In libreria c'era una volta lo spazio dei libri di fantascienza, una dozzina di scaffali ben visibili in un reparto tutto per loro. Negli ultimi anni questo spazio è andato via via riducendosi, mimetizzandosi con quello fantasy che invece è cresciuto, perdendo la sua connotazione cromatica che lo rendeva immediatamente riconoscibile (che fine anno fatto i Cosmo Oro?) per ridursi ormai a un paio di scaffali tra i libri di cinema, quelli di fantasy e i fumetti lì nei pressi.
Ma cos'è che caratterizza questo spazio? Quali sono le presenze dominanti (gli autori di moda?) che riempiono il piccolo spazio dedicato alla fantascienza nelle librerie italiane?
Fino a dieci/quindici anni fa la fantascienza in libreria era caratterizzata da due elementi immediatamente riconoscibili. I dorsi color oro e argento delle serie Nord, e poi l'immancabile taappeto di titoli del Buon Dottore. I primi erano dedicati agli specialisti del settore mentre la messe di titoli asimoviani erano destinati al frequentatore distratto, al neofita, a chi voleva assaggiare il genere. Poco importava se i romanzi in questione risalivano anche a quarant'anni prima, poco importava se nel frattempo la fantascienza era diventata qualcosa di diverso. Asimov era Asimov. E non c'era niente da fare.
Poi, verso la fine degli anni novanta, è successo qualcosa. Non so a chi vada imputata la responsabilità del cambiamento, se alla critica ufficiale, al pubblico generalista, agli editori o ai librai stessi ma di punto in bianco gli enormi spazi dedicati a Asimov sono stati poco a poco erosi dal Nuovo Grande Autore Fantascientifico del momento (nuovo per il grande pubblico almeno).
Poteva essere Gibson (che in un certo qual modo un suo spazio librario se l'era conquistato), poteva capitare a Banks (la vera bomba sf degli anni '90) e invece l'onore del titolo in questione è stato conferito a un autore scomparso ormai da una decina d'anni: Philip Kindred Dick. Il buon vecchio Dick la gloria se la merita anche, almeno per la carriera da outsider che ha condotto per tutta la sua vita, ma davvero meritava tutti i riflettori solo per lui? Siamo sicuri che avesse davvero tutti questi meriti? I suoi romanzi son tutti capolavori? Le sue idee così sfolgoranti?
Beh… sulla sua visionarietà, sulle sue capacità immaginifiche, sulla sua capacità di giocare tra realtà e paranoia c'è poco da dire. In questo Dick è stato un vero maestro. Basta leggere uno qualsiasi dei suoi racconti per rendersi conto delle sue capacità di rendere su carta la portata rivoluzionaria delle sue creazioni, delle sue visioni. Ma i romanzi? Beh… a frequentare le varie comunità sf on-line sembra che ci sia un vero e proprio culto dei romanzi dickiani, dai più rinomati fino a quelli che solo i fan più accaniti potrebbero considerare leggibili (sicuramente c'è in giro qualche estimatore anche de L'ora dei grandi vermi, tanto per dire).
Però io tutta questa ammirazione davvero non la capisco. Non ho letto tutti i romanzi del nostro, solo una mezza dozzina. Ma tra questi ci sono The Man in the HIgh Castle (a seconda della traduzione italiana La svastica sul sole o L'uomo nell'alto castello), Le tre stimmate di Palmer Eldritch e Ubik ovvero tre tra quelli che sono considerati i suoi massimi capolavori.
Non che questi romanzi siano privi di qualità, tutt'altro, ma nessuno è esente da quelli che per me sono enormi difetti. Primo tra tutti e caratteristico dello stile dickiano, una sorta di disordine compositivo, di scarsa padronanza dello sviluppo narrativo del romanzo che m'è parso presente in tutti i libri letti (con l'eccezione de La svastica sul sole, molto più curato, ma anche decisamente più normale come costruzione narrativa) e che ho trovato quanto meno fastidioso. Come se ci si ritrovasse a leggere la prima bozza di un grande romanzo che l'autore, vuoi per scarsa cura o per mancanza di tempo, avesse deciso di pubblicare così, senza troppo riguardo per chi poi quel libro lo avrebbe letto.
Insomma, se nei racconti la forma e la sostanza dell'opera dickiana merita un plauso incondizionato, tutte le volte che mi son ritrovato a leggere un suo romanzo alla fine erano la delusione e il rimpianto le sensazione più forte.
Delusione e rimpianto che si provano quando si arriva a un passo dalla rivelazione, a un attimo dalla possibilità di dare un'occhiata oltre il velo della nostra realtà, di scorgere la Verità. Tutte occasioni frustrate dall'incapacità di Dick di mantenere fino in fondo il controllo della materia narrata, del mondo ricreato dalla sua immaginazione.
So che la mia opinione è decisamente minoritaria, ma tant'è, io sono qui e aspetto le repliche dei Veri Credenti.
Ah… per quanto riguarda le librerie: mi sembra che anche la moda dickiana abbia ormai i giorni contati. Purtroppo non si vede nessuno all'orizzonte (o meglio, gli editori o chi per loro non vedono nessuno) capace di prendere il posto di Dick come apripista del reparto fantascienza. Temo in un ritorno in grande stile del Buon Dottore, o ancor peggio l'estinzione definitiva dei due poveri scaffali fantascientifici sopravvissuti.
Staremo a vedere. Per ora approfittatene, andate a comperarvi un libro di fantascienza. Finché riuscite a trovarne.
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Un Vero Credente? Non so, dopotutto mi manca ancora L'ora dei grandi vermi... ;-) però posso dirti che in Dick i grandi romanzi (come quelli che hai letto) sono anche i romanzi più sperimentali. Ubik, per esempio, è una delle letture più criptiche che mi sia capitato di fare, e almeno nel mio caso la rivelazione mi ha colpito come un colpo di frusta...
RispondiEliminaSe uno cerca qualcosa di letterariamente più solido, ma decisamente più cupo e disperato della media dickiana, c'è sempre Do Androids Dream of Electric Sheep?. Se uno invece vuole una lettura "più classica", Dick si è espresso ad alti livelli anche con Tempo fuor di sesto.
Poi ci sarebbero I simulacri, Noi, Marziani, o i Dick minori, Illusione di potere e Mr. Lars, sognatore d'armi...
Vabbe', forse non faccio comunque testo. Uno dei miei Dick preferiti resta il mio primo Dick, ancora immaturo e viziato dalle sue letture giovanili... Il mondo che Jones creò. Forse farai meglio ad ascoltare qualche altra campana... ;-)
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Ubik è strabello. Ha il solo difetto di adombrare la soluzione troppo presto.
RispondiEliminaDevo ancora esaurire la lettura dei romanzi dickiani, ma per ora noto anch'io molte delle cose che sottolinei tu.
Spesso, nel lungo, Dick si perde. Ho appena finito di leggere In senso inverso e certe volte il tira-e-molla dei personaggi supera il livello "personaggio caratterizzato come indeciso" per sconfinare nel "forse Dick non sapeva bene come andare avanti" :-)
Anche se, come dire. Forse c'era una certa volontà di dipingere gente incapace di contrastare il mondo.
In ogni caso il fascino di Dick per me è spesso sufficiente a coprire la sua scarsa organizzazione, e dopo tutto organizzazione e logicità e costruzione sono valori come altri: ora ce li abbiamo perché siamo occidentali, (post)moderni, razionali, veniamo dalla scuola americana che viene da Aristotele ecc; ma uno può scegliere di ignorare queste cose, a suo rischio e pericolo, se sa di essere molto potente sul piano del fascino.
Dick forse non lo sapeva :-)
Comunque PKD ha scritto anche romanzi che non esito a definire inconcludenti senza riserve.
Anche se io nn leggo libri di fantascienza... ti posso capire... sono appassionata di thriller medioevali... ma... non se ne trovano... quei pochi sono relegati negli angoli bui delle librerie... complimenti... bel blog :)
RispondiEliminaElena
piccolae.blogspot.com
Grazie per vostri contributi.
RispondiElimina@ X & zio Gil: non so se Dick avesse chiara la sperimentalità dei suoi romanzi. A me ha sempre dato l'impressione che gli venisse per caso. più indotta dai temi affrontati che da uno stile letterario definito. (se c'è un autore senza stile è proprio Dick, no?)
Piuttosto noto con curiosità come quella che per me è confusione, disordine, frettolosità venga invece etichettata da molti come scelta stilistica precisa. Cosa che a me pare quanto meno paradossale. Ma tant'è, evidentemente mi sfugge qualcosa.
Riguardo alla disperazione dickiana, mi sembra che tragga origine da una tensione frustrata alla normalità che affligge i suoi personaggi piuttosto che da una società che ne rifiuta le caratteristiche. In questo senso mi sembra che il ribadire come temi centrali la paranoia, la realtà sfuggente, la solidità delle apparenze, sia un modo per assolvere da qualsiasi colpa il mondo e colpevolizzare sempre e comunque l'individuo. Non ne sono sicuro, non è una visione che mi sento di condividere. Voi che dite?
@ Elena: benvenuta da queste parti, grazie per i complimenti. In effetti non credevo esistessero lettori specializzati in thriller medioevali. Ma allora, forse, noi fantascientifici non siamo l'ultima ruota del carro letterario! :-)
Ma ce ne sono davvero tanti? (di thriller medievali, intendo)
Ahem... per me quella che tu definisci come "l'assenza di stile" in Dick è trasparenza e compostezza, è la forza delle idee che irrompe dalla pagina senza bisogno di inutili orpelli. Ma Dick ha un suo stile, inconfondibile, per quanto molto discreto, che si coaugula intorno ai neologismi (conapt, macchine omeostatiche, e così via) che conferiscono spessore al suo universo. Chiaro che poi gli esiti della sua scrittura siano altalenanti: per un autore così prolifico credo sia fisiologico oscillare tra le vette di La svastica sul sole e Cacciatore di androidi ad altre cose meno curate. Non c'è da stupirsi...
RispondiEliminaQuanto al resto, ho cercato di risponderti sul mio blog. La faccenda si faceva troppo complicata... ;-)
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Mah… il neologisma come paradigma stilistico mi sembra un po' una forzatura. Ma non insisto che non credo riusciremo a trovare un accordo, almeno in questo ambito :-)
RispondiEliminaDirei quindi che possiamo concludere qui questa parte di discussione, con la considerazione condivisa che comunque la si pensi i meriti di Dick quale visionario precursore dell'immaginario odierno sono innegabili. Forse non sapeva scrivere (!), ma già così era anni luce avanti rispetto alla maggioranza dei suoi colleghi fantascientifici. Lo avesse saputo fare si sarebbe mangiato Pynchon o Burroughs a colazione. Questa è in definitiva la mia opinione.
Per quanto riguarda disperazione e personaggi dickiani ti seguo volentieri sul tuo blog.
Un blog davvero interessante, ricco di contenuti e scritto bene. Passaci a trovare, se vuoi ;)
RispondiEliminaGrazie wings of magic!
RispondiEliminaNel frattempo sono passato da voi, ma avete troooooppa roba on-line! :-)
Buon divertimento!
Giusto qualche giorno fa dicevo a un amico inglese che Dick mi fa incazzare, perche' e' una moda, e di conseguenza sarei portato a snobbarlo, ma poi quando lo leggo mi inginocchio.
RispondiEliminaE' uno di quegli autori che hanno scritto talmente tanto che non possono avere scritto solo cose straordinarie, ma al momento devo ancora trovarne una brutta (anche se devo dire che Eye in the Sky l'ho trovato al massimo divertente).
Quanto allo stile, be', ritengo che sia una cosa del tutto personale. A me non dispiace lo stile pulitino e curato, se poi è accompagnato da contenuti forti (insomma, Asimov per me resta un grandissimo, e fanculo ai dickiani snob), ma con qualcuno che spezza tutti gli schemi entro immediatamente in sintonia. Io sono una che ha amato Rimbaud, Joyce, Beckett... Ecco, Dick lo vedo un po' in questo filone. E non lo leggo con la testa, ma con i sensi.
E poi dimentichi - o forse non l'hai notato - il senso dell'umorismo e dell'ironia.
Ripeto: non sono una super-fan, anche perché non amo le mode, e Dick è prima di tutto una moda. Ma ci tenevo a mettere in luce quelle che sono per me le sue qualità.
E poi diciamocelo: dalla Svastica sul Sole nasce Fascisti su Marte ;-)
Ecco! Il senso dell'umorismo! Una cosa che avevo in effetti tralasciato.
RispondiEliminaBeh… a dirla tutta non è che Dick mi sia mai rimasto impresso per l'ironia o il divertimento. Però ripensandoci è vero, una sottile vena umoristica è possibile riconoscergliela, ma sempra nella zona della disperazione comunque. Nel senso che non è nemmeno un ridere per non piangere. o un sorridere per riuscire a sopportare la durezza dell'esistenza. Piuttosto è come lasciare che il riso ci passi un po' addosso, tanto messi peggio di così è difficile…
(ma non so se rendo l'idea)
Per il resto che ti devo dire?
So che siamo in pochi a non gradire la scrittura dickiana. Amen.
Io continuo ad apprezzare le sue visioni, un po' meno i suoi romanzi.
Arrivo sempre un pò tardi, scusa :)
RispondiEliminaDick è il mio preferito per come riesce a far vivere i suoi personaggi, sempre molto forti, per come gioca con la realtà e la manipola, per come proietta nel futuro problematiche del nostro tempo, per quella incredibile immaginazione e fantasia che ha prodotto romanzi e racconti eccezionali.
Praticamente mi piacciono tutti i suoi libri, romanzi o raccolte di racconti che siano. Molta notorietà l'ha raggiunta grazie al cinema, dopo aver visto Blade Runner ho letto il libro (il mio primo romanzo di FS) ed è stato amore (e, si sa, il primo amore non si scorda mai) prima per l'autore e poi per la FS. Non sarei qui se non fosse stato per lui. Per quanto riguarda il discorso delle librerie, è troppo deprimente per parlarne. Ormai vado solo per ordinare i libri che voglio leggere, senza nessuna speranza di trovarli esposti.
Siamo una specie in via di estinzione, e, per giunta,
neanche protetta dal WWF.
Ciao
Vittorio
Non ti preoccupare Vittorio, tanto questi post mica hanno la data di scadenza :-)
RispondiEliminaGrazie per il tuo contributo, ti capisco quando parli di primo amore. Del resto l'amore rende ciechi ai difetti della persona amata! :-))
condivido nella sostanza le tue critiche a Dick: le trame sono spesso farraginose e ha grosse difficoltà nel controllare saldamente gli sviluppi narrativi - peraltro il suo primo libro, E Jones creò il mondo, cui accennava X (e che trovi recensito sul mio blog) è, forse, uno di quelli in cui questi difetti sono meno evidenti.
RispondiEliminaDick, però, resta un genio nell'immaginare (e nel descrivere) gli scenari di possibili società future: basti pensare ai coloni di 'Noi, marziani', alla società deviata di 'Follia per sette clan', alla civiltà le cui speranze procreative sono affidate ad un gioco ne 'I giocatori di Titano', o, anche 'Alle tre stimmate di di Palmer Eldritch" che hai letto - la droga che anima i plastici e fa evadere i coloni da una vita di miseria.
Dick è un genio della sceneggiatura, del 'soggetto' - anche se non riesce sempre a
svilupparlo in modo adeguato.
Comunque il mio Dick preferito resta 'Un oscuro scrutare', il suo libro meno fantascientifico - forse
a conferma del fatto che quello che mi piace in Dick è soprattutto il lato del sociologo - ma la fantascienza è anche e soprattutto sociologia (come nel mitico Il giorno dei trifidi)
Ciao francesca, e benvenuta da queste parti!
RispondiEliminaCondivido quanto scrivi riguardo Dick.
Mi sono chiesto spesso come sarebbe stata la sua produzione se non avesse avuto la vita travagliata che gli è toccata, se avesse potuto scrivere con maggiore tranquillità, curando meglio la stesura dei romanzi… ma forse poi ne avrebbe perso in furia creativa e in potenza immaginifica. Chissà.