Robert Reed - La verità
È da un po' di tempo che ho questa recensione in preparazione, ma non mi decidevo a concluderla. C'è qualcosa di sfuggevole in questo romanzo breve di Robert Reed. Un non so che di irritante che non riuscivo a inquadrare, la sensazione che non tutto tornasse e che nel fuoco del romanzo ci fosse molto più fumo di quanto non apparisse a prima vista.
La verità è un romanzo breve ottimamente congegnato in forma di psicodramma con due protagonisti archetipi: l'inquisitore e il prigioniero.
La storia è narrata dal punto di vista di Carmen, inquisitrice specializzata nel ricavare informazioni anche dai soggetti più riottosi, e si sviluppa nel progressivo disvelamento del ruolo e della personalità del prigioniero Ramiro, terrorista islamico transtemporale in missione per un non meglio precisato scopo.
Il confronto tra i due e le rivelazioni sullo stato e il destino del mondo fanno crescere costantemente la tensione narrativa fino al drammatico epilogo.
Le mie perplessità su La verità non riguardano lo sviluppo della trama, la costruzione dei personaggi o il complesso delle relazioni che legano protagonisti e comprimari. Riguardano piuttosto l'ambizione di Robert Reed di costruire un contesto politicamente rilevante e riconoscibile e le conclusioni a cui giunge.
Quando una storia ha per protagonista un terrorista islamico prigioniero del governo americano, quando compaiono scenari come la Baghdad di questi anni, o il Kashmir, o lo stesso carcere di massima sicurezza dove si svolge la maggior parte dell'azione (una specie di Guantanamo sotterranea); quando si parla di metodi per giungere alla verità, di interrogatori, di diritti dei prigionieri e doveri degli inquisitori, di menzogne a fin di bene o di scambi d'informazioni è inevitabile trovarsi a ragionare sui fatti e la cronaca di questi ultimi anni.
Se ammettiamo che lo specchio deformante della fantascienza debba aiutare a comprendere le dinamiche generali di una particolare situazione politico/sociale, allontanando il fuoco dell'osservatore dal particolare, favorendo quindi la costruzione di una teoria politica universale scevra da partigianerie locali, allora dobbiamo riconoscere che il particolare specchio adottato da Robert Reed è tanto deformato da non permettere alcuna identificazione tra realtà romanzata e vita vera, tranne che per gli aspetti più superficiali (toponomastica, linee di comando e modalità di comunicazione). Andare oltre, e riconoscere a La verità valenza di parabola politica e capacità di riproduzione del reale in un contesto fantascientifico, significa secondo me sbagliare il bersaglio favorendo una visione del mondo semplificata e fuorviante.
Qui di seguito provo ad annotare gli elementi del romanzo che mi hanno dato da pensare.
Se il nemico (il terrorista islamico Ramiro) ha caratteristiche che lo avvicinano più al mondo del divino che a quello degli uomini, ha ancora senso un confronto tra posizioni reciprocamente incomprensibili?
Ramiro nella sua cella risulta essere praticamente onnisciente e imperscrutabile, è insensibile sia all'approccio violento (tortura e/o minacce non ottengono nulla) che all'approccio umanitario (quando offre qualche informazione è per gentile concessione, mai dietro esplicita richiesta), si dimostra ineccepibile nella sua fibra morale e coerente, fino alla fine, nelle sue posizioni. Nel finale poi il suo comportamento è curiosamente simile a quello di Cristo in croce di fronte all'orrore della fine.
Ingannare un dio per estorcergli la verità e farlo con la massima naturalezza a me pare obiettivo quanto meno arrogante. Robert Reed evita il ridicolo grazie all'ottimo lavoro di costruzione della vicenda, ma quel che è valido narrativamente non è detto abbia lo stesso valore dal punto di vista politico.
Se non c'è nessuna spiegazione alle azioni del terrorismo e nemmeno il loro scopo è chiaro, che senso ha tirarlo in ballo?
Che Ramiro sia un terrorista islamico è dato per certo sin dalla sua prima comparsa. Ma nulla nel suo comportamento lo identificherebbe come tale qui-e-ora. Di più: l'autore si affanna in tutti i modi per rendere credibile la minaccia terrorista, ma per quanto il concetto venga ribadito è difficile diventi vero unicamente per la reiterata ripetizione dello stesso. Il terrorismo dovrebbe avere una sua agenda, ma questo aspetto pare essere totalmente al di là delle capacità immaginative di Reed.
C'è poi la solita questione dei buoni e dei cattivi. Non c'è dubbio, non c'è alternativa: noi siamo i buoni, loro sono i cattivi, e per quanto i nostri politici lavorino per mandare in vacca il pianeta, per quanto la situazione sia in costante peggioramento, non c'è alcun serio dubbio che Ramiro rappresenti il male e Carmen la paladina del bene. Costi quel che costi (in questo senso mi pare esemplare la gestione del personaggio della guardia carceraria, chi ha letto capirà), la giustizia trionferà.
Come se poi esistesse una versione univoca della realtà. Nel romanzo è dato quasi per scontato che l'opinione altrui, la vita altrui, ha un valore unicamente in funzione della capacità che ha di fornire informazioni utili a chi interroga. L'utilità è sempre direttamente proporzionale alla conferma del punto di vista del potere che dirige i nostri eroi.
Poi sì, certo, gli inquisitori che si vedono comparire nel corso del romanzo hanno i loro bei dubbi morali. Dubbi immediatamente accantonati (in un modo o nell'altro, si veda la fine di Collins, l'inquisitore che precede Carmen nel lavoro con il prigioniero), non appena si scorge una crepa nelle difese dell'avversario.
"La verità ti renderà libero. Ma solo quando avrà finito con te."
Sarebbe stato magnifico veder esemplificata in un racconto fantascientifico l'affermazione di David Foster Wallace. Purtroppo nel romanzo di Reed la verità è qualcosa cui non ci si avvicina mai, mascherata com'è dietro tutti i paraventi che l'autore schiera a proteggere un segreto che non c'è.
…
questo non l'ho ancora letto, ma in effetti altri racconti di Reed mi avevano lasciato un po' perplesso riguardo al "messaggio" che l'autore cercava di trasmettere. ad esempio in "un miliardo di donne come eva" (uscito sempre su odissea delos) c'era una qualche tematica ambientalista che però non emergeva davvero, e sembrava tirata in ballo solo per dare maggiore "profondità" alla storia.
RispondiEliminaA me pare che la gestione della "politica" all'interno dell'opera sia una delle maggiori differenze tra la fantascienza americana e quella britannica.
RispondiEliminaÈ un po' che mi vado chiedendo - magari ci scapperà un post a breve - per quale motivo negli ultimi anni ho privilegiato la fantascienza d'oltremanica a quella d'oltreoceano. E beh… penso che la politica c'entri, in qualche modo.
La mia reazione a questo romanzo breve di Reed è sintomatica, credo.