09 dicembre 2013

Letture: Mar del Plata, di Claudio Fava

© giorgio raffaelli
Ci sono libri che suonano stonati e che quando hai finito di leggerli non riesci a dimenticare, perché vorresti in qualche modo aggiustarli, per toglierti quella specie di irritante prurito dovuto alla sensazione di sbagliato, che aumenta pagina dopo pagina dopo pagina.
Mar del Plata è uno di quei lbri.
Claudio Fava ha scritto questo libro per ricordare un episodio della dittatura argentina: una squadra di rugby i cui giocatori sono stati eliminati tutti, uno per uno, fino a lasciare un unico sopravvissuto. L'autore avrà avuto le migliori intenzioni, ma il risultato è talmente farlocco che è difficile immaginare un esito peggiore.

Qual è il modo migliore per ricordare le vittime di una tragedia come quella dei desaparecidos argentini?
Credo che un racconto che voglia narrare in forma romanzata una storia vera come quella del La Plata Rugby Club debba ricercare, per quanto possibile, la maggior fedeltà possibile ai fatti, al periodo, alle circostanze in cui si è sviluppata. Volendo riproporre la Verità, l'autore si assume un'enorme responsabilità, prima di tutto nei confronti dei protagonisti reali della vicenda e quindi del lettore a cui propone il racconto.
Mar del Plata contiene una tale mole di invenzioni, false supposizioni e retorica da lasciare la Verità monca e sofferente in un angolo, soffocate dall'ego e dall'incuria del suo autore, che piega e addomestica i fatti alla propria visione, che sarà anche giusta, ma che diventa sbagliata per eccesso di zelo.

Partiamo dal rugby. Se vuoi raccontare le gesta di una squadra che gioca con la palla ovale dovresti avere l'umiltà di informarti su come funziona il gioco, se non altro per mostrare un minimo di rispetto nei confronti dei giocatori di cui vuoi narrare la tragica storia. Dovresti ricordare che la squadra vittima della repressione fascista del regime era quella del La Plata Rugby Club, che la città di Mar del Plata non c'entra nulla, essendo una località distante parecchie centinaia di chilometri dal luogo dove si svolsero i fatti, e la sua squadra di rugby niente ha a che fare con questi avvenimenti. Dovresti notare che le sette vittime di cui racconti il tragico destino non sono nemmeno la metà di una squadra di rugby e spiegare magari che - la matematica non è un'opinione - per lasciare un unico spravvissuto quei ragazzi uccisi giocavano una versione del gioco del rugby che prevede sette giocatori per squadra. Capisco poi che i ruoli nel rugby siano complessi da comprendere, ma credo sarebbe bastato far leggere il libro a qualche giocatore perché ci si rendesse conto della quantità di errori presenti. Errori che sarebbero del tutto veniali, se non contribuissero a svilire la qualità del racconto e quindi la forza del tributo che si vuol rendere a questi uomini.
Di più, e peggio, Claudio Fava vuol far passare l'idea del rugby come sport proletario che, per quanto riguarda l'Argentina, è cosa storicamente falsa e pregiudizievole. Come se poi un morto proletario valesse di più di un morto di un'altra classe sociale. Ma Fava preferisce la retorica populista del povero cristo che cerca riscatto nello sport, alla più banale verità che si possa soffrire su un campo di rugby anche se si proviene da una buona famiglia.

Ma il rugby è solo un aspetto del pasticciaccio brutto messo insieme da Fava. Perché non saprei come altro definire la scelta dell'autore di trasformare Raúl Barandiarán, il giocatore sopravvissuto alla mattanza compiuta dal regime dei generali, nel povero nipote di un emigrato siciliano, e di infilare nel testo tutta una serie di sicilianismi che nemmeno Camilleri… Ma s'è già detto sopra: la retorica in questo libretto impera, e Fava usa tutti gli strumenti in suo possesso per trasformare il recupero di una tragica vicenda storica in un testo che non serve alla memoria collettiva ma che risponde piuttosto alle esigenze del suo autore. Claudio Fava vorrebbe trasformare la storia particolare di questa squadra nella vicenda universale di tutti quei morti ammazzati perché si sono opposti al potere. Lo scopo è nobile, ma non è piegando la verità, trasformando i fatti, lasciando campo libero alla retorica che si può sperare di raggiungerlo. Quelli sono gli strumenti della propaganda e la propaganda è il braccio sottile del potere.

Claudio Fava scrive, nella postfazione al volume: "[…] questo libro. Che non vuole raccontare i fatti: ho preferito immaginare i pensieri e i gesti di quei ragazzi che scelsero di restare e di morire. […] Il nome di Raul, il sopravvissuto, l’ho conservato. Gli altri, carnefici e vittime, li ho ribattezzati: mi piaceva pensare che ognuno di loro avrebbe portato con sé, in questo libro, qualcosa in più del proprio nome, qualcosa in più della propria morte."
Se Claudio Fava avesse avuto l'approccio di un David Peace (parlo di lui perchè Il maledetto United ha qualche similitudine con questo Mar del Plata) e la sua scrittura avesse avuto anche solo la metà della potenza di quella dell'autore inglese, allora un'affermazione come la sua potrebbe avere ancora senso. Dopo aver letto questo volume credo invece che quei ragazzi si siano visti togliere qualcosa da questo libro, che la storia delle loro vite e delle loro morti avrebbe meritato un trattamento migliore.
Se il libro fosse un semplice romanzo non starei qui tanto a menarmela con la Verità, ma Mar del Plata è una bugia raccontata con le migliori intenzioni. E per me questo continua a rimanere sbagliato.

Per qualche informazione in più sulla vera storia dei giocatori del La Plata Rugby Club vi consiglio di fare un giro su questa pagina (è in lingua spagnola) oppure di leggere questo post dal blog Libri di bordo. Qui e qui ci sono invece due articoli che il giornalista argentino Gustavo Veiga ha dedicato alla vicenda.


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