Francis Scott Fitzgerald - The Great Gatsby

Si può arrivare alla mia età senza aver letto
Il grande Gatsby? Evidentemente sì, però mi dispiace un po' non aver incontrato prima il romanzo di
Francis Scott Fitzgerald.
Credo di averlo già scritto ma tanto vale ribadirlo: io sono tra quelli che tra fantascienza e cinema e beat generation e rock'n'roll l'America gli ha fottuto l'immaginario (su base consensuale e senza alcun rimpianto, anzi…). Capire quali sono le basi di questa fascinazione è sempre interessante, per questo motivo leggere
The Great Gatsby, una colonna portante del senso americano per la narrazione, è illuminante.
Nella storia di Jay Gatsby, rivelata progressivamente da Fitzgerald sfruttando il punto di vista privilegiato di Nick Carraway, ci sono tutti gli ingredienti per quella via americana alla conoscenza del mondo che mescola insieme individualismo e ambizione, grandi passioni e ricerca dell'ideale, eguaglianza delle persone e aristocrazia del denaro. lotta di classe come affermazione individuale, morale che si piega al risultato e, soprattutto, l'esaltazione senza compromessi della giovinezza - il potenziale, l'energia, le possibilità - rispetto alla consapevolezza delle sconfitte, inevitabili, della maturità.
Il Grande Gatsby è un gran bel romanzo per come è narrato, per il calibrato disvelamento del lato oscuro dei vari personaggi, per l'approccio
normale agli eventi straordinari cui si assiste (Carraway è il perfetto contraltare alla
grandeur di Gatsby), per il senso di rimpianto e nostalgia che emerge da ogni singola pagina senza risultare mai stucchevole o melodrammatico, a esaltare anzi, un romanticismo sotterraneo mai esplicito ma forse per questo ancor più struggente.
Arrivato in fondo capisci bene perché il romanzo di
Francis Scott Fitzgerald sia diventato iconico e fondamentale, non solo per gli autori americani che seguiranno, ma anche per tutti quegli scrittori che nell'America letteraria han cercato fortuna e ispirazione.
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Stephen King - La Torre Nera

C'ho messo poco più di quattro anni per arrivare alla fine di questa lunghissima saga, e per molto tempo mi son chiesto se era il caso di proseguire o mollare quello che per parecchio tempo m'è parso un furbo, per quanto piacevole, mappazzone narrativo. Nei sette volumi della saga de
La torre nera c'è tutto quel che un lettore di genere può desiderare: magia e orrori, fantascienza e mostri, apocalissi assortite e mondi paralleli, con in più quell'abile tocco metaletterario capace di stuzzicare anche il lettore più scafato. Non sempre l'abbondanza è sinonimo di qualità, e più di una volta nei sei capitoli precedenti ho dubitato della capacità di
Stephen King di dare armonia ed equilibrio alle varie componenti del suo ambizioso affresco.
Ero lì lì per mollare tutto a causa delle dimensioni di quest'ultimo volume e dell'opinione che avevo maturato al termine della lettura degli ultimi due capitoli della saga (
I lupi del Calla e
La canzone di Susannah), che mi son parsi frutto di calcolo e mestiere più che di passione e necessità narrativa. Ho deciso di leggere
La torre nera un po' per l'inevitabile curiosità di sapere come va a finire, un po' per vedere se i giudizi confortanti letti un po' ovunque sarebbero stati confermati dai fatti.
Arrivato in fondo posso dire che
La Torre Nera mantiene tutte le promesse, e conclude in maniera più che degna una storia che per lunghi tratti sembrava girare in tondo, svelando qualche mistero, dando risposte - magari poco piacevoli - alle domande dei personaggi, con un finale che riesce ad essere al contempo consolatorio e terrificante. Onore al merito a
Stephen King dunque, che oltre ad essere un ottimo artigiano della scrittura, dimostra di saper condurre in porto una storia complicata come questa senza troppe concessioni ai desideri del pubblico, con un rigore e una coerenza esemplari.
E sì, credo che Roland un po' mi mancherà.
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Joe R. Lansdale - Cielo di sabbia

Mi piace il modo in cui
Joe R. Lansdale tratta i ragazzi. Che siano i lettori cui è destinato
Cielo di sabbia o i personaggi stessi del romanzo, Big Joe non scende a compromessi, li lascia liberi di comportarsi come meglio credono, li lascia provare, li lascia sbagliare, a volte vincere, a volte piangere, ma senza alcuna supponenza, senza porsi quale esplicito giudice morale di comportamenti o scelte. Lasciandoli soprattutto parlare con la propria voce.
In effetti se c'è un motivo per cui val la pena leggere
Cielo di sabbia è nella voce narrante del suo giovane protagonista.
Joe Lansdale - e con lui
Luca Conti, traduttore del romanzo - rende perfettamente il punto di vista di Jack, adeguando lessico e profondità a quelle di un adolescente che, sebbene si muova e agisca nella
dust bowl della grande depressione, risulta riconoscibile nei comportamenti e perfetto nelle relazioni che instaura con i suoi compagni di viaggio (tra cui spicca Jane, meravigliosa
femme fatale quattordicenne, anno più anno meno) anche qui e ora.
Sebbene non abbia le ambizioni dei precedenti romanzi "di formazione" dell'autore texano (penso a
La sottile linea scura o a
The Bottoms)
Cielo di sabbia è una lettura piacevole e divertente, buona per grandi e piccini, nel solco tracciato negli anni dal talento e dal mestiere di quello che continua ad essere uno dei miei autori preferiti.
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