Come un reduce da infinite discussioni ritorno, ancora una volta, a parlare di cyberpunk. L'occasione è data da un improvviso ritorno di fiamma di quella critica che tende a ridimensionare una delle pietre angolari su cui si fonda il sottogenere.
Ha cominciato
Gianluca Santini con un
post di apprezzamento su
Neuromante di
William Gibson, subito rintuzzato da
Davide Mana, da sempre critico nei confronti dell'autore canadese, che ha proposto
una lista di letture alternative ai soliti nomi tirati in ballo quando si parla di cyberpunk.
Su
Strategie evolutive ho espresso qualche dubbio sulla bontà di alcuni dei titoli elencati e ho rimarcato i meriti di Gibson, ma per mancanza di tempo non sono riuscito ad articolare meglio il mio punto di vista. Ci riprovo ora.
Davide rimprovera due cose a
Neuromante: l'essere il discendente brutto e noioso di un sacco di bella letteratura precedente, l'essere stato di moda.
Non posso contestare nessuna delle due affermazioni, la prima, per quando possa non condividerla, è del tutto legittima; la seconda, per quando io gli dia un segno positivo, non posso che riconoscerla come vera.
Quel che posso fare è cercare di riaffermare come mai, a me,
Neuromante ha cambiato la vita (si fa per dire) e perché il cyberpunk, lungi dall'essere stato devastante, ha invece
salvato la fantascienza.
…
Si era nella seconda metà degli anni '80. Dopo la scorpacciata adolescenziale avevo praticamente smesso di leggere fantascienza. In quelle storie piene di meraviglie, divertenti e magari pure intellettualmente stimolanti non mi ci trovavo più, o meglio, nelle pagine di quei volumi non riconoscevo il mondo che iniziavo ad esplorare in quegli anni. In
Neuromante ho ritrovato, per la prima volta in un romanzo di genere, le stesse suggestioni che mi regalavano romanzi che con la fantascienza avevano poco a che fare. Il romanzo di Gibson è stato forse il primo libro in cui sono riuscito a scorgere uno sprazzo di futuro che non pareva del tutto ipotetico o letterario, uno dei pochi testi in sintonia con la realtà extraletteraria di quegli anni (per come la percepivo io perlomeno).
Davide ha un bel da citarmi il nugolo di precursori che con tutti i loro meriti hanno spianato la strada al cyberpunk. Nel 1984 nessuno di quegli autori era ancora riuscito a creare quel mix perfetto di atmosfera, scrittura, visione e prospettiva che
William Gibson ha messo in piedi nel suo primo romanzo. Prendiamo due nomi su tutti, due autori che ho apprezzato anch'io, uno più, uno meno, nel corso del tempo:
Raymond Chandler e
John Brunner.
Raymond Chandler è solitamente il primo nome a venir citato parlando di cyberpunk. Atmosfere e personaggi del noir hard-boiled rieccheggiano ripetutamente nelle pagine di
Neuromante: il cavaliere con più di una macchia a sporcargli il soprabito ma col cuore immacolato, la fanciulla bella e letale, il potere corrotto e il male diffuso, la strada e la città al centro dell'azione. Appropriarsi di certi stilemi e riproporli in un contesto
altro non è certo un crimine, soprattutto se all'adattamento
logistico si somma una scrittura che oltre a far risuonare il cuore pulp del romanzo, non disdegna incursioni in territori parecchio diverso, tanto che all'epoca azzardai addirittura accostare la scrittura visionaria di
William Gibson alla prosa beat di
Jack Kerouac. Con il suo testo sfuggevole e obliquo, con il privilegiare atmosfera e invenzione e sensibilità, anche a dispetto della linearità della trama
Neuromante ha dato una bella scossa a una fantascienza che, dal mio angolo di mondo, sembrava attraversare una decisa crisi creativa.
Se
William Gibson si deve confrontare con il creatore di Marlowe sul piano stilistico, con
John Brunner il confronto avviene sui contenuti.
Un decennio prima di
Neuromante l'autore inglese aveva pubblicato
The Shockwave Rider (intitolato in italiano
Codice 4GH nell'edizione del 1979,
Rete globale nel 1996), conquistandosi di diritto un posto nella storia per aver anticipato l'avvento di internet con tutti gli annessi e connessi del caso (connessioni, hacker, virus, etc etc). A prescindere da ogni considerazione sul valore predittivo della letteratura (ma davvero credete che sia compito della fantascienza quello di prevedere il futuro?), a me pare che sia a livello empatico che si notano tutte le differenze tra i due romanzi. Il mondo tratteggiato da Gibson mi appariva vero, vivo e vitale sia dalle prime battute, mentre il panorama di Brunner non riesce mai a sganciarsi dalla pagina scritta e intergrarsi con la realtà che mi circondava. Le problematiche personali e sociali che si agitano tra le righe di
Neuromante non hanno un corrispettivo altrettanto credibile e
profondo in
Rete globale e per quanto l'approccio
politico di Brunner sia apprezzabile, non regge in alcun modo il confronto con l'overload sensoriale cui Gibson costringe il lettore.
Neuromante riesce a reinventare il presente narrandone un futuro prossimo possibile,
The Shockwave Rider, pur con tutta la buona volontà del suo autore non riesce a esser altro che un buon romanzo di fantascienza.
I motivi per cui
Neuromante è diventato una sorta di spartiacque per la fantascienza dello scorso secolo non si limitano alle sue qualità letterarie. Neuromante è diventata la bandiera per tutta una nuova generazione di autori, che ne han fatto il simbolo di un approccio al genere più
proletario e
tecno-artistico (in teoria!), cercando di ottenere, sotto l'etichetta "
cyberpunk", una visibilità che andasse oltre gli angusti corridoi della fantascienza tradizionalmente intesa. Se da un lato è innegabile che un pugno di autori sia riuscito nell'intento e abbia poi continuato a sfornare opere più o meno ricollegabili alle caratteristiche programmatiche del genere, è anche vero che la qualità delle stesse non sia stata, nella maggior parte dei casi, altrettanto memorabile, e che molti autori, nati come cyberpunker, si siano poi progressivamente distaccati da quello che è diventato una sorta di canone per rientrare in un ambito indistinguibile dalla fantascienza più tradizionale. Tanto che, se dovessi nominare oggi qualche titolo imprescindibile per tornare a immergersi nelle atmosfere cyberpunk, quelli che mi paiono tuttora tra i più significativi - penso in particolare a titoli come
Snow Crash di
Neal Stephenson o
Necroville di
Ian McDonald - appartengono alla decade successiva al fiorire del sottogenere e affrontano i temi e le situazioni care a Gibson e soci con una consapevolezza e una maturità che non apparteneva agli originali fautori del movimento.
A quasi trent'anni di distanza da
Neuromante non sono molti gli autori cyberpunk rimasti impressi nella memoria. Oltre a
William Gibson e
Bruce Sterling (di cui ho comunque apprezzato molto più i racconti dei romanzi), rimangono i nomi di
Rudy Rucker e
Pat Cadigan (anche se di quest'ultima non sono ancora riuscito a leggere alcun romanzo, i racconti letti mi son sembrati tutti decisamente sopra la media), mentre altri autori arrivati alla fama in quegli anni hanno abbandonato - se mai ne hanno fatto davvero parte - quel genere di fantascienza (penso a
Lewis Shiner o a
Lucius Shepard), hanno perso nel tempo parecchio del loro fascino (un nome su tutti penso possa essere quello di
John Shirley) o hanno fatto perdere le loro tracce letterarie (
Marc Laidlaw scrive per i giochi,
Tom Maddox inegna
).
Dalle ceneri del cyberpunk non sono emersi solo autori di genere, Ci sono due grandissimi scrittori, ormai del tutto avulsi da ogni connotazione di genere, che partendo da un substrato cyberpunk sono riusciti a produrre grande letteratura andando oltre ogni etichetta. Mi riferisco a
Jonathan Lethem e
Murakami Haruki: il cyberpunk non poteva lasciare eredità migliore.
…