L'avvenimento è stato celebrato in tutte le salse, raccontato in ogni dettaglio, analizzato in ogni sfumatura. Gli eroici astronauti hanno avuto il giusto riconoscimento, come tutto lo staff tecnico che ha messo in piedi quest'impresa straordinaria. Tutto è andato come doveva andare insomma, ma a me di questi giorni è rimasto soprattutto il sapore di un enorme rimpianto. Come se il quarantennale dello sbarco sulla luna si fosse trasformato da celebrazione dello spirito umano nell'epitaffio definitivo di un'epoca in cui l'idealismo trovava ancora il modo di coniugarsi pragmaticamente con la realtà, in cui si riusciva a concepire (e realizzare!) l'impossibile. Un periodo in cui la speranza di un futuro migliore era ancora ben presente nell'immaginario di tutti noi.
Ieri siamo sbarcati sulla luna, oggi siamo ancora qua. Decisamente più realisti, forse più cinici, indubbiamente più consapevoli dei nostri limiti. Rassegnati ad alimentare il fuoco della speranza in un luogo piccolo e segreto dentro di noi, che non è più tempo di sogni collettivi.
Consapevoli che non è vero che sperare non costa nulla, ma che l'alternativa è decisamente peggiore.
In attesa di compiere il prossimo grande balzo.
…
°Ieri siamo sbarcati sulla luna, oggi siamo ancora qua.
RispondiEliminaProbabilmente è per questione di umiltà. L'uomo si è accorto di aver fatto un passo più lungo della gamba e ha deciso di piantare ben bene i piedi sulla terra. Prima che riaccada, dovremo aspettare mooOoolto tempo, credo.
bel post :)
Ehi! Grazie sigurd!
RispondiEliminaNon so se abbiamo fatto il passo più lungo della gamba. Io direi proprio di no (ce ne fossero di passi altrettanto poderosi!).
L'umiltà è una gran bella cosa, ma non credo sia quello il problema. Mi pare piuttosto che la componente epico/sognatrice, se vuoi anche romantica, delle nostre esistenze s'è fatta sempre più sparuta e misera e piccina.
Ci hanno (ci siamo) abituati a pensare in piccolo, forse dovremmo osare di più.