25 giugno 2010

Try rugby!

Lo so. Questo video risulterà facile e scontato. Per non dire vagamente sessista.
Però ho visto qualche partita di questo mondiale, e quando ci vuole ci vuole.

Enjoy!



6 commenti:

  1. Questo mito che la cultura sportiva del rugby sia superiore a quella del calcio va smontato pezzo per pezzo. Cominciamo dal simpatico gesto di Bakkies Botha di ier sera?

    http://www.youtube.com/watch?v=aO12nItzYdw

    Preferisco di gran lunga gli sport per signorine, se proprio insisti a metterla su quel piano lì.

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  2. Frequento ormai abbastanza il rugby per sapere bene che il discorso su correttezza e lealtà e rispetto, che al momento fa la fortuna del rugby qui da noi, è una leggenda appiccicata allo sport per convenienza mediatica. Ci sono giocatori corretti e giocatori scorretti, atleti rispettosi di regole e avversari e altri che lo sono molto meno. C'è anche da dire che in una partita di rugby se ti dimostri scorretto normalmente non duri molto…

    Detto questo, ecco qualche altra precisazione.

    La simulazione, cui il video qui sopra fa riferimento, nel rugby non esiste (ed è l'aspetto del calcio che da appassionato francamente non sopporto).
    (e una cosa almeno ho apprezzato di Olanda-Spagna di ieri sera, ovvero che se non altro se le son date sul serio.)

    Il buon Botha probabilmente si prenderà una squalifica esemplare (vedi i sei mesi che - giustamente! - s'è preso Bergamasco due anni fa). Nel calcio sarebbe incredibile anche solo ipotizzarla.

    Lo spirito che circonda il gioco mi pare ancora diverso. Personalmente mi hanno colpito le parole che il presidente del Modena Rugby usa dire ai suoi giocatori: "dobbiamo dare tutto per vincere, non vincere a tutti i costi".

    L'ambiente che circonda il rugby - non mi riferisco tanto alle dirigenze societarie, quanto piuttosto a tifosi, appassionati, allenatori e giocatori - è decisamente più sano e rispettoso e corretto di quello che circonda il calcio. Soprattutto per quanto riguarda l'aspetto educativo- formativo dell'attività sportiva rivolta a bambini e ragazzi.

    Ovviamente tutte queste parole valgono per la realtà che conosco e frequento. Mi piacerebbe davvero saperne di più su come è percepito il rugby dalle tue parti.

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  3. Il buon Botha probabilmente si prenderà una squalifica esemplare (vedi i sei mesi che - giustamente! - s'è preso Bergamasco due anni fa). Nel calcio sarebbe incredibile anche solo ipotizzarla.

    Quelle squalifiche non sono ipotizzabili nel calcio perché nessuno nel calcio fa quello che ha fatto Botha. A Zidane per la testata a Materazzi (da davanti e sullo sterno, non da dietro e sulla nuca) diedero solo tre partite ma dopo infinite mediazioni politiche, e si tenne in considerazione il fatto che tanto aveva deciso di ritirarsi, per cui era una cosa un po' virtuale. Comunque ci fu un codazzo di polemiche pauroso per la lievità della pena. Per fare un altro paragone, Tassotti nella semifinale mondiale del 1994 per una gomitata - peraltro fallo di gioco, non aggressione a palla ferma - prese otto giornate, che in nazionale sono praticamente un ciclo intero di qualificazione; è come se fosse stato squalificato per un biennio.

    Botha ha preso nove settimane. La commissione disciplinare ha giudicato il fatto “di media gravità” ma gli ha dato una squalifica così solo lunga perché recidivo - altrimenti gliene avrebbe date due.

    Quello che emerge però appunto è che l’aggressione a Cowan è un fatto di “media gravità”. E infatti ieri per radio tutti a dire che nel rugby quelle cose si vedevano in continuazione prima del professionalismo e delle telecamere ovunque. Per non parlare di quello che succede ancora nei pertugi dove la telecamera non arriva. E sono gesti di violenza vigliacca. Magari possono piacere più delle simulazioni, però onestamente io preferisco le simulazioni.

    E del resto: nel rugby non ci saranno, ma cosa te ne fai della simulazione nel rugby? Cosa simuli? Se fai finta di essere rimasto ferito gravemente in un placcaggio, non vuol mica dire che diventa fallo. Le prime linee d’altra parte simulano lievi infortuni in continuazione per far entrare il medico e far rifiatare la difesa. Succede ogni sacrosanta partita.

    Ovviamente tutte queste parole valgono per la realtà che conosco e frequento. Mi piacerebbe davvero saperne di più su come è percepito il rugby dalle tue parti.

    Qui è esattamente il contrario: le pressioni sui giocatori di rugby fin da piccoli sono enormi, e l’imperativo di vincere con qualsiasi mezzo, assoluto. Parlo essendomi maritato in famiglia di rugbisti, preciso: giocatore di medio livello e poi allenatore il suocero, cognato che a diciotto anni era nei colts allenati da Graham Henry, come dire l’under 21 del calcio nostrano. Un ambiente semi-militaresco dal quale non esci senza una forza psicologica notevole, che lui peraltro non aveva. A monte di questo la mia compagna, che ci è cresciuta e il rugby non lo rifiuta per principio, anzi, quando si è trattato di incoraggiare i figli verso questo sport piuttosto che l’altro ha detto subito, il rugby per carità no. Sicché se vorranno poi glielo lasceremo fare, chiaro, però non ce li spingiamo noi. E il grande infatti finora ha fatto nuoto, tennis, atletica, cricket e come cavallo di battaglia appunto il calcio.

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  4. "Per fare un altro paragone, Tassotti nella semifinale mondiale del 1994 per una gomitata - peraltro fallo di gioco, non aggressione a palla ferma - prese otto giornate, che in nazionale sono praticamente un ciclo intero di qualificazione; è come se fosse stato squalificato per un biennio."

    Vero. Aggiungo solo che le squalifiche nel rugby non si limitano al campionato dove è avvenuto il fallo ma si estendo al complesso dell'attività agonistica del giocatore. Nell'esempio di Bergamasco che facevo sopra. il giocatore non ha giocato per sei mesi nel Sei nazioni (il torneo dove ha commesso il fallo), nel campionato francese e nell'Heineken Cup.


    Ma più che discutere sui difetti di calcio e rugby (che secondo me sono riassumibili nel concetto che l'importante è vincere, a qualsiasi costo, come si vince è ormai secondario.) mi interessa molto di più il discorso che fai in chiusura. Ovvero di come il rugby venga percepito in Nuova Zelanda esattamente come il calcio viene vissuto da quella che pare essere la maggioranza dei nostri concittadini.

    Nei tre anni da quando mio figlio più grande ha iniziato a giocare a rugby ho raccolto una serie di impressioni terribili sul calcio giovanile locale da parte di genitori che per assecondare il figlio o per gusto personale avevano portato i figli a giocare a football. Un campionario di brutture per cui davvero non ci sono parole: si va dalle risse tra genitori in tribuna agli allenatori che insegnano ai bambini come entrare fallosamente, dai bambini che non giocano mai a quelli che portano la propria squadra in finale per poi essere sostituiti in toto da ragazzi più esperti al momento di giocarsela. E in cima, a produrre questi risultati a cascata, l'ambizione delle singole società, la pressione sui giocatore (che questi siano ancora bimbi in età scolare non conta nulla), la selezione impietosa che genera esclusione e intolleranza, quasi che lo sport inteso come gioco fosse solo un antico ricordo.
    Al confronto di questo mondo la mia esperienza con il rugby giovanile è idilliaca: qualunque siano le loro capacità agonistiche tutti i bambini giocano, allenatori che strigliano i propri giocatori perché non hanno salutato gli avversari o rispettato l'arbitro, il divertimento come motivazione principale, ancor più della vittoria. E il fare gruppo, insieme al sostegno, come valore fondante dello sport.
    (ci abbiamo creduto tanto che Annalisa c'ha pure fatto un video)

    É evidente che tra il rugby praticato nella provincia italiana e quello neozelandese ci sono delle differenze.
    Mi stupisce però leggere quanto siano simili - specularmente - rugby e calcio qui e agli antipodi. Tanto da pensare che non è il gioco in quanto tale ad essere diverso, è il valore, soprattutto quello economico, che gli si attribuisce (a tutti i livelli) a fare la differenza.

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  5. Mi stupisce però leggere quanto siano simili - specularmente - rugby e calcio qui e agli antipodi. Tanto da pensare che non è il gioco in quanto tale ad essere diverso, è il valore, soprattutto quello economico, che gli si attribuisce (a tutti i livelli) a fare la differenza.

    Fermo restando che probabilmente le situazioni qui sono meno esasperate perché comunque è una società in cui ci si relaziona un po' ovunque nel modo che siamo abituati ad associare alla piccola provincia italiana, credo proprio che sia così. Aggiungerei che forse non è solo la dimensione economica però a fare la differenza - il rugby viene vissuto nel modo che ho descritto da queste parti da molto prima del passaggio al professionismo - ma anche lo status di sport per eccellenza, dal quale dipendono le sorti nazionali in senso lato.

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