edicola verso la libreria come hai più volte auspicato. Perché l'unica alternativa al lettore occasionale credo che sia il lettore neofita, e di giovani leve pronte ad abbracciare la causa dell'editoria se ne vedono sempre meno (e sicuramente, come dimostrano le inchieste fatte di recente, finiscono per preferire in maggioranza altri canali mediatici alternativi alla letteratura, specie nell'ambito delle produzioni SF). Siamo dunque spacciati?

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  9. Parto dal "lettore occasionale" e provo a spiegarti perché secondo me tale figura non ha alcuna rilevanza, almeno per quanto riguarda il suo essere potenziale motore di cambiamento dentro e fuori la letteratura di genere.

    Il lettore in italia non è occasionale. Secondo i dati del Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2009 (che ho scoperto imbattendomi in questo post) c'è una netta divisione in italia tra chi non legge o legge meno di tre libri all'anno (86% della popolazione) e quel 14% restante che da solo legge il 41% del totale della produzione libraria annuale.

    A me pare evidente che per allargare il bacino dei lettori fantascientifici sarebbe molto più efficace a) rivolgersi a chi non legge , b) convincere qualcuno di quei 3 milioni e rotti di italiani lettori forti che anche la sf ha il suo fascino.
    In questo senso il lettore occasionale da edicola non ha il minimo peso. Per lo stesso motivo la libreria, e non l'edicola, dovrebbe essere il mercato elettivo per un genere che si vorrebbe far crescere.
    Dopotutto i lettori di Urania fanno già parte di quel 14% citato sopra, sono già lettori forti, per di più fidelizzati nel tempo. E per la stragrande maggioranza sono lettori vecchi.

    Arrivati a 'sto punto posso anche rimodulare la mia posizione. Oppegaard e compagnia vanno benissimo in edicola, tanto il lettore di Urania sa già cosa attendersi. Vanno molto meno bene come specchietti per le allodole letterarie.
    Come scrivevi più sopra, tu al lettore curioso nei confronti della sf non consiglieresti mai un Oppegaard qualsiasi, ma punteresti su testi che uniscono uno sguardo originale ad indubbie qualità letterarie (che non vuol dire autori stilosi ma scrittori con una voce riconoscibile. Per citare un nome fatto più sopra, la Bujold non è certo un esempio di scrittura alta, però le sue storie…), scegliendo il dato titolo a seconda del tipo di lettore con cui ti stai confrontando.

    In definitiva quello che sto cercando di dire è che non ho assolutamente nulla contro la produzione media uranica, salvo prenderla a paradigma di un genere che invece ha molto di meglio da offrire.

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  10. Leggevo su Distruggere Alphaville, di Valerio Evangelisti, che tutto sommato la libreria non fa tutto quel testo che si crede: è l'edicola che ha formato il lettore - compresa me stessa a suo tempo -, ed è l'edicola, o la cartolibreria, che ad esclusione del nord in Italia ancora predomina. E il lettore da edicola può non essere tanto occasionale; il poverino però trova quasi solo Urania, mentre un'offerta più vasta potrebbe invogliar di più all'acquisto e lettura.
    Perché voi signori auspicate con tanto zelo la libreria? Ieri mi sono ritrovata la mia Scarlett Thomas economica all'edicola della stazione, senza coste nere ma con la copertina originale seppur appesantita da qualche commento idiota. Comprato e regalato in serata.

    Scrittori con una voce riconoscibile, dice Iguana. Bravo. Questo è un eccellente criterio per consigliare un libro di sf al lettore di mainstream, magari basso, con buone possibilità di farlo felice. Se è un lettore. Ché se non legge c'è poco da fare, le statistiche sull'analfabetismo di ritorno sono desolanti.

    Poi è ovvio che uno conosce i suoi polli e consiglia in base al destinatario. Il bello della sf è che con un po' di attenzione si può trovare qualcosa di adatto ad ogni tipo di umanottero.

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  11. Una precisazione per Zoe.
    Non ho nulla contro l'edicola intesa come luogo dove si spacciano testi più o meno preziosi.
    Se parlo di edicola vs libreria mi riferisco unicamente al destino infausto di quei testi che hanno la prima come unica destinazione.
    Anche il miglior Urania dell'universo dopo un mese sparisce ed è virtualmente irraggiungibile da qualunque occasionale lettore avrebbe potuto incontrare.
    Ma non voglio tornare per l'ennesima volta sul discorso Urania.
    Se hai voglia puoi leggerti questi post: 1, 2 e 3. Occhio che sono lunghi e, temo, un pochino noiosi…

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  12. Letti i post,grazie - capisco che mi sono infilata in una vecchia querelle. E alla luce di quanto è stato detto, io vedrei banalmente bene il doppio canale, edicola e libreria, rispettivamente per riviste e libri.

    Ma il problema principale resta secondo me la mancanza di una seria disamina critica di questa mitologia del futuro prossimo nei suoi aspetti estetici e conoscitivi: essa presenta nuove opportunità di apprezzare trascurate bellezze (un es. minimo: Il continuum di Gernsback)e di osservare teorie avanzate collocate in contesti inusuali, e quindi più facilmente godibili (es. minimo: At Rialto, di Willis).
    Quel che ci occorre è una scuola di recensori non digiuni di filosofia e con una forte propensione al marketing creativo...

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  13. Sul fatto che la fantascienza in italia sia un genere negletto e schifato un po' da tutte le componenti del sistema editoriale credo siano rimasti ormai pochi dubbi.

    Al punto in cui siamo arrivati che per rifondare il genere si parta dagli editori, dagli autori o dai critici a 'sto punto è davvero poco importante, sol che si cominci…
    Anche se non saprei mica dove riporre le mie speranze.

    Da parte mia posso solo contribuire col segnalare quel che di buono - e meno buono - mi capita tra le mani. È un po' pochino, ma non saprei che altro fare.

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