Lasciatemi spiegare due o tre cose sulla montagna, che mica è chiaro a tutti cosa ci sia di così seducente nel fare della fatica su e giù per i monti passando intere giornate a camminare con uno zaino sulle spalle.
Una fondamentale precisazione da fare, prima di sbrodolare tutta la mia insana passione per i monti, è quella di distinguere (per quanto in modo generico e superficiale) tra chi le montagne le conquista e chi invece ci cammina semplicemente in mezzo, ovvero tra chi arrampica e chi attraversa.
Il fatto è che io non ho mai avvertito l'esigenza di arrivare alla cima. Per me la spinta fondamentale per affrontare la montagna è sempre stata vedere cosa c'è dall'altra parte. Del resto puntare alla cima m'è sempre parso un vicolo cieco (voglio dire: una volta che sei arrivato nel punto più alto dove altro vai?). Insomma non è per il gusto della scalata e della conquista che mi piace andare tra i monti. Mi basta esserne circondato per essere già soddisfatto.
Probabilmente tutto dipende dall'esserci nato in mezzo. Del resto da quando ho lasciato Bolzano, l'unica cosa di cui ho davvero sento la mancanza sono proprio le montagne. La loro imponenza, la loro visibilità sono senza dubbio aspetti importanti ma questa specie di nostalgia non è dovuta solo a fattori estetici o paesaggistici. È qualcosa di più: probabilmente essere andato a camminare per le dolomiti fin da bambino ha rappresentato una sorta di imprinting, un legame profondo con la natura stessa del territorio.
Forse le montagne sono un po' come il mare per chi è nato sulla costa. Rappresentano una possibilità, il mistero, l'avventura. Impedendo un facile accesso ad altre terre, nascondendole alla vista, sono un invito costante al viaggio e alla scoperta.
Non so se chi è nato in pianura può capire. Camminare in un bosco, salire oltre il limite degli alberi verso la prossima forcella, scoprire passo dopo passo un territorio inesplorato, rendersi conto della Terra, della sua consistenza e delle sue dimensioni. Confrontarsi con il rischio di perdersi, vedere ridursi progressivamente le tracce umane (che non scompaiono mai, riescono piuttosto a trovare un loro spazio armonico nel paesaggio), essere in balia dei capricci del tempo, per poi arrivare infine a scoprire cosa c'è dall'altra parte.
E poi la maestosità della roccia, il suo permanere oltre i nostri confini temporali, e la fatica, sempre la fatica, che ti riporta indietro in un tempo più selvatico e sensuale. La fatica che elimina le mediazioni a cui siamo abituati tra noi e il risultato dei nostri sforzi, la fatica che offre una soddisfazione per ogni passo, un risultato, un avvicinamento. La fatica che in montagna si misura sempre in ore di cammino mai in chilometri percorsi…
La montagna fa parte di me, del modo in cui sono cresciuto, di quello che sono diventato.
Però dopo tanti anni passati in pianura uno crede quasi di essersela dimenticata, quasi appartenesse a una vita precedente. Così quando dopo tanto tempo ti ritrovi a calcare di nuovo le tracce di un sentiero, è quasi una sorpresa ritrovare le vecchie sensazioni, sentire nuovamente tutto il fascino della camminata alpina. E non importa se il sentiero che percorri sia uno dei più frequentati tra quelli dolomitici, non importa se il silenzio e la solitudine intorno alle Tre Cime di Lavaredo siano quasi un'utopia. L'unica cosa davvero importante è sentire il ritmo del cammino, la vastità del cielo, la presenza della montagna.
"...e vidi il sole che percotea la montagna
essere più luminoso quivi
che nella bassa pianura... "
Leonardo da Vinci
…
e come hai fatto a scoprirmi??
RispondiEliminaUffi.
:D
Cose che capitano! :-)
RispondiEliminaStavo controllando su technocrati (http://www.technorati.com/blogs) se c'era qualche mia foto sparsa per il mondo e ho incontrato il tuo blog.
(grazie ancora per le belle parole!)
Non posso non condividere il tuo sentire. Monti e boschi hanno un fascino antico. E lo dice uno nato sul mare, ma orfano di montagne...
RispondiEliminaX
Beh… nella tua terra d'origine i monti non mancano proprio, mi pare!
RispondiEliminaSiediti. È il primo consiglio per chi vuole pregare. Stare fermi riconoscendo l'eternità dietro e davanti a sé, nel tentativo di assomigliare ad una roccia. Dio costruisce sulla pietra la sua casa e noi dobbiamo prima di ogni altra cosa imparare ad essere semplicemente quello che siamo. Misurare il nostro corpo avendo la dignità della montagna.
RispondiEliminaehm… caro don Nick, gli unici consigli buoni son quelli richiesti, gli altri vanno rispediti al mittente. (specie quelli che fanno largo uso di imperativi, di dobbiamo fare e di presenze e/o intercettazioni di divine azioni).
RispondiEliminaIn quanto al pregare, ho smesso, grazie. Preferisco camminare.
Scrivo sorridendo, perché quelle montagne che ti piacciono in maniera così umana a me molto dispiacciono. E mentre tu ne sei nostalgico io ne sono imprigionata, da queste ossa della terra. Io sono di pianura.
RispondiEliminaAmici festosi mi trascinano entusiasti di quando in quando, su per pittoreschi sentieri,silenzi e scorci luminosi ed oscuri si alternano ai trilli e a qualche parola sommessa dei viandanti in fila, i bastoni accennano ad una Compostela alpina. Funghi e felci e cose fresche arrivano al naso umidificato.
Ma è salita e discesa, baricentro continuamente in moto, il segmento visivo dal naso alla fogliamarcia (sic) presto si fa monotono nella sua frattale ripetitività.
E si fatica e si ansima, così si è felici quando si arriva e ci schianta sull'erba. La sega indiana, o per dirla col Leopardi "Piacer figlio d'affanno".
L'andare lieve e aperto della pianura,invece. Che se ti distrai non ti spacchi una gamba, e vedi tutto-ilcielo-tutto con le sue belle nuvole larghe e pensi a Goethe e a Maraini, e quando vien la fumana puoi avere una semibolla - se ti cerchi uno spazio vuoto - del raggio esatto della tua portata visiva: una semibolla di nulla nella nebbia.
La pianura, in cui l'isolata punta di campanile è il parafulmine dello spleen. La pianura dei pioppi in quiconce.
Sorrido io a leggerti, Zoe, che quel che scrivi è paro paro (si fa per dire…) quel che mi dice sempre mia moglie Annalisa, nata di pianura, ogni volta che la trascino in mezzo ai monti.
RispondiEliminaNon che lei non apprezzi le montagne, solo che le piaccion di più in cartolina, che sotto i piedi.
"La pianura è il sentimento che ci ingrandisce". Rilke. Con i miei omaggi ad Annalisa.
RispondiEliminaFacile per te spararmi un Rilke così… e io che son montanaro con cosa ribatto?
RispondiElimina(Bello, eh! Però mica come il Leonardo lassù!)
:-)
A me piace la montagna, ma visto che da solo riesco a perdermi anche in città mi rilasso solo quando è qualcun altro a fare da guida
RispondiEliminaaltrimenti mi perderei in sentieri fatti mille volte.
Per il resto, anche a camminare diverse ore non è un problema. Preferisco le salite perché in discesa rischio spesso di rotolare...
Non c'è niente come perdersi i n montagna (ma perdersi sul serio!) per riconsiderare le comodità cui siamo abituati.
RispondiElimina(M'avete fatto venir voglia di un bel trekking, 'mo devo solo convincere la famiglia! :-))