15 luglio 2009

La parusia


Picture by Iguana Jo.
Sgombriamo il campo dagli equivoci. In questo blog non si pubblicano recensioni (che siano di romanzi, di film o di quel che vi pare). Le recensioni sono roba ben più seria delle note che trovate scorrendo i contenuti di queste pagine. Io mi limito a leggere qualche libro e a riportarne poi un'impressione. Se qualcuno la trova utile, bene, altrimenti va bene lo stesso, che lo scopo principale di questi post è chiarirmi meglio le idee. Questo ovviamente non significa che il contributo degli eventuali visitatori non sia considerato, anzi!
Scrivere mi costringe a pensare, ma è grazie ai i vostri commenti che sono costretto a pensare meglio e di più!

Vedi per esempio Come ladro di notte, esaltato un po' ovunque come il capolavoro introvabile della fantascienza italiana, che è appena uscito in una nuova edizione per Urania Collezione. Erano anni che sentivo parlare di questo romanzo. I pochi (che le edizioni precedenti del romanzo sono praticamente introvabili) ma agguerriti sostenitori dell'opera di Miglieruolo non perdevano occasione di rilanciare il suo nome tra gli autori che bisognava assolutamente ristampare. Io non potevo certo ignorare tante insistite perorazioni, ma ora che l'ho letto ho le idee parecchio confuse.

Da dove partiamo? Da una genericissima disanima della fantascienza italiana secondo me? Va bene, so che mi vado a infilare in un altro ginepraio, ma almeno proviamoci.
Mi sono ripromesso di stare sul generico, quindi diciamolo subito: in generale la fantascienza italiana non mi piace.
Se la mia avversione verso la produzione sf nostrana si è trasformata a tutti gli effetti in un pregiudizio, lo si deve probabilmente a quelli che ho riscontrato essere i suoi tratti caratteristici: la mancanza pressoché assoluta del senso del meraviglioso, l'incapacità di uscire dalla dipendenza da modelli preesistenti, il disperato quanto futile bisogno dell'autore di sovrastare la storia con la propria voce, la propria arte (pfui!), l'assenza di grinta e coraggio e leggerezza, il grigiore generale di cui sono permeati racconti e romanzi.
Questi difetti sono tanto più evidenti quanto più si risale il corso del tempo, tanto che quando qualche anno fa m'è capitato di leggere il primo volume di fantascienza italiana che non mi ha deluso (per i curiosi si trattava di Nessuna giustificazione di Enrica Zunic) credevo sinceramente fosse finalmente arrivato il tempo della maturità anche per la nostra fantascienza. Poi è saltato fuori che mi sbagliavo, che se in effetti da quel momento in poi qualcosa di buono ogni tanto l'ho trovato, si tratta ancora di primi passi, altro che maturità.
Questa però è un'altra storia.

Torniamo dunque a Mauro Antonio Miglieruolo e al suo romanzo.
Non faccio nessuna fatica ad immaginare le reazioni entusiaste di Aldani prima, e di Curtoni e Montanari poi, alla lettura del manoscritto di Miglieruolo. Siamo intorno al 1970 e per lo standard dell'epoca (si legga ad esempio l'antologia Universo e dintorni che offre un panorama della produzione italiana degli anni '70) Come ladro di notte si colloca davvero in un'altra dimensione.
Io però il romanzo l'ho letto solo ora, e mi chiedo se a quarant'anni di distanza quell'entusiasmo sia ancora giustificato.

Partiamo con le note positive.
Più ancora della storia quello che mi ha colpito nella space opera di Miglieruolo è la struttura del romanzo, che se ne frega della linearità della narrazione e si sviluppa per addizione di quadri ed episodi, lasciando al lettore il compito di orientarsi tra personaggi, ambienti, sequenze temporali e avvenimenti. Una struttura simile, per quanto tutt'altro che perfetta, soprattutto per la sovrabbondanza di dettagli narrativi che non vengono approfonditi, è qualcosa di profondamente diverso da quanto offriva la fantascienza dell'epoca. A questa struttura si aggancia l'ambizioso intento dell'autore di voler raccontare una storia profondamente (definitivamente?) politica. Anche se questo aspetto del romanzo mi ha lasciato piuttosto freddo (se non francamente irritato, vedi per esempio la sovrapponibilità perfetta tra teoria e pratica dell'ideologia - e fanculo a tutte le persone prese in mezzo - e la frattura evidente tra questo approccio e la vita vera) non è in realtà un vero difetto, che molto dipende dall'approccio politico del lettore. Bisogna inoltre tener presente che questo è un romanzo figlio degli anni '60 e qualcosa bisognerà pur concedergli.
Sullo sfondo di Come ladro di notte, a sostenere attivamente la vicenda, c'è un universo che per le dimensioni esagerate e i valori numerari che entrano in gioco non ha uguali nella storia della fantascienza italiana: miliardi di astronavi (elencate per classi, ordini, armamenti, equipaggi e dislocazioni che nemmeno un Carlo Emilio Gadda in pieno trip spaziale), sistemi stellari a gogò, pianeti artificiali per tutti i gusti e dimensioni, elenchi su elenchi di materiali, tutto spianato davanti agli occhi del lettore allo scopo di travolgerlo con la potenza di fuoco della semplice aritmetica. Un gigantismo sfrenato che se da un lato fa sorridere, dall'altro rende bene l'idea dell'enorme macchina burocratica messa al servizio della distruzione dell'uomo (sì, avete letto bene, nel romanzo non si perde tempo in futili problemi esistenziali - non solo almeno - ma si racconta degli ispirati preparativi per terminare la vita umana nell'universo. Mica quisquilie.).
L'impianto narrativo di Come ladro di notte non farà urlare al capolavoro, ma è decisamente più interessante di quanto capita solitamente di leggere negli stretti ambiti della fantascienza nostrana. I problemi del romanzo sono altri, e iniziano sin dalla prima riga. L'italiano che Miglieruolo utilizza per raccontare la sua storia è quanto di meno leggibile mi sia mai capitato di incontrare. Io non sono un esperto di sintassi, la grammatica non è certo il mio forte, ma ho la presunzione di saper distinguere un italiano volutamente complesso, con frasi articolate e composizioni ardite (prima citavo Gadda mica così tanto per dire) da un italiano che ambisce a certe altezze e che si deve invece accontentare di essere una copia maldestra di tale complessità. La lingua utilizzata dall'autore m'è parsa esageratamente barocca e leziosa, talmente finta, teatrale e altisonante che arrivare a fine romanzo è stata davvero una fatica. La cosa che mi ha più sorpreso è che nessuno sembra averci fato caso: nè nella postfazione di Lippi, né nelle parole di presentazione di Curtoni & Montanari si fa più di un vago cenno alla scrittura di MIglieruolo. Nemmeno nei pochi commenti letti in rete la questione del linguaggio viene mai menzionata. Eppure a me è sembrata davvero una cosa evidente! Mah… forse sono davvero io che non capisco, ma non credo che certe scelte stilistiche siano casuali. Se Miglieruolo ha scelto un certo regitro avrà avuto i suoi motivi. Mi piacerebbe solo conoscerli! Che se non fosse per questa incomprensione, il romanzo non sarebbe stato niente male.

Se qualcuno volesse illuminarmi, prego, si accomodi.


12 commenti:

  1. Io non ce l'ho fatta a finirlo proprio per la scrittura così pesante e odiosa, se ti può consolare... :)

    Sui difetti classici della sf nostrana sono d'accordo al 100%!

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  2. Mi consola assai! :-)

    Sarei però ancor più soddisfatto se si facesse vivo qualcuno a spiegarmi cos'ha di così stupefacente il linguaggio di Miglieruolo.

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  3. Come sarebbe "non si pubblicano recensioni"? sei una redazione composta da un uomo solo!
    Ho una idea un po' diversa rispetto alla tua della fantascienza italiana, nel senso che è la stessa, ma molto meno severa. Tutte le sf non anglosassoni hanno avuto difficoltà a produrre innovazione, ma è nell'ordine delle cose. Lem ci è riuscito... ma era Lem o la sf polacca? direi Lem. Il discorso vale anche per la nostra, ovviamente.
    Come sai invece a me Come ladro di notte è piaciuto molto, ed esattamente perchè è un romanzo ambizioso e sperimentatore che si distanzia molto da tutto ciò che lo circonda. Peraltro lo ricordi anche tu; a me non pare affatto poco. Letto con gli occhi di quegli anni davvero deve essere apparso una supernova a Curtoni e Montanari, ma credo regga bene anche oggi. Gli aspetti che leggi in positivo nel romanzo sono gli stessi che leggo io, e non mi sembrano piccoli particolari: svincolarsi dalla regola ferrea del plot era nella temperie culturale di quegli anni ma non è che arrivassero così tanti applausi (o vendite) quando si provava a farlo. I troppi che oggi disprezzano il gruppo '63 e le avanguardie del periodo leggono quegli avvenimenti un po' meccanicamente. La lingua: qui parzialmente sono d'accordo. Avevo citato (non ricordo se qui da te o da X) alcune locuzioni qui e lì che avrebbero meritato un editing più severo, ma sono granaglie sparse, poca roba. Per il resto a me pare una lingua volutamente barocca (intersecata da inserti con costruzioni diverse) niente affatto illegibile, il riflesso sul piano della forma dell'ambizione del plot. Il romanzo è ridondante tutto, da qualunque angolo di visuale lo si guardi, ma con un cuore nichilista che molti acclamati narratori "dark" nemmeno si sognano di provare a costruire. Poi, legittimamente può non piacere, ma qualche sospetto a me passa per la testa. Non parlo di te, ma in generale. Di gente che non ama De Andrè sulla base del sofisticato argomento critico: "è triste, che palle!" ne conosco... però poi magari la stessa gente strippa per Nick Cave, che invece è un allegrone come tutti sanno. Penserò male, ma temo che in tanti si sarebbero spellati le mani se per qualche misterioso errore tipografico Come ladro di notte fosse stato pubblicato a firma Charles Stross...

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  4. Aspettavo con curiosità questo tuo commento annunciato.
    Il 90% dei libri che leggi li ho letti/li vorrei leggere anche io, alcune volte non condivido i tuoi gusti ma ti considero, letterariamente parlando, uno spirito affine (ad esempio per "colpa" tua mi sono fatto un weekend con Cime Tempestose... grazie!)

    Come ladro di notte a me è piaciuto.
    certo è un libro dai mille e mille difetti e ho fatto anche fatica a leggerlo in certi passaggi.
    E' poi un libro figlio del suo tempo come pochi altri, o almeno immagino visto che non c'ero, ma a me lettore curioso del periodo storico ha fatto respirare l'aria di quegli anni come poche altre cose (forse solo come Pugni in tasca, il film di Bellocchio): il rapporto col potere, il rapporto di questo col mondo femminile, l'impianto smodatamente cosmico a supporto di un'idea filosofica genuinamente semplice ma non semplicistica e, infine, la sperimentazione sul linguaggio.

    A onor del vero, mi pare di ricordare nella postfazione di Lippi una frase del tipo "il linguaggio subisce una bizzarra operazione di sintesi", che fuori dai gusti personali credo inquadri perfettamente l'operazione.
    Onestamente, in alcuni passaggi come ladro di notte è illeggibile. Certamente non l'ho compreso appieno. E' infarcito di una complessità spesso artificiosa.
    Però è un romanzo "potente" come pochi, e sono felice di averlo potuto leggere a distanza di così tanti anni.

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  5. Innanzitutto grazie a entrambi per il vostro contributo.
    Sul fatto che "Come ladro di notte" sia effettivamente qualcosa di molto diverso da quanto prodotto dalla fantascienza italiana, almeno per l'epoca in cui ha visto la luce, beh… direi che siamo tutti concordi.
    Che questo sia sufficiente a farne un capolavoro? Io mi tengo i miei dubbi.

    Qualche nota in risposta ai vostri commenti:
    @ Daniele: a me piace sia De André che Cave, dici che ho ancora qualche speranza? :-)
    Sul fatto che c'è sempre qualcuno pronto a sparare a zero, così, per partito preso (e a prendere cantonate colossali), non ci piove, del resto certi atteggiamenti si giudicano da soli. In questo senso capisco il riferimento a Stross, anche se non sono per nulla d'accordo con l'accostamento al romanzo di Miglieruolo. Tra questi due autori non potrebbero esistere visioni più antitetiche della vita, l'universo e tutto quanto. Dalla politica (a me pare che in Miglieruolo sia da preferire la massa al singolo, mentre in Stross è sempre l'individuo al centro della narrazione), alla scrittura (non c'è bisogno di sottolineare la leggerezza dell'inglese al confronto della pesantezza dell'italiano, vero?), non c'è davvero nulla che accomuni i due nomi.

    @ Jericho: io capisco che un libro possa piacere o meno, ma che il giudizio sia opposto per gli stessi identici motivi è ben curioso, no? :-)
    BTW la frase di Lippi ricade in quelli che definivo "vaghi cenni", che se il linguaggio del romanzo è così importante avrebbe meritato ben altra evidenziazione.

    Insomma, io non riesco a far finta che "Come ladro di notte", con tutti gli indubbi pregi che ha, non sia stato scritto in maniera per me totalmente sbagliata. Lo stile che l'autore adotta per la stesura del testo è parte integrante del piacere che traggo dalla lettura, se viene a mancare crolla una delle fondamenta del libro. O mi sbaglio?

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  6. Anche a me piacciono tutt'e due ;)
    Ovviamente il riferimento a Stross era nel senso che hai colto, tra i due ci sono un milione di differenze. E soprattutto intendevo questo: molti lettori diciamo "hard" lamentano che manchi questo o quello, ne abbiamo chiacchierato in un tuo post precedente. Lo faccio anch'io, anche se non attribuisco per questo particolari colpe alla collana di sf per eccellenza. Però quello che molti di questi lettori hard dimenticano e/o non conoscono è che questo gruppo di autori che dovremmo poter leggere anche in italiano il più delle volte sono appunto più difficili, più articolati, letterariamente più complessi etc. etc. di quelli che vediamo tradotti di solito. Bene, eccovi servito un bel romanzone complicato, Come ladro di notte... e non vi piace? ma siete sicuri di sapere cosa scrivono quegli autori che vorreste?
    Altra cosa è avere cognizione di causa e articolare perchè una cosa piace o no e a che livello etc, che è quello che fai tu. Poi, stabilito questo, nulla si deve leggere per forza e nulla deve piacere per decreto reale, nemmeno se è considerato un must dai più o dalla banda degli amici. Di mostri sacri che a me non dicono molto ce ne sono, Ellroy non lo apprezzo granchè ad esempio...

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  7. Ehi!
    Finalmente un punto in comune!

    Anche secondo me Ellroy è un tantino sopravvalutato!

    :-)

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  8. Anzitutto un grazie di cuore a tutti, anche a chi ha manifestato una valutazione negativa, per l'attenzione prestata alla mia opera. Che se ne legga e discuta questo è il più che un autore dovrebbe aspettarsi quale conseguenza della pubblicazione della sua opera. Sul romanzo non ho altro da dire che, una volta licenziato, con tutta evidenza, non spetta più a me dire, ma a coloro che hanno la ventura di leggerlo (ho detto ventura, non sventura, ed è persino troppo). Quanto alla allora mia giovane età e la conseguente inesperienza, sarebbe patetico metterla avanti. E' il risultato che conta, nel le difficoltà che ne hanno accompagnato la produzione. Non mi rimane dunque altro che spendere una parola a difesa della Fantascienza Italiana, la tanto bistrattata e pur vitale, Fantascienza Italiana. Se qualcuno volesse un giorno scrivere qualcosa sulle condizioni impossibili (non solo difficili) in cui si è andata costituendo, si accorgerebbe che un volume da enciclopedia di lamentele sarebbe a malapena sufficiente per descrivere le sole vessazioni, i rifiuti, la disinvoltura di quei tanti che avevano in mano il potere di promuoverla o di soffocarla (è stato scelto di soffocarla). La totalità degli ostacoli rimarrebbe comunque fuori. Non dimentichiamo, ad esempio, che la FS Italiana nel suo insieme subiva l'altraggio di essere paragonata con la crema della Fantascienza anglosassone, con il meglio di una produzione che aveva avuto alle spalle 40 anni di produzione (in 50 Stati!) e 40 anni di possibilità di sperimentare e crescere. Non dimentichiamo anche una certa esterofilia sempre in voga da noi che ci porta a preferire quello che viene da fuori a prescindere da ciò che può darci quello che è prodotto all'interno. In queste circostanza ha del miracoloso che scrittori italiani abbiano continuato e continuino a produrre e a chiedere udienza!
    Solo negli anni Novanta, nonostante i tentativi isolati dei Curtoni e Montanari, si sono aperti spazi editoriali permanenti. Cioé si sono aperti quando, per una serie di cause che occorrerebbe troppo spazio per descrivere in dettaglio, la Fantascienza era, a livello mondiale, già in ginocchio: già nelle strette di una crisi che solo nell'oggi sembra poter essere invertita.
    Il declino specifico, apparentemente irreversebile, della Fantascienza di origine USA ha letteralmente costretto gli editori a aprire spazi un tempo insperati.
    Non dunque per merito nostro siamo riusciti a rompere la "congiura del silenzio", ma per demerito di quella che un tempo era apparsa come l'unica Fantascienza possibile (ma, ritengo, avuto l'apportunati, l'abbiamo decorosamente utilizzata); Fantascienza che oggi è ridotta a essere, a partire almeno dal famoso cyberpunk, di scarso o nullo interesse. Mentre un tempo potevano essere letti con entusiasmo singole opere di Heinlein, Van Vogt, Sturgeon ecc. e con un certo interesse il complesso del meglio della loro produzione, trovo oggi che il migliore Daniele Vecchi e il migliore Bruno Vitiello, per citarne solo due, tengano il confronto con la migliore Fantascienza tradotta in Italia negli anni '50 e '60.
    Poi naturalmente ci sono i polpettoni, la grande maggioranza delle opere mediocri. Ma mi sembra sia stato proprio Sturgeon ad affermare che il 90% di ciò che veniva pubblicato era degno di finire nel cesto della spazzatura. Volgiamoci inidetro allora e valutiamo se, nonostante tutto, qualcosa di quanto offerto dai vari Aldani, Sandrelli, Scerbanenco abbia o meno superato il filtro tremendo della regola del 90%. Io dico di sì.
    Non solo, ma dico anche: non è un caso se tra i migliori dell'epoca cito due che erano anche editori più uno scrittore la cui fama si era costituita altrove. Molti altri solo un po' meno bravi, privi di quel ruolo, hanno dovuto cedere le armi senza neppure l'onore delle armi!

    P.S. Scusate la fretta e gli errori, ma scrivo soggiogato dall'inclemenza di un malanno di stagione.
    Buon Anno a tutti

    Mauro Anotnio Miglieruolo

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  9. Benvenuto da 'ste parti Mauro Antonio, e grazie per il tuo contributo. Fa sempre piacere leggere l'opinione di chi la fantascienza l'ha vissuta e praticata per tanto tempo.

    Mi permetto però di fare un paio di considerazioni su quanto scrivi.
    "la FS Italiana nel suo insieme subiva l'oltraggio di essere paragonata con la crema della Fantascienza anglosassone"
    Oltraggio? Addirittura?
    E perché un autore di fantascienza non dovrebbe confrontarsi con quanto di meglio il genere ha prodotto fino a quel momento?
    Partire con già un riferimento doveva costituire semmai un vantaggio non un handicap!


    "Fantascienza che oggi è ridotta a essere, a partire almeno dal famoso cyberpunk, di scarso o nullo interesse."
    Ne sei davvero convinto? Qual è stato l'ultimo libro di fantascienza che hai letto?
    Non posso parlare di quella che era la situazione negli anni '60/'70 del secolo scorso, non frequentavo abbastanza il genere per avere le idee chiare, ma ti assicuro che la fantascienza post cyberpunk non è poi così male. Provare per credere…

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  10. A mio parere un romanzo veramente grande.
    Ancora oggi pieno di mille dettagli che vale la pena di scoprire.
    Sommersi, è vero, in una mare di pesantezza e provincialismo linguistico, tipici di tutta la letteratura italiana di ogni epoca e argomento.
    Consiglio di leggerlo parecchie volte, come ho fatto dopo averlo buttato la prima volta, cambiando l'ordine di lettura, sfogliandolo a caso.
    Le cose peggiori sono le espressioni dialettali, (dare la biada? vergognare qualcuno? tsch!) ma anche l'abominevole "discorso interiore".
    Le migliori: il linguaggio burocratico e ipocrita dei potenti, le espressioni di saluto ecc.: bellissime!.
    Purtroppo manca all'autore l'umorismo di Vance, che usa metodi simili con ben altra grazia!, direi anche che gli manca l'umorismo e basta, come a tutti i letterati italiani.
    Un bellissimo libro che varrebbe la pena di leggere tradotto in Inglese.

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  11. Ciao Vaxlawval, e benvenuto da 'ste parti.

    A proposito di quel che scrivi, sai che faccio davvero fatica a conciliare l'idea di un grande romanzo sommerso però in "un mare di pesantezza e provincialismo linguistico"?
    Non vedi nessuna contraddizione in questa affermazione?

    E poi diciamocelo, a chi verrebbe voglia di rileggersi il romanzo dopo una presentazione come la tua?

    A me mica tanto…

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  12. Cercavo di essere coinciso, evidentemente non mi sono espresso bene; mi permetto di continuare perchè "come ladro di notte" mi interessa davvero.
    Grande romanzo perchè ha una trama potente, veramente molto personale (odio infinitamente i romanzi "ben scritti" grazie alla polverosa guida dei corsi di letteratura creativa che appestano le università).
    Ancora, alcune frasi hanno una grande eleganza, temo siano quelle su cui l'autore ha riflettuto di meno, scrivendole di getto.
    La pesantezza è superabile, però dispiace quando l'autore ci rifila malamente un eccesso di pagine da tono biblico od evangelico, basterebbe bilanciarle meglio per ottenere una bella scrittura.
    Comunque qualcuno conosce qualche buon autore Italiano, esclusi Calvino, Boccaccio e Petrarca, che non sia pesante e provinciale?
    Lo Humor, la leggerezza nello scrivere di grandi temi, non sono, credo, nella nostra cultura.
    Riuscite a immaginare un "Maestro e Margherita" (per me la piè grande opera letteraria di tutti i tempi) Italiano?

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