06 marzo 2009

Rapporto letture - Febbraio 2009


Picture by Iguana Jo.
Charles Stross - Glasshouse
In Glasshouse Charlie Stross continua ad esplorare l'evoluzione dell'umanità post-singolarità vista in Accelerando. Per farlo adotta un tono decisamente più sobrio e pacato di quello cui ci aveva abituato. In effetti Glasshouse è caratterizzato da un'atmosfera cupa e a tratti angosciante, calato com'è in una realtà fatta di guerra, paranoia e controllo totale.
Partendo dall'idea del panopticon Stross tenta un'indagine sulla natura della coscienza e della memoria decidendo di fare un passo indietro rispetto all'approccio iperaccelerato e tecno-gadgetistico che contraddistingue la sua produzione precedente. Se il centro dei suoi romanzi fino a questo momento era infatti la sfrenata speculazione tecnologica, con personaggi perfettamente integrati e pronti a cavalcare l'onda del futuro, in Glasshouse ci troviamo per la prima volta a fare i conti con un protagonista che non ha la più pallida idea di cosa stia succedendo, che si ritrova privato della sua stessa identità e totalmente in balia di poteri su cui non ha alcun controllo.
I legami con la fantascienza sociologica che ha caratterizzato una lunga e fortunata stagione della letteratura di genere dello scorso secolo sono evidenti e vengono ancora più sottolineati dalla scelta di collocare la maggior parte dell'azione nell'archetipo del classico sobborgo americano anni '60, con la fortissima tensione al conformismo che lo caratterizza e l'emarginazione - se non la punizione - di chi tarda ad integrarsi.
Scegliere un approccio di questo tipo comporta il rischio di scivolare nella sterile satira d'antan o addirittura nella parodia. Stross evita abilmente questo genere di trappola con un controllo davvero magistrale dei toni, rinunciando magari alla sua caratteristica leggerezza e limitando al minimo le strizzate d'occhio al lettore.
Oltre ai temi già accennati dell'identità, della memoria e del controllo, Glasshouse è densissimo di ulteriori suggestioni (la guerra, il trauma, la religione) sempre comunque tratteggiate con eleganza e integrate ottimamente nella trama. Quest'ultima non è forse troppo sorprendente e i cambiamenti di prospettiva che si succedono paiono a volte un poco forzati, ma la tensione che regge la vicenda rimane comunque sempre alta, con la realtà sottesa all'esperimento sociale al centro del romanzo che si rivela progressivamente al lettore fino al degno finale. Se in Glasshouse c'è un difetto probabilmente sta nella parte iniziale del romanzo. In poche decine di pagine si accumula un tal numero di premesse appena accennate - necessarie poi nel prosieguo della vicenda - che rendono l'inizio della storia troppo macchinoso e incredibile.
Nonostante non sia un romanzo perfetto, Glasshouse è l'ulteriore dimostrazione della capacità di Charlie Stross di coniugare storie brillanti con riflessioni non banali sullo stato della realtà, dimostrando oltretutto una capacità di evoluzione nei temi e soprattutto nella scrittura che lo pongono ancora una volta ai vertici del genere.


Joe Haldeman - Guerra eterna: Ultimo Atto
Joe Haldeman è un simpaticone, basta leggere le note ai racconti e la presentazione di Connie Willis per farsene un'idea. I racconti che compongono l'antologia non fanno che confermare quest'impressione.
Che si tratti di traumi bellici, di catastrofi naturali o di apocalissi politiche, i personaggi di Haldeman hanno in comune la loro insistenza nel voler mantenere un minimo di equilibrio mentale nonostante gli eventi tentino in tutti i modi di sopraffarli. Quale strumento migliore dunque della leggera ironia con cui l'autore gestisce i loro rapporti con una realtà intollerabile?
Non aspettatevi però il tipo di autore che copre con sagace ironia la vacuità dei propri racconti, che Haldeman è invece uno scrittore decisamente pragmatico, brillante certo, ma memorabile soprattutto per la solidità delle storie che racconta piuttosto che per lo stile letterario (che pure c'è, ma non è mai più importante dell'idea che supporta). Per questo motivo e pure per una certa similitudine nei temi e nei personaggi - se non nell'ideologia - mi pare che Joe Haldeman ricordi in qualche modo il buon vecchio Robert Heinlein. Certo, in quest'ultimo si trova 'sta maledetta insistenza sul destino superomistico del singolo, che fortunatamente è del tutto esclusa dal panorama di Haldeman (se i suoi protagonisti sopravvivono è già un successo!). A parte questo aspetto le spinte e le motivazioni dei personaggi sono molto simili, vedi ad esempio la continua compenetrazione della sfera sessuale nella motivazione e nella costruzione dei racconti, lo sfrontato pragmatismo degli uomini e delle donne che animano i rispettivi universi narrativi e infine l'attenzione che entrambi gli autori dedicano all'aspetto politico-sociale delle vicende che raccontano, attenzione che lascia comunque pochi dubbi sull'individualismo del loro approccio alla scrittura.
Magari la fantascienza di Haldeman non sarà quella che preferisco, ma in ogni caso un'antologia come questa si legge molto molto volentieri.


AA.VV. - Robot 54
Un numero con buoni contenuti questo 54 di Robot anche se non particolarmente memorabile. Tolti i pezzi giornalistico/saggistici - che interviste alle star del cinema a parte sono sempre interessanti - la parte narrativa soffre forse la mancanza di un vero pezzo forte.
Tra le varie proposte del volume il racconto che più mi ha colpito è probabilmente Tre terrestri e un marziano di L.R. Johannis recuperato e pubblicato grazie al pregevole sforzo che Vittorio Catani dedica alla riscoperta della fantascienza italiana del tempo che fu. Certo, il racconto sorprende più per la sua curiosa natura di buon-racconto-anglosassone-d'epoca-scritto-da-un-italiano che per le sue qualità intrinseche, ma a volte tocca accontentarsi.
Del resto sono piacevoli anche Sogni Impossibili di Tim Pratt e La casa oltre il cielo di Benjamin Rosenbaum con il loro rivisitare in chiave moderna dei classici temi fantascientifici (il negozio magico, il magazzino dei mondi). Degli altri racconti presenti quello di Giuseppe De Micheli nonostante pecchi di qualche ingenuità è comunque interessante (probabilmente più per i risvolti storici che per quelli fantascientifici) mentre quello del russo Oleg Ovchinnikov soffre di un'idea un po' troppo abusata per risultare davvero memorabile.
Al sottoscritto non sono invece piaciuti né Cardanica di Dario Tonani (letteralmente indigesto, e poi pretende un po' troppo dalla mia sospensione d'incredulità), né Le vigilie di Natale della zia Elise di Thomas Ligotti che ho trovato oltremodo pretenzioso e stucchevole.
Ah… una nota a parte merita Valerio Evangelisti: forse sono l'unico a lamentarsene ma trovo i suoi pezzi cinefobici davvero insopportabili.


Jacques Spitz - Segnali dal sole
Segnali dal sole m'ha lasciato basito. Nella mia ignoranza non mi aspettavo certo che uno scrittore francese praticamente sconosciuto potesse narrare con tanta melodrammatica leggerezza una storia apocalittica come questa. Ma soprattutto Segnali dal sole mi ha sorpreso per la difficoltà che ho avuto nel conciliare l'esistenza di un libro simile con l'anno e il luogo in cui è stato pubblicato. Per quanto ne so la Francia del 1943 non doveva essere il posto più sereno del pianeta, immaginatevi quindi la mia sorpresa nello scoprire che nonostante la guerra e l'occupazione nazista c'era evidentemente, almeno per qualcuno, la possibilità di avere una vita normale, addirittura di pubblicare fantascienza (e venderla! e leggerla!). Certo, a pensarci razionalmente è quasi scontato che sia così, ma ritrovarsi con delle prove effettive in mano è stato davvero illuminante, tanto che oltre ad appassionarmi alla vicenda narrata mi sono spesso trovato a interrogarmi sulla vita dell'autore del romanzo.
In qualunque modo abbia trascorso i suoi giorni è innegabile che Jacques Spitz sapesse scrivere in maniera brillante e avvincente. Nonostante siano passati più di sessant'anni dalla sua uscita la lettura di Segnali dal sole non si limita ad essere un vacuo esercizio nostalgico e il sapore retrò della storia narrata rivela più di qualche aspetto interessante anche per il lettore attuale. Insomma, se vi capita di incrociare Jacques Spitz sul vostro cammino di lettori dategli una possibilità, credo rimarrete piacevolmente sorpresi anche voi.




Seguite il link per le letture di gennaio.


5 commenti:

  1. eheheh!

    Volevo una parola col significato opposto a cinefilo, m'è uscita questa.
    (immagino che tu non abbia mai letto i pezzi di Evangelisti su Robot, vero? Nei suoi interventi l'uomo si diverte a fare a pezzi una serie di filmetti. A prescindere dal fatto che se lo meritino o meno, è proprio il tono arrogante e sdegnoso di Evangelisti che trovo davvero irritante.)

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  2. No, non leggo Robot (procurarmelo sarebbe complicato e non sono molto motivata), ma capisco quello che vuoi dire. Come disse memorabilmente qualcuno a PNH (o forse PNH a qualcuno, non ricordo): you're right, but you're being a jerk about it.

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  3. Secondo me Evangelisti in generale e' proprio irritante; e' particolarmente un dito in culo quando dice qualcosa di interessante, cosa che ogni tanto gli riesce. Bene, in quei casi il suo tono e la sua mancanza d'umorismo ti fanno andare tutto di traverso.
    "Cinefobico" è ganzo, ma forse il termine piu' adatto era "misocino"... ma a questo punto si parla di cani o film? )

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  4. che ama i libri ama anche me...chi ama la fotografia ama la mia amica throung a photo (su showfarm)

    vuoi fare scambio link con lei...

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