08 giugno 2007

O.P.G. - Reggio Emilia


Picture by Iguana Jo.
Saliamo le scale, al buio. Questa parte dell'edificio è in via di ristrutturazione, probabilmente l'ingresso da cui siamo entrati è lo stesso che utilizzano i muratori.
Un paio di rampe e c'è il primo corridoio, qui la ristrutturazione si ferma sulla porta, se ci fosse una porta.
La vista è quella che ci accompagnerà per la prima parte della visita. Muri scrostati e finestre spalancate, vetri rotti e merda di piccione, sporco da abbandono, non da frequentazione umana.
Siamo nell'ala amministrativa della struttura, le porte delle stanze (uffici?) sono normali, di legno, gli ambienti sono vuoti, l'unico dettaglio che appare quasi nuovo è l'enorme insegna DIREZIONE appesa sopra l'ingresso, sfondato, che da accesso agli uffici.
Più oltre si iniziano a vedere le prime inferriate. Siamo in un corridoio ambulatoriale estremamente luminoso, con tutto un lato che si affaccia sull'esterno. Le grate alle finestre qui sono ovunque.
Il corridoio è interrotto da cancellate di ferro ogni 10/15 metri. Le pareti scrostate sono colorate di un azzurro ospedaliero. All'ingresso di una sezione c'è la vecchia scritta Laboratorio Scientifico che incute qualche timore e forse ci prepara all'ingresso della sezione carceraria propriamente detta.

Ora i corridoi sono decisamente più oscuri, le uniche finestre si aprono alle due estremità del passaggio. Il soffitto è a volta, parecchio alto, tutto è dipinto nei toni del bianco e del grigio, sui due lati si aprono le innumerevoli celle di detenzione e ricovero. La stessa struttura si ripete su più piani. Poche celle si distinguono per dimensione o posizione, forse erano adibite a usi speciali (rabbrividisco involontariamente), ma tutte sono diverse tra loro per qualche particolare: colpiscono le mattonelle dell'angolo lavandino/turca dei colori più disparati (probabilmente non per scelta ma per l'uso di materiali di recupero), l'altezza del soffitto, la presenza di piccoli pensili. Tutte le celle sono ben illuminate, che le finestre in questo edificio si sprecano, tutte sono circondate da sbarre di ferro, anche la porta di legno è ovviamente rinforzata, in tutte doveva esserci un televisore appeso in alto, di cui resta unicamente il supporto. Il dettaglio più inquietante, l'unico davvero disturbante, è la presenza costante in tutte le celle di uno o più spioncini di vetro perennemente aperti ad osservare la vita dei pazienti/carcerati. Non credevo si arrivasse a tanto…

La nostra visita termina al piano terra, passiamo per una sala, forse una ex-cappella, almeno a giudicare dall'enorme crocefisso in bella vista, che con il grande schermo teso in fondo alla stanza doveva servire come sala cinema; passiamo dal parlatorio, dal bar - per gli impiegati immagino - e poi, attraverso un altro lungo corridoio, arriviamo alle cucine, per finire poi nel colorato ingresso principale.

L'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia non ci riserva altre sorprese, Non abbiamo visitato gli altri edifici della struttura, quelli costruiti successivamente al corpo originale, nato come convento, passato nell'uso a fortezza per poi diventare carcere ospedale per tutto il secolo scorso.

Queste mura devono aver assistito a storie terribili, ora però molte delle inquietudini e dei fantasmi se ne sono andati insieme agli arredi e ad ogni altra traccia di presenza umana. Alcune sezioni sono invase dai piccioni, in un bagno il guano arriva al mezzo metro d'altezza, i pochi oggetti rimasti riguardano più la vita burocratica della struttura che non quella delle persone ricoverate. Di queste ultime rimane appena qualche brandello di poster appeso a un muro e un nome o due nei registri o nelle schede dimenticate.
Ma l'edificio non ha perso nulla del suo fascino sinistro e l'immaginazione può spaziare tra le celle, i corridoi, gli ambulatori, luoghi adatti a esercitare la memoria, che qui dentro le persone venivano dimenticate, rimosse dalle nostre civili coscienze. Rimane solo la curiosità di sapere se qualcuno uscito da queste mura sia riuscito a conservare uno straccio di dignità, a rifarsi una vita, a rimanere libero.


8 commenti:

  1. Volevo dirti che spesso passo di qui e leggo cose interessanti ma che più spesso guardo le tue foto su flickr è sono stupende.

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  2. Una visita disturbante, quanto avrei voluto farla anch'io! Anche per un solo nanosecondo, ti è venuto in mente "infect@"? Mi associo al commento di Fravecatore: le foto nel tuo blog sono stupende, merito anche tuo ma non solo... Mi interessano particolarmente quelle del degrado urbano (guarda un po' che novità!); mi dai un link al quale possa trovarne altre?

    Ciao
    Dario

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  3. Visitare luoghi abbandonati evoca un sacco di visioni, memorie e suggestioni. Un ospedale/carcere come questo di Reggio poi…

    Però non l'ho associato al tuo romanzo: troppo _pulito_ e luminoso rispetto all'immaginario evocato dal romanzo. Credo che le fabbriche dismesse siano effettivamente più credibili come ambientazione. Magari anche la Corderia che ho visitato qualche tempo fa…

    Per le foto dell'OPG basta che clicchi sulla foto in cima al mio post, il link ti porta direttamente al mio set dedicato su flickr. Poi fammi sapere cosa ne pensi.

    Per altre foto sul degrado ti rimando sempre a flickr, in particolare ti consiglio gli stream di MoMaStalker e di Drugo davvero notevoli per qualità e suggestioni.

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  4. so di altre persone che hanno visitato questo tipo di strutture, magari anche di notte, e ne hanno riportato impressioni vivide, al limite della possessione. è normale, credo, vista la sofferenza espressa lì dentro da vaste umanità. ti saluto... :)

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  5. Ciao zoon!

    Grazie per il tuo contributo!

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  6. ciao ! ho letto alcuni tuoi testi sull'abbandono e condivido! In questo periodo mi trovo a fotografare lo stesso soggetto. Vorrei andare a reggio emilia nellospedale giudiziario, mi puoi dare le dritte stradali? donata

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  7. Ciao Donata, benvenuta da queste parti!

    Per quanto riguarda le info che chiedi preferirei comunicarle in privato. Scrivimi a questo indirizzo: iguanajo (at) gmail.com

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