Quest'ultimo fine settimana sono tornato a Bolzano, l'occasione: i 40 anni di uno dei miei migliori amici storici. Già dire sono tornato è sintomatico. Quando cresci in un posto non importa da quanto tempo o come te ne sei andato, alla fine è quello il luogo che chiami casa.
Ma Bolzano che razza di casa è? Ricordo che quando me ne andai, vent'anni fa, fu una sorta di liberazione. Certo, ero in pieno dramma adolescenziale, in rotta coi parenti, con una città che non aveva niente da offrire, con la necessità quasi fisica della fuga, con una sofferenza addosso che c'ho messo un sacco di tempo ad ammorbidire, ad addomesticare.
Ritorno a Bolzano dunque, non più cittadino, ma nemmeno turista (questo mai!), forse reduce. Da battaglie personali, da incontri, scontri, sconfitte e illuminazioni. Fughe e ritorni. E come un reduce vago per la mia città, la guardo con occhio attento alle minime variazioni, cerco nelle facce delle persone un ricordo, un volto. Il segno di un'appartenenza. Difficilmente capita di incontrarlo, ma in fondo non ne sento più il bisogno e la ricerca è più un'abitudine che una necessità. Che ormai con i miei piccoli fantasmi ho fatto la pace. Che per Bolzano non giro più ramingo, ma passeggio. Che ora che sono lontano è davvero un piacere il ritorno.
Bolzano in fondo non mi manca. Del resto con i vecchi amici i ponti non li ho mai tagliati. Se c'è una cosa che qui in pianura mi manca non è la città, casomai la montagna. Ma questa è un'altra storia. Ne riparleremo.
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