24 aprile 2007

Ritorno in fabbrica

Sotto questa drammatica foto di Confused Vision si chiacchierava di memoria, ritorni al passato, vita vissuta. Ci si chiedeva che effetto avrebbe fatto a un vecchio operaio tornare nella sua fabbrica e ritrovarla dismessa, abbandonata, in rovina.

A leggere i commenti le sensazioni che avrebbe provato quest'ipotetica persona sarebbero state per lo più negative, ritrovare desolazione e morte dove un tempo c'era vita e lavoro non può che portare cattivi pensieri. O almeno questa era l'opinione, semplificata, certo, che caratterizza molti delle osservazioni lasciate sotto la foto.

Io non sono d'accordo.
Non che abbia delle certezze al riguardo, prima di tutto perché non sono un vecchio operaio. Ma ho anch'io qualche esperienza di ritorni in ambienti irriconoscibili, qualche ricordo di spazi cambiati, di luoghi memorabili non più immediatamente identificabili.

Ritornare in un luogo al quale siamo legati (una vecchia scuola, la casa dove abitavamo, il luogo dove abbiamo iniziato a lavorare) è sempre una sorpresa, ma diventa una delusione solo se glielo permettiamo. Gli spazi cambiano, ma soprattutto le persone, noi, cambiamo. I luoghi visti nella prospettiva del ritorno evocano ricordi, non realtà, ci permettono di viaggiare nel tempo per rivedere come erano, come eravamo. Quel che ora sono diventati è solo uno strato superficiale, una maschera che nasconde la nostra vita passata. E non importa se questi edifici sono luccicanti di ristrutturazioni recenti o in rovina, abbandonati dal tempo passato, sono comunque spazi in cui possiamo ritornare ad esplorare le possibilità perdute strada facendo, e soprattutto ricordare, rimpiangere o compatire quello che allora eravamo.

Ma torniamo alla vecchia fabbrica.
Non so come vivesse il suo lavoro il nostro ipotetico operaio. Io lo immagino legato alla macchina, a maledire il tempo trascorso alla catena, a sognare un mondo senza fabbrica, a rimpiangere il tempo trascorso nei campi. A pensare, se ancora ci riesce, alle sue ore prima del lavoro, a immaginarsi nel distruggere 'sta cazzo di prigione, magari insieme ai suoi compagni. A liberarsi dal giogo del lavoro e ad abbattere i muri che li circondano.
Tornasse ora lì dentro sarebbe forse felice di vedere che finalmente in fabbrica non c'è più nessuno. Che tra quelle mura di operai non ne muoiono più soffocati dalla routine, sommersi dai debiti, massacrati dalla fatica.

Ma allora una fabbrica vuota è una sconfitta o una vittoria?
Non lo so, di certo non invidio chi era costretto a lavorarci. Entrambi i miei nonni lavoravano in fabbriche simili, uno ci ha lasciato la pelle. Forse per questo non riesco a sentire questa gran nostalgia per le vecchie fabbriche.
E no, non mi dispiace vederle cadere a pezzi, monumenti al nostro passato recente, in rovina.

11 commenti:

  1. penso che tu abbia fatto un passo in più, io mi sono fermata alle sensazioni, all'emotività della cosa mentre tu hai analizzato meglio il tutto.
    Dalla mia parte poi ho solo esperienze di un certo tipo, il mio paese è praticamente nato e si è sviluppato attorno a un lanificio, sono nati teatri, quartieri operai, scuole, asili per i bambini degli operai e molti altri servizi solo grazie a questo, prima lì non c'era quasi nulla.
    Tutti i miei parenti che ci hanno lavorato dentro raccontavano fatica, si, tanta..raccontavano la durezza e l'amarezza della vita operaia, le difficoltà, le malattie, il dolore, le frustrazioni...
    ma anche una strana forma di orgoglio verso la fabbrica, una sorta di amore/odio...
    è per questo che penso che ritrovare un posto in quelle condizioni non gli avrebbe fatto bene al cuore comunque, perché c'era una forma di affetto verso quel luogo...e molto forte.

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  2. fermo restando che secondo me tutte e due argomentazioni sono molto valide, riposto qui un pensiero di momastalker che, credo, rappresenti un bel punto di vista (molto simile a quello di anna second me e, forse, un po' anche al mio):

    Una fabbrica, perchè io sto parlando di fabbriche, per me non è della società Sogeiva, ne del comune in cui è sita, ne dei ravers, ne dei graffitari e sopratutto non è mia.
    E' di tutte quelle persone che l'hanno vissuta.
    Come ho detto qualche topic fa, il rispetto per un vetro, per un muro, per il SILENZIO è il rispetto verso quelle centinaia di persone.
    Questi sentimenti non mi vengono fuori dal buco del culo, ma da quello che ho provato nella SNIA 4 anni or sono.
    Io faccio le foto in silenzio, e mi da fastidio anche fare rumore calpestando i vetri rotti o i pezzi di soffito crollato. E credo (e spero) sia così per molte persone qua dentro.
    Per me è come essere in un cimitero, non le senso di luogo di morte, ma nel senso di luogo di rispetto.
    Certo, noi altri si va magari in gruppo, si fanno le foto backstage, si scherza... però credo e qui vorrei la conferma di tutti, che ci sono quegli attimi in cui ti muovi da solo per la fabbrica in silenzio... ed è forse per quei momenti che facciamo tutto questo.
    E' come stare ad ascoltare le voci di tutti quegli operai e operaie. E' qualcosa di disarmante..... che io sono felice di aver provato.
    Volevo aggiungere una cosa al mio ultimo intervento, dove parlo della memoria di quelle persone che hanno vissuto la fabbrica.
    Quasi un anno fa per la mia tesina di maturità sulla SNIA ho avuto il piacere di poter intervistare un vecchiettino suocero di una amica di famiglia. Questo vecchiettino ricurvo ha lavorato trentanni nella SNIA di Varedo.
    Appena è entrato nel salotto dove io ero già seduto sul divano, ha alzato gli occhi e mi ha cercato per qualche frazione di secondo poi ha incrociato il mio sguardo.
    Gli ho visto la SNIA negli occhi.
    Poi si è seduto, mi ha stretto la mano e abbiamo iniziato a parlare... sono rimasto li quattro ore con lui e la sua famiglia, mi sono immerso per 4 meravigliose ore nella vita alla SNIA negli anni 60. Ora non vi sto a raccontare tutta la conversazione, però alla fine, prima di salutarci mi ha chiesto "perchè hai deciso di fare tutto questo?"
    e io ho risposto "perchè me l'ha chiesto la SNIA"
    e lui, con gli occhi lucidi mi ha detto "NON VOGLIAMO ESSERE DIMENTICATI"

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  3. Ciao Anna!
    Grazie per aver proseguito di qua il discorso.
    Quando la fabbrica si lega al resto della propria vita andando oltre il semplice rapporto di lavoro ma diventando il motore principale della socialità delle persone diventa per forza un qualcosa che va oltre la sua presenza quotidiana e la sua mancanza, il suo crollo, rappresentano in un certo senso il crollo di un certo tipo di società, di cultura. E le persone coinvolte a volte crollano con lei…

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  4. Ehi Sarmax!

    Bello l'intervento di MoMaStalker, da dove l'hai preso?

    Capisco bene quello che scrive, anche per me entrare in questi luoghi abbandonati è emozionante per il sapore di storia quotidiana, di vita vera vissuta al loro interno. Qui avevo già provato a parlarne.

    Una volta erano le cattedrali, le mura delle città e gli antichi castelli a testimoniare la vita delle persone del passato, negli ultimi due secoli son diventate le fabbriche. Immagino che nel prossimo futuro saranno i centri commerciali. Ma la cosa importante è sempre la stessa. Il ricordo e il rispetto per tutte quelle persone dimenticate dalla storia ufficiale che sono i veri artefici del nostro mondo.

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  5. Ekkime :)
    Bello il pensiero di Moma.

    Personalmente, sull'abbandono, mi ha sembre attirato; da bimbo e ragazzino credo sia normale essere attratti da posti abbandonati, per il "gusto" del brivido. Da più adulto come son ora, quando sono rientrato in ansaldo, la sensazione che ho provato è stata in primis di rispetto e di stupore. Ed è stata una sensazione fortissima, un'emozione di una forza che non provavo da parecchio tempo. Ora mi chiedo cosa una persona, a tornarci, dopo aver lavorato li' una vita potrebbe provare. Detto giustamente da Anna, per chi ha lavorato li', c'era anche un orgoglio dell'appartenenza ad un "tutto".
    Come dicevo sui commenti, tornare in un posto dove ho sputato fatica per anni, credo mi farebbe male. Per le persone, i ricordi. Non so, dico credo ma non ne sono certo. perchè l'evento piu' simile che m'e' capitato è stato tornare al paese di mia nonna, dove ho passato l'infanzia, e vedere la casa dove avevo vissuto, completamente rifatta. Il giardino che una volta aveva un fico vecchissimo, trasformato in garage, il fico in chissa' cosa. Beh, piacevole non lo è stato. E' un caso un po' diverso indubbiamente.

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  6. comunque secondo me è un discorso molto ampio e soggettivo e anche diversificabile in base ai tempi...cioè...
    io parlo di gente che ha vissuto lì dentro più o meno nel pieno della rivoluzione industriale in italia, quando lavorare in una fabbrica aveva un senso ben preciso in fondo, e si, senza dubbio un'appartenenza e un orgoglio...
    un operaio di quel periodo è molto diverso da un operaio di ora, ed è diverso da un operaio degli anni '70...diverso il modo di pensare, diverso il modo in cui intendeva il lavoro, diverse le condizioni sociali, diverse le aspirazioni, diverse le condizioni di vita...diverso tutto...
    difficile mettere in sieme le cose...

    comunque, mi trovo moltissimo con l'intervendo di moma riportato qui da massi.

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  7. Vero, è molto diverso. Ora un giorno sei della società X un giorno della Y. senza che tu te ne accorga veramente. C'e' anche un discorso storico sotto, con la crisi delle grandi industrie italiane a inizio anni 80.

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  8. @giorgio: l'intervento di marcello era parte di un discorso più ampio, riportato all'interno di un forum in cui si parla di posti abbandonati ed esplorazioni degli stessi, si chiama lost.italy, anche anna lo conosce.

    per il resto: sono d'accordo con anna quando parla del "senso di appartenenza". penso proprio che appartenere a una società in quegli anni, fosse comunque un motivo di orgoglio e, per questo, il vederla ora in rovina, possa rendere un po' tristi.

    per mancanza di mia esperienza diretta, non so come mi prenderebbe a (ri)vedere qualcosa che ormai è andata in decadenza, però non so. forse mi immagino un certo tipo di nostalgia "buona".

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  9. argh! non mi ha pubblicato il commento, va beh rifaccio. Ps questa discussione mi piace.

    Il senso d'appartenenza l'ho sentito sempre tramite il paese di mia nonna, sul lago di lecco (guai a dirgli lago di como). L'80% della gente li', prendeva il traghetto e andava a lavorare a Mandello, alla Moto Guzzi. Ora la situazione e' molto diversa

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  10. Ciao Davide! Son contento di leggerti anche qui.

    Per cercare di tirare le fila del discorso, credo di capire cosa intendete quando parlate di appartenenza e della (possibile) sofferenza che si prova nel non riconoscere più un luogo che sentiamo anche nostro. E mi piace molto anche quella nostalgia "buona" di Sarmax…

    Forse alla fine dipende tutto da come stiamo quando visitiamo e ricordiamo un luogo del nostro passato. Se quello che abbiamo accumulato lungo la strada sono più rimpianti che soddisfazioni, allora forse dare uno sguardo al passato ti lascia con un senso di perdita, di mancanza, di promesse non mantenute.
    Se al contrario ci sentiamo meglio di quanto ci sentissimo ai tempi delle originali frequentazioni di quei luoghi, allora forse lo sguardo sarà sì nostalgico (è inevitabile, credo) ma con un'attenzione tesa più al ritrovare i segni del cambiamento che al rimpianto per la situazione presente.

    Non so, forse sono uscito troppo fuori dal discorso fabbrica/operai/società, ma dal mio punto di vista il ricordo, le reazioni ai cambiamenti che costituiscono ì'ossatura delle nostre vite, sono cose troppo soggettive per essere generalizzate a intere categorie che poi magari nemmeno conosciamo.
    Di oggettivo rimangono le fabbriche abbandonate, i paesi irriconoscibili a distanza di anni, i muri crollati e quelli ricostruiti a distanza di tempo con mattoni completamente diversi da quelli che ricordavamo.

    Credo che la cosa più importante sia comunque tenere gli occhi ben aperti, essere attenti ai cambiamenti, e ricordare. Sempre. Che senza radici non si va da nessuna parte.

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  11. :) Si sono d'accordo, sul senza radici non si va da nessuna parte.

    Piccola nota di servizio, un po' fuori dal discorso, per chi ha conosciuto l'Ansaldo. Purtroppo (io non riesco a vederla positivamente, alcuni mi hanno detto che è bello che sia rinato per qualche giorno, io sono pessimista per natura) l'hanno ripulito per il fuorisalone a Milano. Piani bassi ripuliti totalmente e ridipinti, piani alti dicono uguale, ma non ci sono stato.

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