Roger Zelazny mi sta cordialmente antipatico sin dalle mie prime esperienze di lettore. La sua presunta ricercatezza stilistica, l'insistenza su certe tematiche superomistiche, i suoi personaggi monodimensionali non me l'hanno mai fatto annoverare tra i miei autori di fantascienza preferiti.
Però in molti mi hanno continuato a ripetere negli anni quanto fosse bravo, quanto abbia contribuito a rinnovare la fantascienza, e soprattutto quanto i suoi primi romanzi fossero notevoli anche rispetto alla sua produzione successiva.
L''uscita su Urania Collezione di Signore della luce, unanimemente ritenuto la sua opera più riuscita, mi ha dunque costretto a dare un'ultima chance all'autore americano.
Beh… devo dire che rispetto alle altre sue cose lette (con la parziale eccezione di Io, Nomikos l'immortale) questo Signore della luce ha sicuramente dei pregi: la storia è sufficientemente avvincente, il montaggio della vicenda è efficace, la rivelazione progressiva della natura del mondo è ben calibrata e le sorprese non mancano.
Il romanzo si fa dunque leggere senza opporre eccessiva resistenza. Nonostante il caratteristico stile pomposo e l'ambientazione pseudo-esotica l'autore è riuscito a destare la mia attenzione.
In effetti proprio l'inusuale ambientazione poteva essere uno dei motivi di interesse del romanzo. Il mondo presentato da Zelazny ha come protagonista l'intero ricchissimo pantheon induista che l'autore non sfrutta solo per l'abbondante quantità di nomi e caratteristiche di dei, semidei e demoni vari, ma che invece utilizza come approfondita base per strutturare coerentemente tutta la società.
Lo sforzo di documentazione e citazione dell'autore è davvero notevole, ma secondo me non è sfruttato come avrebbe dovuto per quanto riguarda i personaggi: le loro motivazioni e soprattutto le relazioni che instaurano tra loro continuano ad avere un forte sapore occidentale. La qual cosa è anche comprensibile (i primi fondatori della civiltà planetaria non sono di origine indiana) ma procedendo nella lettura provoca un senso di sfasamento e di incoerenza tra la forte struttura simbolica dell'ambientazione e l'approccio totalmente mondano degli uomini e delle divinità coinvolti nella vicenda.
C'è poi da aggiungere che il background indiano è sfruttato narrativamente solo parzialmente, anche se in maniera fantascientificamente brillante, unicamente per spiegare l''eterno ciclo di rinascita che caratterizza la vita di tutti gli umani del pianeta.
In definitiva in questo Signore della luce ci sono tutte le caratteristiche di Zelazny che trovo irritanti (i superuomini sempre sull'orlo della crisi di nervi, l'eroe perfettamente imperfetto, la folla adorante - e sacrificabile - in attesa del salvatore, un linguaggio che cerca uno stile aulico/letterario/epico ma che a me fa venire il latte alle ginocchia, la pressoché totale mancanza di senso dell'umorismo), ma nel complesso la storia ha una sua forza e le vicende di queste pseudo divinità indiane si fanno leggere fino in fondo.
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