04 febbraio 2010

Sawyer vs. Tonani


Picture by Luis Carlos Araujo.
Questo post nasce dalla costola di una discussione, lunga, accesa e spigolosa, nata dalle mie osservazioni su Il quinto principio e proseguita sulla Mailing List di Fantascienza, avente come nucleo del contendere la liceità o meno della lettura parziale di un'opera per giudicarla, la soggettività e l'oggettività della critica letteraria, il presunto pregiudizio del commentatore nei riguardi della fantascienza italiana.
A margine della discussione c'è stata anche la seguente osservazione:

"Forse ricorderai che quando si parlava dell'ultimo Tonani avevo tirato fuori la genesi della specie di Sawyer. Non è che sia ossessionato da Sawyer, ma davvero mi sembra un caso di scuola: lì ci sono tutti, ma proprio tutti, i difetti che la vulgata attribuisce alla sf italiana. Personaggi presi pari pari dai luoghi comuni, trama tenuta insieme con lo sputo, falle logiche da far rizzare i capelli e via di seguito. Eppure nessuno si è scandalizzato, anzi, non se ne è accorto proprio nessuno."

A cui io rispondevo:
"A me Sawyer era piaciuto. La sua è proprio quel genere di fantascienza "classica" che qua in italia non è mai mai nato. (l'esempio più prossimo è forse Alberto Cola - almeno le prime cose che ho letto: plot potente, personaggi immediatamente riconoscibili, poche menate e via che si va…).
Forse sarebbe interessante annotare quali sono le differenze nella mia percezione tra un romanzo di Sawyer e quelli, chessò, di Dario Tonani o di Vittorio Catani o di Giovanni De Matteo."


Questo post cerca di evidenziare le ragioni per cui il mio personalissimo giudizio sulla trilogia Neanderthaliana di Robert J. Sawyer (La genesi della specie, Fuga dal pianeta degli umani, Origine dell'ibrido ) è in definitiva migliore di quello formulato dopo aver letto L'algoritmo bianco di Dario Tonani.

La prima cosa da dire è che il sottoscritto potrebbe fare anche a meno della fantascienza di Sawyer: i suoi sono romanzi elementari per struttura, stile, speculazione. In nessuno dei libri di Sawyer si raggiungo quelle vette dell'immaginazione o della scrittura che ti rendono memorabile un romanzo. Ma Sawyer non è un dilettante, è un ottimo professionista che rimedia con lo studio, la preparazione e il metodo a quelle che potrebbero apparire come serie mancanze.
In questo senso leggere Sawyer non è mai una perdita di tempo. Nella sua trilogia Neanderthaliana non ci sono evidenti sciocchezze, non ci sono personaggi incoerenti o svolte palesemente improbabili. C'è l'invenzione e la speculazione che ci si attende da una buona storia di fantascienza classica, in cui date certe premesse il resto dovrebbe scorrere liscio come l'olio con magari qualche impennata nel ritmo per quel paio di svolte più o meno sorprendenti nel plot. L'originalità del progetto non è dovuta a chissà quale nuova idea, semmai all'ottimo world-building, così come la lettura non è resa avvincente da improvvisi scarti narrativi, quanto piuttosto dalla presenza di personaggi ben delineati e immediatamente identificabili.
In lista mi è stato fatto presente che non tutto nelle storie di Sawyer funziona a puntino, che ci sarebbero personaggi improbabili e avvenimenti realisticamente poco credibili. Dal mio punto di vista posso dire che se è vero che alcuni personaggi compiono azioni non propriamente consone alla situazione in cui sono calati, questi episodi non mi hanno dato eccessivo fastidio, un po' per la consapevolezza della realtà romanzesca in cui si ritrovano ad agire, un po' perché non hanno fatto saltare la soglia critica alla mia sospensione dell'incredulità.
Stessa cosa potrei dire per la questione delle conseguenze poco credibili ai fatti che avvengono nel romanzo. Ma dovrei anche precisare che per me il cuore della trilogia stava nella creazione della civiltà Neanderthaliana della Terra parallela. Il fatto che il resto della vicenda fosse costretto a piegarsi in qualche modo a quella particolare invenzione narrativa era scritto tra le righe nel patto stipulato tra lettore (questo lettore!) e l'autore del romanzo.

Discorso opposto per Dario Tonani. La scrittura dell'autore italiano è incomparabilmente superiore a quella del canadese Sawyer sia per la ricchezza delle suggestioni che emergono dalle sue pagine, sia per la resa cromatica unica del mondo in cui immerge le sue storie.
Riconoscendo questa superiorità stilistica io mi aspetto la stessa qualità anche nelle componenti prettamente narrative dei suoi romanzi: nella struttura del plot, nella creazione dei personaggi, nelle invenzioni che caratterizzano fantascientificamente le sue storie.
Se per quest'ultimo aspetto L'algoritmo bianco regge tranquillamente il confronto con i romanzi di Sawyer, la struttura del plot e soprattutto i personaggi non sono mai all'altezza dello scenario che Dario Tonani dispiega come elemento fondante la sua fantascienza. Non lo sono per due dettagli fondamentali: mancanza di profondità e coerenza.
I personaggi di Robert J. Sawyer risultano immediatamente riconoscibili. Questo significa che il lettore non fa nessuna fatica a seguirli e a immedesimarsi nei loro panni, di conseguenza nel corso della lettura non si generano mai confusioni di ruoli o sovrapposizione d'intenti. Certo, nessun personaggio rimane indelebilmente impresso nella memoria, Ponter Bondit non è un Elethiomel o un Prabir, ma tutti risultano egualmente vivi e reali agli occhi del lettore. Ne L'algoritmo bianco, al contrario, motivazioni e personalità del protagonista risultano parecchio vaghe se non palesemente incoerenti e quasi tutti i comprimari si perdono irrimediabilmente nello sfondo.

Un'altra differenza sostanziale tra i due autori sta nel peso della componente speculativa all'interno dei rispettivi romanzi. Se Tonani è superbo nella creazione e nella descrizione del suo mondo fantastico, il ruolo riservato all'estrapolazione speculativa della realtà fittizia in cui si svolge l'azione è lasciato più all'interpretazione del lettore, alla sua suggestione, piuttosto che all'intervento esplicito di una componente informativa. Questo non è un difetto, stante appunto la padronanza che ha l'autore delle capacità evocative della sua scrittura. D'altro canto Sawyer rimedia abilmente ai suoi limiti compositivi riuscendo a infilare nel racconto una messe di informazioni sorprendenti, realistiche e particolareggiate che ben difficilmente è riscontrabile in un normale romanzo di fantascienza italiana (a me è rimasta particolarmente impressa la digressione sulla presunta superiorità etica di una società di cacciatori/raccoglitori rispetto a quella che siamo abituati a ritenere più evoluta basata sull'agricoltura/allevamento, ma è solo una delle tante suggestioni (fanta)scientifiche che arricchiscono la trilogia).
La quantità d'informazione serve da un lato a mantenere vivo l'interesse del lettore anche in mancanza di vere svolte narrative, dall'altro lo rende complice e partecipe del percorso di scoperta che compie man mano che procede nel romanzo. L'algoritmo bianco fondandosi su un'unica linea narrativa e mancando di un valido contrappeso informativo avrebbe la possibilità di imporsi al lettore per la profondità che ci attenderebbe dalla scrittura di Tonani. Profondità che però svanisce una volta che lo sguardo del lettore passa dal contesto generale (in sostanza ambiente & idee di base) al particolare (personaggi, relazioni, svolte narrative).

In definitiva mi pare di poter dire che il giudizio espresso sui romanzi presi in esame è opposto rispetto alla mia opinione sulle capacità autoriali dei due scrittori. Se la lettura de L'algoritmo bianco mi ha soddisfatto di meno di quella dei romanzi di Sawyer è perché da un autore come Dario Tonani mi aspetto molto di più di quel che ritrovo nella fantascienza classica del canadese.
Magari mi sbaglio, ma se c'è qualcuno con le potenzialità per scrivere un grande romanzo, un'opera che rimanga impressa indelebilmente nel mio immaginario, beh… questo qualcuno assomiglia di certo più a Dario Tonani che a Robert J. Sawyer.

12 commenti:

  1. Premesso che non ho letto né l'uno né l'altro; il tuo discorso si puù riassumere in: è più facile educare al metodo un autore dalla sensibilità originale e profonda che sperare nella svolta "artistica" di un buon mestierante?

    Potrei essere d'accordo, a patto che l'autore "sensibile" accetti di darsi un metodo.
    Chi glielo fa notare :-)?

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  2. Beh… sì, anche se in effetti io il dubbio sull'"educazione dell'autore" non me lo ponevo proprio, la questione si può mettere anche in questi termini.

    Il problema dell'evoluzione della scrittura va però di pari passo con il ritorno che hai dalla tua attività di scrittore.
    Detto in altri termini: in un mercato asfittico e oltremodo povero come quello italiano, chi glielo fa fare all'autore di darsi una regolata se poi l'unico a cui la sua scrittura non va giù è il sottoscritto?
    :-)

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  3. Ti seguo in questo gioco visto che era nato da una nostra discussione (non ci siamo presi a badilate, meglio precisarlo) e ti ribalto le mie opinioni.
    Su Sawyer capisco quel che intendi, e condividerei se si trattasse di un altro autore o di un altro romanzo di Sawyer. In Mindscan, di cui ho un ricordo più recente, o in altri titoli (almeno tra quelli che ho letto io), Robert Sawyer appare come lo descrivi. Un discreto narratore, senza troppi lampi magari, ma capace di offrire intrattenimento attorno a qualche idea interessante. Tant'è che quando ho letto Genesi della specie (i successivi due volumi li ho ancora in attesa e attenderanno) sono rimasto sorpreso. Come sai a me non piace molto il trend dominante con il quale si guarda alla letteratura, l'enfasi su un'idea quasi "normativa" di scrittura e sugli aspetti tecnici del testo. Non vale solo per il nostro periferico mondo di lettori di fantascienza naturalmente, se si dà un'occhiata in giro la si ritrova pari pari anche riferita al mainstream. Però quello che a me non va è l'eccesso, lo sguardo necroscopico sulla singola frase etc., non la cosa in sè. Anche un approccio corretto se diviene totalizzante produce scompensi. Nel caso della Genesi di Sawyer però, mi sembra davvero impossibile non considerare i molti errori tecnici che lo piagano. Ha i limiti di un romanzo degli anni '50 senza esserlo. Per questo anche ciò che può esserci di interessante, non ha "salvato" il romanzo ai miei occhi. Aggiungerei, che in un artigiano (taglio con l'accetta, ma è per spiegarmi) guardo con molta più attenzione alla qualità della costruzione, alla coerenza narrativa etc. di quanto non faccia con un autore ambizioso. Essenzialmente perchè da un artigiano non mi aspetto altro che buona costruzione e coerenza narrativa. Se nemmeno quella c'è, a cosa mi serve quell'artigiano? quelle son le cose su cui assolutamente non deve cadere, perchè se inciampa quelle non rimane granchè.
    Per quello che riguarda Tonani, quello che a mio avviso indebolisce (relativamente, è un romanzo che ho apprezzato) è la caratterizzazione un po' irrisolta di Moffa, il protagonista. Quasi tutto lascia intendere che sia un "cattivo", ma risulta alla fine piuttosto algido. Nel complesso il personaggio sembra rimanere nel guado. Probabilmente pochi tocchi di colore in una direzione o nell'altra sarebbero bastati a renderlo pienamente "antieroe nero" alla Kriminal, o un personaggio glaciale. E' vero che l'Algoritmo è organizzato attorno ad una striscia narrativa lineare, però la quantità di immagini urticanti che ci sono dentro me "l'ha nascosta" fino alla fine. A me ha dato l'idea di una base, di un ceppo funzionale alla pianta infestante di quell'universo di dropout che hanno a che fare con Moffa e incidentalmente definiscono l'universo per immagini concatenate. E' una costruzione classica e ovviamente si poteva agire diversamente, però, e questo è un aspetto non secondario, l'Algoritmo è un romanzo breve, 150 pagine. Picta muore è poco più di 100 pagine, praticamente un racconto lungo. Scegliere una costruzione più complessa avrebbe probabilmente appesantito una narrazione che ha più di un passaggio non proprio da lettura veloce. Sulle tue considerazioni finali in parte convengo, ma da un altro punto di vista. E' già capitato di parlarne all'epoca. Tonani sembra essere l'autore sf italiano "più noir", e in un certo senso lo è, però dietro la patina di pistole e trafficanti a me sembra essere il fantascientifico italiano più "cattivo", sul piano dell'invenzione . Il cane dell'Algoritmo è un personaggio terrificante per esempio, e così molte altre cose "fastidiose" o sofisticate che ci sono lì dentro o in Infect@. Io tendo a pensare che senza il vestito del noir futuribile vedremmo il "vero" Tonani. Ovviamente, un autore percorre le strade che preferisce. Però, sarebbe interessante se...

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  4. Beh… Daniele, mi sembra che in buona sostanza le nostre opinioni coincidano (WOW! Chi l'avrebbe mai detto!? :-))

    OK, anche se nello specifico la trilogia di Sawyer non ti è piaciuta, almeno concordiamo sulle caratteristiche di quel tipo di autore.
    Come anche nel riconoscere il punto debole de L'algoritmo nelle caratteristiche del suo protagonista.

    Aggiungo solo una precisazione, che magari sono stato poco chiaro.
    A Dario Tonani non rimprovero nulla della struttura dei due romanzi brevi che compongono l'Algoritmo, quelli che per me sono i limiti delle due vicende non stanno tanto nella costruzione - che hai ragione - per un racconto di 100 pagine è più che accettabile, quanto piuttosto in quello che è forse un non volere osare troppo. Perché in fondo sono d'accordo con te quando riconosci in lui l'autore più "cattivo" del circondario. Forse quello che mi piacerebbe leggere è una storia in cui questa "cattiveria" si esprimesse fino alle estreme conseguenze.

    Però, oh… non vorrei che Tonani con questa storia della "cattiveria" invece di virare e approfondire i temi di, chessò, infect@ (che secondo me rimane la sua cosa migliore letta ad oggi), si avvolgesse su se stesso come in Cardanica.

    Stiamo a vedere…

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  5. Beh se non ricordo male tempo fa avevamo appurato che Ellroy non convince granchè nessuno dei due ;)

    Preciso anch'io un punto nel quale i limiti di battitura mi hanno costretto ad un taglio che potrebbe far equivocare quel che intendevo. Quando dicevo che l'Algoritmo Bianco in qualche aspetto non si presta ad una lettura veloce mi riferivo ad alcuni pregi del romanzo e non a dei difetti. Tonani piuttosto che ricorrere a definizioni correnti o piegarsi al tecnobubble si è costruito un lessico tecnologico specifico, gli "aghi" etc. Una ulteriore tacca a suo favore ma che richiede, ovviamente, un minimo di acclimatamento linguistico da parte del lettore.

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  6. @ Iguana e Daniele arrivo. Appena ho un attimo di tempo mi siedo un attimo con voi (vi spiace se porto Moffa?) :-)

    Dario

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  7. Non ti preoccupare Dario, quel buon ragazzo di Moffa qui dentro è sempre il benvenuto!

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  8. Carissimo Iguana, ho letto con molta curiosità la tua analisi dicotomica. Per prima cosa, lasciami dire che il death match che tu proponi - già a cominciare dal tabellone sollevato sul ring "Sawyer vs Tonani" - mi lascia un po' interdetto: siamo di pesi e di categorie diverse, scriviamo anche fantascienza piuttosto differente.

    Pur nel paragone perdente, ammetto però di cogliere nel tuo articolo un'attestazione di stima che non posso non apprezzare e della quale ti ringrazio.

    Il discorso è un po' diverso quando entri nel merito dei punti a favare dell'uno e a scapito dell'altro. Io qui rappresento solo l'angolo di Tonani e faccio da secondo al povero Moffa.

    Ammetto che il ritmo della storia abbia parzialmente inciso sulla scelta di "alleggerire" il profilo psicologico di certi personaggi, ma come ti dicevo anche in privato è una scelta. Ciò non significa, però, che non possa anche essere un limite e un difetto.

    Una storia può essere vista come un sacco che deve essere riempito: se c'è troppo di un elemento, ce ne sarà meno di un altro. Se qualcosa ti piace com'è dosato (e mi sembra che la caratterizzazione del mondo che descrivo ti abbia... entusiasmato?), devi riconoscere che toglerne una percentuale rischierebbe di fartelo piacere di meno.

    Credo che una storia non debba necessariamente aspirare all'equilibrio degli elementi. Le mie - come quelle di qualsiasi altro autore sulla faccia della terra - tendono a privilegiarne alcuni a scapito di altri.

    A me piace che i personaggi agiscano molto e pensino poco: attenzione, questo non significa affatto che voglio che siano dei babbei in balia degli eventi. Vuol dire che preferisco che sia il lettore a trarre conclusioni sul loro profilo psicologico e sulle loro motivazioni. Purché - e qui vengo al punto della coerenza - non si contraddicano, non stupiscano se stessi prima ancora che il lettore.

    Ma questo, onestamente, credo che sia un rischio che Moffa ha scongiurato. Posso sbagliare, certo, ma Moffa è esattamente quel tipo di persona che trova risorse dalla realtà che gli si para davanti al momento, piuttosto che spaccarsi la testa in speculazioni "a priori".

    Forse, come mi hai spiegato a Fiuggi,alludevi più a Siljak di "Picta muore!". Quello che è valido per un personaggio non posso pretendere che sia valido anche per un altro: quindi, probabilmente, ok, forse avrei potuto presentarlo un po' più approfonditamente.

    Che dici, ci fermiamo qui per questo primo round? Moffa ha bisogno di lavarsi il paradenti... :-)

    Ciao
    Dario

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  9. Carissimo Daniele, mi piace il tuo "sarebbe interessante se...". Ogni scrittore sotto sotto aspira a sostituire (bene) quei puntini di sospensione, è nella stessa natura dello scrivere partire da lì.

    Tonani l'autore di SF italiano "più noir"? Vero, mi fa molto piacere il riconoscimento di questo punto (preferisco non chiamarla etichetta). Il "più cattivo"? Mi fai un regalo, Daniele: lo ammetto candidamente, anche se a mio giudizio più per altre circostanze che per il cane.

    Dici una cosa assolutamente sacrosanta sulla lunghezza, che permette e non permette: per continuare la metafora pugilistica è come salire sul ring per un match di tre round. O ti dai da fare con gli uno-due o non puoi ragionevolmente contare di farcela sperando di spuntarla ai punti.

    Sul linguaggio è vero: gli ho attribuito una funzione di "scorciatoia" per dire di più con meno parole. Lo richiedeva l'economia (ristretta) delle pagine...

    Comunque, rimango qui, non mi muovo.

    Ciao
    Dario

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  10. Ciao Dario!
    Ho letto e apprezzato il tuo intervento. Quando ho postato il mio pezzo non avevo alcuna intenzione di scrivere un'altra recensione sull'Algoritmo, solo sottolineare come esistano diversi tipi di fantascienza che vanno appunto giudicati con metri diversi.
    Che poi tu ti sia sentito chiamato in causa, beh… lo posso capire! :-)

    Riguardo a Moffa e Siljak non posso che confermare quanto scrivevo a suo tempo. Ma oh… non voglio che questo diventi un problema. Se la maggior parte del pubblico ha apprezzato la caratterizzazione dei tuoi protagonisti vuol dire che dopotutto non devi aver fatto un brutto lavoro, no?

    D'altra parte io mi aspetto sempre il meglio dalle mie letture, che ho visto il potenziale narrativo della letteratura di genere (che si tratti del tuo talento o più in generale di quello insito nella fantascienza, senza distinzioni geografiche) e non ho nessuna intenzione di accontentarmi.

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  11. In effetti, mi sentivo un po' tirato per la giacca (per questo sono intervenuto), ma i bottoni ci sono ancora tutti. E con l'aria che tira di questi tempi in certi Forum/Liste/blog è già un risultato... :-)

    Dario

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  12. @Dario: Ah, certo la "cattiveria", sia in senso stretto che metaforico, è su altri livelli, ma il cane davvero mi è sembrata una tecnocrudeltà particolarmente riuscita... ;-)

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