31 maggio 2011

Letture. Fantascienza che fu: Cantata spaziale, di Raphael A. Lafferty


Foto di Iguana Jo.

Ho ripreso in mano un libro di Raphael A. Lafferty parecchi anni dopo l'ultima volta, in seguito alla discussione nata in calce al post che Elvezio Sciallis ha dedicato a Thomas Disch (per capire come da quest'ultimo si sia arrivati a Lafferty… beh, lascio al passante curioso il piacere della scoperta. …e sì, ho poi letto anche Gomorra e dintorni, ma se ne riparla tra qualche tempo).

Sebbene Raphael A. Lafferty non sia uno di quegli scrittori popolari che piacciono a grandi e piccini, la sua originalità e il suo talento compositivo sono fuori discussione. La scrittura di Lafferty è di quelle che sgomitano e spingono per farsi notare, tanto appare più esuberante e complessa rispetto a quella di tanti suoi colleghi contemporanei. Per lo stesso motivo il suo nome è più conosciuto tra chi frequenta le zone più esterne della galassia fantascientifica che non tra i fan dell'avventura spaziale tout court.

Detto questo tocca però aggiungere che a me Raphael A. Lafferty non ha mai entusiasmato. Certo, ha scritto racconti notevoli e i suoi testi si leggono comunque volentieri, ma ho sempre trovato il suo approccio al genere un po' troppo freddo e concettuale per i miei gusti.
Vedi per esempio questo Cantata Spaziale.
Il romanzo d'esordio di Lafferty, pubblicato nel 1968, offre al lettore una riscrittura in chiave yankee delle avventure di Ulisse nel suo viaggio verso casa. Se la preparazione letteraria di Lafferty è fuori discussione, e i riferimenti omerici gustosi, il suo svuotare l'Odissea di ogni contenuto epico, per attualizzarla e riportarla nei territori della fantascienza popolare, non mi ha convinto a causa della distanza che costantemente separa il lettore da avvenimenti e personaggi. La mia incapacità di partecipare e divertirmi alle imprese del capitano Roadstrum e della sua ciurma, in costante e meccanica progressione da un ostacolo all'altro, in una galassia che pare una succursale di Disneyland per quanto artefatta e artificiale appare, è sintomatica della mia mancanza di sintonia con la scrittura di Lafferty più ancora che con il tema del romanzo. (Del resto Silverlock di John Myers Myers, che è un romanzo che si muove negli stessi ambiti di riscoperta e riscrittura dei miti letterari occidentali mi aveva invece lasciato decisamente soddisfatto.)
Nella scrittura di Lafferty si percepisce forte il divertimento dell'autore e lo sforzo di svuotare di ogni seriosità il testo, ma con lo scorrere fluido e scanzonato dell'avventura quel che rimane al lettore è un senso di vacuità che risulta in qualche modo fuori registro in una storia che nel suo mantenersi costantemente sopra le righe dovrebbe risultare decisamente più sanguigna e dirompente. Nel corso della lettura di Cantata Spaziale capita di sorridere, ma si fa davvero fatica ad appassionarsi e da un autore osannato come Raphael A. Lafferty mi aspettavo qualcosina di più.

10 commenti:

  1. Lafferty non mi ha mai entusiasmato più di tanto. Credo a causa del suo stile eccessivamente barocco, credo che tante esagerazione di Lafferty derivino dal fatto di aver debuttato in tarda età. Oltre ad aver avuto buona stampa da parte di colleghi come Asimov.
    Ma si sa, il "buon dottore" era un po il King dei suoi tempi: cioè una buona parola non la rifiutava per nessuno dei suoi colleghi.

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  2. sono sicuro di aver letto qualcosa (non questo), ma il fatto di non ricordare niente di preciso indica probabilmente che non ha catturato nemmeno me.

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  3. Hai detto bene; non sarà mai uno scrittore che piace a tutti, anche se talento e - soprattutto - originalità sono fuori discussione.

    Come ho detto nel post che citi, preferisco sicuramente i racconti ai romanzi.
    Questi ultimi sono ricchi di invenzioni, e possono essere gradevoli e/o interessanti, ma il disinteresse di Lafferty per personaggi e plot intesi in senso classico, il surrealismo e la logica onirica, l'overdose di simboli sulla lunga distanza li rendono meno efficaci e più difficili da amare dei racconti.
    A tratti possono essere affascinanti, ma credo solo i fan più sfegatati li considerino capolavori.
    I racconti invece sono spesso niente meno che memorabili - letteralmente: sono parecchi anni che non li rileggo ma mi tornano in mente a grappoli: 900 Grandmothers, The Six Fingers of Time, The Trascendent Tigers, Slow Tuesday Night, Old Foot Forgot, And Walk Now Gently Through the Fire, Primary Education of the Camiroi, Configuration of the North Shore, Continued on Next Rock, Hog-Belly Honey...
    Come scrittore di racconti mi sembra scontato, al di là delle preferenze personali, che sia uno dei più importanti espressi dal genere.

    @Nick
    La scrittura è barocca e può senz'altro risultare indigesta - in linea di massima non è il tipo di stile che preferisco - ma è scelta pensata e consapevole, ed è consona al tipo di storie: nel caso di Lafferty si prende o si lascia in blocco. Non sono storie realistiche che guadagnerebbero dalla sforbiciata di un editor.
    Nè aveva bisogno della raccomandazione di Asimov, che fra l'altro è quanto di più distante da lui si possa immaginare - visto che fra i suoi più accesi ammiratori c'erano gente come Pohl, Damon Knight, Dozois, Judith Merrill, Harlan Ellison (in pratica, tutti i principali antologisti dell'epoca) e oggi autori come Gaiman, Swanwick e Gene Wolfe.

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  4. Tornando alla recensione, i punti che mi lasciano perplesso sono questi:

    "il suo svuotare l'Odissea di ogni contenuto epico, per attualizzarla e riportarla nei territori della fantascienza popolare...

    ...Nella scrittura di Lafferty si percepisce forte il divertimento dell'autore e lo sforzo di svuotare di ogni seriosità il testo

    ...ma con lo scorrere fluido e scanzonato dell'avventura quel che rimane al lettore è un senso di vacuità"


    Perché a Lafferty, della fantascienza - popolare o meno - non importava un fico secco.
    E' diventato uno scrittore di fantascienza semplicemente perché quelle riviste accettavano le sue storie.
    E, alla luce dei racconti - alcuni dei quali sono molto chiari, pur nel loro surrealismo - viene fuori una visione del mondo marcatamente reazionaria (in senso cristiano fondamentalista, come un Chesterton al quadrato o un C.S.Lewis meno antipatico in superficie ma non meno inquietante in profondità) e fra i temi ricorrenti che emergono ci sono: paganesimo (come sistema di valori imperfetto superato dal)/cattolicesimo/modernità=relativismo=crisi del concetto di valori, che traduce in farsa (e in nani non più sulle spalle dei giganti) i modelli del passato,
    tempo/eternità/eterno ritorno,
    mito/memoria/decadenza, desiderio/idolatria della tecnica/il male come ricerca del piacere e della realizzazione individuale (corollario sono le critiche spietate alla psicologia, al femminismo, alla religiosità newage vaga e confortante etc.).
    E anche Space Chantey va letto in quest'ottica: Lafferty non è mai allegorico con rapporto 1:1 - casomai è allusivo, e le sue allusioni sono sempre più riconoscibili col crescere della familiarità - ma sicuramente non gli interessa essere solo, o principalmente, divertito e divertente. Al di sotto della farsa è sempre molto serio. Questo è l'uomo che ha modellato uno dei suoi romanzi sul Castello Interiore di Santa Teresa d'Avila (!)
    Per cui il paragone con Silverlock (che comunque non ho letto) non mi sembra centrato; parlare di succursale di Disneyland è invece azzeccato, anche se a leggerti sembra che la galassia sia artefatta e artificiosa perché Lafferty è un autore di quelli pulp che non erano capaci di scrivere fantascienza convincente, quando non gli è mai minimamente interessato scrivere in modalità realistica.

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  5. @Nick: non sapevo 'sta cosa di Asimov, che è forse l'ultimo tra gli autori di fantascienza che avrei associato al nome di Lafferty.
    Riguardo allo stile, a me Lafferty piace parecchio per come scrive, molto meno per come racconta.


    @Piscu: di Lafferty ho letto parecchi anni fa Quarta fase e un paio d'Urania: il romanzo Il 13° viaggio di Sindbad e l'antologico Dieci storie dell'altro mondo .
    Il primo lo ricordo ancora come una lettura interessante, del secondo non ho memoria alcuna, del terzo invece ricordo con piacere qualche racconto. Questo per dir che sì, in effetti non c'è mai stata troppa sintonia tra me e Lafferty…


    @ Marco: Wow! Che bei commenti! Grazie mille per l'approfondimento del pensiero laffertyano, molto utile ad inquadrare la sua opera in un contesto più ampio di quello del singolo romanzo.

    Ma basta là, che finiti i complimenti, bisogna passare alla sostanza.

    Mi fa piacere vedere che in linea di massima concordiamo su pregi e difetti della prosa di Lafferty. Mi spiace solo non poter condividere il tuo entusiasmo per i suoi racconti. Non perché non li abbia apprezzati, quanto piuttosto perché dei titoli che citi non ne ho letto uno…

    Non sono però del tutto d'accordo quando scrivi: "Perché a Lafferty, della fantascienza - popolare o meno - non importava un fico secco."
    A me invece pare - e mi riferisco a Cantata spaziale - che il canone sia proprio quello, portato agli eccessi magari, e pure stravolto nelle sue conclusioni, però l'approccio e la gestione di personaggi e situazioni è il medesimo di un Vance (cito lui perché ne abbiamo parlato da poco).
    È poi vero che Lafferty è divertito e divertente nella scrittura, e serissimo nei contenuti. È proprio questa serietà, accostata alla leggerezza della penna, che da come risultato la vacuità di cui scrivevo sopra. Forse perché non la capisco, o forse perché non la condivido, o forse perché la sento contraddittoria, ma non riesco proprio ad apprezzarla.

    Infine il paragone con Silverlock, che citavo solo in funzione del sottofondo mitico/letterario su cui si fondano i due romanzi. Ma tanto l'odissea di Lafferty m'è parsa in fondo "vuota", quanto pieno m'è sembrato invece il Commonwealth di Myers Myers!

    (no no, la galassia disneyland di Lafferty è scelta voluta e consapevole, non avevo dubbi al riguardo)

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  6. Fecero lingue nuove, ma non le fecero cantando...

    Cantata spaziale è spassosissima, vi lamentate della fantascienza appiattita e trita e ritrita e poi Cantata spaziale non è epico.
    Sparatevi nella testa, cercando di non mancare il buco che avete fatto l'altra volta.

    Perché parlo al plurale?
    Scrittura barocca, no?

    Il vostro subdirdir preferito

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  7. Anacho, Anacho, dove mi sarei mai lamentato della "fantascienza appiattita e trita e ritrita"?

    E poi sì, certo, Cantata spaziale è epica, ma è un'epica al contrario, il cui fine non è l'esaltazione delle gesta dell'eroe, quanto piuttosto il suo annullamento. È un romanzo anti-epico per come è parodisticamente strutturato, per la natura dei personaggi, per le modalità con cui interagiscono col loro ambiente. Ma non so se "anti-epico" è una definizione riconosciuta su Tschai…

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  8. Dove è finito il mio commento?
    Vabbuò, lo riscrivo.
    Innanzitutto non so se ti sei mai lamentato della fantascienza trita e ritrita, pensavo non ti piacesse, se ti piace capisco la tua avversione a Cantata spaziale.
    Poi... ho dimenticato cosa ho scritto, accidenti, era una cosa sublime, che ti avrebbe messo alle corde, comunque è evidente che una parodia dell'opera epica per eccellenza debba essere anti-epica.
    BTW il vecchietto di Tulsa, Oklahoma, ha citato pure la Divina Commedia, "Dicon che nei pressi di Carissima la sua nave diventò una novissima", un vero perfido.

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  9. Pagine e traduttore, chi le sa?
    urgente!

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  10. Come da Vegettalogo:
    Cantata spaziale (Space Chantey, 1968), R. A. LAFFERTY
    cop. Bruce Pennington, tr. Gianni Montanari
    Galassia 216 Casa Editrice La Tribuna, Piacenza [01863] (EV)
    Br, dim. [hxl]: 184x124, Batt.xrighe: 60x42, pagg.: 160, Lit. 800
    [N] -1 giu 1976
    p. 5 Presentazione // Gianni MONTANARI - come G. M.
    *p 7 Cantata spaziale // R. A. LAFFERTY, tr. Gianni Montanari, ill. [Vaughn Bodè]

    Il bollettino dello Science Fiction Book Club ill. W[allace (Wally)] Wood
    p. 146 Pagina Due // Gianni MONTANARI - come G. M.
    p. 149 Premi
    p. 152 Intervista con R. A. Lafferty // Paul G. WALKER, ill. ritr. Lafferty 1ª punt.
    p. 159 La posta dello S.F.B.C.

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