05 dicembre 2013

Letture: Ted Chiang, Giorgio Scerbanenco, Dava Sobel

© giorgio raffaelli
Ted Chiang - Il ciclo di vita degli oggetti software
Ted Chiang ci ha abituato a uno standard qualitativo senza uguali nel panorama della fantascienza di questi ultimi decenni. I suoi racconti sono esempi pressoché perfetti di narrazioni rigorose dal punto di vista della speculazione (fanta)scientifica che si sviluppano in storie capaci di fondere immaginazione e dubbi metafisici, mantenendo comunque sempre alta l'attenzione all'umanità dei personaggi.

Il ciclo di vita degli oggetti software rappresenta ad oggi il suo unico tentativo di uscire dai limiti del racconto per svilupparsi sulla lunghezza del romanzo (per quanto non superi neanche in questo caso la soglia delle 150 pagine). Il tasso di invenzione ed estrapolazione scientifica del volume è come sempre altissimo: si parla di sviluppo di intelligenze artificiali, partendo dalla creazione di animali virtuali, esaminando le conseguenze della loro diffusione come oggetti d'intrattenimento e del conseguente sviluppo di comunità di utenti, oltre che del rapporto che si crea tra produttori di software, sviluppatori e pubblico, esaminando nel frattempo i percorsi evolutivi artificiali che riguardano gli "oggetti software" del titolo del romanzo.

Se la qualità e la densità della componente (fanta) scientifica del romanzo è fuori discussione, i limiti de Il ciclo di vita degli oggetti software riguardano l'estrema freddezza dello stile adottato da Ted Chiang per portare avanti la narrazione, che non riesce mai a diventare appassionante e a rendere partecipe il lettore del percorso emotivo, oltre che intellettuale, che si compie nei rapporti tra i vari elementi che concorrono alla creazione della vicenda.
Il ciclo di vita degli oggetti software è un'ottima storia, ottimamente costruita e sviluppata, ma è un caso esemplare di come basare la forza del racconto unicamente sulla speculazione intellettuale di una potenziale innovazione tecnologica possa risolversi in un pregevole esperimento di estrapolazione, con il rischio però di perdere per strada l'idea di una letteratura capace di unire pulsioni umane e avanguardia scientifica.


Giorgio Scerbanenco - Il centodelitti
Con la lettura de Il centodelitti ho concluso una sorta di personale trilogia degli anni '60, partita con un giro nella Milano de La vita agra di Luciano Bianciardi e proseguita poi nel profondo nord de L'italiana di Joseph Zoderer.
Quel che i tre volumi condividono  è la consapevolezza del racconto di alcune vite colte in un momento di passaggio, osservate con sguardo lucido e trasparente, attento alle dinamiche sociali dell'epoca, riportato poi su carta con nitidezza, senza moralismi o pesantezze retoriche. Poi certo, gli anni '60 narrati dai tre autori non potrebbero essere più diversi nelle loro declinazioni personali, ma leggendo Scerbanenco e poi Zoderer non ho potuto fare a meno si sentire rieccheggiare sullo sfondo le voci e gli avvenimenti di una Milano collettiva che risuona nel ricordo virtuale anche di chi, come me, degli anni '60 ha  impressa nella memoria solo qualche istantanea, tra foto di parenti, riviste che giravano per casa (Epoca!) e scorci di caroselli televisivi.

Il centodelitti è il volume che raccoglie cento racconti scritti da Giorgio Scerbanenco a partire dal 1963, e rappresenta un panopticon del panorama criminale dell'epoca. L'aspetto più straordinario di questa raccolta, oltre alla qualità media delle storie che lascia davvero stupefatti, è la capacità di Scerbanenco di tracciare in poche righe i ritratti definitivi di decine e decine di tipi umani, di indagare sul male senza reticenze o pudori, lasciando trapelare come lampi di luce momenti di tenerezza che giungono spesso inaspettati, e una compassione per il destino di molti dei suoi personaggi che lascia giusto un filo di speranza in un mondo altrimenti perduto. Senza dimenticare che molti dei racconti raccolti nel volume sono perfetti meccanismi narrativi, sia che sfruttino l'effetto sorpresa del finale, sia nella gestione della tensione tipica di queste storie nere.
Non avevo mai letto Giorgio Scerbanenco prima d'ora. È stata una gran bella scoperta.


Dava Sobel - Longitudine
Longitudine è un libro che non t'aspetti d'incontrare da 'ste parti. Io per primo sono rimasto sorpreso da questo volume di Dava Sobel, che non mi capita spesso di leggere testi divulgativi a tema storico/scientifico.
Ma è successo che ho incrociato un paio di recensioni entusiaste girovagando su anobii, e sono rimasto intrigato dall'argomento:
"Nel 1714 il Parlamento inglese offrì una ricompensa di ventimila sterline in oro (l'equivalente di 10 milioni di euro) a chi avesse scoperto come determinare la longitudine di una nave nell'oceano. Fu un orologiaio autodidatta, l'inglese John Harrison, a trovare la soluzione: bastava che ogni nave fosse equipaggiata con un cronometro in grado di segnare sempre l'ora "esatta", quella di Londra, ad esempio, e un semplice confronto con l'ora locale avrebbe istantaneamente fornito la longitudine della nave." (Estratto dalla presentazione del volume)

Non so niente di navigazione, e non avrei mai pensato che il problema della determinazione della longitudine in mare fosse così complesso da risolvere. Il testo della Sobel racconta in maniera appassionata le vicende dell'epoca, affrontando le problematiche scientifiche e gli ostacoli politici che hanno complicato il cammino verso la soluzione del problema. Per farlo alterna i ritratti delle personalità che si sono scontrate sul cammino della ricerca con il racconto delle varie teorie che avrebbero potuto risolvere la questione, fornendo un panorama sul metodo scientifico e sui progressi delle conoscenze tecnologiche in un'epoca tra le più creative dello scorso millennio. Arrivato in fondo al libro ho iniziato a guardare ai cronometri con ben altro rispetto.

8 commenti:

  1. Finora dei racconti di Chiang ho sempre trovato una facilità da parte dell'autore a creare vicende e personaggi che possano fa affezionare il lettore. Strano che non ci sia riuscito proprio nel suo finora unico romanzo. Forse il romanzo, sia pur in forma breve, è una dimensione narrativa che non fa per lui

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    1. Non credo sia questione di lunghezza (che in fondo questa storia supera di poco le cento pagine), quanto piuttosto di temi e situazioni, che sono poco emozionanti di loro e che per avere un minimo di appeal devono essere sviluppati in modo programmaticamente analitico, per puntare più alla soddisfazione intellettuale del lettore piuttosto che alla sua pancia. Con l'ovvia conseguenza che se ti appassiona l'argomento ne puoi ricavare qualche soddisfazione, ma se invece non ti interessa rischi davvero di annoiarti.

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  2. Mah, quello di Chiang sono indeciso se chiederlo a Babbo Nqatale assieme a storie della tua vita...
    Però a me, la freddezza nella narrativa di genere fa sempre un certo ché.
    E comunque incuriosisce parecchio.

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    1. Leggi Storie della tua vita, che credo sia la migliore antologia pubblicata in italia negli ultimi vent'anni (Boom!). Questo più può tranquillamente aspettare, che in effetti, per quel che ho capito dei tuoi gusti, non so quanto ti possa appassionare.

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  3. questo di Chiang l'ho preso poche settimane fa e conto di leggerlo presto. "Storie della tua vita" lo consiglio assolutamente, è straordinario!

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    1. Son curioso di leggere cosa ne scriverai.
      Attendo fiducioso!

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  4. Non è un romanzo, è una novella. Non solo per questione di lunghezza - sebbene rientri nei parametri numerici per le votazioni di tutti i premi - una novella lunga può essere più lunga di un romanzo breve, ma la novella sviscera un idea o una situazione centrale, il romanzo, anche quando si appoggia su un idea o situazione, ha un percorso meno indirizzato.
    Credo che lo stile di Chiang non sia particolarmente adatto per la pancia - o per la caratterizzazione intesa in senso classico. Anche dove ti appassioni al destino dei personaggi, è in genere un effetto della situazione. Lo stile distaccato in quel caso funziona.
    Ma nel passaggio da short story a novella - per non parlare eventualmente di un romanzo, che non si regge su una sola (o anche diverse) idea base - perde progressivamente di efficacia.

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    1. Credo anch'io che Chiang non sia uno scrittore di pancia, ma ciò nonostante i suoi racconti mi hanno sempre appassionato. Non tanto (o non solo) per i personaggi, quanto proprio per le situazioni che è capace di creare. Stavolta per quel che mi riguarda ha fatto cilecca, e non credo che sia questione di lunghezza, ma proprio di argomento.

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