05 giugno 2013

Letture: Francis Scott Fitzgerald, Stephen King, Joe R. Lansdale

© giorgio raffaelli
Francis Scott Fitzgerald - The Great Gatsby
Si può arrivare alla mia età senza aver letto Il grande Gatsby? Evidentemente sì, però mi dispiace un po' non aver incontrato prima il romanzo di Francis Scott Fitzgerald.
Credo di averlo già scritto ma tanto vale ribadirlo: io sono tra quelli che tra fantascienza e cinema e beat generation e rock'n'roll l'America gli ha fottuto l'immaginario (su base consensuale e senza alcun rimpianto, anzi…). Capire quali sono le basi di questa fascinazione è sempre interessante, per questo motivo leggere The Great Gatsby, una colonna portante del senso americano per la narrazione, è illuminante.

Nella storia di Jay Gatsby, rivelata progressivamente da Fitzgerald sfruttando il punto di vista privilegiato di Nick Carraway, ci sono tutti gli ingredienti per quella via americana alla conoscenza del mondo che mescola insieme individualismo e ambizione, grandi passioni e ricerca dell'ideale, eguaglianza delle persone e aristocrazia del denaro. lotta di classe come affermazione individuale, morale che si piega al risultato e, soprattutto, l'esaltazione senza compromessi della giovinezza - il potenziale, l'energia, le possibilità -  rispetto alla consapevolezza delle sconfitte, inevitabili, della maturità.
Il Grande Gatsby è un gran bel romanzo per come è narrato, per il calibrato disvelamento del lato oscuro dei vari personaggi, per l'approccio normale agli eventi straordinari cui si assiste (Carraway è il perfetto contraltare alla grandeur di Gatsby), per il senso di rimpianto e nostalgia che emerge da ogni singola pagina senza risultare mai stucchevole o melodrammatico, a esaltare anzi, un romanticismo sotterraneo mai esplicito ma forse per questo ancor più struggente.
Arrivato in fondo capisci bene perché il romanzo di Francis Scott Fitzgerald sia diventato iconico e fondamentale, non solo per gli autori americani che seguiranno, ma anche per tutti quegli scrittori che nell'America letteraria han cercato fortuna e ispirazione.



Stephen King - La Torre Nera
C'ho messo poco più di quattro anni per arrivare alla fine di questa lunghissima saga, e per molto tempo mi son chiesto se era il caso di proseguire o mollare quello che per parecchio tempo m'è parso un furbo, per quanto piacevole, mappazzone narrativo. Nei sette volumi della saga de La torre nera c'è tutto quel che un lettore di genere può desiderare: magia e orrori, fantascienza e mostri, apocalissi assortite e mondi paralleli, con in più quell'abile tocco metaletterario capace di stuzzicare anche il lettore più scafato. Non sempre l'abbondanza è sinonimo di qualità, e più di una volta nei sei capitoli precedenti ho dubitato della capacità di Stephen King di dare armonia ed equilibrio alle varie componenti del suo ambizioso affresco.
Ero lì lì per mollare tutto a causa delle dimensioni di quest'ultimo volume e dell'opinione che avevo maturato al termine della lettura degli ultimi due capitoli della saga (I lupi del Calla e La canzone di Susannah), che mi son parsi frutto di calcolo e mestiere più che di passione e necessità narrativa. Ho deciso di leggere La torre nera un po' per l'inevitabile curiosità di sapere come va a finire, un po' per vedere se i giudizi confortanti letti un po' ovunque sarebbero stati confermati dai fatti.

Arrivato in fondo posso dire che La Torre Nera mantiene tutte le promesse, e conclude in maniera più che degna una storia che per lunghi tratti sembrava girare in tondo, svelando qualche mistero, dando risposte - magari poco piacevoli - alle domande dei personaggi, con un finale che riesce ad essere al contempo consolatorio e terrificante. Onore al merito a Stephen King dunque, che oltre ad essere un ottimo artigiano della scrittura, dimostra di saper condurre in porto una storia complicata come questa senza troppe concessioni ai desideri del pubblico, con un rigore e una coerenza esemplari.
E sì, credo che Roland un po' mi mancherà.



Joe R. Lansdale - Cielo di sabbia

Mi piace il modo in cui Joe R. Lansdale tratta i ragazzi. Che siano i lettori cui è destinato Cielo di sabbia o i personaggi stessi del romanzo, Big Joe non scende a compromessi, li lascia liberi di comportarsi come meglio credono, li lascia provare, li lascia sbagliare, a volte vincere, a volte piangere, ma senza alcuna supponenza, senza porsi quale esplicito giudice morale di comportamenti o scelte. Lasciandoli soprattutto parlare con la propria voce.

In effetti se c'è un motivo per cui val la pena leggere Cielo di sabbia è nella voce narrante del suo giovane protagonista. Joe Lansdale - e con lui Luca Conti, traduttore del romanzo - rende perfettamente il punto di vista di Jack, adeguando lessico e profondità a quelle di un adolescente che, sebbene si muova e agisca nella dust bowl della grande depressione, risulta riconoscibile nei comportamenti e perfetto nelle relazioni che instaura con i suoi compagni di viaggio (tra cui spicca Jane, meravigliosa femme fatale quattordicenne, anno più anno meno) anche qui e ora.
Sebbene non abbia le ambizioni dei precedenti romanzi "di formazione" dell'autore texano (penso a La sottile linea scura o a The Bottoms) Cielo di sabbia è una lettura piacevole e divertente, buona per grandi e piccini, nel solco tracciato negli anni dal talento e dal mestiere di quello che continua ad essere uno dei miei autori preferiti.

20 commenti:

  1. Siamo in due ad aver letto Il grande Gatsby con colpevolissimo ritardo. C'è da dire mi sono rifatto con gli interessi: l'ho letto due volte in pochi mesi, una in lingua originale, una nella (splendida) traduzione di Tommaso Pincio. Caso unico nella mia carriera di lettore. Al di là di tutte le "massime considerazioni", di questo romanzi mi sono rimaste impresse come alcune istantanee, folgoranti immagini. La scrittura di Fitzgerald non si dimentica.
    Riguardo alla Torre nera, be', è un capitolo fondamentale della mia storia di lettore. Sono d'accordo con te: I lupi del Callla e La canzone di Susannah sono i due volumi meno riusciti, mentre è a mio avviso con "La chiamata dei tre" e, soprattutto, "La sfera del buio" che la saga tocca i suoi vertici. E l'incipit di "L'ultimo cavaliere" is the best ever.
    Cielo di sabbia ce l'ho nel reader da un po', acquistato compulsivamente in offerta speciale. L'ultimo romanzo che ho letto del buon Joe (Edge of Dark Water) mi aveva deluso, ma a lui si perdona volentieri qualche scivolone.

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    1. Io l'ho letto direttamente in lingua originale, che avevo il dubbio su quale traduzione prendere :-)
      (mi pare di averne contate 5 o 6 in libreria…)

      'mo ho pure preso Tenera è la notte (stavolta in italiano, nell'edizione minimum fax), l'hai letto?

      Riguardo alla Torre nera, sai che forse è proprio il capitolo finale quel che ho preferito? La sfera del buio è un gran bel leggere, ma è tutto troppo troppo per i miei gusti (ma non so se mi spiego).

      Di Lansdale ho in dcoda i racconti di Hap & Leonard, ma non so quando verrà il loro turno…


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  2. Personalmente trovo il Grande Gatsby un romanzo enormemente sopravvalutato - superficiale e banale a livello di caratterizzazione e critica sociale, ma intriso di sentimentalismo non guadagnato (frasi che puntano costantemente ad un lirismo che va quasi sempre sopra le righe, espressioni come the music of humanity, una profusione di aggettivi vuoti ma "empatici" come radiant) - insomma di quel "poetico" che troppo spesso viene frainteso per poesia.

    Mi dispiace un po' che ti sia piaciuto, anche se vista la tua passione per un certo tipo di immaginario americano, ma anche molto della cricca Believer e soprattutto Murakami, immagino dovessi aspettarmelo.
    Per parte mia, se a ognuno può benissimo piacere quel che gli piace, anche perché alla lettura ognuno porta sensibilità o predisposizioni emotive di vario tipo, ogni volta che sento un critico (non che tu qui voglia essere un critico, eh) parlare del Grande Gatsby come di un, o addirittura del, grande romanzo americano, mentalmente lo aggiungo alla Quarantena (se non proprio alla lista nera). Spesso è una conferma (come nel caso di McCrum, il critico del Guardian) quasi mai ho avuto motivo di pentirmene.

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    1. "Personalmente trovo il Grande Gatsby un romanzo enormemente sopravvalutato"

      Non avevo dubbi, cos'altro potevo aspettarmi da un lettore cinico e disincantato come te?
      Scherzi a parte, concordo sulla superficialità della critica sociale, meno sulla caratterizzazione dei personaggi, mentre sospendo ogni giudizio su lessico e presunta poeticità (che in ogni caso io non ho colto).

      Hai ragione ad accostare Il Grande Gatsby a "un certo tipo di immaginario USA" per cui in effetti ho un debole, anche se non so a cosa ti riferisci cone "cricca Believer".

      E no, per me Il Grande Gatsby non è il "grande romanzo americano", però è una lettura notevole proprio nel senso che dicevo sopra, ovvero nel rendere canonico un certo modo di vedere le cose tipicamente yankee.

      (a proposito di yankee, che mi dici di Hemingway? Lo metti fianco a fianco a Fitzgerald o per te è un capitolo a parte?)

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  3. Sul primo capitolo della torre nera ci sono rimasto un pò male devo ammettere però a brevissimo mi becco il secondo e vediamo cosa ne viene fuori.
    Io l'amico fritz lo conosco solo per il film del '74 e non credo che leggerò il libro :)
    Per Lansdale non dico nulla che tanto lo sappiamo già ;)

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    1. L'ultimo cavaliere sembra effettivamente scritto da un autore diverso dallo Stephen King dei romanzi successivi. C'è chi per questo motivo lo apprezza ancora di più. Da parte mia non saprei, mi sarebbe piaciuto leggere lo stesso grado di stranezze anche nei libri successivi, però è vero, sarebbero stati una lettura ben più faticosa.

      Il Gatsby con Robert Redford ce l'ho lì che mi aspetta, anche se sono un po' titubante. Vedremo…

      E sì, su Lansdale c'è poco da aggiungere! :-)

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  4. Io ho letto Gatsby la scorsa estate. Comprai il libro in una libreria di Madrid e lo finii laggiù. Ricordo la scrittura misurata, meditata, esatta. Mai una parola fuori posto. Mi colpì tantissimo, per la sua leggerezza: tra l'altro non oso immaginare come abbiano fatto a trasformarlo in un film. Il mio pensiero coincide con quello di chi ha scritto quest'articolo: http://lettura.corriere.it/perche-gatsby-non-sara-mai-un-grande-film/

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    1. A me invece è parso molto cinematografico: gli ambienti che sembrano set da tanto son perfetti, le dinamiche tra i personaggi, i cambi di scena e di atmosfera. E poi certo, la scrittura di Fitzgerald, precisa e limpida. Cinema, anzi, Hollywood.

      Detto questo, non ho ancora visto i film tratti dal romanzo.

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    2. Aperto a caso.

      Slenderly, languidly, their hands set lightly on their hips the two young women preceded us out onto a rosy-colored porch open toward the sunset where four candles flickered on the table in the diminished wind.

      Questa non è scrittura misurata, meditata, esatta. E' un overkill di aggettivi in -y, cui si aggiungono scelte lessicali e d'immagine (rosy-colored, sunset, flickered) che appartengono al linguaggio ersatz-poetico, le belle frasi da cartolina d'auguri, quelle che un poeta di solito esita ad usare, perché sono già terribilmente inflazionate. Una frase di questo genere potrebbe ancora andar bene in un romanzo tonalmente più vario, ma qui tutte le frasi sono così. C'è un espressione di Henry Watson Fowler, The Elegant Variation, che parla della fallacia di quegli scrittori che si sforzano continuamente di "express themselves prettily rather than convey their meaning clearly" - che a me sembra tagliata su misura per Fitzgerald.

      Poi è chiaro se il lettore trova una bellezza metafisica negli aggettivi in -y, i glow, le green radiances, gli elusive rhythms, fragments of lost words, o i pandered in whispers for a transitory enchanted moment che trova sulla pagina, è difficile che un film possa avere lo stesso effetto. Al massimo il film ti potrà far vedere una luce verde e delle candele che oscillano.
      La scrittura davvero poetica - elegante, visuale, precisa, con un lessico che può essere semplice, "demotico" o alto e ricercato ma non suona mai scontato - è un altra cosa. Si può trovare ad esempio in Cane di Jean Toomer, in Nightwood e Ryder di Djuna Barnes o in tedesco nei Quaderni di Malte Laurids Bigge di Rilke, per citare romanzi più o meno contemporanei. Non nel Grande Gatsby.

      Per cricca Believer intento Safran Foer, Eggers, la Bender, quei tipi lì.

      Non metto Hemingway fianco a fianco con Fitzgerald. Dovrei rileggerlo per avere un opinione più chiara - diciamo che ad oggi nessuno dei due è nel mio Pantheon Americano. Ma Hemingway non genera quegli outlandish claims che suscita Fitzgerald.
      In realtà io non sono un cinico - quando sentimentalismo e melodramma intersecano i miei punti deboli, posso guardare con occhio benevolo anche cose abbastanza disdicevoli. Per cui non tolgo il saluto a qualcuno se Gatsby è il suo romanzo preferito.
      Ma chi lo ritiene uno dei migliori romanzi scritti in inglese anche solo in quel periodo ha una concezione della letteratura - e delle sue potenzialità - molto distante dalla mia.

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    3. Capisco quel che vuoi dire, e lo condivido. Non tieni però conto di un particolare, ovvero la mia competenza nel leggere un testo in lingua, che non è tale da permettermi di dare giudizi così approfonditi sull'uso del linguaggio. Insomma, per certe cose sono una mente semplice.
      Per dire, quel che ha me colpisce del paragrafo che citi è proprio l'esattezza della descrizione, che mi permette di visualizzare immediatamente la scena e di percepirla con un ottimo grado di dettaglio e profondità. Dal mio punto di vista Fitzgerald scatta un'ottima istantanea della situazione.

      "Per cricca Believer intento Safran Foer, Eggers, la Bender, quei tipi lì."
      Accidenti, non sapevo ti fossero così antipatici…

      Pensavo a Hemingway per l'eccesso di sentimentalismo che ricordo di aver trovato in qualche suo romanzo (non in Fiesta e parecchio più tollerabile nei racconti) e che in qualche modo me lo fa accostare a Fitzgerald, seppur con un netto scarto nel linguaggio utilizzato. Ma Hemingway l'ho letto in italiano, Fitzgerald no. Magari ne riparliamo dopo che avrò letto Tenera è la notte, tradotto, stavolta.

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    4. Non è che mi siano antipatici - come persone mi stanno anche simpatici. E' che quel che scrivono mi sembra oscilare fra il carino e il melenso. E c'è di meglio del carino in giro...
      (la Bender spero sia meglio nei racconti, perché avrei potuto vivere benissimo senza la sua torta al limone)

      Sì, capisco quel che vuoi dire su H e F. Certo erano entrambi molto sentimentali a loro modo - non per nulla erano EmoAmici.

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    5. Non so, carino e melenso non sono certo le prime parole che mi vengono in mente pensando a Eggers o alla Bender (Safran Foer non lo considero, ho letto solo un romanzo ma non m'ha entusiasmato).
      Entrambi (insieme a qualcun altro) cercano di abbandonare quell'approccio cinico/ironico che contraddistingue un sacco della letteratura americana degli ultimi decenni. E già solo per questo il loro lavoro è encomiabile.
      Poi non so come sia il romanzo della Bender, ma i suoi racconti mi son davvero piaciuti. Dalle una possibilità…

      EmoAmici???

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    6. Quello della Bender è un tipico romanzo americano di famiglie disfunzionali con innesto di realismo magico gastronomico., con le sue belle metaforine pulite, in ordine e ben spiegate.

      Entrambi (insieme a qualcun altro) cercano di abbandonare quell'approccio cinico/ironico che contraddistingue un sacco della letteratura americana degli ultimi decenni. E già solo per questo il loro lavoro è encomiabile.

      C'è altro, sia dentro la letteratura americana che fuori. Non mi sembra un impresa talmente eroica da meritare medaglie a priori. Tanto più che nel loro piccolo (?) fra McSweeney, Believer parenti amici e associati mi sembra sviluppino un house style almeno altrettanto pernicioso.

      EmoAmici???

      Bè, c'è quella volta in cui Fitzgerald era disperato perché pensava di averlo troppo piccolo e allora Hemingway gli ha fatto calare i pantaloni e l'ha tranquillizzato, e quella in cui Hemingway è salito sul ring con un pugile semiprofessionista e Fitzgerald teneva il cronometro, Hemingway è stato atterrato ed ha tenuto il broncio a Fitzgerald perché secondo lui aveva fatto durare il round un paio di minuti in più apposta.
      E così via...

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    7. Della Bender prova i racconti: la tua descrizione continua a calzare a pennello, ma credo che sulla breve distanza la sua scrittura sia decisamente più efficace.

      "C'è altro, sia dentro la letteratura americana che fuori."

      Certo che c'è altro, ma non sottovaluterei i risultati raggiunti da Eggers & C.
      E beh… a priori non ho regalato medaglie a nessuno.

      "c'è quella volta…"
      Oh! Ma quante ne sai!
      Questi scorci sulla vita privata del dinamico duo son meravigliosi. Grazie per averli condivisi!

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  5. Impossibile avvertire la mancanza di Roland. nel senso che se pensavi di aver finito...
    http://www.ibs.it/code/9788820053253/king-stephen/leggenda-del-vento.html

    Inoltre, se ti manca quel mondo, il mio consiglio è di trovare da qualche parte "Cuori in Atlantide".

    Alberto C.

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    1. Accidenti! Credevo davvero di aver finito con lui!
      (Però non so se ce la posso fare. Vedremo…)

      Sapevo di Cuori in Atlantide, per la presenza di Ted Brautigan, ma per quanto riguarda la possibilitò di leggerlo, vedi sopra, temo di aver ormai raggiunto la saturazione con King.
      Ma mai dire mai, che magari, tra qualche anno…

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    2. Cuori in Atlantide (per nulla horror ma, diciamo, di formazione) è stato il romanzo dopo tanti flop che mi ha fatto innamorare di nuovo del Re. Sarà un caso che è arrivato dopo l'incidente?

      Alberto

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  6. Concordo con Marco per il giudizio su FSF: lessi molti suoi romanzi un secolo fa, quando ero al liceo, e m'e' rimasta l'impressione di uno che se la tirava alla grande, uno inutilmente barocco, che raccontava d'un'epoca patinata con parole patinate. L'antitesi delle frasi secche di Cormac McCarthy, che con cinque parole ti pennella una scena vivida e piena di particolari.
    King e' invece uno che scrive fluidissimo e riesce a costruire storie eccellenti. Avete citato "Cuori in Atlantide". E' uno dei due libri suoi che ho letto in inglese, e scorre davvero come acqua. Il ciclo della Tprre Nera l'abbandonai anni fa perche' non avevo la pazienza di aspettare l'uscita del libro successivo, ma adesso magari recupero il tempo perduto...
    Landsale non riesce ad appassionarmi. E' un ottimo scrittore, ma mi lascia abbastanza indifferente dal punto di vista del coinvolgimento.

    B.

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    1. È perché c'hai un cuore di ghiaccio! :-)

      Riguardo a FSF, boh… capisco il vostro giudizio, ma non riesco a condividerlo. A me è parso tutto fuor che barocco, certo magari sul patinato posso essere d'accordo, ma non lo vedo come difetto, visto il contesto. Il paragone con Cormac McCarthy non regge: lui e Fitzgerald giocano in campionati diversi a mezzo secolo di distanza.

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