16 aprile 2012

Letture: Nove gradi di libertà, di David Mitchell

Foto di Giorgio Raffaelli
Dopo aver apprezzato Sogno Numero 9 m'era rimasta la voglia di leggere ancora David Mitchell. Quando mi sono imbattuto in Nove gradi di libertà, venduto a metà prezzo in un reminder, qualsiasi dubbio potessi avere su cosa leggere è stato superato dagli eventi.

Nove gradi di libertà non è propriamente un romanzo, o meglio, lo è quanto una staffetta assomiglia a una gara in linea. I nove capitoli che compongono il volume sono legati l'uno agli altri dalla presenza di un particolare (un personaggio citato en passant, un episodio narrato da un altro punto di vista, una vicinanza geografica o spirituale) che sembra invitare il lettore a dare forma unica alla storie multiple che sta leggendo. Come i racconti hanno tutti una distinta collocazione geografica (si parte dal Giappone, attraversando poi in varie tappe l'oriente fino in Russia, per giungere fino in Irlanda e quindi a New York per il cataclismatico finale), anche il registro che l'autore adotta per narrarli cambia di volta in volta, adattandosi al contesto, alla specificità della storia, alla personalità dei protagonisti.

La mancanza di una voce riconoscibile (se n’era già parlato a proposito di Sogno Numero 9, vedi lo spazio commenti del post collegato) è una delle caratteristiche che rendono unico, almeno per la mia esperienza, un autore come David Mitchell. Le capacità mimetiche dell'autore inglese, e la conseguente organizzazione parcellizzata del suo romanzo, sono però anche il più grosso limite di Nove gradi di libertà. Il costante cambiamento di registro e situazioni che costituisce il nucleo del volume rischia infatti di ridurre il testo, da intensa ed emozionante  riflessione sulla realtà complessa che ci circonda, in mero esercizio di stile, apprezzabile per la qualità della scrittura, ma un poco vacuo nella consistenza delle sue riflessioni.

Nove gradi di libertà scorre comunque che è un piacere. Tra le storie che mi son rimaste impresse voglio ricordare almeno Hong Kong”, “La montagna sacra”, “Clear Island”. In questi racconti si fondono perfettamente personaggi credibili, invenzione narrativa e un'attenzione ai dettagli ambientali che in molti degli altri racconti ho trovato invece carente, vuoi perché in alcuni non sentivo del tutto vera la voce dei protagonisti, vuoi perché altri avevano sviluppo ed esito piuttosto prevedibile, vuoi per una certa inconsistenza della trama. Ma nonostante i difetti evidenziati, la lettura di Nove gradi di libertà rimane un'esperienza piuttosto originale e consigliabile.
La molteplicità di voci e luoghi, la mescolanza di registri narrativi e generi letterari, la ricchezza di punti di vista e riflessioni non fanno rimpiangere il tempo speso tra le sue pagine.

4 commenti:

  1. Anch'io l'ho letto meno di un anno fa e mi ritrovo nelle tue considerazioni (ma ci eravamo incrociati proprio su questo su Mondobalordo).

    Mi hanno parlato molto bene anche de "I mille autunni di Jacob de Zoet", anche se per ora Nove gradi è l'unica cosa di suo che ho letto.

    A proposito della recensione, invece, ho apprezzato assai l'assenza di qualsivoglia riferimento polmonare... ;)

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    1. Un commento da togliere il fiato, wow! :-)

      Sì, ricordo lo scambio di battute da Abo, dal tempo trascorso si capisce che razza di arretrato mi ritrovo.

      Ma un po' alla volta recupero, forse!

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  2. Mitchell è un autore che ho conosciuto relativamente di recente (grazie Vanamonde! ;) ), ma mi piace davvero moltissimo.
    Ti consiglio "L'atlante delle nuvole", secondo me il suo libro migliore: per "struttura" ricorda "Nove gradi di libertà", ma trovo che abbia una marcia in più. L' "insieme" secondo me è più convincente, e alcuni racconti li ho trovati davvero eccezionali!
    "I mille autunni di Jacob de Zoet" a me è piaciuto moltissimo, ma so che molti non la pensano così. E' sicuramente molto "diverso" da i due di cui si parlava... ;)
    Ciao ciao,
    Davide

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  3. Mi sa che prima o poi qualcos'altro di Mitchell me lo leggo, che difetti a parte ha comunque un che di unico.

    'mo vediamo cosa trovo in giro.

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